Intervento del Rettore dell’Università di Sassari
Sassari, aula magna dell’Università, 9 maggio 2014
Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale e delle stragi di tale matrice.
Cari amici,
voglio dire innanzi tutto l’impressione profonda che mi ha lasciato nel cuore questo nuovo bellissimo volume di Gerardo Severino pubblicato da Carlo Delfino e pieno di documenti inediti, fotografie, immagini, dedicato ai finanzieri sardi Salvatore Cabitta e Martino Cossu vittime del terrorismo altoatesino e medaglie d’oro alla memoria: l’impressione immediata, chiusa l’ultima pagina, è quella di un senso di amarezza per i tanti errori compiuti dal nostro Paese, per l’incapacità di una certa classe politica debolissima e tormentata dai sensi di colpa, per le coperture internazionali di fronte al terrorismo e alla violenza, per le incomprensioni nei rapporti tra popolazioni diverse, per il rifiuto di una trattativa e di un dialogo, per l’assenza di iniziative di pace, per le negligenze, le omissioni, le incapacità, l’impotenza di fronte ad un destino che sembra quasi ineluttabile, per le impunità degli assassini, per l’assenza oggi di una memoria vera, di una riconoscenza collettiva, di un legame che solo a partire da queste pagine è possibile ricostruire, scoprendo la faccia nascosta della luna, attribuendo un valore a quelle che sono le fondamenta etiche – scrive il Generale Umberto Di Nuzzo – di un impegno militare e civile di chi ha semplicemente compiuto il proprio dovere.
Il destino dei finanzieri, dei soldati, degli alpini, dei carabinieri, delle Guardie di Pubblica Sicurezza, impegnati negli anni 50 e 60 in Alto Adige sembra quello – evangelico – di agnelli inviati tra i lupi: è l’espressione utilizzata quattrocento anni fa dal Generale della Compagnia di Gesù Claudio Acquaviva fondatore dell’Università di Sassari, che aveva imparato da Cristo attraverso il Vangelo di Matteo che bisogna essere “prudenti come serpenti e semplici come le colombe”. Ma Gesù aveva anche detto: “Vi mando come agnelli tra lupi”. E agnelli tra lupi furono i missionari gesuiti inviati da Acquaviva quattro secoli fa in Paraguay così come i padri gesuiti spediti sempre da lui in Sardegna per fondare il nostro Ateneo, 50 anni dopo la nascita del collegio gesuitico costituito in un ambiente quasi barbaro come doveva essere la Sassari spagnola.
Spero mi scuserete per questa divagazione un poco stravagante, ma spesso la storia si ripete e il mio amico Capitano Gerardo Severino, direttore del Museo Storico della Guardia di Finanza, con pazienza straordinaria si dedica ormai a ricostruire una storia, anche recente, a darci il senso di un impegno, che non fu solo di pochi protagonisti arrivati a versare il loro sangue, ma fu davvero un sacrificio, uno sforzo collettivo fatto di guardie notturne, di sentinelle sotto la neve, di fermezza di fronte al pericolo, di senso del dovere da parte di uomini di cui non sempre riconosciamo il valore. E’ questa l’Italia migliore, l’Italia che amiamo e che può essere di esempio per costruire un futuro di pace, che certo oggi è più prossimo, con l’Unione Europea e con il superamento dei muri e delle frontiere tra stati, con il crollo dei nazionalismi e dei populismi, in una prospettiva di grandi intese tra popoli che sono possibili solo grazie a dei punti fermi fissati nel corso dei decenni cruciali della guerra fredda. Sono appena rientrato da Herat in Afganistan e anche lì ho visto l’impegno dei nostri militari della Brigata Sassari e ho ammirato il coraggio, il senso del dovere, la disciplina miliare alla quale siamo poco abituati. Premesse indispensabili per un futuro di pace.
