Seminario nazionale Quale Futuro per la cultura classica?

Attilio Mastino
Quale futuro per gli studi classici in Europa?

Oristano, 22-23 febbraio 2012
Seminario nazionale “Quale futuro per la cultura classica?”

Cari amici,

debbo all’amicizia con Guido Tendas l’invito a prendere la parola in questo Seminario nazionale “Quale futuro per la cultura classica?”, promosso dal Liceo Classico Salvator Angelo Decastro di Oristano, che nel nome ricorda il grande latinista, un protagonista della vita culturale della Sardegna dell’Ottocento a fianco di Giovanni Spano e Gavino Nino: personaggi in qualche modo coinvolti nella vicenda delle Carte d’Arborea alla quale guardiamo oggi con una qualche maggiore indulgenza, se non altro  perché espressione di un profondo amor di patria e di una straordinaria conoscenza delle fonti sulla Sardegna.

Nel recente passato abbiamo conosciuto in Italia un vero e proprio dilagare delle articolazioni del sistema dei Licei suddiviso in 396 indirizzi e 52 progetti assistiti. Dopo la Riforma Gelmini della Scuola secondaria di II grado la giungla è stata sfoltita.  Noi oggi sappiamo che il percorso del liceo classico può essere ancora una strada nuova,  indirizzata allo studio della civiltà classica e della cultura umanistica, perché favorisce una formazione letteraria, storica e filosofica idonea a comprenderne il ruolo nello sviluppo della civiltà e della tradizione occidentali e nel mondo contemporaneo sotto un profilo simbolico, antropologico e di confronto di valori. Il Liceo Classico favorisce l’acquisizione dei metodi propri degli studi classici e umanistici, all’interno di un quadro culturale che, riservando attenzione anche alle scienze matematiche, fisiche e naturali, consente di cogliere le intersezioni fra i saperi e di elaborare una visione critica della realtà. Guida lo studente ad approfondire e a sviluppare le conoscenze e le abilità e a maturare le competenze a ciò necessarie.

Prima della riforma, la secondaria superiore era ancora quella disegnata da Gentile del 1923. L’interrogativo è dunque: quale senso dare agli studi classici oggi? Come coinvolgere gli studenti? Come motivarli? Come emozionarli? Il rischio è il non percepire il senso ed il valore di una tale formazione. Si tratta da un lato di rinnovare le metodologie didattiche dando spazio alla ricerca, all’apprendimento cooperativo, al confronto, alla scoperta. E in questo il compito dei docenti è particolarmente difficile perché richiede una forte capacità di rinnovarsi, di cambiare, di essere alternativi e creativi. Si tratta d’altra parte riavvicinare la cultura, quella vera, alla vita, farne cogliere il senso, il valore, l’utilità. Dare significato ai saperi della cultura classica.

Non è più il tempo di esercizi di passiva e sterile traduzione o quant’altro. I testi classici vanno letti, tradotti, conosciuti soprattutto per coglierne i significati, i valori che sottendono e che mantengono ancor oggi tutta la loro validità. Se non si riesce a cogliere e a far cogliere la sostanza delle culture latina e greca è tempo perso. E’ la ricchezza dei contenuti, è la grandezza e la profondità culturale che danno senso, valore e attualità a queste lingue millenarie.

Chi le acquisisce attraverso quell’esercizio complesso di scomposizione, analisi, sintesi, interpretazione che la traduzione dei testi antichi richiede, non solo sviluppa, attraverso l’attivazione di nuove sinapsi neuronali, eccezionali capacità logiche, ma soprattutto sui avvicina ad un mondo fantastico, straordinario per profondità, per vissuti, per orizzonti. Roma e Atene hanno un fascino, una capacità di sedurre, di avvincere. Lo hanno avuto in passato e lo debbono avere ancor più oggi perché l’uomo di oggi, che vive in una società complessa, difficile, seducente, ha ancor più bisogno di strumenti per capire.

Questo seminario allarga e precisa il tema del Convegno internazionale promosso dieci anni fa a Sassari dal Dipartimento di scienze umanistiche e dell’Antichità, dalla Facoltà di Lettere e dall’IRRE e per loro dal prof. Luciano Cicu: Quale futuro per gli studi classici in Europa ? Mi è stato chiesto di presentare oggi gli atti di quell’incontro pubblicati nel 2008 col patrocinio della Fédération Internationale des Etudes Classiques,: un’opera che rappresenta uno straordinario punto di partenza per i discorsi di oggi, che vogliono incentrarsi sulle ragioni di coloro che difendono l’esistenza del liceo classico, sostengono l’insegnamento del greco, del latino, della storia antica, dell’archeologia, proprio di fronte alla Riforma Gelmini, che ha causato certamente una riduzione di organico e di risorse. La legge 240 del 30 dicembre 2010 ha invece colpito più pesantemente le Università. Una bomba che è stata gettata dentro gli Atenei e che sta provocando non solo il caos ma addirittura lo scardinamento della struttura universitaria, la scomparsa delle Facoltà e dei Dipartimenti. Sono certo che  la riforma scolastica non avrà analoghi effetti nei Licei.

Il Liceo De Castro, così come l’Azuni a Sassari e il Dettori a Cagliari hanno rappresentato e ancor più possono rappresentare una punta di eccellenza per l’istruzione in una Sardegna che ha sempre di più necessità di porre al centro delle politiche sociali la conoscenza come bene comune e che deve realizzare infrastrutture della cultura in tutto il territorio regionale.

Intanto, vorrei subito dire che è falso che gli autori classici guardino sempre al passato e non al futuro: nel mio programma elettorale come Rettore ho adottato un motto preso dalle Questioni Naturali di Seneca:

Multa venientis aevi populus ignota nobis sciet;

multa saeculis tunc futuris,

cum memoria nostra exoleverit, reservantur:

pusilla res mundus est, nisi in illo quod quaerat omnis mundus habeat.

Molte cose che noi ignoriamo saranno conosciute dalla generazione futura;

molte cose sono riservate a generazioni ancora più lontane nel tempo,

quando di noi anche il ricordo sarà svanito:

il mondo sarebbe una ben piccola cosa se l’umanità non vi trovasse materia per fare ricerche.

Seneca, Questioni naturali, VII,30,5

Oggi queste frasi illuminanti, tutte proiettate verso il futuro, compaiono nell’Atrio della nostra Università di Sassari che compie i suoi 450 anni, ma che vuole guardare davanti a sé verso un orizzonte più largo di impegni e non verso il passato, scoprendo la vitalità della cultura classica e l’importanza della ricerca scientifica fatta di curiosità, interessi, passioni che debbono motivare ed animare la vita di tutti i giorni dei nostri studiosi, dei nostri insegnanti, dei nostri studenti.

Forse una delle cause dell’attuale senso di depressione e di sconfitta che si può respirare in molti ambienti, spero non in questa sede, è legata appunto all’affievolirsi di una passione e di un intesse innanzi tutto da parte dei docenti.

Scrive Tuomo Pekkanen dell’Università di Helsinki che la colpa è spesso dei latinisti stessi (e dei grecisti) che non si apprezzano: un insegnante di latino con cui attacchiamo discorso in genere inizia a lamentarsi delle proprie condizioni: gli allievi sono pochi, non hanno voglia di studiare ecc.

E’ anche lui il primo a propagare l’idea che il latino appartiene al passato, non alla vita moderna, e che le classi di latino stanno diventando sempre più rare. Così parlano alcuni nostri professori, anche se insegnano la lingua madre della cultura occidentale di cui dovrebbero essere fieri. Sono i latinisti stessi che, parlando male del proprio mestiere, sostengono il mito della lingua morta per quella che nel medioevo era la regina linguarum.

Certo, i fatti sono fatti e il nostro Paese ha conosciuto un progressivo smantellamento della cultura classica, partendo dal 1962 e della cancellazione del latino dalla scuola media unificata, lungo il faticoso passaggio da una scuola elitaria come era con la riforma Gentile verso una scuola democratica, che mirasse alla costruzione di una democrazia reale nel nostro paese.  Se le intenzioni erano quelle di evitare discriminazioni, poiché il latino appariva come una materia “difficile” che richiedeva il ricorso a lezioni private accessibili solo per i più ricchi, il risultato fu quello di concentrare al ginnasio l’apprendimento in contemporanea di due lingue ardue come il Latino e soprattutto il Greco.

Un’altra tappa è segnata nel 1986 dal tentativo di cancellare la storia antica dai licei. Ricordo che al IV Convegno internazionale di studi su L’Africa Romana svoltosi a Sassari noi partecipanti inviammo al Ministro della Pubblica Istruzione un telegramma con l’espressione dell’unanime preoccupazione di fronte alle notizie di eliminazione dello studio approfondito della storia greca e romana dalle prime classi della scuola media superiore, un provvedimento che pensavamo potesse abbassare la qualità dell’insegnamento. In quella occasione avevamo sottolineato come la storia romana sia principium della nostra storia e della nostra cultura e base di un’apertura universalistica sempre più attuale. Chiudendo quell’incontro, il collega Sandro Schipani aveva ricordato che in Italia opera una facoltà umanistica nella quale la storia antica non esiste, la facoltà di Scienze politiche, e aveva sollecitato la solidarietà dei colleghi stranieri di fronte alla cancellazione della storia antica dai programmi ministeriali delle IV e V ginnasio: un episodio grave, marginale se si vuole, ma grave, e che certamente si ripropone negli anni successivi con i nuovi programmi fino ai nostri giorni.

Voglio ricordare le parole di Gaio, fatte proprie da Giustiniano nel Digesto: facturus legum vetustarum interpretationem necessario populi romani ius ab urbis initiis repetendum existimavi, non quia velim verbosos commentarios facere, sed quod in omnibus rebus animadverto id pefectum esse quod ex omiunbus suis partibus constaret et certe cuiusque rei potissima pars principium est.

Occorre richiamare fortissimamente i giovani di tutti i Paesi europei a non trascurare il proprio principium, un principium che non è nazionale ma che immerge in particolare il nostro paese in una prospettiva  universale e globale, che tiene conto degli intrecci della storia e che ci orienta verso un’apertura sempre più ampia e solidale.

Sono seguite tante riforme, dalla Moratti alla Gelmini, fino ad arrivare al governo tecnico ed a Francesco Profumo: a partire dall’attuazione della riforma degli ordinamenti didattici, sono stati inferti danni irreparabili alla cultura ed alla scuola, come all’economia, alla giustizia, alla sanità. Abbiamo vissuto anche nell’università una vera e propria frammentazione disciplinare, una parcellizzazione dell’insegnamento, che ci vede ancora, come antichisti, sulla difensiva a tentare di contenere il danno, di mantenere le posizioni, costantemente erose e insidiate da discipline scientifico sperimentali divenute sempre più aggressive.

In questi due giorni noi non faremo verbosos commentarios, ma entreremo con il nostro entusiasmo e con le nostre storie sul tema del futuro del liceo classico che un ministro del passato sosteneva aver corrotto i giovani italiani. Discuteremo insieme la situazione delle formazione superiore e dell’alta formazione, la formazione di eccellenza, in particolare in Italia. Senza dimenticare che però ormai ci collochiamo in un’Europa che deve armonizzare i sistemi scolastici e confrontare gli impianti educativi, che discute sul valore legale del titolo di studio, che affronta il tema dell’integrazione degli immigrati, del multiculturalismo in rapporto con le identità locali.

Credo che la forza dell’antica Roma risiedesse nella prospettiva sovrannazionale, nell’universalismo, nel superamento delle divisioni nazionali. Roma ha potuto interessare e coinvolgere le élites di molte nazioni al suo ideale. Analogo giudizio deve esser dato al mondo ellenistico erede di Alessandro il Grande. La grande chance per l’attuale élite intellettuale e quindi anche per gli studiosi che si dedicano alle eredità dei Romani e dei Greci, per gli insegnanti di Latino e Greco, consiste in questo: nel fatto che attraverso i loro comuni ideali – ideali scientifici innanzi tutto – si contribuisca all’accordo tra le nazioni.

Per Kurt Smolak dell’università di Vienna la vocazione degli studi classici del futuro sarà quella di contribuire ad un processo di acculturazione globale, di favorire il desiderio di ciascuno di noi di integrarsi in una realtà culturale complessa di rango mondiale, respingendo l’idea di appartenere ad una certa razza o di disprezzare culture di conio diverso: occorre lavorare per formare questa coscienza e mettere a disposizione le premesse necessarie per poter realizzare un tale atteggiamento.

