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La scomparsa di Claude Lepelley

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Attilio Mastino
La scomparsa di Claude Lepelley

Vorrei ricordare oggi Claude Lepelley, scomparso a Montreuil (Île-de-France) il I febbraio 2015, all’età di 80 anni, a seguito di un arresto cardiaco. Era nato a Saint-Maurice, Val-de-Marne l’8 febbraio 1934.

Mentre esprimiamo il dolore profondo per una perdita che ci colpisce davvero, che impoverisce ulteriormente la generazione di studiosi che ci hanno preceduto e che sono stati anche nostri maestri, vogliamo ricordarlo a nome di tutti per le sue straordinarie imprese scientifiche, per la sua figura umana di studioso, di democratico, di amico dei paesi del Maghreb. Gli siamo grati per l’attenzione che ci ha voluto riservare, sempre con affetto e simpatia, ma anche con una sorta di nobile distacco, ricollegandosi fin dall’inizio ad un personaggio che ha voluto dare avvio ai convegni, de L’Africa Romana assieme a Giancarlo Susini, Marcel Le Glay, il maestro al quale era subentrato nella cattedra di Paris-Nanterre nel 1984.

Scrivendo la sua bella presentazione introduttiva all’XI volume de “L’Africa Romana” con gli Atti dell’incontro di Cartagine svoltosi nel dicembre 1994, Claude Lepelley ricordava proprio quell’anno lontano: <<En 1984, Marcel Le Glay m’apprit qu’il avait participé en décembre précédent, à Sassari, à une petite rencontre d’un grand intérêt consacrée à l’Afrique antique. Très vite parurent les actes, L’Africa Romana I, avec déjà une qualité d’impression qui ne devait jamais se démentir. Actes modestes, avec seulement huit communications, dont une consacrée à la Sardaigne, et quatre dues à des savants tunisiens, qui, d’emblée, s’étaient ralliés avec enthousiasme. On connaît la suite: la série des actes est désormais une publication de référence fondamentale, “un monument de la science contemporaine” a pu écrire André Chastagnol>>. E aveva aggiunto che il Convegno di Cartagine del 1994 segnava un ulteriore allargamento geografico alle province occidentali dell’impero romano, in particolare alla Sicilia, alla Corsica, alle due Spagne, alla Lusitania e poteva constatare che i nostri colloqui erano divenuti nelle nostre discipline un fatto che riguardava tutti gli specialisti del mondo romano. Poi ci aveva parlato di Helvius Vindicianus médecin et proconsul, riportandoci al tema che preferiva: la tarda antichità, Agostino di Ippona, amico del proconsole d’Africa Vindicianus nella prima età di Teodosio, tra il 379 e il 380, vir sagax, medicinae artis peritissimus, atque in ea nobilissimus.

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Natione Sardus “Achivio Storico Sardo”

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Natione Sardus
“Achivio Storico Sardo”, in stampa
Attilio Mastino

1. Per spiegare il termine natio, nel senso di “patria”, origo, luogo geografico di nascita e di origine ma anche domicilium (in greco génos, éthnos, polítes), il grammatico Lucio Cincio ripreso da Festo[1] in età repubblicana faceva riferimento a coloro che sono radicati su un territorio, sul quale sono nati e continuano a vivere: genus hominum, qui non aliunde venerunt, sed ibi nati sunt ubi incolunt[2]. A questo riguardo è necessario specificare la differenza sostanziale con gens, in quanto la nozione espressa da quet’ultima si collega alla serie di antenati presenti in un lignaggio familiare e uniti da un rapporto di sangue;  la nozione di natio, invece, tiene conto del rapporto che un dato gruppo sociale ha nei confronti di un luogo geografico di origine; questo infatti identifica il suolo della patria originaria, <<solum patrium quaerit>>, in quanto è omoradicale col verbo nascor[3].

Pertanto, nella recentissima voce natio scritta per il Thesaurus linguae Latinae (a. 2014), Friedrich Spoth osserva che nell’utilizzare il termine natio si intende trattare specialmente de coetu hominum, qui coniuncti sunt vinculo, magari unius originis, linguae, religionis similiter[4]. Quindi si coglie il senso dell’espressione natione verna, che non è da intendersi come abitualmente verna “schiavo nato in casa” ma che conserva il significato più antico di “nativo”, dal momento che è assegnata soprattutto a liberi e non a schiavi[5].