Anche ai nostri giorni ci sono dei caduti: ma il senso di questo libro è che la memoria non si perda col trascorrere del tempo, soprattutto che si ritrovino sempre le ragioni nascoste di una civiltà fondata sull’onore e sul dovere. Sentimenti ed emozioni che ho provato qualche mese fa visitando a Roma in Piazza Armellini, presso il Comando Generale della Guardia di Finanza, il Museo storico del corpo, accompagnato in quella visita privilegiata dal direttore, il brillante capitano Gerardo Severino: è un luogo straordinario, pieno di memorie e fondamento essenziale per capire la ricchezza di una storia che ci riguarda tutti, me in particolare se alla mia famiglia appartiene un finanziere che si è segnalato dopo l’8 settembre 1943 nella difesa di Roma dai nazisti, Salvatore Pala. Ma vincoli di amicizia vera mi hanno legato in passato al generale Fabio Morera, che per tre anni tra il 2003 e il 2006 ha collaborato con la nostra Università, come testimonia la mostra fotografica sulla Sardegna vista dall’alto che inaugurammo in questa aula magna e il bel volume I fenici al volo di Piero Bartoloni pubblicato da Carlo Delfino per la Banca di Sassari, con le straordinarie immagini dell’”isola dalle vene d’argento” riprese da Michele Guirguis ed Elisa Pompianu sporgendosi pericolosamente dagli elicotteri della guardia di finanza. Scrivendo l”introduzione al volume avevo ricordato questo legame forte della Guardia di Finanza con la Sardegna, ma lasciatemi oggi esprimere la gratitudine per i comandanti provinciali che si sono succeduti, i nostri carissimi Giovanni Casadidio, Corrado Pillitteri, fino a Francesco Tudisco. Grazie ora al Generale Umberto Di Nuzzo, che un anno fa ha sostituito Stefano Baduini.
Del resto il capitano Severino ci ha abituato a riflettere sull’Italia tutta, dalle vette delle Alpi fino all’Etna, partendo dai tanti volumi sulla Guardia di finanza che costituiscono una ampia biblioteca e che ha avuto la generosità di donarmi, dalla Storia dei Baschi verdi fino agli aiuti ai profughi ebrei ed ai perseguitati, arrivando all’Istria e alla Dalmazia e alla tragedia delle foibe. Voglio ricordare almeno lo straordinario successo del recente volume su Giovanni Gavino Tolis, il contrabbandiere di uomini, il giovane finanziere venticinquenne catturato dalla Gestapo, morto a Gusen, il cui corpo fu cremato il 28 dicembre 1944 in un forno del campo di sterminio di Mauthausen: originario di Chiaramonti, aveva aderito alla resistenza e aiutato centinaia di profughi a passare in Svizzera attraverso il confine di Ponte Chiasso in comune di Como.
Tutti avvenimenti che costituiscono la premessa di questo volume dedicato a due dei sette finanzieri caduti in Alto Adige e recentemente onorati con la concessione da parte del Presidente della Repubblica di una medaglia d’oro al merito civile, dopo Raimondo Falqui, originario di Lula, la cui morte si data al lontano 1956, avvenuta a sprangate per mano di giovinastri poi identificati come simpatizzanti del nascente terrorismo altoatesino.
Furono dieci anni di guerra, di terrorismo separatista in Alto Adige alias Sud Tirolo, all’indomani degli accordi De Gasperi-Gruber del 1946 che portarono due anni dopo alla nascita della Regione Autonoma del Trentino Alto Adige e ad una lunga trattativa: all’ONU e tra i ministri degli esteri dell’Italia e dell’Austria, come quella che vide protagonista nel 1961 il nostro Antonio Segni (per dieci anni rettore di questa Università) e il collega austriaco Bruno Kreisky, mentre i terroristi si organizzavano nel Bergisel Bund, la Lega del Monte Isel per la tutela del Tirolo del Sud che affiancò apertamente i terroristi del BAS, il Befreiungsausschuss Sudtirol, ai quali si pouò attruibuire l’attacco alla caserma della Brigata della Guardia di Finanza a Silandro in Val Venosta.