Vittorio Citti riconosce che ci siamo finalmente liberati dal pregiudizio imperialista del primato della nostra cultura ma sostiene che è necessario un fondamento su cui dialogare con intellettuali di altre tradizioni europee; e ciò soprattutto in un momento in cui la diffusione dei mass media e le esigenze della produzione e della distribuzione dei beni tendono alla massificazione dei modi di pensare e di comunicare, in una parola rischiano di mettere in crisi la nostra stessa identità culturale.

Gli studi sull’antichità greca e romana stanno indubbiamente attraversando oggi in Italia un momento di estremo interesse e di importanza sul piano scientifico, se si considera sia la qualità dei risultati ottenuti sia anche il credito di cui la nostra ricerca gode all’estero: per fare solo una lista nei nostri maestri, miei e credo di Guido Tendas, ad esempio, penso a Bruno Luiselli, Enzo Degani,  Mario Torelli, Fausto Zevi, oltre che Piero Meloni, Giovanni Lilliu, ecc.

Eppure gli studi antichistici si trovano proprio oggi in un momento di altissimo rischio sul piano didattico nell’Università come nella scuola media superiore. Come ben si comprende ricerca scientifica e attività didattica non sono per nulla entità indipendenti: la possibilità tutt’altro che remota che la seconda entri in crisi totale in tempi molto brevi implica la conseguenza, certamente possibile e allo stato delle cose forse anche probabile, che il nostro paese perda altrettanto rapidamente la posizione di primato che si è indubbiamente guadagnata sul piano della ricerca, e si riduca nella depressione in cui si trovano altre nazioni europee, che pure vantano grandi tradizioni scientifiche nelle scienze dell’antichità.

Gli studi classici hanno reali ragioni per continuare ad essere praticati nella moderna civiltà tecnologica e di mercato, a condizione che si guardi al mondo classico come radice costitutiva della civiltà del mondo di oggi e di domani, si riconoscano i principi di democrazia, religione, solidarietà e tolleranza  che sono espressione del mondo antico ma sopratutto alla base del processo costitutivo di quelle nazioni che hanno dato vita all’Europa.

Senza gli studi classici il mondo sarebbe peggiore: noi esaltiamo costantemente la civiltà moderna tecnologica, ma non ci accorgiamo che lo facciamo solo in rapporto con il mondo antico. Perché, scrive Paolo Mastandrea, non si intende nessuna di queste tre parole senza la cultura classica. Non si intende moderna senza un rapporto con l’antico; non si intende civiltà, poiché civiltà viene da civis e da civitas e quindi rinvia proprio a quella dimensione urbana nella quale cultura classica, ateniese o romana ha dato il meglio di sé. Non si intende tecnologica senza la tekne attribuita al mitico Efaistos, l’artefice divino, il dio gettato dal padre Zeus dentro il vulcano Mosiclo nell’isola di Lemno, e perciò zoppo e allevato dalle ninfe, che avrebbe insegnato i misteri della sua arte ai Sintii, ai quali l’eroe Prometeo avrebbe rapito il fuoco per gli uomini. E senza suo figlio Talos, che per Zenobio era un automa di bronzo che difendeva la Sardegna nuragica; infaticabile guardiano, secondo il lessico della Suida, l’automa alato Talos , il figlio di Efesto, impediva agli stranieri ed in particolare ai Sardi di penetrare nell’isola di Creta, bruciandoli vivi e causando quella smorfia definita Riso Sardonio, già raccontata tre mila anni fa da Omero pagando della smorfia di Ulisse minaccioso verso i Proci: e Ulisse è il capostipite dell’uomo, legato al legno della barca, tra i canti delle sirene, paragonato all’uomo che si attacca al legno della salvezza. E sappiamo che la letteratura latina nasce con un atto di fondazione che è la traduzione dell’Odissea da parte di Livio Andronico.

Se abbiamo un futuro – e noi vogliamo avere un futuro, vogliamo superare ogni domanda retorica e affermare un futuro per il liceo classico – il futuro sta proprio nel far intendere ai giovani il loro rapporto con il passato e quindi saper leggere il loro presente in relazione al passato e il passato in relazione al presente, ricorrendo all’intertestualità e riscoprendo il continuum della nuova Europa con il mondo antico:  ben prima di Cristo, era in uso l’espressione non di solo pane vive l’uomo. E il pane per noi è la civiltà tecnologica, ma non basta, ci occorre altro, ossia la cultura occidentale, umanistica, basata sull’antichità greco-latina e poi sul Cristianesimo.

Mons. Pietro Meloni ha scritto che Ludus era la scuola nell’antichità e Ludus deve diventare la scuola del domani, che non deve essere soltanto un dovere: dobbiamo riscoprire il  piacere che proviene dalla lettura di un testo in lingua originale, il piacere della traduzione, il piacere di un confronto, il piacere di una scoperta. Dobbiamo cogliere un aspetto ludico della ricerca, che deve coinvolgere e appassionare, perché siamo stufi di magistri plagosi, come quelli che insegnavano il greco ad Agostino.

Chi mi conosce sa che sono convinto che gli studi classici possono rappresentare un punto di riferimento oltre che per i paesi europei paradossalmente anche per il Maghreb e per altre aree del mondo, a iniziare dall’America latina.

Dirigo dal 1994 gli scavi di Uchi Msius in Tunisia ai quali hanno finora partecipato oltre 500 studenti italiani e tunisini dell’Istituto superiore dei mestieri del patrimonio, interessati a condividere con noi un’esperienza di formazione che credo resterà indimenticabile.

A me sembra che troppo poco facciamo per rivitalizzare la cultura classica attraverso l’incontro tra le due rive del Mediterraneo e tra paesi diversi, soprattutto dopo l’esperienza esaltante della primavera araba. Non sempre abbiamo colto l’interesse, il rsspetto, l’ammnirazione che anche al di là del mare esistono per la nostra tradizione.

Sono trascorsi ormai oltre 30 anni dallo svolgimento dello straordinario congresso Africa et Roma, promosso a Dakar dall’Istituto di studi romani sotto gli auspici del Senegalensium Rei Publicae Princeps, Leopold Sedar Sengor, i cui atti sono stati pubblicati nel 1979 nel volume Acta omnium gentium ac nationum coventus latinitatis litteris linguaeque favendis, che ho sfogliato proprio in questi giorni. Scorrendo queste pagine ho sorriso alla lettura di alcuni testi molto ingenui, scritti da colleghi africani, come quelli a proposito dell’insegnamento della lingua latina nelle scuole dello Zaire o del Ruanda, del Burundi, o di quel maestro elementare che notava come maxime placere adulescentulis narrationes sallustianas belli iugurtini et orationes in Catlinam; placent quoque saturae oratianae.

In quell’occasione, il Rettore dell’Academia Argentoatensis di Strasburgo rivolgendosi al Presidente Sengor si augurava: maneant sempere vincula illa inter Africam et Europam quibus nos eadem communitate eademque inter nos caritate coniunctos nosmet sensimus.

Noi viviamo un tempo di conflitto tra culture, tra popoli, tra paesi, anche per la nostra incapacità di comprendere gli altri, di sviluppare una pacifica vita in comune, di mettere da parte egoismi ed interessi, di rifiutare integralismi e intolleranze, anche da parte nostra. Il mondo antico di fornisce gli strumenti per un tempo nuovo fondato sulla tolleranza e il rispetto per gli altri, sul pluralismo e il rispetto delle diversità.

La cultura classica è una componente fondamentale della cultura europea ma non solo. Perché lo studio delle letterature antiche, perché la Storia? La necessità di leggere i testi nella loro lingua originale, perché la lingua non è tanto esercizio logico ma strumento di comprensione storica dei testi. La volontà di usare i mezzi elettronici oggi a disposizione, strumento al servizio della filologia, dell’epigrafia, della numismatica, ad esempio, è oggi positivamente una forma di democratizzazione della cultura contemporanea, e poi l’informatica, ma anche la televisione, il cinema, i power point, altri strumenti.

Dal convegno di Sassari di dieci anni fa emerge il bilancio di una progressiva emarginazione della cultura classica in alcuni paesi europei, l’assenza di studenti in alcune facoltà universitarie come in Germania, in Svizzera, in Austria, in Inghilterra; la dicotomia che noi viviamo tutti i giorni tra un interesse crescente della gente per l’antichità classica, anche per le sue manifestazioni artistiche o archeologiche, per il patrimonio – le grandi mostre, le riviste di archeologia – e poi l’interesse specialistico per gli studi universitari di antichità classica che rischia di diventare un fatto di nicchia o di élite. La separazione delle scienze storiche o archeologiche da quelle filologiche in alcuni paesi, come in Spagna; alcune volte la poca duttilità dei filologi ad adattarsi a forme di insegnamento meno specifiche; e poi i problemi della Russia, i temi di un disaccordo che riguarda il problema della identità scientifica da parte dei filologi, specie quelli ancorati ad un modello tedesco mommsenino di filologia; l’uso del Latino come lingua di comunicazione, un tema evocato da Tuomo Pekkanen, un esercizio elitario, inutile, oppure mezzo per rinvigorire lo studio del latino ? Si può parlare infine di valori eterni nei miti, nei classici antichi ? Non si falsa in questo modo la necessità della loro comprensione storica, della loro collocazione nel tempo e nello spazio ? E poi i quesiti posti da Bruno Luiselli a proposito della moderna civiltà tecnologica, che è anche una civiltà di mercato ? I problemi dell’obslesceza degli strumenti, dei metodi, delle forme dell’insegnamento delle lingue antiche; il problema del linguaggio; il senso di una cultura classica con il proprio patrimonio di valori, come sistema unitario integrale.

Nel dibattito Paolo Fedeli ha ricordato  processi formativi che si sviluppano nei licei, in particolare nel Liceo classico; l’esigenza che la cultura classica si confronti con la cultura scientifica, con la linguistica, con l’informatica. Una scuola classica dunque del futuro, più adeguata ai tempi, non relegata in un ghetto per pochi privilegiati.

E poi Ferruccio Bertini che ha ricordato anche gli errori che noi stessi abbiamo computo, il fastidio causato agli allievi, la noia, l’incapacità di molti di noi di suscitare interesse e curiosità, la stanchezza di molti docenti, con la precisazione che le cose più belle sono quelle più faticose.

Il tema dell’aggiornamento dei docenti, all’indomani delle Scuole di specializzazione per insegnanti, oggi verso il Tirocinio Formativo Attivo e le altre forme di abilitazione all’insegnamento, un tema che ci vede impegnati da anni con difficoltà ma anche con soddisfazione. E poi il dibattito, le polemiche, il tema della traduzione dall’italiano al latino: una polemica che mi consente di ricordare come mia madre traducesse in realtà dal Greco al Latino.

Al principio del terzo millennio la cultura antica non cessa di stupirci per il suo perenne senso di sorgente della conoscenza.

L’Università di Sassari vorrebbe proporsi come osservatorio privilegiato sulla cultura classica, individuando il suo valore formativo e direi educativo, che non può essere basato solo sul riconoscimento di una complessità della grammatica o della sintassi, ma che è in relazione con il nostro essere uomini oggi. Non solo dunque in quei paesi la cui formazione linguistica o culturale è più direttamente connessa alla cultura classica, ma anche e forse soprattutto gli altri paesi di tradizione anglosassone o slava o islamica; e in primis il valore della paideia greca e il valore dell’humanitas latina, che ci stringe indissolubilmente a questo complesso patrimonio di cultura classica, che non si erge in un iperuranio etnocentrico,. Ma si svolge attraverso le nazioni e i popoli nel corso della storia, e che ora si confronta con i progressi dell’informatica, delle scienze naturali, della medicina, della stessa archeologia, dei nuovi metodi di insegnamento.

Ammirare i segni anche minimi della cultura classica (faccio l’esempio delle legende monetali greche e latine circo antri al di là dei confini dell’impero) : tutto ciò ci dà il segno di una oikoumene dove i popoli di diversa etnia, cultura, religione, percepirono i barlumi della civiltà classica.

Alla faccia di Bin Laden, la civiltà islamica si è innestata mirabilmente nella civiltà classica, sia sul piano della trasmissione libraria, sia sul piano, più propriamente, della trasmissione e interazione culturale; e tutto ciò costituisce una profonda lezione per i nostri giorni, che conoscono una spaventosa accelerazione, un nuovo modo di provincializzarsi, una provincializzazione non più dello spazio ma del tempo.

Dunque, cultura classica come libertà, diritto, giustizia, solidarietà, fides, ragione, poesia, arte, patrimonio degli uomini, faticoso a raggiungersi, se volete, ktema es aiei, secondo il monito di Tucidide, non oggetto di antiquariato e di nostalgica erudizione.

