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Jugurtha contre l’impérialisme romain à la tête de la natio des Numidae.

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Attilio Mastino – Stefania Frau

Jugurtha contre l’impérialisme romain à la tête de la natio des Numidae
Constantine (Algérie), 14 mai 2016
Colloque sur Massinissa

Centre National de Recherche Préhistorique, Anthropologique et Historique.

1. L’admiration de Salluste pour Jugurtha est bien connue. Dans le chapitre VI du Bellum Iugurthinum, juste après l’introduction contre la dégénération morale de la nobilitas romaine, aspect qui provoque en lui une profonde indignation et un dégoût total de la politique, Jugurtha est décrit comme un personnage positif. Jugurtha rappelle sous de nombreux aspects son grand-père Massinissa : dès sa première jeunesse il apparaît physiquement vigoureux, pollens viribus, beau, decora facie, mais surtout doué d’un caractère énergique, sed multo maxume ingenio validus (Iug. 6,1) ; actif et vif. Il ne se laissait corrompre ni par les plaisirs ni par l’oisiveté, non se luxu neque inertiae conrumpendum dedit ; mais suivant l’usage du peuple des Numides, il montait à cheval, lançait le javelot, luttait à la course avec ses amis ; il se consacrait à la pratique aristocratique de la chasse au lion et bien que l’emportant sur tous il était pourtant cher à tous (6, 1). Salluste énumère les qualités du prince numide et suit avec admiration et presque avec enthousiasme son éducation : après son émargination initiale à la cour, Jugurtha parvint ensuite à une position prestigieuse, qui indiquait qu’il était un chef charismatique, un protagoniste destiné à régner grâce à l’exercice de la virtus et à son application et à sa modération ; il était reconnu au centre du système politique et culturel du royaume de Numidie.

Selon Tite Live, Massinissa, élevé à Carthage mais profondément berbère, possède lui aussi ces qualités : il n’existait pas dans toute la Numidie de chevalier plus courageux; personne ne résistait mieux que lui à la fatigue et aux longues chevauchées dans le désert sans boire ni manger. Sa générosité envers les siens était sans limites, mais il n’avait aucune pitié des traîtres ; les échecs ne le décourageaient pas, il avait confiance en l’avenir et, dès que possible, il recommençait à lutter.

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Ricordando Marco Tangheroni.

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Ricordando Marco Tangheroni
Discorso pronunciato durante il XII Congresso della
Mediterranean Studies Association (Cagliari 27 maggio 2009)

Attilio Mastino

Sono felice di essere a Cagliari a questo Congresso della Mediterranean Studies Association, chiamato a presentare il volume postumo di Marco Tangheroni, Della Storia. In margine ad aforismi di Nicolás Gómez Dávila, un’opera inconsueta edita da Sugarco Edizioni di Milano, curata da Cecilia Iannella, con la presentazione di David Abulafia.

Debbo a Patrizia Paoletti, la moglie di Marco, l’onore di poter presentare un volume che mi ha emozionato davvero, ritrovando pagina per pagina il pensiero di uno studioso e di un amico scomparso, riscoprendo il filo rosso che ha legato tante opere di Marco, che pensavo espressione di una cura filologica minutissima per il dato storico, per il documento, per gli archivi e che ora rivedo incasellate all’interno di uno schema mentale, di un ragionamento, perfino di una scelta politica militante. Il silenzio di una perdita restituisce gli echi delle parole che pensavamo irrimediabilmente perdute.

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Tonino Oppes, La memoria ha il sapore di menta, Storie di Pozzomaggiore, da via Amsicora a Nova Giolka.

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Tonino Oppes, La memoria ha il sapore di menta, Storie di Pozzomaggiore, da via Amsicora a Nova Giolka, Cagliari 2008, Edizioni domus de janas

Questa nuova fatica di Tonino Oppes è un omaggio al suo dolce paese, un luogo tanto amato e presente nel ricordo e nella mente anche quando l’autore si trova a chilometri di distanza, guardandolo con rimpianto dalla città lontana: un luogo di cui Tonino porta sempre con se nel cuore le immagini, i suoni, i profumi, i sapori forti, come l’orecchio abbrustolito del maiale con le setole carbonizzate oppure la caramella dal sapore di menta avvolta in una carta trasparente e sottilissima che gustava con gioia quand’era bambino.

Sfogliando queste pagine ho pensato anch’io alla mia infanzia lontana, ai tempi in cui a Bosa all’asilo ci azzuffavamo bambini per raccogliere le caramelle che il vescovo mons. Nicolò Frazioli gettava dalla finestra più alta che si affacciava sul salone e poi di sera andavamo a comprare per una lira le liquirizie esposte nelle vetrine del negozio dei Mascagnina al Corso Vittorio Emanuele; oppure a pranzo d’estate in spiaggia quando mangiavamo i maccheroni con il sapore della sabbia.

