In difesa dell’umano, problemi e prospettive, 12 febbraio 2025

Cagliari, Manifattura Tabacchi

La presentazione del volume In difesa dell’umano, problemi e prospettive

—–

Mi accingo con qualche timore a presentare questo volume In difesa dell’umano, problemi e prospettive edito da Vivarium Novum a cura di Luciano Boi, Umberto Curi, Lamberto Maffei e Luigi Miraglia: l’opera è stata pensata nel pieno della pandemia del Covid 19. Quattro anni fa siamo stati investiti da una crisi che forse testimonia come la Natura ormai finisce per ribellarsi all’uomo. A distanza di qualche anno – e naufragio emergentes scrive Luigi Miraglia – pensavamo di aver ritrovato la normalità che avevamo conosciuto in passato e che in realtà oggi sappiamo costituiva il vero problema di fondo.

Osserviamo come lo scenario si aggravi, con la deriva dell’era digitale (come si esprime Marcello Foa): assistiamo ad un passaggio significativo e ancor più drastico, forse traumatico, verso le tecnologie digitali, come con sviluppo dell’Intelligenza artificiale fondata su tante promesse fallaci. Soprattutto osserviamo con preoccupazione il successo di una politica che lentamente tenta di negare la verità e di affermare una realtà virtuale che si dà per acquisita e nella quale non sempre ci ritroviamo. Penso all’emigrazione dei Palestinesi proposta e ormai affermata (come possibile e prossima) dal Presidente Trump, in una terra nella quale si sono allevati colpevolmente i possibili terroristi del futuro. Mattarella nei giorni scorsi a Marsiglia ci ha ricordato gli aspetti più rischiosi dei cambiamenti in corso in un mondo opaco quasi distopico in cui riemergono «sfiducia nella democrazia, unilateralismo e nazionalismi», un mondo in cui «si riaffaccia, con forza […] il concetto di “sfere di influenza”, all’origine dei mali del XX secolo». E ha aggiunto ricordando il pericolo causato da figure di neo-feudatari del Terzo millennio – novelli corsari a cui attribuire patenti – che aspirano a vedersi affidare signorie nella dimensione pubblica, per gestire parti dei beni comuni rappresentati dal cyberspazio nonché dallo spazio extra-atmosferico, quasi usurpatori delle sovranità democratiche. Forse una nuova catastrofe antropologica, con la nascita di contropoteri incontrollabili.

Questo però è un libro a più voci, con tanti registri differenti e indirizzato positivamente verso il futuro, per Mauro Ceruti verso un nuovo umanesimo planetario capace di cogliere la complessità per partire di nuovo. Queste pagine mi hanno fatto ricordare il passo delle Questioni naturali di Seneca che ho voluto collocare nell’atrio dell’Università di Sassari per i suoi 450 anni di vita: nell’età di Nerone e di San Paolo – come ricorda Giancarlo Rinaldi – Seneca affermava:

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet;

multa saeculis tunc futuris,

cum memoria nostra exoleverit, reservantur:

pusilla res mundus est,

nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;

molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,

quando di noi anche il ricordo sarà svanito:

il mondo sarebbe una ben piccola cosa

se l’umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

Per un popolo nuovo, il ruolo della conoscenza, della cultura, della scuola saranno essenziali. Desideriamo uno sguardo positivo verso un futuro nel quale ci sia più rispetto per gli altri uomini, contro le schiavitù e il pericolo della fine della storia. Come scrive Ignacio Armella Chavez, dobbiamo muoverci in un gioco di specchi, tra l’accaduto e l’avvenire.

Terenzio nella commedia Heautontimorumenos ricordava che il saggio è un essere umano e niente di ciò che è umano è estraneo a lui, homo sum, humani nihil a me alienum puto, un’espressione forse abusata ma nella quale ci riconosciamo pienamente, che attraverso il tempo arriva fino all’Italo Calvino di Marcovaldo, e che condensa anche il tema del desiderio di bellezza e di giustizia.

Merito dei curatori di questo libro è quello di aver affermato la necessità di una visione trasversale, che è il denominatore comune di tante riflessioni raccolte da mezzo centinaio di studiosi delle più diverse provenienze, italiani e stranieri, umanisti, scienziati, matematici, interessati a fissare paletti visibili, riconosciuti, positivi, fondati su un’etica che – come si esprime Cesare Polizzi – riconosce come necessario un destino di simbiosi.