Nell’età della globalizzazione, dove troppo spesso emerge il demone dell’homo oeconomicus, del mercato, la lezione antica e moderna della cultura classica ci insegna a riconoscerci nei valori fondati sull’humanitas, di quel nihil humani a me alienum puto. Ancora nel terzo millennio, la lezione della cultura classica sgorga dalla fonte Castalia e ripete il motto delfico del conosci te stesso.




In ricordo di Giovanni Lilliu.

In ricordo di Giovanni Lilliu
Sassari, 19 febbraio 2012

di Attilio Mastino

Ho iniziato a leggere La civiltà dei Sardi di Giovanni Lilliu quasi cinquanta anni fa, all’inizio degli anni sessanta, quando avevo ancora i calzoni corti, a Bosa: ricordo un volume rosso, rilegato con cura, gonfio a soffietto con i ritagli degli articoli pubblicati da Lilliu su “L’Unione Sarda”,  che mio padre aveva iniziato a raccogliere negli anni e che riguardavano i temi più diversi.

Se c’è un aspetto singolare nella produzione scientifica di Giovanni Lilliu è stata questa penetrazione capillare dei suoi scritti nelle città, nei paesi e nei villaggi della Sardegna, fino a raggiungere un pubblico vastissimo, anche in misura superiore a quanto l’autore stesso non immaginasse, in parallelo con le tante pubblicazioni specialistiche pubblicate in Italia e all’estero.

Da allora è iniziato un rapporto che durava da tanti anni: un periodo lungo della mia vita – anche se Lilliu aveva iniziato a pubblicare già trent’anni prima – che ha visto in Sardegna una straordinaria crescita dell’archelogia, soprattutto quella preistorica, e non solo a livello di metodi di indagine, come disciplina incardinata nell’accademia, ma anche come passione, come tema di discussione per tanti insegnanti, per tanti studenti, ma soprattutto per tanta gente qualunque, appassionata del proprio territorio, alla ricerca delle proprie radici: un fenomeno culturale di massa che ha coinvolto intere generazioni.

Per Lilliu l’archeologia non era solo pura tecnica di scavo, ma era anche sintesi, riflessione, interpretazione, ricostruzione storica, infine scelta politica; in questo senso Lilliu considerava lo storico un protagonista,  un uomo non inutile né senza speranza.

Così a caldo mi sembra che possiamo descrivere Giovanni Lilliu come un uomo inquieto e ruvido, carico di insoddisfazioni, un democratico pieno di sentimenti e di desideri, senza pace, che non si rassegnava e che intendeva combattere per la sua terra, contro la subalternità e l’emarginazione; il suo pensiero, nutrito a volte di utopie e di asprezze, si era arricchito progressivamente nel tempo, sino a giungere ad una straordinaria coerenza, pure attraverso un’incredibile varietà di interessi.

Lilliu si considerava un uomo di campagna che aveva avuto il privilegio di accedere all’incanto dell’archeologia, per lui una fatica ma anche un diletto aristocratico. Del resto egli  era orgoglioso delle sue origini contadine e leggeva la sua esperienza in continuità ideale con la storia della sua famiglia originaria di Barumini, con generazioni e generazioni di antenati che lo riportavano sempre più indietro, fino agli eroici costruttori del nuraghe: continuità che era innanzi tutto un persistente legame affettivo con gli spazi, con i monumenti, con il territorio, con l’ambiente fisico che contribuiva a costruire un’identità. Il tema dell’identità del resto era centrale nei lavori di Lilliu, che pensava ad un’identità non fossile, ma aperta al nuovo, non digiuna del moderno, culturalmente e storicamente dinamica.

E allora la lingua sarda, innanzi tutto, che avrebbe voluto insegnata nelle scuole ed utilizzata liberamente nelle sedi ufficiali, in modo che si affermasse il biliguismo. Lilliu aveva seguito costantemente il dibattito in Consiglio Regionale sul problema, fino alla legge regionale a tutela della lingua, della cultura e della civiltà del popolo sardo.

Egli aveva anche indicato una strada coraggiosa nel dibattito sul trasferimento delle competenze in materia di Beni Culturali dallo Stato alle Regioni, alle Province ed ai Comuni, insomma al sistema delle autonomie: ci ha spesso sorpreso la sua abilità, la capacità di presentare la sua posizione, spesso anche molto coraggiosa ed estremistica, senza asprezze ed intemperanze, con equilibrio, riuscendo a non urtare suscettibilità profonde, come sulla spinosa questione di Tuvixeddu.

Per Lilliu la storia della Sardegna era fondata su un mito, il mito dell’età dell’oro dell’epoca nuragica, una cultura non pacifica ed imbelle ma conflittuale, quando le armi venivano usate dagli eroi per difendere l’autonomia,  l’autogoverno, la sovranità del popolo sardo, quando i sardi erano protagonisti e padroni del loro mare. La preistoria e la protostoria furono il tempo della libertà, prima che i popoli vincitori e colonizzatori imponessero una cultura altra. Gli altipiani ed i monti al centro dell’isola gli sembravano l’antico grande regno dei pastori indipendenti.

Furono i Cartaginesi e poi i Romani a creare una Sardegna bipolare, quella dei mercanti e dei collaborazionisti della costa e quella dei guerrieri resistenti dell’interno: verso questo popolo della Barbagia accerchiato ed assediato andavano le simpatie di Lilliu, che denunciava la violenza dell’imperalismo e del colonialismo romano, giunto fino ad espropriare i Sardi della loro terra, della loro libertà, perfino della loro lingua. Eppure in Barbagia e sul Tirso sopravviveva uno zoccolo duro conservativo, resistente e chiuso, che giustificava la continuità di una linea culturale ed artistica barbarica ed anticlassica, che per Lilliu era possibile seguire e documentare fino ai nostri giorni. Nei momenti di passaggio tra una potenza e l’altra, questa cultura locale riuscì ad esprimersi con prepotenza in maniera decisamente originale.

Ricorrono nei suoi scritti alcuni grandi maestri, come non citare Antonio Gramsci, ma anche Camillo Bellieni, Emilio Lussu, quest’ultimo visto come il Sardus Pater, che nel Santuario di Santa Vittoria di Serri, assieme a Ranuccio Bianchi Bandinelli, gli sembrava il demiurgo ideale della sua gente.

La storia della Sardegna era fondata dunque su quella che Lilliu chiamava una costante residenziale e libertaria dei Sardi, che illuminava il fondo dell’identità di un popolo perseguitato ed oppresso ma non vinto. A quest’anima profonda di una nazione vietata e compressa, di una nazione perduta o proibita (come non pensare a Camillo Bellieni ?) rimanderebbe la cultura alternativa popolare sarda, non quella delle città, ma quella dei paesi dell’interno: anche la nomenclatura ed i valori erano allora ribaltati, se barbarica e selvaggia erano due categorie positive e contrastive della diversità del processo della storia del mondo, contro l’integrazione e la monocultura imposta dall’esterno.

Lilliu ha certo anticipato gli studi più recenti sulla resistenza, che hanno anche un profondo significato politico e che si proiettano sull’attualità, per costruire la nuova autonomia della Sardegna contro ogni forma di dipendenza, per Lussu una di quelle pazzie che sono il sale della terra: da qui l’invito agli uomini del palazzo, ai Consiglieri Regionali perché recidessero ogni cordone ombelicale che li legava alle case madri.

Nel clima un po’ triste del fallimento del regionalismo per l’azione deludente, debole e svogliata di tanti politici sardi, c’era forse ancora una strada maestra, per Lilliu ed era quella di riprendersi il passato e di farlo giocare come elemento di identificazione nella società che cambia, perché contro la crisi esistenziale della Sardegna occorreva ribadire che un popolo che non ha memorie è un gigante dai piedi d’argilla.

Quando il Presidente Soru gli conferì cinque anni fa l’onorificenza del Sardus Pater, Lilliu aveva rinnovato il suo appello contro ogni forma di centralismo, per il trasferimento di competenze in materia di beni culturali dallo Stato alla Regione, perché riteneva che il patrimonio culturale potesse essere un insieme di risorse umane e ambientali capaci di produrre  una domanda sociale. E il patrimonio archeologico gli sembrava un insieme di materiali per l’identità della terra e del popolo sardo.

Oggi il nostro Maestro lascia all’Università, alle Soprintendenze, all’Istituto Regionale Superiore Etnografico, ai suoi allivi, a tutti i Sardi, tanti messaggi vitali e tante raccomandazioni preziose, un’eredità fatta di speranze, di emozioni, di progetti.




Elementi russi nell’identità del Mediterraneo.

Intervento di Attilio Mastino
Elementi russi nell’identità del Mediterraneo
Sassari, 13 febbraio 2012

Cari amici,

ho l’onore di aprire a nome dell’Università di Sassari questo XXXII Seminario sulla cooperazione mediterranea promosso dall’Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo e dal nostro Ateneo, nell’ambito delle celebrazioni per i 450 anni, in collaborazione con l’Unità di ricerca Giorgio la Pira del CNR-Università di Roma La Sapienza.

Saluto gli illustri ospiti, SE l’amico on..le Massimo Vari, Sottosegretario di stato del Ministero per lo sviluppo economico, il presidente dell’ISPROM l’on.le Salvatore Cherchi, il direttore prof. Pierangelo Catalano, soprattutto i nostri ospiti russi: guidati dal prof. Mikhail G. Nosov, vicedirettore dell’Istituto d’Europa dell’Accademia delle scienze di Russia, dal prof. Sergej N. Baburin, Rettore dell’Università Statale Commerciale-Economica Russa, dal prof. Aleksandr K. Golicenkov, Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università statale Lomonosov di Mosca, gli altri studiosi dell’Istituto di Storia russa dell’Accademia delle scienze di Russia, del Laboratorio di ricerche geopolitiche dell’Accademia delle scienze, del Dipartimento relazioni esterne del patriarcato di Mosca.

Grazie anche all’Ambasciatore prof. Luigi Vittorio Ferraris ed agli altri ospiti. Infine saluto il prof. Oleg Osipov, direttore del Centro Russo di scienza e cultura in Italia del RosSotrudnicestvo, Agenzia federale per gli affari della Comunità degli stati indipendenti, dei connazionali residenti all’estero e per la cooperazione umanitaria internazionale, con il quale oggi firmeremo un importante accordo di cooperazione scientifica, che promette significativi sviluppi.

Un cordiale benvenuto a tutti in una Sardegna imbiancata di neve in modo assolutamente inusuale e cari auguri di buon lavoro.

Il tema del rapporto tra la Russia e il Mediterraneo viene affrontato da alcuni decenni nell’ambito dei fortunati Convegni Da Roma alla terza Roma, promossi dall’Università La Sapienza, ai quali anche io ho più volte partecipato, seguendo il filone culturale che collega Roma a Costantinopoli e a Mosca.

Oggi faremo un passo in avanti,  presentando gli atti del XXXI seminario svoltosi un anno fa a Carbonia e  cercando di enucleare gli elementi russi che hanno concorso fin dalle origini all’identità profonda del Mediterraneo.

Mi perdonerete se per un attimo vi porterò indietro nel tempo, per definire un ambito geografico, quello della Russia che si affaccia sul Mar Nero, che da sempre ha interagito ed è stato ritenuto profondamente collegato al Mediterraneo, il mare nostrum, degli antichi, studiato di recente da Paola Ruggeri.

Erroneamente Franco Cassano considera <<L’espressione latina mare nostrum, odiosa per il suo senso proprietario>> e sostiene che essa <<oggi può essere pronunziata solo se si accetta uno slittamento del suo significato. Il soggetto proprietario di quell’aggettivo non è, non deve essere, un popolo imperiale che si espande risucchiando l’altro al suo interno, ma il <<noi>> mediterraneo. Quell’espressione non sarà ingannevole solo se sarà detta con convinzione e contemporaneamente in più lingue>>.

In realtà l’espressione Mare nostrum non è originariamente romana, ma fu coniata in ambiente greco già con Platone, comunque molti secoli prima  delle conquiste orientali di Roma, par’emin thalasse. Per Paolo Fedeli, questo è un chiaro esempio ancora una volta della mediazione effettuata dai Latini di fronte all’eredità culturale dei Greci. Del resto sappiamo che la geografia greca cresce a dismisura nel tempo e nello spazio, con le colonne d’Ercole innanzi tutto, che si spostano dalla Grande Sirte progressivamente in direzione dell’Oceano verso occidente e in direzione del Mar Nero verso oriente. Il punto di raccordo fra la tradizione greca e quella romana è unanimemente individuato in un passo del III libro delle Storie di Polibio, che fa giungere il Nostro Mare fino al Tanais, cioè fino al fiume Don che sbocca nel Mard’Azov, presso la penisola di Taman, dove si svolgeranno a breve le ricerche archeologiche dell’Università di Cagliari.