Tempi in cui si legavano i cani con la salsiccia, direbbe mio padre, tempi che Tonino Oppes ci fa rivivere con immediatezza in un viaggio a ritroso nel tempo, sorvolando d’un colpo su oltre 50 anni, con semplicità e con una prodigiosa capacità di ricordare i nomi, le figure caratteristiche, le situazioni, attraverso le fotografie, attraverso i documenti o anche attraverso le lapidi del cimitero come in una nuova Spoon River di Edgard Lee Masters: dubito che io potrei mai riuscire a ricostruire con tanta ricchezza di dettagli e con tanti particolari l’ambiente in cui si è svolta la mia infanzia a Bosa, dubito che chiunque potrebbe riuscire a restituirci un affresco tanto delicato e positivo, ricordando il mondo brulicante di vita sulla via Amsicora, ad iniziare dai giochi, la trottola, la luna monta, le palline a garici e boccia, nel salone parrocchiale il ping pong, il calcio balilla; e poi la scuola con i tanti maestri che si sono alternati, i bidelli e gli alunni; i campeggi a Tramariglio, i momenti di gioia e di lutto che scandiscono la vita di un paese vivace e allegro. Un libro che descrive l’epopea di Pozzomaggiore, l’ha definito ieri delicatamente su L’Unione Sarda Giuseppe Marci, mentre su La Nuova Sardegna Emidio Muroni parlava di un viaggio nel passato alla ricerca di senso per la vita di tutti.

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Il lapidario di Rimini intitolato a Giancarlo Susini.

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Il lapidario di Rimini intitolato a Giancarlo Susini.

Il lapidario di Rimini è stato intitolato a Giancarlo Susini (Bologna 1927-2000): il 12 dicembre scorso Angela Donati ha svolto in quella sede una breve presentazione del nostro maestro, che vogliamo ora ricordare con le parole pubblicate sui Rendiconti dell’Accademia dei Lincei nel 2003.

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Giancarlo Susini e la Sardegna antica di Attilio Mastino

Ho avuto l’onore di ricordare Giancarlo Susini a Sassari già nel dicembre 2000, in occasione del XIV convegno internazionale de “L’Africa Romana”, dedicato al mare tra Geografia storica ed economia: ebbi allora modo di ricordare che il  23 ottobre precedente, mentre con il Rettore Alessandro Maida e con il Senato Accademico dell’Università di Sassari percorrevamo Henchir ed Douâmis, ‘la collina dei sotterranei’ ad Uchi Maius in Tunisia, apprendemmo con dolore profondo la notizia della scomparsa di questo grande maestro, che ci era caro ed al quale ci legano tanti ricordi preziosi.

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La viabilità della Sardegna romana: un nuovo praetorium a Sas Presones di Rebeccu (Bonorva).

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La viabilità della Sardegna romana:
un nuovo praetorium a  Sas Presones di Rebeccu (Bonorva)
a Nord della biforcazione della centrale sarda  per Olbia ?

1. L’edificio rurale di Sas Presones si trova alle pendici del ciglio basaltico dell’altopiano della Campeda di Bonorva (altitudine m. 490 s.l.m.), a breve distanza dal villaggio abbandonato di Rebeccu (ad Est) e dagli ipogei preistorici di S. Andrea Priu con i dipinti rupestri di epoca tardo antica, bizantina e medievale, recentemente sottoposti a restauro (ad Ovest). L’area di Rebeccu ha rappresentato certamente il cardine della viabilità romana in Sardegna ed uno dei luoghi che ancora oggi conservano prodigiosamente il paesaggio antico, al piede delle colline vulcaniche del Meilogu e lungo la piana un tempo paludosa di Santa Lucia, sulla direttrice per Olbia, una variante che si biforcava dalla strada centrale sarda Karales-Turris. L’area conserva uno straordinario interesse paesaggistico, storico e archeologico e lo stesso edificio di Sas Presones, segnalato già nell’Ottocento, è in realtà parte di una struttura termale tardo-antica arrivata fino ai nostri giorni, che ipoteticamente potrebbe essere identificata come quello che resta in piedi di un praetorium pubblico al servizio della viabilità per Olbia, dotato di un impianto termale realizzato in epoca tarda.

