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La Tavola di Esterzili

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La Tavola di Esterzili

Il documento epigrafico più importante rinvenuto in Sardegna è la Tavola di Esterzili, con la trascrizione di una sentenza con la quale il proconsole Lucio Elvio Agrippa condannava durante l’età di Otone i pastori sardi della tribù dei Galillenses: si tratta di un esempio significativo di una politica tendente a privilegiare l’economia agricola dei contadini immigrati dalla penisola italiana in Sardegna. Inciso sicuramente a Carales il 18 marzo 69, esposto al pubblico per iniziativa dei Patulcenses originari della Campania all’interno di un villaggio agricolo, il documento (scoperto nel 1866, studiato da Giovanni Spano e Theodor Mommsen e conservato al Museo Nazionale di Sassari) ci informa su una lunga controversia, conclusasi con una sentenza con la quale il governatore provinciale ripristinava la linea di confine fissata 170 anni prima dal proconsole Marco Cecilio Metello, dopo una lunga campagna militare durata per almeno cinque anni e conclusa con la sconfitta della popolazione locale e con il trionfo del generale vittorioso celebrato a Roma fino al tempio di Giove Capitolino.

Il documento (una lastra di bronzo larga 61 cm, alta 45 cm e pesante circa 20 kg) fornisce informazioni preziose sul governo provinciale, passato nell’età di Nerone dall’imperatore al Senato, sul funzionamento degli archivi in provincia e nella capitale e sul conflitto tra pastori indigeni dediti all’allevamento transumante e contadini immigrati dalla Campania, sostenuti dall’autorità romana, interessata a contenere il nomadismo sul quale si alimentava il brigantaggio; ma anche decisa a valorizzare le attività agricole ed a favorire un’occupazione stabile delle fertili terre nelle pianure della Trexenta e della Marmilla, soprattutto a promuovere l’urbanizzazione delle zone interne della Barbaria sarda, dove si era andata sviluppando una lunga resistenza alla romanizzazione.

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Enzo Espa

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Enzo Espa

Nel ricordare Enzo Espa a un anno dalla scomparsa mi risuona stranamente nelle orecchie l’allegra canzoncina di Bert nel film su Mary Poppins: <<Vento dall’Est, la nebbia è là… Qualcosa di strano fra poco accadrà… Troppo difficile capire cos’è… Ma penso che un ospite arrivi per me…>>.

Il vento misterioso che Enzo Espa citava in continuazione con me era quello dell’ovest, il libeccio, proveniente dalla direzione di Bosa, perché bosanu si ortat a parte ‘e sero, “il vento bosano si leva verso sera”, portando ricordi, memorie, momenti vissuti insieme, che sono stati felici davvero.  E l’ospite un poco bizzarro che arrivava inatteso era poi proprio Enzo, che stranamente associavo alla figura amata del mio maestro elementare, con il suo inguaribile accento nuorese, ruvido nella sua implacabile durezza, ma al quale mi legava anche un’amicizia che non ha avuto ombre, anche se avvertivo una distanza davvero grande tra noi.

Frugando tra le mie carte ho ritrovato le due novelle nuoresi lette  a Bosa da Enzo Espa il 31 maggio 1975, ahimè ormai 40 anni fa, recitate con quella sua voce che costruiva paradossi, che modulava toni tra loro distanti, che faceva immaginare misteri lontani, con una profondità che lasciava incantati gli ascoltatori. Le due novelle  furono poi pubblicate due anni dopo da Guido Fossataro a Cagliari nella bella raccolta di Racconti Nuoresi illustrati da Liliana Cano, con una prefazione di Marco Aimo.

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La scomparsa di Marcella Bonello (27 dicembre 2015)

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La scomparsa di Marcella Bonello (27 dicembre 2015)

Per raccontare con rimpianto la nostra Marcella Bonello (Pisano 1943 – Cagliari 2015) voglio scegliere una prospettiva inconsueta: quella fatta di competizione e di complicità tra due amici veri, che si stimavano e lavoravano insieme giorno per giorno.  Specialista di storia militare romana (la tesi era stata dedicata all’esercito imperiale), quindici anni fa era diventata professoressa associata di Antichità ed epigrafia della Sardegna romana nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari. Fino a quel momento, ci eravamo sempre inseguiti, dal 1972, quando era diventata borsista, poi contrattista, infine ricercatrice, allieva di Piero Meloni e Giovanna Sotgiu, collega di Franco Porrà e Ignazio Didu.