Nell’antichità ad indicare gli estremi sono miticamente Eracle, che pone le sue colonne sull’Atlantico e Dioniso in direzione del mondo scitico fino all’India.

In questi giorni debbo presentare il volume Quale futuro per gli studi classici in Europa curato da Luciano Cicu, con un importante articolo di Ija Majak dell’Università Lomonosov sullo studio della storia dell’antichità classica nella Russia di oggi.  In quella sede Paolo Mastandrea ci ricorda che la letteratura greca inizia con Omero tremila anni fa: Ulisse rappresenta il vero capostipite dell’uomo, legato al legno della barca, tra i canti delle sirene, paragonato all’uomo che si attacca al legno della salvezza, cioè alla croce, per navigare sul mare della vita, attraverso stratificazioni successive fino al cristianesimo. Sappiamo che la letteratura latina nasce con un atto di fondazione che è la traduzione dell’Odissea da parte di Livio Andronico. Ancora una volta Ulisse.

In parallelo al mito di Ulisse, Ferruccio Bertini colloca il mito di Medea, la regina originaria della Colchide occupata dagli Sciti al margine orientale del Ponto Eusino (Lazi, Moschi, Abasei, Suani, Coraxi). Il mito di Medea come quello di Ulisse possiede un valore eterno, soprattutto per noi che lo abbiamo creato: non possiamo rinnegarlo, perché è ancora in grado di parlarci, di porci interrogativi, di offrirci risposte. Medea ha significato e continua a significare, al di là dell’infanticidio rituale, il problema del rapporto tra identità e diversità, tra somiglianza e alterità, perché <<Medea è una regina straniera che si trova  a vivere “da immigrata” ante litteram, nel mondo greco civile e a lei estraneo, mentre lei è portatrice di valori culturali di un’altra civiltà>>.  Figlia di Eeta, innamorata di Giasone, Medea aiuta gli Argonauti ad impadronirsi del vello d’oro e poi  a fuggire dalla Colchide, ad attraversare il Mar Nero e a raggiungere Creta, la Grecia, Corinto.

Siamo di fronte a miti geografici che legano decisamente il Mar Nero al Mediterraneo e la Colchide abitata dagli Sciti con le colonie greche e poi romane della costa pontica mesica e tracica fino al Bosforo Cimmerio ed al Caucaso.

La conquista romana, l’occupazione da parte di Pompeo Magno del Ponto, gli accordi di Augusto signore del cielo, della terra, del cosmo con la Regina Dunamis filoromaios, anticipano di mille anni la traslatio imperii da Roma a Costantinopoli e da Costantinopoli a Mosca terza Roma, ma insieme testimoniano una dimensione geografica che è anche culturale dell’aggregazione del Ponto Eusino al Mare Nostro.

Capirete perciò l’interesse di un antichista come me per un discorso che si estende nel tempo e che sopravvive fino i nostri giorni e che ho potuto ritrovare leggendo molti degli articoli del volume degli Atti dell’incontro di Carbonia e l’0articolo di Salvatore Bono su il Mediterraneo e la Russia.

C’è un mondo intero che abbiamo davanti e che ho potuto iniziare a scoprire in occasione del Convegno di diritto romano promosso dalla nostra Facoltà di Giurisprudenza tra l’Accademia delle Scienze di Mosca, l’Università Lomonosov e Yarloslav, sulle sponde del Volga.

Abbiamo continuato quella collaborazione con la rivista Jus Antiquum, con le tante iniziative promosse dal prof. Giovanni Lobrano, Francesco Sini, Rosanna Ortu e altri.

Abbiamo esteso il numero degli accordi internazionali, quello con l’Istituto Giuridico di San Pietrburgo della Procura Generale della Federazione Russa nel campo delle scienze giuridiche, politiche, storiche e umanistiche; quello con l’Università Accademica del Diritto di Mosca, quelli con l’Istituto America Latina e l’Istituto di storia Universale dell’Accademia delle scienze di Russia, quella con l’Università statale Lomonosov di Mosca nel campo delle Scienze Giuridiche e dell’Architettura, quella con il Vavilov Research Institute di San Pietroburgo nel campo della conservazione della biodiversità per iniziativa del prof. Ignazio Camarda, quello con l’università statale di Arte e Cultura di San Pietroburgo a proposito delle scienze politiche, delle scienze dell’informazione e umanistiche per iniziativa della dott.ssa Laura Rosenkranz, quello con l’Università statale di Cultura e Arte di San Pietroburgo, ecc.

Si è andato sviluppando uno scambio anche a livello studentesco, attraverso l’ampio utlizzo del programma Ulisse finanziato dal nostro Ateneo.

Nello specifico della Facoltà di Lingue, nella cattedra di lingua e letteratura russa convergono differenti interessi scientifici  e differenti percorsi di ricerca, che si sono andati organizzando nei nuovi Dipartimenti di storia, scienze dell’uomo e della formazione e di Scienze umanistiche e sociali, che si coordineranno nella futura struttura di raccordo di Lettere e Lingue.

La Dott.ssa Alessandra Cattani è ricercatrice confermata in Slavistica. Si occupa principalmente  di letteratura russa dell’ottocento, in particolare dell’opera di Nikolaj Gogol’ che viene analizzata con un approccio di tipo ermeneutico quadridimensionale (secondo la scuola della Prof.ssa Lena Szilard) nella sua variante bachtiniana. Si è occupata anche di linguistica e di traduzione di corpora.

Tra i numerosi contatti internazionali, figurano l’Università Statale di San Pietroburgo, l’Accademia delle Scienze (nelle persone dei Proff. Boris Valentinovič Averin e Maria Virolainen), la ELTE University di Budapest. Grazie alla collaborazione con personalità appartenenti a comunità scientifiche nazionali e internazionali di slavistica si sono organizzati diversi convegni che hanno riscosso l’interesse della comunità (“Il mito della città”; “Il dialogo sul multiculturalismo” –con la gradita presenza dell’artista, ormai scomparso, Dmitrij Aleksandrovič Prigov-; “La Russia con un accento mediterraneo”). Grazie a questi contatti e ad altri in fieri, che speriamo di concludere a breve, gli studenti hanno la possibilità di recarsi in Russia per approfondire lo studio della lingua. L’Università di Sassari, inoltre, accresce questa possibilità grazie al programma Ulisse che garantisce una copertura notevole di spesa e che già l’anno scorso si è svolto in modo soddisfacente.

L’esperienza della Dott.ssa Francesca Chessa nell’ambito della slavistica proviene dagli anni di insegnamento presso la cattedra di Lingue Romanze all’Università Lomonosov di Mosca nella fine degli anni settanta e metà degli anni ottanta. Ha conosciuto sopratutto attraverso una esperienza personale il mondo accademico e letterario sovietico degli anni settanta e ottanta a Mosca. Ha studiato la letteratura del samizdat’ e sopratutto la poesia, si è occupata della letteratura del dissenso attraverso l’attività del PEN CLUB Sardo di cui è segretaria generale dal 1998. Ha preso parte come rappresentate del PEN CLUB Sardegna agli incontri internazionali e di recente agli incontri Slovenia L’istituzione di una cattedra di Lingua e letteratura russa, presso la Facoltà di lettere nel corso di Laurea in Lingue e letterature straniere nel 1990 è avvenuta grazia all’assegnazione di un posto per intervento del Ministero degli Affari Esteri. Dalla metà degli anni Ottanta-Novanta ha fatto circolare, pubblicare e invitare, in Italia, in Scozia, in Inghilterra, scritti e scrittori di quel periodo, tra essi Sedakova e Prigov. Si  occupa di traduzione letteraria e di scienza della traduzione. E’ traduttrice dei versi, dei saggi e degli scritti autobiografici dell’autrice contemporanea Olga Sedakova, della quale sta pubblicando un volume in italiano presso la casa editrice Aracne. La sua ricerca incrocia diversi interessi, quelli letterari e linguistici con applicazioni informatiche, che ha presentato in vari programmi europei del Multilingual WEB. La Sedakova ha preso parte al primo programma di visiting professor, dell’Università degli studi di Sassari e contribuito alla ricerca su Dante delle Università di Milano e Sassari, della associazione milanese: Esperimenti Danteschi; Nell’ambito delle celebrazioni su Dante la dott.ssa Chessa ha trdotto due dei saggi di O. Sedakova, presentati a Sassari e a Milano.  Ha partecipato al recente programma di celebrazioni di Brodskij a Venezia, con la traduzione italiana di O. Sedakova In memoria del poeta, nel volume stampato a cura di Katia Margolis recentemente a Venezia. Il volume Venezia: Paradiso ritrovato contiene poesie, di cui alcune inedite, di undici poeti russi, tra i quali Jurij Kublanovskij, Olga Sedakova, Bakhyt Kenjeev, Viktor Kulle, Evgenij Rein, Lev Losev. Il progetto si avvale del patrocinio del Ministero dei Beni culturali della Russia ed è iscritto nell’ambito dell’Anno della Cultura russa in Italia.

Attualmente la cattedra di russo si avvale della collaborazione del Dott. Conti, studioso dagli interessi a carattere prevalentemente filologico – linguistico in ambito russistico e polonistico. Altri collaboratori della cattedra sono il Dott. Giuseppe Mussi, letterato e linguista, che ha conseguito recentemente il dottorato  con una tesi sull’Oblomov di Gončarov e che si occupa anche di poesia russa del ‘900; la Dott.ssa Valeria Pala, linguista e letterata, che si è occupata dell’interpretazione del testo letterario nell’idea di Gramsci e Bachtin.

Grazie al sapiente lavoro degli insegnanti Collaboratori esperti linguisti del Centro Linguistico di Ateneo diretto dalla prof.ssa Simonetta Sanna, Dott. Igor’ Kopylov ed Elena Tchikisheva, l’insegnamento della lingua russa è seguito da numerosi studenti che, oltre alle lezioni universitarie, possono usufruire dei corsi POR proposti dal Centro Linguistico di Ateneo.

Mi scuso se mi sono dilungato e Auguro che anche con il seminario di oggi si rilanci una collaborazione che consideriamo preziosa per il nostro Ateneo.

Grazie e Buon Lavoro.




Giornata della memoria. Intervento di Attilio Mastino a Padru.

Intervento di Attilio Mastino a Padru
Giornata della memoria

29 gennaio 2012

Signor Sindaco,

ringrazio di cuore per l’invito e volevo per un attimo associarmi ai saluti ed alla riflessione sulla Shoah,  un tema che deve entrare nelle scuole e nelle università non in modo generico, ma presentando un caso, spiegando una figura, illustrando un personaggio.

Il Presidente Buttiglione ha parlato di Europa e volevo per un attimo ricordare la visita di Simone Veil, ex Presidente del Parlamento Europeo alla nostra Università e l’incontro a Roma al Liceo ebraico al Portico d’Ottavia: ne conservo il ricordo prezioso di una occasione straordinaria per conoscere dall’interno il tema della deportazione e della Shoah, ma anche per riscoprire le radici dell’Unione europea e per trovare nuovi motivi per amare la Francia. In quell’occasione Simone Veil mi era apparsa, al di là della superficie, come una donna piena di sentimenti e di passioni, capace di infiammare gli animi,  ricca di esperienze e di ricordi, insieme una donna positiva che aveva ancora un ruolo importante da giocare in Europa con la sua  capacità visionaria, il suo senso morale, la sua stessa inflessibile severità contro tutti i conservatorismi.

Ho letto l’autobiografia, Une vie, pubblicata a Parigi dall’editore Stock, che prende il titolo da un romanzo di Maupassant e che è dedicata al ricordo delle tante persone scomparse: la madre Yvonne morta di tifo nel campo di Bergen-Belsen, il padre André ed il fratello Jean, uccisi dai tedeschi a Kaunas in Lituania e ancora la sorella Milou dolce compagna di prigionia ed il figlio Nicolas, scomparso ancora giovane. Infine la nuova famiglia, fatta ora di 34 tra figli, nipoti e pronipoti.