Non seguirei nei dettagli gli sviluppi delle azioni terroristiche che portarono a numerosi attentati dinamitardi, a carico di treni, tralicci, caserme, con la regia di qualche professore dell’Università di Innsbruk, con i processi-farsa e con i molti errori compiuti dal Governo italiano che esasperarono il separatismo. Basterà ricordare la morte del carabiniere Palmerio Ariu il 26 agosto 1965 assassinato con un collega all’interno della caserma di Sesto Pusteria in provincia di Bolzano. Il culmine del terrorismo si raggiunse con le azioni del 1966, nelle quali finirono per essere coinvolte sanguinosamente le fiamme gialle di origine sarda Salvatore Cabitta originario di Porto Torres e Martino Cossu, il più giovane caduto che il Corpo ebbe in Alto Adige, originario di Luogosanto. Sullo sfondo delle pagine di questo libro, che viene presentato nel giorno della memoria delle vittime del terrorismo, risuonano le note della canzone Brennero 66 dei Pooh, una canzone struggente un tempo eretica perché troppo esplicita nel ricordare l’inutilità della morte, soprattutto su quei monti dove si uccideva quasi per gioco, per dimostrare che la voce del tempo degli uomini uccisi non doveva contare più niente. C’è però un prezioso rimando al paese di origine di Martino Cossu, Luogosanto in Gallura, con la casa di pietra bruciata dove non han mai visto la neve. Ora sul muro di quel paese silenzioso è rimasta soltanto quella tua foto dove stringevi in mano il fucile. E una campana in paese racconta a una donna che piange di quel tuo fucile che non servì a niente.
Ci sono in queste pagine sentimenti ed emozioni che vanno ben oltre la ricostruzione storica dei fatti: c’è il tentativo di far riemergere a tutto tondo la figura di due finanzieri come tanti, interpreti di un mondo fondato sul dovere, sulla lealtà, sull’amor di patria.
Salvatore Cabitta era nato a Porto Torres il 10 giugno del 1941, figlio del contadino Gavino, che nel nome ricordava il primo dei martiri turritani, il soldato palatino compagno di Proto e Gianuario che ritroviamo sul sigillo storico del nostro Ateneo; sua madre era Antonia Francesca Zallu e la famiglia si era trasferita nella nuova frazione di Sassari, a Campanedda, un luogo straordinario sulla strada dei due mari nato in quegli anni con la riforma agraria della Nurra promossa dall’Etfas ai piedi del castello medioevale. L’autore del volume si spinge addirittura a ricostruire le fasi dell’arruolamento, recuperando anche la domanda presentata nell’ottobre 1961 fino all’inquadramento nel contingente ordinario avvenuto sei mesi dopo. Ci sono le informazioni sulla sua salute, sulle malattie del padre e dei familiari, le fotografie in divisa; emergono le sue doti di atleta. Cabitta frequentò il corso allievi alla Scuola nautica di Gaeta, partecipando alla cerimonia di giuramento di fedeltà alla repubblica il 18 agosto 1962. Proprio a Gaeta alcuni anni dopo avrebbe frequentato il corso di operatore marconista. Assegnato alla IX legione territoriale di Roma, prestò servizio al Lido di Ostia, a Frascati infine a Tarquinia impegnato nella difesa dai tombaroli delle necropoli etrusche, un tema che ci è molto caro. Due anni dopo fu destinato alla legione di Trento, prima a Belluno e poi a Bolzano, presso la brigata di frontiera di Cima Canale in Cadore. Infine raggiunse il 9 maggio 1966 come marconista la Brigata di San Martino in Casies a Est di Brunico, a breve distanza dalla frontiera austriaca. Qui il giovane iniziò a spedire del denaro al padre, per permettergli di acquistare un trattore da usare per rendere fertili i terreni della bonifica nella Nurra di Campanedda. Appena due mesi dopo il suo arrivo, il 24 luglio 1966, il finanziere Salvatore Cabitta, rientrando a tarda notte in abiti