Occupava con me la Biblioteca dell’Istituto di Storia Antica, traduceva il tedesco, raccoglieva senza interruzione schede e materiali a futura memoria. Io avevo iniziato le mie ricerche studiando Caracalla (partendo dal tempio del Sardus Pater) e lei aveva affrontato di petto Giulia Domna, la sposa di Settimio Severo, la grande imperatrice di origine siriana, in particolare i suoi viaggi per tutto l’impero assieme al figlio Caracalla. Poi la Scuola di specializzazione di Studi Sardi e la presentazione di tante epigrafi inedite, spesso correggendoci a vicenda, sempre con affetto, fino a scrivere a quattro mani le quasi cento pagine del volume sulla storia di Siniscola curato da Enzo Espa. A Sassari dal 1991 aveva avuto la sua prima supplenza di Storia Romana nei corsi di laurea di Pedagogia e di Materie Letterarie; da allora aveva avuto le porte spalancate anche a Cagliari, insegnando Storia romana, Storia greca e romana e Storia antica presso la Facoltà di Magistero e presso la Facoltà di Lettere.

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Vindice Lecis, La Cohors II Sardorum ai confini dell’impero, romanzo storico, Condaghes 2015.

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Vindice Lecis,
La Cohors
II Sardorum ai confini dell’impero, romanzo storico, Condaghes 2015
Presentazione di Attilio Mastino
Alghero, 4 dicembre 2015

Vindice Lecis negli ultimi ci ha abituato ad un nuovo genere di romanzo storico, dedicato alla Sardegna: Le pietre di Nur nel 2011; Buiakesos, le guardie del Giudice nel 2012; il Condaghe segreto nel 2013; Judikes nel 2014.

E’ evidente il fascino che esercita su di lui la Sardegna nuragica, sia pure nella sua fase finale, quella della crisi e della dissoluzione sintetizzata dai Giganti di Mont’e Prama; così come l’età giudicale: il mito di un’isola che vedeva riconosciuta una sua sovranità, forse anche una dimensione nazionale autonoma.

Eppure, questo volume dedicato ai primi cinque anni del regno dell’imperatore Adriano, testimonia la ricchezza della fase romana della storia della Sardegna, ma va oltre, si spinge verso le sterminate terre africane della Numidia e della Mauretania tra Tunisia, Algeria e Marocco. Il periodo trattato, la piena età imperiale, il secolo degli Antonini,  è proprio quello in cui si afferma l’espressione natione sardus riferita a decine e decine di marinai della flotta da guerra  che percorrevano il Mediterraneo tra la Sardegna e il Nord Africa, in un Mediterraneo non ancora diviso dalla cortina di ferro tra cristiani e musulmani.

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Fiorenzo Serra e la Sardegna degli anni 50.

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Fiorenzo Serra e la Sardegna degli anni 50
Sassari, Aula Umanistica, 27 novembre 2015


Cari amici,

Grazie a Maria Margherita Satta per l’invito ad intervenire a questo seminario di studi sul tema “Antropologia Visuale e ricerca sul Campo” promosso dal Laboratorio di Antropologia Visuale del Dipartimento di storia scienze dell’uomo e della formazione del nostro Ateneo che nel nome ricorda la figura di Fiorenzo Serra. Grazie agli amici della Società Umamitaria-Cineteca Sarda e a tutti gli intervenuti, che hanno testimoniato l’utilizzo di nuove categorie per descrivere e comprendere alcuni momenti fortemente identitari del patrimonio etnografico della Sardegna. Grazie a tutti i presenti.

Mi è stato chiesto di ripercorrere brevemente l’esperienza di Fiorenzo Serra, regista, preside, amico, che ho conosciuto con qualche preoccupazione ad Isili nel 1982, quando ho presieduto per la prima volta gli esami di maturità al Liceo Scientifico. Avevo solo trent’anni ed ero ancora un ragazzo timido e insicuro; mi spaventò l’arrivo del burbero ispettore scolastico Fiorenzo Serra che percorreva in lungo e in largo tutta la Sardegna per verificare la regolarità degli esami: l’armonia in commissione, le modalità delle prove, la qualità dei docenti, l’impegno nella compilazione dei registri. Furono momenti frenetici: quando terminate le formalità di rito finalmente risalì sulla sua auto e se ne partì, rivolgendomi un sorriso affettuoso, trassi un respiro di sollievo.

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Presentazione del volume di Ottavio Olita, Anime rubate.

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Presentazione del volume di Ottavio Olita, Anime rubate, Città del sole
Sassari, Biblioteca Comunale, martedì 24 novembre ore 17,30

La cronaca di questi ultimi mesi rinnova una ferita, quella del più noto esponente della criminalità e del banditismo sardo compatito o addirittura esibito come campione della “sardità”, “balente”, testimonial in concorsi letterari come in Costa Smeralda o anche oggetto di curiosità morbosa da parte di turisti, villeggianti, autorità di passaggio.