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56° Premio letterario città di Ozieri

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Attilio Mastino
56° Premio letterario città di Ozieri
Ozieri, 26 settembre 2015

Cari amici,

per il secondo anno ho presieduto la Giuria il Premio Ozieri fondato da Tonino Ledda nel 1956: rileggendo il volume di Salvatore Tola sui primi 50 anni di premi letterari in lingua sarda ho ritrovato i grandi temi della poesia nazionale sarda, documentati da tanti autori che mi sono cari fin dai tempi degli studi universitari a Cagliari quando nel 1971 fu votata la prima mozione del Consiglio di Facoltà di Lettere presieduto da Giovanni Lilliu sulla lingua sarda e gli anni degli Amici del libro, citerò solo Aquilino Cannas, così legato a Nicola Valle.

Emerge la continuità nel tempo del premio Ozieri guidato da personaggi come Antonio Sanna, Nicola Tanda, Domenico Masia, Cicito Masala, Rafael Catardi, Vanni Fadda, Antonio Canalis, Vittorio Ledda; ma anche la capacità di innovazione, lo svecchiamento della consuetudine poetica, il superamento dei moduli dell’Arcadia, del manierismo e della mediocrità, il passaggio dall’oralità alla scrittura, l’unificazione ortografica della lingua sarda fin dal 1974, l’allargarsi degli orizzonti con la sezione degli emigranti, la prosa narrativa in lingua sarda, il coinvolgimento della scuola e delle istituzioni pubbliche.

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L’iscrizione latina del restauro del tempio del Sardus Pater ad Antas e la problematica istituzionale.

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Attilio Mastino

L’iscrizione latina del restauro del tempio del Sardus Pater ad Antas
e la problematica istituzionale*

La vitalità delle antiche tradizioni pagane in Sardegna è testimoniata simbolicamente dalla dedica effettuata attorno al 213 d.C. all’imperatore Caracalla, in occasione dei restauri dell’antico tempio di Antas (comune di Fluminimaggiore): un edificio che integrava il culto imperiale (fondato su un’articolata organizzazione  provinciale) con il culto salutifero del grande dio eponimo della Sardegna, il Sardus Pater figlio di Eracle, interpretatio romana del dio fenicio di Sidone (Sid figlio di Melkart), dell’eroe greco Iolao compagno di Eracle e dell’arcaico Babi. Quest’ultimo rimanderebbe a tradizioni locali di età preistorica (esattamente in parallelo con l’Esculapio Merre del II secolo a.C. della trilingue di San Nicolò Gerrei, interpretato in greco come Eshmun Merre e in greco come Asclepio Merre)[1].

In età storica Sardus era effettivamente venerato in Sardegna con l’attributo di Pater, in quanto era considerato il primo ad aver guidato per mare una schiera di colonizzatori giunti dall’Africa e per aver dato il nome all’isola[2], in precedenza denominata e argurófleps nésos (‘l’isola dalle vene d’argento’), con riferimento alla ricchezza delle sue miniere di piombo argentifero[3], a ridosso dell’isola circumsarda che Tolomeo conosce come Molilbòdes, Sant’Antioco[4]. A questo eroe-dio, identificato con il Sid Babi punico[5] e con Iolao patér greco, il condottiero dei Tespiadi[6], fu dedicato un tempio presso Metalla, restaurato all’inizio del III d.C.; d’altra parte la sua immagine ritorna propagandisticamente sulle enigmatiche monete di M. Atius Balbus[7].

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Caravaggio e i Carvaggeschi, la pittura di realtà, mostra a cura di Vittorio Sgarbi e Antonio D’Amico.

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Attilio Mastino
Il mio Caravaggio
Caravaggio e i Carvaggeschi, la pittura di realtà
, mostra a cura di Vittorio Sgarbi e Antonio D’Amico
Sassari, 30 giugno 2015

Penso che solo la mia incoscienza possa giustificare il fatto di aver accettato di scrivere queste pagine, ripensando a distanza di un anno le linee del dibattito al quale avevo partecipato come Rettore dell’Università di Sassari l’8 aprile 2014, al Liceo Azuni, assieme al giovane storico dell’Arte Costantino D’Orazio, al Preside Massimo Sechi, a Mario Matteo Tola, attorno al volume dedicato a Caravaggio segreto. Un’opera pubblicata da Sperling & Kupfer, che si concentrava in particolare sui misteri nascosti nei grandi capolavori di Caravaggio.

