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UBI ERAT LUPA
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Scritto da Administrator | 27 Agosto 2015

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Attilio Mastino

L'iscrizione latina del restauro del tempio del Sardus Pater ad Antas
e la problematica istituzionale*

La vitalità delle antiche tradizioni pagane in Sardegna è testimoniata simbolicamente dalla dedica effettuata attorno al 213 d.C. all’imperatore Caracalla, in occasione dei restauri dell’antico tempio di Antas (comune di Fluminimaggiore): un edificio che integrava il culto imperiale (fondato su un’articolata organizzazione  provinciale) con il culto salutifero del grande dio eponimo della Sardegna, il Sardus Pater figlio di Eracle, interpretatio romana del dio fenicio di Sidone (Sid figlio di Melkart), dell’eroe greco Iolao compagno di Eracle e dell’arcaico Babi. Quest’ultimo rimanderebbe a tradizioni locali di età preistorica (esattamente in parallelo con l’Esculapio Merre del II secolo a.C. della trilingue di San Nicolò Gerrei, interpretato in greco come Eshmun Merre e in greco come Asclepio Merre)[1].

In età storica Sardus era effettivamente venerato in Sardegna con l'attributo di Pater, in quanto era considerato il primo ad aver guidato per mare una schiera di colonizzatori giunti dall'Africa e per aver dato il nome all'isola[2], in precedenza denominata e argurófleps nésos ('l'isola dalle vene d'argento'), con riferimento alla ricchezza delle sue miniere di piombo argentifero[3], a ridosso dell’isola circumsarda che Tolomeo conosce come Molilbòdes, Sant’Antioco[4]. A questo eroe-dio, identificato con il Sid Babi punico[5] e con Iolao patér greco, il condottiero dei Tespiadi[6], fu dedicato un tempio presso Metalla, restaurato all'inizio del III d.C.; d’altra parte la sua immagine ritorna propagandisticamente sulle enigmatiche monete di M. Atius Balbus[7].

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Scritto da Administrator | 14 Luglio 2015

Attilio Mastino
Il mio Caravaggio
Caravaggio e i Carvaggeschi, la pittura di realtà
, mostra a cura di Vittorio Sgarbi e Antonio D’Amico
Sassari, 30 giugno 2015

Penso che solo la mia incoscienza possa giustificare il fatto di aver accettato di scrivere queste pagine, ripensando a distanza di un anno le linee del dibattito al quale avevo partecipato come Rettore dell’Università di Sassari l’8 aprile 2014, al Liceo Azuni, assieme al giovane storico dell’Arte Costantino D’Orazio, al Preside Massimo Sechi, a Mario Matteo Tola, attorno al volume dedicato a Caravaggio segreto. Un’opera pubblicata da Sperling & Kupfer, che si concentrava in particolare sui misteri nascosti nei grandi capolavori di Caravaggio.

Misteri che suscitano emozioni e un innamoramento che si è consolidato dopo la visita alla splendida mostra svoltasi alle Scuderie del Quirinale tra il 20 febbraio e il 13 giugno di cinque anni fa, nel 2010, raccontata ora nel bel volume Caravaggio a cura di Claudio Strinati, che ogni tanto sono solito sfogliare. Ricordo che potei partecipare a quell’evento memorabile, imbrogliando un poco con la tessera di giornalista e riuscendo a superare d’un balzo un’interminabile fila che costringeva ad attese di ore, il tempo che non avrei mai avuto.

Ma certo quella mostra rispondeva a una domanda profonda che continuavo a farmi, da quando a Malta avevo visitato con il Presidente dell’ISPROOM Giovanni Nonne, quasi vent’anni anni fa, l’oratorio barocco di San Giovanni Battista dei Cavalieri a La Valletta: con la rappresentazione, quasi fosse una scena teatrale, della Decollazione del Battista che davanti al carcere si sottopone di buon grado alla volontà del boia. Una scena tanto simile ma tanto diversa dalla decapitazione del generale Oloferne per mano di Giuditta a Betulia, davanti a una vecchia copiata pari pari da Leonardo.

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Scritto da Administrator | 27 Giugno 2015

Attilio Mastino
Ricordo di Giovanni Del Rio
Sindia, 26 giugno 2015

Ricordare Giovanni Del Rio a sei mesi dalla scomparsa per me può essere un rischio, perché  significa assumere un punto di osservazione forse troppo limitato e personale, renderebbe obbligata una riflessione anche critica e non agiografica non tanto sul personaggio quanto sulla compagnia che in qualche caso l’accompagnava, richiederebbe un distacco che ammetto di non avere per il debito di riconoscenza, per  il forte legame con  mio padre, con i luoghi che amo, ripensando al sole e al mare di Porto Alabe. Non si può ricordare Giovanni Del Rio senza ritornare alla misteriosa Sindia di mons. Giuseppe Masia (1938-87), il paese ricco delle tante memorie cistercensi, che stanno sullo sfondo di una formazione, di una passione, di una fedeltà che non ha avuto tradimenti, fino agli ultimi giorni, nonostante i tanti dolori come la morte della prima moglie Cicita nel 1985 o il sequestro di Ernesto Pisanu nella tenuta di Bara nel giugno 1984 o le tante delusioni umane.

Percepivamo, anche nello scontro che ebbe con la dirigenza RAI per le trasmissioni regionali, nei duri contrasti dentro il suo partito, più tardi nella breve e generosa guerra con Andreotti, una sua identità profonda popolare, democratica, antifascista, fortemente radicata e addirittura inflessibile, che riscoprivo ogni volta che ci chiamava con le motivazioni più diverse, magari solo perché voleva farci sapere che continuava a seguirci passo passo oppure più di recente ogni volta che c'incontravamo con la signora Geltrude in un bar di Piazza IV Novembre a Bosa, fino agli ultimi tempi, ormai quasi novantenne, con la cordialità, l'attenzione e la lucidità di sempre. Un signore sempre più distaccato dalla politica, ma profondamente inserito nel nostro ambiente, nelle nostre amicizie, in varie associazioni, perfino nel nostro paesaggio.