Il libro di Ottavio Olita, Anime rubate, rimette le cose a posto, racconta il banditismo e i sequestri di persona nei tragici anni 70 e 80 dalla parte delle vittime e non dei carnefici, accompagna l’educazione di un ragazzo difficile, Giorgio, nipote di uno dei protagonisti di tanti romanzi di Olita, il capitano dei carabinieri Gino Murgia: il ragazzotto saccente che giustifica tutto, immagina il bandito come un Robin Hood che toglie ai ricchi per dare ai poveri, ama i paradossi più superficiali, inizia a capire ed a crescere a contatto con il dolore, la rabbia, lo strazio di chi ha subìto un sequestro di persona. Il suo percorso di maturazione passa attraverso una comunità di recupero animata da un sacerdote che è facile identificare tra gli amici di Ottavio e attraverso i discorsi con due ex sequestrati.

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L’Epigrafia latina nelle province danubiane negli ultimi 15 anni 2000-2015.

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L’Epigrafia latina nelle province danubiane negli ultimi 15 anni (2000-2015)
Vienna, 10 novembre 2015, Istituto Italiano di cultura
3rd International Conference on Roman Danubian Provinces
di Attilio Mastino (Testo letto da Angela Donati.)

1.L’epigrafia provinciale. 2. Lo specifico epigrafico. 3. La lunga conquista. 4. Questa rassegna. 5. Storia degli studi. 6. Nuove acquisizioni sui governi provinciali. 7. La storia: novità sui viaggi imperiali. 8. Recenti acquisizioni sui fasti provinciali. 9. La municipalizzazione. 10. Alcuni populi e nationes. 11. Gli immigrati. 12. Opere pubbliche. 13. L’esercito: legioni, coorti, alae, flotta. 14. Miniere e dogane. 15. La vita religiosa. 16. Le articolazioni e le festività del culto imperiale. 17. Conclusioni

 

1.L’epigrafia provinciale.

Dopo Ferrara e Cento, Livio Zerbini mi ha nuovamente coinvolto chiedendomi di intervenire a questa 3rd International Conference on the Roman Danubian Provinces (Society and Economy), prevalentemente dedicata all’epigrafia, promossa dal Laboratorio della sua Università d’intesa con l’Institut für Alte Geschichte und Altertumskunde, Papyrologie und Epigraphik Wien (Fritz Mitthof e Theresia Pantzer). Allora lasciatemi dire la gratitudine per l’onore che mi viene fatto e l’ammirazione per il lavoro portato avanti in questi anni dal “Laboratorio sulle province danubiane di Ferrara”, che in qualche modo collabora in parallelo con il nostro “Centro di studi interdisciplinari sulle province romane” dell’Università di Sassari fondato 25 anni fa, con attenzione al tema delle specificità regionali e locali nel quadro del generale fenomeno della romanizzazione, coordinando gruppi di studiosi e proponendo una cooperazione interdisciplinare e internazionale sulla cultura, l’urbanizzazione, l’economia, la vita religiosa di un impero mediterraneo divenuto spazio di contatto, di cooperazione, di integrazione fra popoli differenti. Negli ultimi anni il Laboratorio di Ferrara, in una linea di continuità con antichi indirizzi di studi dell’Università di Bologna, è riuscito sempre più a porsi progressivamente come punto di riferimento per la cooperazione scientifica internazionale, tra archeologia, epigrafia, numismatica, storia delle religioni; è diventato un prezioso strumento per allargare l’indagine in ambito continentale e per costruire nuove reti di ricercatori[1].

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Attilio MASTINO – Raimondo ZUCCA. Insular identity.

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Attilio MASTINO Raimondo ZUCCA
Insular identity
Barcellona, 5 novembre 2015

(testo letto da Raimondo Zucca)

0. Identità insulare nell’antichità

Il tema identitario costituisce uno dei filoni più fecondi della storiografia moderna ed in quanto tale rappresenta uno degli approcci contemporanei ad un ambito, nel nostro caso antichistico, della ricerca. I nostri strumenti, tuttavia, sono le fonti, tutti i tipi di fonti antiche (letterarie, epigrafiche, giuridiche, numismatiche, toponomastiche,  storico-artistiche, archeologiche, antropologiche etc.) attraverso l’interpretazione delle stesse che ci guidano alla individuazione sia delle manifestazioni identitarie autoctone (culturali, linguistiche etc.), sia dei modi di vedere autoctoni gli “altri”, sia, infine,  delle classificazioni identitarie che le altre culture, entrate in rapporto con gli autoctoni, diedero dei sistemi antropogeografici presi in esame.

Per l’antichistica  ci piace ricordare  il volume miscellaneo Cultural Identity in the Ancient Mediterranean curato da Erich S. Gruen (2011), il lavoro  coordinato da Antonio Caballos Rufino e Sabine Lefebvre, Roma generadora de identidades: la experiencia hispana. Collection de la Casa de Velázquez, (2011), e per il tema insulare gli Atti del VI Congresso di Erice, curati da Carmine Ampolo, Immagine e immagini della Sicilia e di altre isole del Mediterraneo antico (2009).