Simon Veil possiede la rara capacità di raccontare una vita ricca di avvenimenti con semplicità, con lucidità e senza enfasi, magari soffermandosi su un particolare minuscolo che però coglie la profondità dell’orrore nazista, come quando recentemente gli è stato consegnato il registro dove l’amministrazione francese di Vichy aveva  puntigliosamente registrato il versamento di 700 franchi dopo che la madre e le due ragazze erano state catturate dalla Gestapo a Nizza e trasferite provvisoriamente a Drancy, sulla strada per il campo di sterminio di Auschwitz. Un segno dello strabismo o addirittura della schizofrenia dei burocrati, impegnati a inseguire scrupolosamente i dettagli ma incapaci di scorgere la sostanza, l’orrore della storia, mélange de rigeur paperassière et d’aveuglement moral de l’administration. E poi la marcia della morte, per oltre 70 km, scappando dalle barriere elettrificate di Auschwitz prima dell’arrivo dell’Armata Rossa e poi in treno fino a Bergen-Belsen, il campo reso celebre da un recente documentario di History Channel, dove  infieriva un’epidemia di tifo che gli stessi inglesi liberatori non sapevano affrontare.

Dunque la gioia di una fanciullezza tenera e felice  nella villa Kerylos à Beaulieu, la casa-museo del celebre archeologo Théodore Reinach, il calore del focolare, poi le sofferenze della guerra nel Midi occupato dalle truppe italiane, dopo l’armistizio l’arrivo della Gestapo a Nizza, la discesa agli inferi con la deportazione fino al campo di sterminio accolti dal dott.  Mengele, le umiliazioni, ma anche le piccole solidarietà con gli stessi carnefici. Dopo la liberazione nel maggio 45 la voglia forte di rinascere e ricostruire, di trovare una famiglia, di impegnarsi nel lavoro di magistrato, di entrare in politica difendendo la laicità dello stato, i diritti umani, la memoria dello sterminio, sempre ricoprendo incarichi di rilievo e funzioni alte e significative, come quando fu Ministro della Sanità prima con Giscard d’Estaigne e Chirac e poi con Mitterrand e Balladour. Oppure quando fu chiamata per 7 anni a far parte del Conseil constitutionel. Scorre in queste pagine un intero secolo di storia, tra colonizzazione e decolonizzazione,  come in Algeria in occasione dell’ispezione generale nell’orrore delle carceri francesi, oppure in Israele, una terra dove c’è troppa storia ma non abbastanza geografia. Soprattutto c’è una missione da compiere, quella di perdonare, di avviare una riconciliazione, di ritrovare un’amicizia profonda con il popolo tedesco, unica strada per garantire un futuro di pace per l’ Europa, per la libertà ed il progresso sociale, le tre sfide del suo discorso di Strasburgo. Pronunciato nel luglio 1979 al momento dell’elezione a Presidente del parlamento europeo, il discorso rende bene  l’impegno per la costruzione di un’Unione Europea fondata sul suffragio universale e sul voto diretto dei cittadini e proiettata verso la nascita di una federazione di stati culturalmente omogenei, sensibili ai temi della solidarietà, dell’indipendenza e della cooperazione. L’Europa in futuro potrà diventare un isolotto di libertà in un mondo ancora troppo ingiusto e diviso, spesso preda di regimi violenti e repressivi.   Dunque Simon Veil era a Berlino in occasione della caduta del muro e si è battuta per la riunificazione tedesca, poi per il dialogo Euromediterraneo, per un rapporto con i paesi della riva Sud, a favore della nascita dello stato palestinese, per la nuova costituzione europea, la cui bocciatura nel 2005 gli sembra un disastro causato anche dal referendum francese. Come Ministro della Sanità si è impegnata a capire le ragioni delle donne e dei malati di AIDS, si è battuta contro la droga, si è schierata contro la demagogia delle 35 ore e dello Stato provvidenza, contro le discriminazioni di ogni tipo e per l’integrazione degli immigrati.

Nei tempi dell’antisemitismo, del terrorismo islamico, della negazione arrogante della Shoah, Simone Veil testimonia con il numero impresso sul suo braccio la realtà dell’olocausto, ricorda con rimpianto la tragica sorte dei milioni di ebrei uccisi che avrebbero potuto diventare filosofi, artisti, letterati, studiosi; e insieme si batte per ristabilire l’onore della Francia e dell’Europa, rivalutando il ruolo dei Giusti, di coloro che hanno difeso i perseguitati e di coloro che hanno fatto parte della Resistenza, come la sorella Denise.  Simone, anche nel dolore personale, è riuscita ad esprimere la solidarietà ed il rimpianto per i 400 mila ungheresi deportati e gasati, continua oggi a provare sentimenti di compassione anche per gli zingari, per i popoli della Cambogia, del Rwanda del Darfour, e per i tanti altri perseguitati.

Il suo è un forte impegno contro il settarismo, la xenofobia, il razzismo, i crimini di massa, per affermare nuovi valori umani di progresso e di sviluppo che ammiriamo davvero e che rappresentano un’eredità preziosa che ci è cara.

Con questo libro l’Università di Sassari intende rendere omaggio ad una donna forte e sensibile, ma con lei a tutte le donne ed agli uomini di buona volontà che hanno sofferto, hanno combattuto ed hanno costruito un futuro migliore per tutti.

Oggi, qui a Padru, rinnoviamo l’impegno della memoria, che vale in particolare nella scuola e nell’Università, verso le nuove generazioni di giovani che non debbono ripetere gli errori del passato.




Inaugurazione del 450° Anno Accademico.

Inaugurazione del 450° Anno Accademico
Sassari, 16 gennaio 2011

Intervento del Rettore prof. Attilio Mastino
Senza l’Università non c’è futuro per la Sardegna e per il Paese


Autorità, cari amici,

Ho avuto modo di rileggere in questi giorni il volume Quadringentesimo anno dell’Universitas Turritana Sacerensis pubblicato dall’editore Gallizzi il 30 maggio 1962 in occasione del faustissimus eventus delle celebrazioni dei quattrocento anni di vita del nostro Ateneo, l’Alma in Sardinia mater studiorum.

Confluivano in quella solenne giornata di 50 anni fa al teatro Verdi le delegazioni delle 6 Facoltà, con oltre cento rappresentanti di università europee e si sommavano tante circostanze: la malattia del Rettore Marginesu, la nomina del nuovo Rettore Costa, l’elezione del Presidente della Repubblica Segni presente alla cerimonia, l’approvazione del Piano di rinascita, la pace ventennale dopo una guerra sanguinosa; infine le speranze per il futuro di una università in pulcherrima insula sita che traeva origine 400 anni prima dal testamento di Alessio Fontana funzionario di cancelleria di Carlo V ma che guardava lontano: .

Nel messaggio del Principalis dell’Università di Glasgow si definiva l’Academia sassarese insulae amoenae praecipuum decus et ornamentum, in medicina, in iure civili, in oeconomia rustica, in rerum naturalium cognitione, collegando i larghi frutti scientifici al detto oraziano opimae Sardiniae segetes feraces e alle turres illae antiquissimae atque adhuc arcanae, vulgo “nuraghi”. In queste parole c’è una distanza culturale grandissima percorsa in questi cinquanta anni e insieme la sintonia con obiettivi alti e un orizzonte internazionale che permangono ai nostri giorni.

Per Pierre Louis, rettore dell’Università di Lione, il prestigio dell’Ateneo collega la Sardegna.

Oggi guardiamo con maggiore distacco ai decenni formativi dell’Ateneo Sassarese, alla nascita del Collegio gesuitico nel 1562, pensando alla nascita nel 1612 dei corsi di Filosofia e Teologia e vent’anni dopo alla trasfornazione del Collegio in Università di diritto regio.

Celebreremo solennemente i nostri 450 anni di vita nel mese di marzo, ma intanto vogliamo aprire questo anno accademico pensando alla nuova università che insieme stiamo rifondando, dando esecuzione ad una legge, la n. 240 del 30 dicembre 2010, che non possiamo valutare positivamente, che ci ha dato tante amarezze, che è in qualche modo espressione del mito dell’aziendalizzazione delle università e del valore commerciale del sapere, ma che paradossalmente oggi è diventata la nuova frontiera per difendere l’autonomia universitaria, per valorizzare il merito, per conservare un patrimonio che ereditiamo con emozione, consapevoli che saremo giudicati per quello che non saremo stati capaci di fare, soprattutto se non affronteremo alcuni problemi centrali e alcune minacce: la spaventosa diminuzione delle risorse specie nel Mezzogiorno, lo scardinamento dell’intera struttura degli Atenei e la confusa ricomposizione dei Dipartimenti su nuove basi, l’indebolimento del Senato, la riduzione delle rappresentanze, l’impoverimento dei momenti di democrazia e di confronto, la ulteriore precarizzazione dei ricercatori dopo anni di duro apprendistato, la generale confusione di ruoli, di compiti, di obiettivi; elementi che richiedono politiche di integrazione che correggano il modello centralistico di base e combattano il rischio di un’ulteriore stretta oligarchica, confermata dall’espulsione dei ricercatori sia dalle commissioni di concorso sia dai requisiti per i dottorati.

E ciò all’indomani dell’adozione da parte dei due Governi che si sono succeduti di severe misure per il risanamento del bilancio dello Stato che hanno bloccato gli aumenti retributivi del personale universitario e gli scatti di anzianità, provvedimenti che colpiscono soprattutto i più giovani; per non parlare delle limitazioni al turn over, del blocco dei concorsi, del taglio del fondo di finanziamento ordinario degli Atenei con la minaccia dell’introduzione del penalizzante costo standard per studente; ancora la nuova formula dei Progetti di ricerca PRIN che privilegia le università specialistiche e i grandi gruppi di ricerca. Nessuno riuscirà a convincerci che per innalzare la qualità del sistema universitario italiano sia necessario tagliare in tre anni del 13% le risorse, già spaventosamente insufficienti nel confronto europeo; la loro ulteriore riduzione è una minaccia per quegli Atenei che intendono recuperare situazioni di svantaggio.

Siamo consapevoli della crisi economica, finanziaria e anche morale che il Paese attraversa e non ci sottraiamo all’obbligo di dare un contributo efficace per superarla, perseguendo obiettivi di risparmio, di efficienza, di efficacia, non sottraendoci ai sacrifici richiesti a tutto il Paese. Chiediamo un ulteriore impegno al Prorettore, alla nostra cara Laura, al Direttore Guido Croci, alla Giunta di Ateneo, ai delegati, ai membri delle commissioni, al Senato, al Consiglio di amministrazione, al Garante degli studenti, alla Presidente delle pari opportunità, ai componenti del Nucleo di Valutazione e dei Revisori. Infine agli amici della segreteria del Rettore e della Direzione amministrativa, agli studenti collaboratori, ai dirigenti, agli impiegati degli uffici, ai bibliotecari, ai tecnici, ai sindacati, perché tutti ci si rimbocchi le maniche e ci si metta al servizio di un Ateneo che ha una storia e una dignità da difendere, un’immagine da tutelare, con l’esigenza di portare avanti un munus, dando esempi di comportamenti virtuosi, basati sulla necessità di mettere al primo posto gli interessi della res publica. Siamo dalla parte innanzi tutto degli studenti e dei ricercatori e ogni nostro sforzo sarà indirizzato a difendere i loro diritti, ma anche a chiedere impegno e responsabilità, decisi a valutare il lavoro di ciascuno e noi a rispondere dei nostri limiti e delle nostre incapacità, in un quadro di rigore e responsabilità che dovrebbero accompagnare sempre l’autonomia e l’autogoverno.

Chiediamo metodi nuovi di valutazione che fondino un sistema premiante rigoroso, che consideri le specificità disciplinari e i contesti territoriali in cui opera ciascuna università attraverso indicatori di contesto relativi alle condizioni di sviluppo regionali. Ci richiamiamo all’art. 119 della Costituzione, che impone risorse aggiuntive ed interventi speciali, per promuovere la coesione nazionale e la solidarietà sociale e per rimuovere gli squilibri economici. Non si cambia senza investire. Occorre lavorare per reperire nuove risorse, in questa sorta di competizione globale nella quale ci muoviamo, che non può distrarci dalla necessità di interpretare la ricerca scientifica il più possibile liberata dai vincoli burocratici, che spesso ci sfiancano e distraggono i giovani dal vero compito che è quello di pensare e di crescere insieme.

La Regione Sarda è stata dalla nostra parte, ha difeso le due Università storiche, che vogliono continuare ad essere punto di riferimento per il territorio, mettendo in relazione dialettica la ricerca umanistica e la ricerca sperimentale, con applicazioni e trasferimenti a favore delle aziende. L’Università vuole aprire e non chiudere la Sardegna, richiamando però le radici e le esperienze dei padri dell’autonomia speciale, ai quali riconosciamo una profondità e un rigore che vanno ben oltre la superficialità di alcune teorie federaliste dell’oggi, fondate su prepotenti egoismi e incapaci di farsi carico dei problemi di tutti.