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Scritto da Administrator | 27 Giugno 2015

Per Passione e missione
Scritti inediti di don Peppino Murtas
Oristano, Auditorium San Domenico, 18 giugno 2015

Attilio Mastino

Grazie all’arcivescovo di Oristano Mons. Ignazio Sanna e al vescovo d’Ogliastra Mons. Antonello Mura per avermi proposto di presentare davanti ad un pubblico di amici questo libro curato da  Lucio Casula e a Carla Murtas, ai quali dobbiamo questa paziente ricerca sugli scritti inediti di Peppino Murtas pubblicati da Soter editrice nella collana del Coordinamento del Progetto culturale della Conferenza Episcopale Sarda. La presenza del mio amico Vittorio Sozzi, responsabile del servizio per il progetto culturale della CEI e soprattutto per me direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’Università della CEI accompagna un momento di condivisione che non può essere solo locale.

Questo volume – Per passione e missione – appare molto utile per ricostruire con freschezza tanti aspetti sconosciuti della figura di un sacerdote, di un paese Paulilatino, di un’isola, la Sardegna negli anni del secondo dopoguerra. Io stesso ho ricordi che per tanti versi si sovrappongono e si incrociano: rileggendo le sue omelie ho ritrovato tanti temi che gli erano cari, soprattutto ho scoperto cose che non sapevo,  anche se l’ho incontrato decine di volte. L’uomo mi aveva davvero colpito per la sua preparazione, per la sua capacità di ascolto, per la sua autorevolezza, per la sua pazienza, perfino per il tono della voce, per questa sua nobiltà e per questo suo distacco, per questo straordinario desiderio di entrare in sintonia con i giovani.

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Scritto da Administrator | 03 Giugno 2015

Attilio Mastino
Giuseppe Elia Monni, Il corpo della città
Sassari 29 maggio 2015.

Sono convinto che troppe opere prime, anche pubblicate da Editori nazionali e di primo piano, siano passate inosservate in Sardegna: da noi purtroppo non manca il conformismo che premia la stanca ripetizione di stereotipi. Magari mi immagino che alcune opere dense, originali, con straordinarie novità saranno riscoperte solo nei prossimi decenni.

Spero che non sarà questa la sorte dello splendido romanzo di Giuseppe Elia Monni, Il corpo della città, pubblicato da Mondadori, che è fino ad un certo punto un’opera prima, dal momento che nel sito facebook dell’autore - tra le tante pagine in perenne manutenzione - sono riuscito a scovare anche molte altre opere inedite, che promettono davvero novità, uno sguardo fresco e ricco di suggestioni, sulla Sardegna di sempre.

Troppo facile sarebbe pensare ad un debito di Monni nei confronti di Giorgio Todde e del suo romanzo storico sulle indagini dell’imbalsamatore, Efisio Marini, che ci porta anch’esso ad uno scienziato, assistente al Museo di Storia Naturale a Cagliari dal 1861, in contatto con l’archeologo Giovanni Spano.

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Scritto da Administrator | 03 Giugno 2015

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Attilio Mastino
La pagina della Diocesi di Bosa su Libertà alla fine degli anni Sessanta
Sassari, 20 maggio 2015

L'idea di dedicare una pagina speciale del glorioso settimanale “Libertà” (fondato dal vincenziano Padre Giovanni Battista Manzella nel 1909) alla Diocesi di Bosa si deve esclusivamente a mons. Francesco Spanedda: a  Sassari egli aveva diretto il settimanale (dopo personaggi del livello di Damiano Filia, Remo Branca e altri), fino al suo ingresso come vescovo a Bosa, il 7 aprile 1957.  Aveva lasciato la direzione di Libertà nelle mani di  Mons. Antonio Virdis, mentre la stampa proseguiva presso la Tipografia Editoriale Moderna di Largo Seminario 2. Mons. Spanedda avrebbe continuato il suo impegno a distanza, raccogliendo  migliaia di abbonamenti nella sua nuova piccola diocesi, creando una pattuglia di collaboratori diretti.

Dopo la morte di mia madre Anna, fu il vescovo a cresimarci privatamente - me e mio fratello Luigi - nella cappella del Seminario della Meridiana, che mio padre Ottorino, assessore comunale, aveva fatto restaurare in occasione del solenne arrivo del nuovo vescovo: testimonianza di un privilegio forse, soprattutto di un'attenzione che avrei sperimentato nel tempo successivamente, quando mi volle Presidente diocesano della GIAC. A Bosa il vescovo sarebbe rimasto per 22 anni, fino al 17 marzo 1979, quando fu promosso Arcivescovo di Oristano, mantenendo l'arma originaria con il castello, le stelle e l'epigrafe programmatica Caritate et veritate. In questi due decenni, grazie all'amicizia con il Presidente della Regione Giovanni Del Rio, era riuscito ad abbandonare il cadente Seminario e a far costruire il nuovo Episcopio di Viale Giovanni XXIII.

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Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet
multa saeculis tunc futuris,
cum memoria nostra exoleverit, reservantur:
pusilla res mundus est,
nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.


Seneca, Questioni naturali , VII, 30, 5

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;
molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,
quando di noi anche il ricordo sarà svanito:
il mondo sarebbe una ben piccola cosa,
se l'umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

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