Misteri che suscitano emozioni e un innamoramento che si è consolidato dopo la visita alla splendida mostra svoltasi alle Scuderie del Quirinale tra il 20 febbraio e il 13 giugno di cinque anni fa, nel 2010, raccontata ora nel bel volume Caravaggio a cura di Claudio Strinati, che ogni tanto sono solito sfogliare. Ricordo che potei partecipare a quell’evento memorabile, imbrogliando un poco con la tessera di giornalista e riuscendo a superare d’un balzo un’interminabile fila che costringeva ad attese di ore, il tempo che non avrei mai avuto.

Ma certo quella mostra rispondeva a una domanda profonda che continuavo a farmi, da quando a Malta avevo visitato con il Presidente dell’ISPROOM Giovanni Nonne, quasi vent’anni anni fa, l’oratorio barocco di San Giovanni Battista dei Cavalieri a La Valletta: con la rappresentazione, quasi fosse una scena teatrale, della Decollazione del Battista che davanti al carcere si sottopone di buon grado alla volontà del boia. Una scena tanto simile ma tanto diversa dalla decapitazione del generale Oloferne per mano di Giuditta a Betulia, davanti a una vecchia copiata pari pari da Leonardo.

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Ricordo di Giovanni Del Rio Sindia, 26 giugno 2015.

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Attilio Mastino
Ricordo di Giovanni Del Rio
Sindia, 26 giugno 2015

Ricordare Giovanni Del Rio a sei mesi dalla scomparsa per me può essere un rischio, perché  significa assumere un punto di osservazione forse troppo limitato e personale, renderebbe obbligata una riflessione anche critica e non agiografica non tanto sul personaggio quanto sulla compagnia che in qualche caso l’accompagnava, richiederebbe un distacco che ammetto di non avere per il debito di riconoscenza, per  il forte legame con  mio padre, con i luoghi che amo, ripensando al sole e al mare di Porto Alabe. Non si può ricordare Giovanni Del Rio senza ritornare alla misteriosa Sindia di mons. Giuseppe Masia (1938-87), il paese ricco delle tante memorie cistercensi, che stanno sullo sfondo di una formazione, di una passione, di una fedeltà che non ha avuto tradimenti, fino agli ultimi giorni, nonostante i tanti dolori come la morte della prima moglie Cicita nel 1985 o il sequestro di Ernesto Pisanu nella tenuta di Bara nel giugno 1984 o le tante delusioni umane.

Percepivamo, anche nello scontro che ebbe con la dirigenza RAI per le trasmissioni regionali, nei duri contrasti dentro il suo partito, più tardi nella breve e generosa guerra con Andreotti, una sua identità profonda popolare, democratica, antifascista, fortemente radicata e addirittura inflessibile, che riscoprivo ogni volta che ci chiamava con le motivazioni più diverse, magari solo perché voleva farci sapere che continuava a seguirci passo passo oppure più di recente ogni volta che c’incontravamo con la signora Geltrude in un bar di Piazza IV Novembre a Bosa, fino agli ultimi tempi, ormai quasi novantenne, con la cordialità, l’attenzione e la lucidità di sempre. Un signore sempre più distaccato dalla politica, ma profondamente inserito nel nostro ambiente, nelle nostre amicizie, in varie associazioni, perfino nel nostro paesaggio.

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Per Passione e missione Scritti inediti di don Peppino Murtas.

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Per Passione e missione
Scritti inediti di don Peppino Murtas
Oristano, Auditorium San Domenico, 18 giugno 2015

Attilio Mastino

Grazie all’arcivescovo di Oristano Mons. Ignazio Sanna e al vescovo d’Ogliastra Mons. Antonello Mura per avermi proposto di presentare davanti ad un pubblico di amici questo libro curato da  Lucio Casula e a Carla Murtas, ai quali dobbiamo questa paziente ricerca sugli scritti inediti di Peppino Murtas pubblicati da Soter editrice nella collana del Coordinamento del Progetto culturale della Conferenza Episcopale Sarda. La presenza del mio amico Vittorio Sozzi, responsabile del servizio per il progetto culturale della CEI e soprattutto per me direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’Università della CEI accompagna un momento di condivisione che non può essere solo locale.

Questo volume – Per passione e missione – appare molto utile per ricostruire con freschezza tanti aspetti sconosciuti della figura di un sacerdote, di un paese Paulilatino, di un’isola, la Sardegna negli anni del secondo dopoguerra. Io stesso ho ricordi che per tanti versi si sovrappongono e si incrociano: rileggendo le sue omelie ho ritrovato tanti temi che gli erano cari, soprattutto ho scoperto cose che non sapevo,  anche se l’ho incontrato decine di volte. L’uomo mi aveva davvero colpito per la sua preparazione, per la sua capacità di ascolto, per la sua autorevolezza, per la sua pazienza, perfino per il tono della voce, per questa sua nobiltà e per questo suo distacco, per questo straordinario desiderio di entrare in sintonia con i giovani.