Con i suoi 665 docenti, con i suoi 583 tecnici, amministrativi, bibliotecari, con i suoi 26 collaboratori esperti linguistici, con i suoi 15.561 studenti e oltre mille dottorandi e specializzandi, l’Università di Sassari è una risorsa e non un peso. Lo diremo al Presidente Giorgio Napolitano il 21 febbraio in occasione della sua visita a Sassari. Gli investimenti in conoscenza sono necessari; in Sardegna il compito dell’Università è cruciale ed è necessario arrivare alla nascita di un sistema regionale integrato in piena sinergia tra i due Atenei, con un modello di università a rete aperta ad una dimensione internazionale.

Troviamo ragioni nuove per una convergenza con l’Università di Cagliari, una forte sintonia con il suo Rettore Giovanni Melis: stiamo scrivendo il testo dell’accordo di federazione previsto dal nostro statuto e garantiremo la consultazione dei due Senati Accademici, all’interno di un Sistema universitario unitario che mantenga ben distinte le due università storiche con il loro patrimonio di relazioni. Eppure non riteniamo che il rapporto di prossimità possa assorbire tutto l’orizzonte di iniziative che invece debbono orientarsi su un piano europeo, mediterraneo e internazionale, facendo leva sui rapporti avviati entro la rete delle 21 università catalane, il coordinamento tra le Università insulari, l’Unione delle Università del Mediterraneo e l’Università Euro-mediterranea. Saranno avviate numerose iniziative nuove per potenziare rapporti di collaborazione, con singole Università, con reti universitarie e con centri di promozione culturale, in particolare con il Centro russo di scienza e cultura e l’istituto cinese “Confucio” attraverso Uni-Italia.

Il registro delle visite ufficiali testimonia efficacemente la ricchezza dei rapporti avviati con Università e Istituzioni di tutto il mondo. L’orizzonte che abbiamo di fronte è quello dell’Europa 2020, un’Europa che si definisce intelligente, sostenibile, inclusiva, nella quale entreremo col nostro capitale umano e intellettuale, con le nostre risorse materiali e immateriali, con le nostre tecnologie. Anche con i nostri problemi, se è vero che stiamo attraversando il cuore di una crisi che tocca innanzi tutto il mondo del lavoro giovanile: gli operai della Vinyls e dell’Alcoa sono solo la punta di un’avanguardia consapevole di lavoratori decisi a salvare la Sardegna dal naufragio, di fronte alle oltre mille aziende in crisi, agli oltre 4000 posti di lavoro persi nell’industria, all’incremento della disoccupazione giovanile, alle dimensioni spaventose assunte dalla cassa integrazione, alle 350.000 persone sotto la soglia di povertà.

Per queste ragioni lascerei veramente da parte stasera il tradizionale bilancio enfatico delle attività portate a termine in questo intenso e difficile anno che ci lasciamo alle spalle: ci sono i documenti che parlano per noi e che testimoniano un impegno quotidiano generoso di tanti protagonisti che ci sono cari. Mi limiterei a richiamare i risultati positivi conseguiti dall’Ateneo nelle tante classifiche nazionali, come quelle del Ministero e di CENSIS Repubblica che ci vede al terzo posto tra i medi atenei. Il buon risultato è stato ottenuto grazie alle strutture, alle borse di studio, al sito web di Ateneo. Fra le Facoltà, Architettura si colloca ai vertici della classifica italiana al secondo posto.

Voglio dire subito che dal nostro osservatorio cogliamo tanti segnali di speranza, tanto impegno, tante aree di eccellenza: abbiamo aperto le celebrazioni per i 450 anni premiando con un tablet i nostri 450 migliori studenti, che sono veramente al centro dei nostri progetti. Voglio ricordare anche il recente premio nazionale ottenuto dalla giovane economista  Francesca Piga, col progetto Campus mentis. Per non parlare del premio Unesco assegnato alla nostra chimica Valeria Alzari, riconoscimento insieme per una scuola scientifica e per un impegno personale. E poi i risultati dei nostri studenti in mobilità, i tanti programmi in corso, le tante idee in campo che emergono anche dai progetti presentati agli Enti pubblici e alla Fondazione Banco di Sardegna.

Più utile mi sembra declinare questa relazione al futuro e volgere uno sguardo ai tanti impegni che ci aspettano fin dai prossimi mesi, convinti come siamo che soprattutto nei momenti di crisi sia compito degli amministratori pubblici accelerare il passo, mettere a disposizione progetti, indicare soluzioni, dare risposte alle esigenze, evitare di far dormire per decenni le risorse.

Inizieremo portando avanti la riforma della struttura stessa dell’Università, avviando l’iter per la costituzione delle Strutture di raccordo (Facoltà o Scuole Politecniche) e per il rinnovo di tutti gli organi accademici.

Prendono servizio oggi i nuovi direttori dei 13 Dipartimenti, che rappresenteranno la cellula di base nella quale didattica, ricerca, trasferimento a favore del territorio si incontrano, come è previsto nel nuovo statuto pubblicato il 23 dicembre sulla Gazzetta Ufficiale. Auguri di cuore ai nuovi Direttori, Giuseppe Pulina per il Dipartimento di Agraria, Arnaldo Cecchni per Architettura, Pierfranco Demontis per Chimica e Farmacia, Francesco Sini per Giurispudenza, Marco Breschi per Economia, impresa e regolamentazione, Salvatore Naitana per Medicina Veterinaria, Mario Trignano per Scienze chirurgiche, microchirurgiche e mediche, Andrea Montella per Scienze biomediche, Ninni Delitala per Medicina clinica e sperimentale, Giuseppe Meloni per Storia, Scienze dell’uomo e della formazione, Gavino Mariotti per Scienze umanistiche e sociali, Antonietta Mazzette per Scienze Politiche, comunicazione e Ingegneria dell’informazione, Sandro Dettori per Scienze della natura e del territorio.

Siamo orgogliosi del risultato raggiunto, che si deve soprattutto ad una splendida Commissione statutaria che ha saputo guardare lontano, al Senato Accademico, al Consiglio di Amministrazione, perché lo statuto è stato veramente opera di tutto il corpo accademico: e questo spiega la sua consistenza, il suo peso, la sua anima profonda.

A partire dal I gennaio sono stati disattivati i 27 vecchi dipartimenti e progressivamente scompariranno le 11 Facoltà. Consentitemi di ringraziare per l’intensissimo lavoro svolto Direttori e Presidi che escono di carica. Eleggeremo al più presto le rappresentanze studentesche, magari in una unica tornata.

L’impianto finanziario subirà un grande cambiamento con il bilancio unico d’Ateneo e l’adozione della contabilità economico-patrimoniale. Chiuderemo oltre 20 centri di spesa, garantendo risorse ai 13 poli dipartimentali,  e ciò sulla base anche di indicatori premiali. Discuteremo il futuro dei Centri di Ateneo, dei Centri interdipartimentali come l’NRD o il Centro per la biodiversità vegetale, dei Centri di area medica o umanistica, dei laboratori, delle Aziende.

Costituiremo il nuovo sistema dei Centri di Responsabilità, garantendo una formazione manageriale ai Direttori di Dipartimento. Contiamo davvero in un impegno rinnovato dei dirigenti vecchi e nuovi: ci ha raggiunto in questi giorni, proveniente dal Ministero, la nuova dirigente della Programmazione Sonia Cafù.

In questo contesto anche il modello organizzativo delle strutture Dipartimentali verrà rivisitato attraverso una maggiore valorizzazione delle figure del Segretario amministrativo, del Manager didattico, nonché attraverso l’inserimento di operatori a supporto dell’ internazionalizzazione, della mobilità studentesca, della rendicontazione di progetti comunitari.

Aggiorneremo la Programmazione strategica e daremo attuazione al Piano delle performance con i suoi obiettivi strategici, obiettivi operativi, indicatori.

Dopo la verifica amministrativo-contabile promossa dal Ministero per l’Economia, ormai archiviata, completeremo il percorso di riforma e di messa a punto, anche se vogliamo ribadire a voce alta che l’Università è sana, ha un bilancio solido e un avanzo consistente, i suoi amministratori perseguono obiettivi di impegno civile e di trasparenza dichiarati nel Codice etico.

Rilanceremo il recente Protocollo d’intesa con l’Accademia di Belle Arti di Sassari e il Conservatorio di Musica.

Attiveremo il Museo della scienza e della tecnica e l’Orto Botanico. Dedicheremo particolare attenzione alle attività del Dipartimento di medicina veterinaria e alla realizzazione dell’ospedale veterinario e dell’Azienda zootecnica, in vista della valutazione europea.

Con la Regione Sarda firmeremo l’intesa triennale già sostanzialmente definita con gli assessori Milia e La Spisa e miglioreremo il rapporto tra la programmazione regionale e quella di Ateneo, ci impegneremo nei corsi di lingua sarda, nei master, nelle scuole di specializzazione, nella ricerca. Firmeremo il protocollo d’intesa sulla Chimica Verde elaborato dal nostro gruppo di lavoro; e poi sulla Chimica, le Bonifiche, le Energie rinnovabili.

Sul territorio daremo attuazione all’Accordo quadro di cooperazione Fabrica Europa con la Provincia e la Camera di commercio; porteremo avanti il progetto Unicittà col Comune di Sassari e l’Azienda Trasporti. Daremo seguito agli accordi con l’ATP sui costi di trasporto per gli studenti. Occorre ora che l’Università si concentri sul rapporto tra formazione e lavoro e dedichi più impegno al tema Sassari città della conoscenza: vogliamo rifondare il rapporto con la città e il territorio, verso una politica globale indirizzata allo sviluppo del Nord Sardegna.

Lavoreremo con tutte le Province e molti comuni; attueremo la Convenzione con l’ENEA e con il CNR. Nascerà la Farmacia comunale. Saremo presenti nel Tavolo delle Attività Produttive, nei dibattiti promossi dai Sindacati, dalle imprese, dai partiti, superando rivalità e appartenenze.

Lavoreremo con il Consiglio di amministrazione dell’ERSU per definire strategie comuni e investire rapidamente le risorse disponibili per il nuovo campus.

L’Università mantiene i propri impegni assunti con la nascita delle sedi decentrate a Nuoro, a Oristano, ad Olbia, prende atto dei vincoli introdotti dal Governo che vietano la nascita di nuovi corsi di laurea fuori dal comune sede legale, non rinuncia all’alleanza storica con i territori, ribadisce l’interesse a sviluppare le attività universitarie e progetta un quadro di iniziative per il futuro. Ritiene che l’investimento in conoscenza sia fondamentale soprattutto per le zone interne della Sardegna, che hanno necessità di infrastrutture per fare della cultura una risorsa, partendo dall’identità profonda dell’isola ma favorendo una nuova dimensione internazionale. Lamentiamo tante mancate risposte in termini di residenze studentesche e strutture.

Il nuovo Dipartimento di Architettura di Alghero si vede riconosciuta una sua autonomia e sarà direttamente sostenuto dall’Ateneo con risorse che debbono compensare gli svantaggi legati al decentramento e alla scarsa consistenza di dotazioni organiche. D’intesa con il Comune sarà messa in liquidazione la Società consortile. Nell’incontro con le autorità comunali abbiamo denunciato i ritardi nell’assegnazione della nuova sede e soprattutto la gravissima condizione di degrado degli edifici privi di manutenzione.

Un ulteriore, deciso sviluppo avranno le mobilità studentesche internazionali, sia in ambito europeo con il programma Erasmus, sia in ambito extraeuropeo con il programma Ulisse. Intendiamo orientare i nostri sforzi non solo per moltiplicare le opportunità di confronto e di scambio, ma anche per migliorare la qualità e l’efficienza delle esperienze di formazione di tutti gli studenti in mobilità: rafforzeremo i servizi di tutorato e gli sportelli Erasmus presso i 13 nuovi Dipartimenti; miglioreremo il monitoraggio e la valorizzazione dei percorsi di studio all’estero e il loro pieno e tempestivo riconoscimento nelle carriere studentesche; consolideremo il sistema delle “borse-premio”.

In collaborazione con il Centro Linguistico estenderemo l’offerta di corsi gratuiti di lingua per i nostri studenti e per gli studenti stranieri; metteremo a frutto la convenzione per le locazioni universitarie recentemente stipulata con il Comune; potenzieremo il sostegno alle attività di accoglienza svolte dalle associazioni studentesche; punteremo a migliorare la capacità di attrazione del nostro Ateneo all’estero. In particolare vareremo il nuovo progetto-pilota sui tirocini, che le imprese vorranno riservare a studenti universitari europei, con le borse Erasmus-Placement.