civili nella bella caserma di San Martino, accompagnato da altri due colleghi, fu investito dal fuoco automatico dei terroristi, poi identificati nei “quattro bravi ragazzi della Valle Aurina”. Nell’occasione il finanziere Giuseppe D’Ignoti, ferito a morte dalle sventagliate di mitra, riuscì a trascinarsi fino all’edificio vicino che ospitava il Caffé Bar Steiner, dal quale fu dato l’allarme. Con l’intervento del brigadiere Mario Zaccaron e di alcuni finanzieri, il fuoco dei terroristi cessò, si avviarono i soccorsi e soprattutto a tarda notte arrivarono i rinforzi: i finanzieri di Monguelfo e i carabinieri della stazione di Valle di Casies. Iniziarono subito le ricerche nel bosco, per bloccare i terroristi che riuscirono però in breve a raggiungere il confine austriaco. Un giorno dopo arrivavano a San Candido il ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani, il capo della polizia il prefetto Angelo Vicari, il comandante generale della Guardia di Finanza Umberto Turrini. L’autore segnala la bella dichiarazione della Giunta Provinciale di Bolzano presieduta da Silvius Magnago, che espresse ferma condanna per questo nuovo crimine e per l’assassinio proditorio concepito a sangue freddo, chiedendo la condanna di esecutori e mandanti. Anche l’opinione pubblica austriaca rimase profondamente colpita dalle violente modalità dell’attentato. I funerali di Salvatore Cabitta si svolsero a Bolzano il 27 luglio; la salma, accompagnata dal cappellano Padre Eusebio Jori, fu trasferita a Genova e poi sulla nave di linea Calabria arrivò a Porto Torres, dove si svolse la solenne cerimonia nella basilica di San Gavino presieduta dall’arcivescovo Paolo Carta. Le spoglie del giovanissimo finanziere riposano oggi nella tomba di famiglia del cimitero di Campanedda. Pochi giorni dopo veniva sepolto anche l’amico Giuseppe D’Ignoti, che sopravvisse solo una settimana, sepolto poi a Catania ai primi di agosto. Le indagini consentirono di accertare la responsabilità di un gruppo di giovani dell’organizzazione separatista sudtirolese BAS, compresi Heinrich Oberleiter, Sepp Forer, Siegfriede Steger ed Heinrich Oberlechner, colpevoli nel maggio precedente di un altro attentato, quello clamoroso a Passo Vizze che era costato la vita al finanziere Bruno Bolognesi.
Il secondo protagonista di questo volume è il giovanissimo finanziere Martino Cossu, nato a Luogosanto in Gallura il I gennaio 1946, dai contadini Salvatore e Giovanna Debidda, che abitavano a Lu Palazzeddu sulla statale che unisce Tempio a Palau. Operaio in una cava di granito dei Rasenti a Tempio, lottatore di judo, incoraggiato dal fratello finanziere, Martino presentò domanda di arruolamento nella primavera del 1964 e fu effettivamente arruolato il 25 gennaio del 1965 presso il I battaglione di Roma nella Caserma Piave. Il I agosto 1965 giurò fedeltà alla repubblica e fu ammesso nel Gruppo sportivo Judo delle Fiamme Gialle, finendo però per essere assegnato alla IV legione di Trento, presso la compagnia della Guardia di Finanza del Brennero in provincia di Bolzano. Il 14 marzo 1966 Martino veniva spedito a San Giacomo in val di Vizze, a E del Brennero. Negli ultimi giorni di vita poté avere una licenza di 15 giorni, che passò a Luogosanto, per poi essere assegnato al distaccamento di Malga Sasso a E di Vipiteno, in tedesco Steinalm. Qui sarebbe andato incontro al suo destino tre giorni dopo il suo arrivo. Il 9 settembre 1966 la casermetta di Malga Sasso fu fatta esplodere con effetti terrificanti: le ricostruzioni divergono, ma è accreditata l’ipotesi che una bomba sia stata gettata dal comignolo del caminetto all’interno della cucina, dove il finanziere Martino Cossu svolgeva le funzioni di cuciniere. Altri parlano di un ordigno di 25 kg munito