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Giuseppe Elia Monni, Il corpo della città.

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Attilio Mastino
Giuseppe Elia Monni, Il corpo della città
Sassari 29 maggio 2015.

Sono convinto che troppe opere prime, anche pubblicate da Editori nazionali e di primo piano, siano passate inosservate in Sardegna: da noi purtroppo non manca il conformismo che premia la stanca ripetizione di stereotipi. Magari mi immagino che alcune opere dense, originali, con straordinarie novità saranno riscoperte solo nei prossimi decenni.

Spero che non sarà questa la sorte dello splendido romanzo di Giuseppe Elia Monni, Il corpo della città, pubblicato da Mondadori, che è fino ad un certo punto un’opera prima, dal momento che nel sito facebook dell’autore – tra le tante pagine in perenne manutenzione – sono riuscito a scovare anche molte altre opere inedite, che promettono davvero novità, uno sguardo fresco e ricco di suggestioni, sulla Sardegna di sempre.

Troppo facile sarebbe pensare ad un debito di Monni nei confronti di Giorgio Todde e del suo romanzo storico sulle indagini dell’imbalsamatore, Efisio Marini, che ci porta anch’esso ad uno scienziato, assistente al Museo di Storia Naturale a Cagliari dal 1861, in contatto con l’archeologo Giovanni Spano.

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La pagina della Diocesi di Bosa su Libertà alla fine degli anni Sessanta.

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Attilio Mastino
La pagina della Diocesi di Bosa su Libertà alla fine degli anni Sessanta
Sassari, 20 maggio 2015

L’idea di dedicare una pagina speciale del glorioso settimanale “Libertà” (fondato dal vincenziano Padre Giovanni Battista Manzella nel 1909) alla Diocesi di Bosa si deve esclusivamente a mons. Francesco Spanedda: a  Sassari egli aveva diretto il settimanale (dopo personaggi del livello di Damiano Filia, Remo Branca e altri), fino al suo ingresso come vescovo a Bosa, il 7 aprile 1957.  Aveva lasciato la direzione di Libertà nelle mani di  Mons. Antonio Virdis, mentre la stampa proseguiva presso la Tipografia Editoriale Moderna di Largo Seminario 2. Mons. Spanedda avrebbe continuato il suo impegno a distanza, raccogliendo  migliaia di abbonamenti nella sua nuova piccola diocesi, creando una pattuglia di collaboratori diretti.

Dopo la morte di mia madre Anna, fu il vescovo a cresimarci privatamente – me e mio fratello Luigi – nella cappella del Seminario della Meridiana, che mio padre Ottorino, assessore comunale, aveva fatto restaurare in occasione del solenne arrivo del nuovo vescovo: testimonianza di un privilegio forse, soprattutto di un’attenzione che avrei sperimentato nel tempo successivamente, quando mi volle Presidente diocesano della GIAC. A Bosa il vescovo sarebbe rimasto per 22 anni, fino al 17 marzo 1979, quando fu promosso Arcivescovo di Oristano, mantenendo l’arma originaria con il castello, le stelle e l’epigrafe programmatica Caritate et veritate. In questi due decenni, grazie all’amicizia con il Presidente della Regione Giovanni Del Rio, era riuscito ad abbandonare il cadente Seminario e a far costruire il nuovo Episcopio di Viale Giovanni XXIII.

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Ricordo di Gabriella Mondardini Morelli.

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Ricordo di Gabriella Mondardini Morelli
International Inner Wheel – Club Porto Torres, 7 aprile 2015

Il 18 agosto 2014, quando ero ancora Rettore, avevo annunciato con dolore a tutti i colleghi dell’Ateneo la scomparsa di Gabriella Mondardini, che poi avevamo ricordato un mese dopo a Stintino in occasione degli incontri stintinesi 2014 promossi dal Centro studi sulla civiltà del mare e per la valorizzazione del Golfo e del Parco dell’Asinara, per volontà di Salvatore Rubino ed Esmeralda Ughi.

Gabriella aveva raggiunto in pace la figlia Laura scomparsa a 47 anni il 22 febbraio di due anni fa, ricercatrice di “Genetica” nella Facoltà di Scienze Matematiche fisiche e naturali e poi nel Dipartimento di scienze della natura e del territorio, dove si era dedicata al tema della variabilità genetica in popolazioni umane e alla ricerca di varianti genetiche associate a malattie complesse.

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