Continueremo ad investire nelle collaborazioni studentesche, che hanno rappresentato in questi anni un canale significativo per far entrare una ventata di novità nelle Facoltà e nei Dipartimenti. Confermeremo i contributi alle associazioni per le attività ricreative, culturali e sociali autogestite dagli studenti. Sosterremo la nuova Associazione dei laureati, così come il Coro dell’Università e il CRUS, attivissimo nel promuovere iniziative.

La nascita dei nuovi dipartimenti collegherà strettamente l’offerta formativa all’attività di ricerca scientifica: l’organizzazione della didattica, i servizi agli studenti, le segreterie hanno necessità di una vigorosa messa a punto. I risultati fin qui raggiunti segnalano un deciso miglioramento con la riduzione del numero degli studenti fuori corso e con l’aumento del numero dei laureati.

Nell’anno 2010 hanno conseguito la laurea 1747 studenti. In questo anno accademico i corsi di studio attivi sono 50, 10 dei quali a numero programmato per disposizione ministeriale. Una delle lauree magistrali di Architettura è stata attivata in modalità interateneo con le università di Barcellona, Girona, Lisbona. Agraria partecipa ad una laurea magistrale che ha sede amministrativa a Torino, con Milano, Foggia e Palermo.

D’intesa con l’Università di Cagliari abbiamo avviato l’iter di istituzione delle lauree magistrali per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo grado e dei Tirocini Formativi Attivi. Sono 1091 gli iscritti alle Scuole di specializzazione e di dottorato di ricerca, ai Master di primo o di secondo livello.

Gli studenti saranno al centro delle politiche di Ateneo. La digitalizzazione dei servizi permetterà di gestire le operazioni di prenotazione e verbalizzazione on line degli esami; nascerà il fascicolo digitale dello studente. Il rilevamento delle opinioni degli studenti avverrà on line. Continueremo a promuovere una solenne cerimonia per la premiazione dei migliori studenti, sostenendo la politica del merito. Ridefiniremo il ruolo dei referenti amministrativi per la didattica entro i nuovi Dipartimenti.

Riattiveremo il master di giornalismo come master di Ateneo promosso d’intesa con l’Ordine dei giornalisti.

Le scuole di dottorato saranno profondamente riformate alla luce della legge 240, accorpate, sostenute dal rafforzato principio della valutazione e della premialità. Dopo la scuola di Scienze biomolecolari, nasceranno altre scuole internazionali. Ogni scuola avrà dall’Ateneo almeno una borsa destinata a studenti stranieri: le nuove modalità di valutazione favoriranno l’accesso a candidati provenienti da aree lontane ampliando la base di reclutamento. Quest’anno con la messa a bando di ben 70 borse l’Ateneo conferma il suo forte impegno nel settore; 117 borse nel triennio saranno coperte con fondi europei.

Interpretiamo l’Orientamento sia come servizio (il Servizio Orientamento Studenti) sia come funzione dell’Università quale sistema orientante. Dal 16 aprile si svolgerà la IX edizione della Manifestazione “Le giornate dell’Orientamento: studiare a Sassari e in Europa”, che, oltre a proseguire nell’ottica dell’internazionalizzazione e del coinvolgimento dei partecipanti, si caratterizzerà per alcuni aspetti innovativi: tavole rotonde sull’apporto della ricerca scientifica allo sviluppo del territorio; incontri con testimoni privilegiati del mondo delle professioni, premio sulla disablità; coinvolgimento delle associazioni studentesche. Proseguiranno tre nuove linee di azione strategiche, il Progetto STUD.I.O. per un riallineamento delle competenze degli studenti liceali; il Servizio OrientAzione di counseling psicologico e di coaching; infine il Servizio di Job Placement quale servizio teso a favorire con Alma Laurea il collocamento dei laureati.

Un deciso impulso ha avuto l’attività a favore dei disabili, che nel prossimo anno si arricchirà con il servizio di trasporto, che speriamo possa essere affidato ad una Cooperativa specializzata. Iniziative specifiche sono previste per ipovedenti e dislessici.

Il Comitato Pari Opportunità è stato profondamente rinnovato e la Presidente è stata espressa per mezzo di elezioni universali aperte a docenti e personale. Nascerà il Comitato Unico di Garanzia che dovrà seguire tra l’altro la realizzazione di un asilo nido aziendale.

Le attività sportive offerte agli studenti sono destinate ad estendersi nel complesso sportivo di San Giovanni grazie all’impegno del CUS che è necessario potenziare. In accordo con il Comune verrà finanziato un collegamento pubblico, con gli impianti sportivi universitari.

La costituzione del Coro dell’Università in Associazione ha dato un nuovo impulso alle attività musicali in sede e fuori sede, con conseguente aumento del numero dei coristi, prevalentemente studenti. Sosterremo il gruppo etnomusicologico ICHNUSS.

Il Sistema bibliotecario di Ateneo ha potuto avvantaggiarsi del vigoroso impegno del Coordinamento e della Commissione biblioteche, con crescenti investimenti per le riviste elettroniche, per gli abbonamenti centralizzati a riviste straniere e per le dotazioni. Sono in corso di sviluppo i progetti di Autoprestito e di miglioramento dei servizi di prestito e del controllo degli accessi. Viene in questi mesi avviato il Progetto Biblioteca Scientifica Regionale e si trasferisce presso la Pigliaru la Biblioteca del Banco di Sardegna. Proseguirà l’opera di potenziamento di Unissresearch, l’archivio istituzionale dell’Università di Sassari ad accesso aperto che conferisce immediata visibilità alle produzioni dei ricercatori e alle tesi di dottorato.

Inaugurato un anno fa, il nuovo Centro Linguistico di Ateneo sta portando avanti con finanziamenti europei un ricco programma di corsi per studenti, per studenti Erasmus in arrivo e in uscita, per docenti, per PTA e per esterni (inglese, spagnolo, francese, tedesco, russo, arabo, cinese, portoghese e italiano per stranieri); nasce un nuovo sistema di tutorato, presso la sede di Sassari e le sedi di Alghero, Olbia, Nuoro e Oristano.

Sul piano della didattica on line, è in discussione il rilancio dell’attività di Unitel Sardegna e un più incisivo coordinameno dell’e-learning presso i singoli Dipartimenti.

Il capitolo della ricerca è particolarmente articolato e consentitemi di esprimere la soddisfazione per i risultati raggiunti grazie anche all’impegno dell’Assessore regionale alla Programmazione: tutte le azioni saranno orientate al miglioramento della posizione dell’Ateneo in ambito internazionale. La nomina di molti colleghi tra i revisori ANVUR testimonia il prestigio di alcune aree di ricerca di eccellenza all’interno dell’Ateneo. La commissione ricerca opererà sul piano della diagnosi, progettazione, attuazione e monitoraggio, sviluppando indicatori di qualità specifici per il nostro Ateneo per guidare l’azione di autogoverno.

Ci ripromettiamo di migliorare il posizionamento nei Progetti di Rilevante Interesse Nazionale e dei progetti in Futuro e Ricerca (FIRB), attraverso un accrescimento del tasso di partecipazione e di successo. Faciliteremo la partecipazione ai progetti finanziati dalla Regione e dall’Unione Europea nell’ambito del FP7 e del Horizon 2020; definiremo la premialità di Ateneo. Declineremo il metodo della valutazione per individuare i punti di eccellenza, di forza e di debolezza, per intraprendere i processi di miglioramento delle strutture e dei singoli ricercatori, per guidare la pianificazione strategica e per definire il reclutamento.

In parallelo avvieremo la partecipazione dell’Ateneo all’esercizio ANVUR VQR 2004-10: selezioneremo i prodotti di ricerca; trasmetteremo le informazioni relative a brevetti, spin-off, incubatori d’impresa, consorzi, siti archeologici, poli museali, finanziamenti di progetti di ricerca ottenuti da bandi competitivi; elaboreremo attraverso il Nucleo di valutazione un rapporto di autovalutazione.

Porteremo avanti le azioni strategiche attraverso la predisposizione di diverse proposte progettuali rivolte al finanziamento di borse per dottorati, ricercatori a contratto, creazione di reti tra Università, Centri di ricerca e Imprese. Seguiremo i programmi Master & Back, Visiting Professor e Rientro dei Cervelli. Nell’ambito del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale daremo esecuzione al progetto finalizzato alla realizzazione di 6 Poli di Ateneo, ciascuno dei quali costituito da laboratori sperimentali attrezzati con strumentazione didattico-scientifico innovativa; acquisiremo il laboratorio per la realizzazione delle prove meccaniche sui materiali per l’edilizia.

Disdetteremo il protocollo d’intesa con Porto Conte Ricerche, con il relativo comodato d’uso che cesserà nel 2014 e proporremo un nuovo accordo più vantaggioso per l’Ateneo.

Proseguirà il sistema del cofinanziamento di Ateneo degli assegni di ricerca e lavoreremo per reperire ulteriori risorse sui fondi della legge regionale n. 7, in relazione alla premialità, ai progetti di base, alla ricerca orientata, ai Tender, al potenziamento delle infrastrutture e attrezzature di ricerca universitarie e alla realizzazione del Centro di ricerca sui beni culturali.

Attraverso l’Ufficio Progettazione, Controllo e Rendicontazione saranno rendicontati molti progetti cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo e dal MIUR.

I grandi progetti di Ateneo verranno attuati di concerto con l’amministrazione regionale e con l’Università di Cagliari attraverso il Programma Operativo Regionale. In particolare, nei settori ICT, nanotecnologie, biotecnologie, energia e sviluppo sostenibile, agroalimentare e materiali tradizionali, ma non solo, verranno portati avanti, il Progetto per i Dottorati di Ricerca per 9 milioni di euro, il progetto per 30 ricercatori a tempo determinato per 4,4 milioni di euro, il Progetto per assegni di ricerca nell’ambito dei beni culturali per un milione di euro, il Progetto per assegni di ricerca in sinergia con enti di ricerca e imprese per 1,5 milioni di euro, il Progetto Laboratori per un importo di 4,5 milioni di euro, articolato attorno ai diversi poli.

Sul piano del trasferimento tecnologico, estendendo il progetto ILONET, avvieremo il Censimento delle competenze, valorizzeremo i prodotti di ricerca e gestiremo la proprietà intellettuale, dando impulso strategico all’allargamento del portafoglio brevettuale dell’Ateneo e alla sua commercializzazione. Costituiremo nuove imprese spin off e organizzeremo la V edizione della business plan competition Start Cup Sardegna. Pubblicheremo la newsletter della Ricerca e dell’Innovazione (ARiaNNA) con Cagliari, Genova, Milano Bicocca. Abbiamo proposto la candidatura ad ospitare a breve il premio ‘Start up dell’anno”, che premierà la miglior spin off italiana costituita quattro anni fa.

La commissione Grandi attrezzature scientifiche e sanitarie porterà avanti il proprio lavoro, seguendo l’acquisizione di 12 grandi attrezzature con un contributo dell’Assessorato alla programmazione di 5 milioni di euro e di 8 attrezzature di costo inferiore ai 100 mila euro acquisite con fondi di Ateneo.

Saremo impegnati nel Programma “Marittimo” in progetti “semplici” e in un progetto strategico sulle Reti Ecologiche nel Mediterraneo. Ulteriori gruppi di ricerca saranno impegnati nel Centro Interuniversitario di Ricerca sulla Nautica con Pisa e Genova, a valle della convenzione con la Provincia. Altri gruppi di ricerca lavoreranno sulla Valorizzazione delle risorse agroambientali e sugli Strumenti biologici per la prevenzione del dissesto idrogeologico.

Anche in relazione al Programma ENPI svilupperemo accordi, consolidando la collaborazione con organismi rappresentativi come l’UNIMED e con agenzie specializzate.

Proprio la mole dei risultati fin qui raggiunti consiglia di potenziare l’ufficio ricerca e promuovere ulteriori attività di formazione, in particolare nel campo del VII programma quadro, dando attuazione alla recente convenzione che impegna l’Università, la Provincia e la Camera di Commercio alla definizione congiunta di attività di promozione di progetti comunitari.

I risultati della valutazione della ricerca, presentati nelle scorse settimane, raccomandano una puntuale attenzione anche per l’area umanistica e impegnano l’Ateneo a diffondere i risultati della analisi sulla performance di ricerca, sottolineando i punti di forza e le criticità che scaturiscono da questa severa analisi, che comunque ha fatto emergere almeno 36 docenti ai vertici del panorama nazionale. La valutazione, affidata ad uno spin off dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ha messo in evidenza che la produzione scientifica del nostro Ateneo, benchè ridotta dal punto di vista quantitativo, si colloca qualitatiamente sopra la media nazionale. Inoltre, il 42% dei nostri docenti vanta una produzione scientifica quantitativamente superiore alla media nazionale.