Numerosissimi sono i ritrovamenti di miliari stradali in quest’area, alcuni recentemente pubblicati ed esposti nel Museo comunale di Bonorva, utili per localizzare la biforcazione della a Karalibus Olbiam dalla strada centrale sarda a Karalibus Turrem, tema che ha rappresentato negli ultimi anni il vero problema storiografico sulla viabilità romana in Sardegna, a partire dal dibattito avviato negli anni ’70 da Piero Meloni, proseguito con una penetrante indagine territoriale da Emilio Belli e Virgilio Tetti. Di fatto gli studiosi si sono divisi ed hanno collocato la biforcazione in varie località del Logudoro, tutte collocate tra un punto che oggi appare troppo meridionale (Mulargia) ed un punto troppo settentrionale (Giave).

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Tonino Oppes, Il ballo con le janas, Racconti.

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Tonino Oppes, Il ballo con le janas, Racconti, Domus de janas editore, Cagliari 2015
Pozzomaggiore, 5 gennaio 2016

Per questa serata si è mobilitato il Comune di Pozzomaggiore, Isperas, gli alunni della Suola Media, l’editore Domus de janas. Grazie a Gianni Piu e a Paolo Pillonca per i loro interventi.

Tonino Oppes continua a percorrere una sua strada originale, con una prosa luminosa e una narrativa che emoziona, con questo volume dedicato alle leggende sulle janas della cultura popolare sarda, reinterpretando in copertina e nel testo il celebre quadro La danza di Liliana Cano, un’artista ribelle e non convenzionale che amiamo. Ma questa volta si fa accompagnare dalle nitide illustrazioni di Daniele Conti, che raffigurano una danza scatenata, quella di quattro bellissime fate che travolgono la vita del giovane protagonista, Antine, un ragazzo  capace di amare, di sognare e di vedere al di là del reale. Un incantamento.

Checché ne pensi l’autore, anche se l’ispirazione di queste 15 storie è davvero legata alla cultura popolare della Sardegna, alle tradizioni dei paesi e delle campagne sarde, in particolare a Pozzomaggiore, c’è una dimensione personale che prevale, una visione del mondo positiva e poetica, il mito della bellezza, dell’amore, del ballo, della musica, della festa, che sembrano aspetti periferici e dimenticati della cultura sarda tradizionale, rappresentata purtroppo sempre come animata da una barbarica ribellione a un ordine sociale ingiusto e inaccettabile. La poesia di Sebastiano Satta metteva in luce tutta la tragedia della Sardegna, immortalata come “madre in bende nere che sta grande e fiera in un pensier di morte”.

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La Tavola di Esterzili

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La Tavola di Esterzili

Il documento epigrafico più importante rinvenuto in Sardegna è la Tavola di Esterzili, con la trascrizione di una sentenza con la quale il proconsole Lucio Elvio Agrippa condannava durante l’età di Otone i pastori sardi della tribù dei Galillenses: si tratta di un esempio significativo di una politica tendente a privilegiare l’economia agricola dei contadini immigrati dalla penisola italiana in Sardegna. Inciso sicuramente a Carales il 18 marzo 69, esposto al pubblico per iniziativa dei Patulcenses originari della Campania all’interno di un villaggio agricolo, il documento (scoperto nel 1866, studiato da Giovanni Spano e Theodor Mommsen e conservato al Museo Nazionale di Sassari) ci informa su una lunga controversia, conclusasi con una sentenza con la quale il governatore provinciale ripristinava la linea di confine fissata 170 anni prima dal proconsole Marco Cecilio Metello, dopo una lunga campagna militare durata per almeno cinque anni e conclusa con la sconfitta della popolazione locale e con il trionfo del generale vittorioso celebrato a Roma fino al tempio di Giove Capitolino.

Il documento (una lastra di bronzo larga 61 cm, alta 45 cm e pesante circa 20 kg) fornisce informazioni preziose sul governo provinciale, passato nell’età di Nerone dall’imperatore al Senato, sul funzionamento degli archivi in provincia e nella capitale e sul conflitto tra pastori indigeni dediti all’allevamento transumante e contadini immigrati dalla Campania, sostenuti dall’autorità romana, interessata a contenere il nomadismo sul quale si alimentava il brigantaggio; ma anche decisa a valorizzare le attività agricole ed a favorire un’occupazione stabile delle fertili terre nelle pianure della Trexenta e della Marmilla, soprattutto a promuovere l’urbanizzazione delle zone interne della Barbaria sarda, dove si era andata sviluppando una lunga resistenza alla romanizzazione.

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Enzo Espa

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Enzo Espa

Nel ricordare Enzo Espa a un anno dalla scomparsa mi risuona stranamente nelle orecchie l’allegra canzoncina di Bert nel film su Mary Poppins: <<Vento dall’Est, la nebbia è là… Qualcosa di strano fra poco accadrà… Troppo difficile capire cos’è… Ma penso che un ospite arrivi per me…>>.