Il nostro lavoro si sofferma su alcuni aspetti delle identità insulari del Mediterraneo romano, rinunciando senz’altro ad individuare delle costanti, poiché la chiave di lettura del mondo insulare deve essere individuata nella dinamica storica dei paesaggi antropogeografici di ogni isola.

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Mosaïques du fundus Bassianus (Volume pour le Musée du Bardo, 18 mars 2016)

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Mosaïques du fundus Bassianus
(Volume pour le Musée du Bardo, 18 mars 2016)


1. Découverte en 1902 à l’occasion de la réalisation de l’Arsenal sur la rive sud-est du lac de Bizerte (fouilles de la Direction des Antiquité dirigées par M. Pradère), la mosaïque provient de la salle froide (frigidarium) des thermes constuits, probablement, à l’époque vandale (Ve siècle), dans le Fundus (domaine agricole) Bassianus, près d’Hippo Diarrhytus.  Elle est inventoriée dans le Cat. Mus. Alaoui, suppl. p. 15 nr. 231 (m. 4,35 x 2,50).

En opus tessellatum, la mosaïque figure de manière naturelle et un peu naïve, mais fidèlement un paysage marin et idéalisé, certainement en rapport avec le lac d’Hippo Diarrhytus sur la bordure sud duquel apparaît, sur une colline, l’ensemble des édifices du Fundus Bassianus: une villa avec la demeure du propriétaire (à droite) et ses annexes: thermes, ferme, étables, écuries. Le mosaïste n’était pas un grand artiste, mais a réussi à reproduire le site avec fidélité et un peu de fantaisie, avec quelques aspects de réalisme et d’impressionisme qui envoient à une realité paradisiaque. Dans le lac entre les vagues nagent des baigneurs, un garçon plonge des rochers, des pêcheurs à la ligne sont à l’oeuvre, dont l’un soulève un poulpe qui agite ses tentacules avant d’être mis dans un panier. Dans le golfe, quatre pêcheurs nus, debout sur une petite barque à rames, tirent avec des cordes liées aux deux extrémités, un filet chargé de poissons et en particulier de rougets et de sparidés. Sur la plage, entouré de poissons divers (rougets, races, mullets ou loups de mer) et de mollusques (poulpes, seiches, bivalves, un gastéropode), un autre personnage nu offre un plateau avec un poisson (encore un rouget ?), tandis qu’un monstre marin (plus pécisement un mérou de grandes dimensions), est en train d’avaler un nageur imprudent. La bordure est finement décorée sur trois côtés de tridents, dauphins, coquilles et spirales à pointe. Sur le côté droit sont représentés de manière stylisée les vagues du lac.

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La nascita dell’archeologia in Sardegna: il contributo di Giovanni Spano tra ricerca scientifica e falsificazione romantica.

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Attilio Mastino
La nascita dell’archeologia in Sardegna: il contributo di Giovanni Spano tra ricerca scientifica e falsificazione romantica
[1]*

 

1. Gli studi fino alla laurea. 2. Le scoperte nella colonia romana di Turris Libisonis. 3. La formazione: il viaggio a Roma Roma. 5. Baille e La Marmora. 5. I viaggi in Italia. 6. Le ricerche giovanili. 7. I primi scavi: Tharros. 8. Il “Bullettino Archeologico Sardo” e le “Scoperte Archeologiche”.  9. La rete dei collaboratori.  10. La nascita dell’archeologia in Sardegna. 11. I corrispondenti italiani. 12. I corrispondenti stranieri. 13. I rapporti con Theodor Mommsen e la polemica sulle Carte d’Arborea. 14. Lo scontro con Gaetano Cara ed il tramondo dello Spano. 15. Il mito della patria lontana: la leggendaria Ploaghe-Plubium.

1. La recente ristampa del “Bullettino Archeologico Sardo” e delle “Scoperte Archeologiche” curata dalle Edizioni dell’Archivio Fotografico Sardo di Sassari[2] e la Giornata di studio su Giovanni Spano promossa dal Comune di Ploaghe il 15 dicembre 2001 per le celebrazioni bicentenarie dalla nascita, sono  l’occasione per una riflessione complessiva sull’attività di Giovanni Spano tra il 1855 ed il 1878: un periodo di oltre vent’anni, che è fondamentale per la conoscenza della storia delle origini dell’archeologia in Sardegna, nel difficile momento successivo alla “fusione perfetta” con gli Stati della Terraferma, fino alla proclamazione dell’Unità d’Italia e di Roma capitale; in un momento critico e di passaggio tra 1a «Sardegna stamentaria» e lo «Stato italiano risorgimentale», quando secondo Giovanni Lilliu «si incontrarono e subito si scontrarono la “nazione” sarda e la “nazione” italiana al suo inizio»[3].

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