Chi mi conosce sa che sono convinto del valore della tradizione e penso che gli studi classici possono rappresentare un punto di riferimento oltre che per i paesi europei paradossalmente anche per il Maghreb e per altre aree del mondo, a iniziare dall’America latina, con lo scopo – scrive Nuccio Ordine – di darci strumenti per combattere la mercantilizzazione dell’educazione, della scuola, dell’università.

Voglio ricordare le parole di Gaio, fatte proprie da Giustiniano nel Digesto: Nel dispormi a interpretare le antiche leggi, ho ritenuto necessario che il diritto del popolo romano sia da riprendere dalle origini di Roma, non perché io voglia scrivere commenti prolissi, ma perché noto che in tutte le cose è completo ciò che risulti formato in tutte le sue parti; e certamente di ciascuna cosa è l’origine la parte più importante, id perfectum esse quod ex omnibus suis partibus constaret et certe cuiusque rei potissima pars principium est. Occorre richiamare fortissimamente i giovani di tutti i Paesi europei a non trascurare il proprio principium, un principium che non è nazionale ma che immerge in particolare il nostro paese in una prospettiva universale e globale, che tiene conto degli intrecci della storia e che ci orienta verso un’apertura sempre più ampia e solidale. Se abbiamo un futuro – e noi vogliamo avere un futuro– il futuro sta proprio nel far intendere ai giovani il loro rapporto con il passato e quindi saper leggere il loro presente in relazione al passato e il passato in relazione al presente, ricorrendo all’intertestualità e riscoprendo il continuum della nuova Europa con il mondo antico.

Dunque, cultura classica come libertà, diritto, giustizia, solidarietà, fides, ragione, poesia, arte, patrimonio degli uomini, faticoso a raggiungersi, se volete, ktema eis aei, secondo il monito di Tucidide, non oggetto di antiquariato e di nostalgica erudizione. Ma insieme questo volume nella sua parte quinta afferma l’esigenza che scienze della natura e studi umanistici costituiscano una sola cultura, perché scrive il nostro amico Giorgio Parisi a cosa esattamente serve la scienza ? Occorre allora riscoprire la complessità e le possibilità dell’umano oltre il modello della macchina. Del resto già Karl Popper nel 1956 scriveva che <<la mia disciplina non esiste, perché le discipline non esistono in generale. Non ci sono discipline, né rami del sapere; o piuttosto, di indagine. Ci sono solo problemi e l’esigenza di risolverli>>.

Nell’età della globalizzazione, dove troppo spesso emerge il demone dell’homo oeconomicus, del mercato, della tecnologia digitale, degli algoritmi, delle armi, la lezione antica e moderna della cultura classica ci insegna a riconoscerci nei valori fondati sull’humanitas, superando quelle che Lamberto Maffei chiama le patologie della modernità, attraverso un impegno concreto per la giustizia, la cura, il rispetto, il sogno.

Penso che sia necessaria la volontà di “lavorare insieme”, respingendo categoricamente la prospettiva falsamente progressista del rapporto tra culture egemoni e culture subalterne, la voglia di immaginare per la riva sud del Mediterraneo ma per noi stessi un futuro desiderabile anche senza prevederlo e, per usare un’espressione felice di Bibo Cecchini e di Ivan Blečić, di programmare una fase nuova di un mondo futuro animato da città che vorremmo antifragili, partendo dalla profondità della storia e dalla complessità delle culture diverse. Le Corbusier nel 1965 sosteneva: <<Essere moderni non è una moda, è uno stato: Bisogna capire la storia: e chi capisce la storia sa trovare la continuità tra ciò che era, che è e che sarà>>. Credo che una lezione di questo tipo nel mondo sanguinoso e violento che stiamo vivendo sia davvero preziosa, soprattutto se metteremo da parte soporattutto quell’idea di “mare nostrum” che Franco Cassano ne Il pensiero meridiano considera <<odiosa per il suo senso proprietario>>: essa <<oggi può essere pronunziata solo se si accetta uno slittamento del suo significato. Il soggetto proprietario di quell’aggettivo non è, non deve essere, un popolo imperiale che si espande risucchiando l’altro al suo interno, ma il “noi” mediterraneo. Quell’espressione non sarà ingannevole solo se sarà detta con convinzione e contemporaneamente in più lingue>>.

Attilio Mastino