Il vento misterioso che Enzo Espa citava in continuazione con me era quello dell’ovest, il libeccio, proveniente dalla direzione di Bosa, perché bosanu si ortat a parte ‘e sero, “il vento bosano si leva verso sera”, portando ricordi, memorie, momenti vissuti insieme, che sono stati felici davvero.  E l’ospite un poco bizzarro che arrivava inatteso era poi proprio Enzo, che stranamente associavo alla figura amata del mio maestro elementare, con il suo inguaribile accento nuorese, ruvido nella sua implacabile durezza, ma al quale mi legava anche un’amicizia che non ha avuto ombre, anche se avvertivo una distanza davvero grande tra noi.

Frugando tra le mie carte ho ritrovato le due novelle nuoresi lette  a Bosa da Enzo Espa il 31 maggio 1975, ahimè ormai 40 anni fa, recitate con quella sua voce che costruiva paradossi, che modulava toni tra loro distanti, che faceva immaginare misteri lontani, con una profondità che lasciava incantati gli ascoltatori. Le due novelle  furono poi pubblicate due anni dopo da Guido Fossataro a Cagliari nella bella raccolta di Racconti Nuoresi illustrati da Liliana Cano, con una prefazione di Marco Aimo.

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La scomparsa di Marcella Bonello (27 dicembre 2015)

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La scomparsa di Marcella Bonello (27 dicembre 2015)

Per raccontare con rimpianto la nostra Marcella Bonello (Pisano 1943 – Cagliari 2015) voglio scegliere una prospettiva inconsueta: quella fatta di competizione e di complicità tra due amici veri, che si stimavano e lavoravano insieme giorno per giorno.  Specialista di storia militare romana (la tesi era stata dedicata all’esercito imperiale), quindici anni fa era diventata professoressa associata di Antichità ed epigrafia della Sardegna romana nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari. Fino a quel momento, ci eravamo sempre inseguiti, dal 1972, quando era diventata borsista, poi contrattista, infine ricercatrice, allieva di Piero Meloni e Giovanna Sotgiu, collega di Franco Porrà e Ignazio Didu.

Occupava con me la Biblioteca dell’Istituto di Storia Antica, traduceva il tedesco, raccoglieva senza interruzione schede e materiali a futura memoria. Io avevo iniziato le mie ricerche studiando Caracalla (partendo dal tempio del Sardus Pater) e lei aveva affrontato di petto Giulia Domna, la sposa di Settimio Severo, la grande imperatrice di origine siriana, in particolare i suoi viaggi per tutto l’impero assieme al figlio Caracalla. Poi la Scuola di specializzazione di Studi Sardi e la presentazione di tante epigrafi inedite, spesso correggendoci a vicenda, sempre con affetto, fino a scrivere a quattro mani le quasi cento pagine del volume sulla storia di Siniscola curato da Enzo Espa. A Sassari dal 1991 aveva avuto la sua prima supplenza di Storia Romana nei corsi di laurea di Pedagogia e di Materie Letterarie; da allora aveva avuto le porte spalancate anche a Cagliari, insegnando Storia romana, Storia greca e romana e Storia antica presso la Facoltà di Magistero e presso la Facoltà di Lettere.

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Vindice Lecis, La Cohors II Sardorum ai confini dell’impero, romanzo storico, Condaghes 2015.

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Vindice Lecis,
La Cohors
II Sardorum ai confini dell’impero, romanzo storico, Condaghes 2015
Presentazione di Attilio Mastino
Alghero, 4 dicembre 2015

Vindice Lecis negli ultimi ci ha abituato ad un nuovo genere di romanzo storico, dedicato alla Sardegna: Le pietre di Nur nel 2011; Buiakesos, le guardie del Giudice nel 2012; il Condaghe segreto nel 2013; Judikes nel 2014.

E’ evidente il fascino che esercita su di lui la Sardegna nuragica, sia pure nella sua fase finale, quella della crisi e della dissoluzione sintetizzata dai Giganti di Mont’e Prama; così come l’età giudicale: il mito di un’isola che vedeva riconosciuta una sua sovranità, forse anche una dimensione nazionale autonoma.

Eppure, questo volume dedicato ai primi cinque anni del regno dell’imperatore Adriano, testimonia la ricchezza della fase romana della storia della Sardegna, ma va oltre, si spinge verso le sterminate terre africane della Numidia e della Mauretania tra Tunisia, Algeria e Marocco. Il periodo trattato, la piena età imperiale, il secolo degli Antonini,  è proprio quello in cui si afferma l’espressione natione sardus riferita a decine e decine di marinai della flotta da guerra  che percorrevano il Mediterraneo tra la Sardegna e il Nord Africa, in un Mediterraneo non ancora diviso dalla cortina di ferro tra cristiani e musulmani.

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