di congegno ad orologeria che esplose alle 11,30, facendo saltare per simpatia anche la santa barbara dei finanzieri. Restarono uccisi il vice brigadiere Eriberto Volgger, il finanziere Martino Cossu, mentre il tenente Franco Petrucci rimase ustionato e gravemente ferito; colpito dalle schegge, giunse all’ospedale di Vipiteno in condizioni disperate. Con loro molti altri finanzieri rimasero feriti, come il giovane Giovanni Flore, ventottenne di Ardauli. Le indagini videro in prima linea il Col. Ferdinando Dosi, comandante della IV legione delle fiamme gialle di Trento, nuovamente il Ministro dell’interno Paolo Emilio Taviani e il capo della Polizia Angelo Vicari. Ancora una volta i solenni funerali celebrati nel Duomo di Vipiteno l’11 settembre furono l’occasione per esprimere lo sdegno del Paese, rappresentato dal ministro della difesa Roberto Tremelloni e dall’ordinario militare per l’Italia Mons. Luigi Maffeo. Dieci giorni dopo sarebbe morto anche il tenente Petrucci. La salma di Martino Cossu, accompagnata dal fratello finanziere Sebastiano e dal cappellano militare Padre Angius, da Genova raggiunse Porto Torres e quindi il 13 settembre Luogosanto in Gallura, dove il vescovo di Tempio Pausania Giovanni Melis celebrò la messa funebre interrompendo la festa in onore della Madonna patrona del paese. Era passato appena un anno e mezzo dall’arruolamento. Le indagini consentirono ancora una volta di individuare i responsabili, alcuni dei quali furono poi effettivamente arrestati dai carabinieri, che ricostruirono le modalità inconsuete dell’attentato che aveva colpito la casermetta, che vediamo distrutta nelle straordinarie immagini fotografiche di questo volume. L’unico a pagare per l’attentato fu Richard Kofler, mentre gli altri attentatori riuscirono ad evitare l’arresto o più tardi ad ottenere un condono.
Dopo l’accordo di Copenaghen stipulato il 30 novembre 1969 fra i ministri degli esteri Aldo Moro e Kurt Waldheim sul pacchetto Alto Adige si ridussero e infine si chiusero gli attentati voluti per mantener viva la fiamma dell’indipendenza del Sud Tirolo, che costarono la vita complessivamente a 21 persone; ci furono in 23 anni di guerriglia insensata anche 57 feriti , con la condanna da parte della magistratura italiana di alcune centinaia di terroristi prevalentemente altoatesini, ma anche austriaci e tedeschi. Tra il 1990 e il 1995 gli Accordi di Shengen consentirono di superare il problema con la libera circolazione delle merci e delle persone, nell’ambito dell’Unione Europea.
Il 29 marzo 2010 Salvatore Cabitta e Martino Cossu ottenevano alla memoria dal Presidente Napolitano la onorificenza di Vittime del terrorismo, mentre in precedenza erano state loro intestate vie a Porto Torres, a Luogosanto e ad Olbia. Il capo della Polizia aveva concesso ai due caduti lo status di “vittime del dovere”. Tre anni dopo, il 5 marzo 2013, il nostro capitano Gerardo Severino riusciva a portare a termine l’impresa di far attribuire ai finanzieri caduti in Alto Adige una ricompensa al merito civile, con le medaglie d’oro concesse dal Presidente Napolitano e consegnate esattamente un anno fa in occasione del Giorno della memoria dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale e delle stragi di tale matrice, che celebriamo il 9 maggio anche per ricordare l’uccisione di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta. Nella motivazione si ricordano i nobili ideali di legalità e amor patrio, le virtù civiche, l’altissimo senso del dovere.
A distanza di un anno rimane forte in Sardegna il senso di gratitudine per chi ha voluto ricordare questi avvenimenti, che ci riportano alla notte nera del terrorismo, che abbiamo superato grazie al sacrificio anche di Salvatore Cabitta e Martino Cossu.