Anche nel 2012 il programma Visiting Professor permetterà di assicurare una significativa presenza di studiosi stranieri, contribuendo positivamente non solo al processo di internazionalizzazione e al consolidamento delle relazioni con la comunità scientifica ma anche alla realizzazione di prodotti della ricerca e di attività formative di notevole impatto. La riduzione da parte della Regione del fondo assegnato non impedirà di proseguire un’attività che rappresenta un forte elemento di innovazione e che favorisce la mobilità di centinaia di studiosi, l’attivazione di rapporti scientifici, la creazione di reti di ricerca.

Per ciò che riguarda l’Informatica, contiamo di superare in breve tempo le tante criticità emerse anche in queste ultime settimane: sarà effettuato il trasferimento dei servizi informativi nel nuovo stabile di via Rockfeller. D’intesa col Comune verrà utilizzata la rete metropolitana in fibra ottica abbandonando i preistorici cannoni laser e verranno aggiornati il sistema di anagrafe della ricerca e le applicazioni di interfaccia verso le aziende. Si prevede lo sviluppo di strumenti di analisi e trattamento dei dati, una piattaforma per la raccolta elettronica dei questionari di valutazione didattica, una piattaforma WEB integrata di Ateneo. Ulteriori interventi sono previsti per le reti, i servizi, la fonia, la sicurezza. Molte azioni sono finanziate anche attraverso il progetto INNOVARE, che prevede un investimento di circa 9 milioni di euro.

Sul versante del personale siamo orgogliosi degli accordi stipulati con i sindacati che parzialmente recuperano il salario accessorio, e poi la mobilità orizzontale e l’avvio della riforma delle dotazioni organiche. Il capitolo delle relazioni sindacali e dei rapporti con il personale può essere solo accennato, anche se si registra un clima nuovo, un apprezzamento per il ruolo svolto dal direttore amministrativo e dai due delegati che si sono succeduti, una riduzione del contenzioso e una strategia di modernizzazione per la gestione delle risorse umane di una complessa tecnostruttura. Intendiamo affermare il senso di appartenenza all’organizzazione e trovare sinergie e un orizzonte di impegno nuovo per tutti.

Discuteremo in profondità le pressanti esigenze strutturali e organizzative dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Sassari e il tema stesso della Prolusione affidata oggi a Ludovico Marinò testimonia l’interesse per affrontare la tematica in modo unitario, con spirito libero da condizionamenti e in un orizzonte di programmazione e di risparmio, nella collaborazione col Servizio Sanitario. La presenza dell’Assessore regionale Simona De Francisci va proprio in questa direzione.

Tutti sappiamo che le Aziende dovrebbero essere strutturate in base alla domanda, anche se finora la tipologia, il numero e la dimensione stessa delle unità operative sono stati decisi su criteri di “convenienza dei gestori” molto più che nel rispetto delle esigenze assistenziali della popolazione e – nello specifico per l’AOU-  della ricerca biomedica e della formazione del personale destinato al Servizio Sanitario. In particolare un’Azienda Universitaria deve prioritiamente assicurare l’alta specialità, garantendo l’integrazione della didattica e della ricerca clinica, la formazione rivolta agli studenti del corso di laurea magistrale in Medicina e dei corsi delle Professioni sanitarie, ai medici delle Scuole di Specializzazione di area medica, chirurgica e dei servizi. Tra i compiti che l’AOU crediamo debba affrontare c’è del resto l’esigenza di dare risposte di qualità anche alle fasce più deboli della popolazione. La Medicina Universitaria deve sempre più dimostrare anche un’ampia condivisione nei confronti di istanze sociali, non ultima quella relativa alla tutela ambientale ed alle tematiche interconnesse di rilevanza sanitaria.

L’AOU è in forte ritardo sul piano delle strutture e delle tecnologie, anche per l’assenza del Comitato di indirizzo e per la mancata approvazione dell’Atto Aziendale, che dovrà ridefinire l’articolazione delle strutture semplici, delle strutture complesse e avviare la nascita dei Dipartimenti Assistenziali integrati. Alcune decisioni, quelle ad esempio della nascita delle strutture semplici, potrebbero essere immediate, anche perché la prossima costituzione della nuova Facoltà di Medicina e Chirurgia, la nomina del suo Presidente, la recentissima aggregazione del personale nei dipartimenti medici consentono di avviare un discorso efficace di integrazione, che superi rivalità e ostacoli artificiosi che finora spesso hanno paralizzato gli organi decisionali dell’AOU. L’impegno del Rettore e del Direttore Generale è stato indirizzato verso il reperimento dei fondi FAS per la realizzazione del Programma Edilizio, che prevede la nascita di un solo complesso ospedaliero a valle di Viale S. Pietro, nel quale aggregare finalmente tutte le strutture cliniche attualmente disseminate in edifici diversi, molti dei quali in condizioni di grave precarietà e colpevolmente privi di accreditamento.

Chiediamo che l’AOU promuova economie di scala, attui un efficace “controllo di gestione” attraverso una specifica Unità di Valutazione. Vogliamo un rigoroso controllo della classificazione dei DRG e della gestione dei ricoveri. I Dipartimenti universitari partono con una consistente dotazione finanziaria residua di risorse da destinare alla didattica delle professioni sanitarie.

Chiediamo alla Regione di arrivare rapidamente alla firma del protocollo d’intesa discusso un mese fa col Presidente Cappellacci per l’applicazione del decreto legislativo 517 che a distanza di 12 anni non vede attuata la parte relativa alle indennità assistenziali del personale universitario, il che espone l’Ateneo ad un contenzioso logorante ed esplosivo. Più in generale non è possibile tacere sul mancato inquadramento e il non riconoscimento di professionalità e competenze.

L’Azienda può ancora rappresentare un punto di eccellenza della Sanità Regionale; a condizione che le componenti universitarie ed ospedaliere collaborino nel rispetto delle loro reciproche competenze ed aspettative; occorre una particolare attenzione per un equilibrato reclutamento per rispondere adeguatamente alla missione aziendale.

Dovrà, inoltre, essere promossa, all’interno dell’Azienda l’integrazione fra personale docente e non docente del triennio biologico e clinico che non può non esistere in una moderna Facoltà di Medicina. Una ipotesi di soluzione potrebbe essere quella di una maggiore integrazione dei Dipartimenti universitari con quelli assistenziali, pur nella diversificazione giuridico-amministrativa. Chiedo, pertanto, che questo possa essere un obiettivo strategico nella redazione dell’Atto Aziendale.

La realtà di una AOU è così complessa che solo attraverso una efficace rete di comunicazioni interdipartimentale e interaziendali sarà possibile rendere operative le potenzialità di tutte le strutture universitarie. Come vantaggi si potrebbero avere una spinta naturale alla collaborazione, una confederazione fra aree molto attive nel piano scientifico ed altre molto attive sul piano assistenziale e l’estroversione dell’attività accademica verso obiettivi concreti, quali brevetti e pubblicazioni scientifiche, orientamenti didattici e nuove procedure cliniche, diagnostiche e terapeutiche.

Altre esigenze appaiono prioritarie per la AOU e auspicabilmente in stretta sinergia con la ASL, con la cancellazione di duplicazioni e sprechi:

– dotarsi di un adeguato dipartimento di emergenze;

– migliorare la qualità e l’efficienza dell’offerta assistenziale, individuando le migliori professionalità, combattendo l’autoreferenzialità, utilizzando il meccanismo delle abilitazioni per acquisire competenze di eccellenza;

– articolare l’AOU e ridefinire il numero di prestazioni erogabili dai servizi in base alla durata media della prestazione su base nazionale;

– razionalizzare i rilievi diagnostici preoperatori per evitare l’esecuzione di esami inutili;

– trasferire tutta la parte di degenza clinica e di pratica ambulatoriale a valle di Viale S. Pietro al fine di rendere più veloce la pratica diagnostica preoperatoria e l’esecuzione di consulenze. Occorre dislocare i reparti e gli ambulatori in funzione assistenziale, con il completamento della rianimazione e con il progressivo accorpamento delle chirurgie. C’è quindi la necessità assoluta che il nuovo finanziamento per l’edilizia ospedaliera (per 95 milioni di euro) sia gestito nella sua interezza secondo criteri rigidi di coerenza progettuale con gli obiettivi della committenza (AOU-Università), e con un forte controllo della qualità al fine di rispettare i tempi esecutivi evitando dispersione di risorse.

Si rende indispensabile reperire finanziamenti per colmare alcune gravi carenze tecnologiche che impediscono all’AOU di Sassari di qualificarsi come struttura di eccellenza, anche se la prossima nascita del Centro PET e l’installazione di una TAC a 128 strati rappresenta un punto di svolta positivo e testimonia una rinnovata attenzione della Regione dopo anni di abbandono. È necessario acquisire alcune grandi attrezzature, la cui mancanza sta producendo effetti negativi per il funzionamento e l’immagine dell’Azienda. Nel testo scritto troverete alcune priorità, sulla necessità di promuovere investimenti adeguati per l’aggiornamento tecnologico.

L’Ateneo ha messo a disposizione dell’AOU molte risorse a valere sui finanziamenti dell’Intesa Interministeriale di Programma per la ristrutturazione del Palazzo Clemente, per il reparto di terapia radio metabolica, per le sale autoptiche, per la realizzazione del reparto della nuova PET.

Il programma edilizio in corso comprende una serie di interventi su fondi messi a disposizione dall’Ateneo nel Clemente per la ristrutturazione delle degenze della Clinica Neurologica, il Day Hospital e la neuro riabilitazione; nella seconda stecca per la realizzazione degli ambulatori di Oncologia; nel rustico per la realizzazione del nuovo reparto di rianimazione; nella palazzina della Clinica Neurologica; infine per la realizzazione del Laboratorio Unico Aziendale.

Sono attualmente in corso i lavori di manutenzione straordinaria e adeguamento alla sicurezza del palazzo della clinica medica, per la realizzazione delle scale di sicurezza e antincendio; l’ampliamento degli ex Istituti di Igiene e di Patologia Generale; i parcheggi nell’area di Malattie Infettive. Entro l’anno in corso saranno finalmente conclusi i lavori per l’ex Istituto di Malattie infettive con una spesa di circa 1 milione di euro. Lavoreremo per costruire rapidamente i collegamenti tra le stecche e le torri da tempo progettate.

Se allarghiamo lo sguardo all’edilizia dell’intero Ateneo, possiamo assicurare una crescente efficienza dell’Ufficio Tecnico anche a seguito della presa di servizio dei nuovi ingegneri. Il patrimonio edilizio è pari a oltre 200.000 mq di immobili in mediocre stato di vetustà.

Ci muoviamo ormai nell’ambito della Programmazione Triennale e prevediamo la conclusione a breve dei Lavori di realizzazione dell’Ospedale Veterinario e per i parcheggi dell’Area “Monserrato”. Sono in corso i lavori di manutenzione straordinaria delle facciate Dipartimento di Chimica, il completamento del complesso di Via Rockfeller che ospiterà il CED, i Laboratori Didattici in tutta la città. È in via di ridefinizione il Project Finance dell’Impianto di Cogenerazione di Piandanna. Restauriamo la facciata del Palazzo centrale e del Centro Orientamento.

Dopo l’acquisizione dell’edificio dell’ex Istituto dei Ciechi, è stato eseguito lo studio di fattibilità della realizzazione del nuovo Palazzo di Lettere e Lingue, unitamente allo studio della generale sistemazione di tutta l’area ex-Mattatoio su cui insisterà il Polo dell’identità e della cultura della città di Sassari. Vengono avviati i lavori di ristrutturazione di svariati uffici dell’Amministrazione Centrale, dei Laboratori, delle Presidenze e degli impianti del Polo Bionaturalistico. Appalteremo i lavori di trasformazione dell’ex Istituto di Matematica e Fisica per le esigenze dello SPISS. Modificheremo le finestrature del Polo Bionaturalistico; progetteremo sala consiliare e ascensori nell’ex Estanco, ristruttureremo i locali in Via Regina Margherita dell’ex Archivio Storico. Interverremo nell’Azienda Agraria Santa Lucia di Oristano.

Recupereremo l’area dell’ex orto botanico di Via Muroni al fine di creare un’unica area verde nel complesso del quadrilatero. Realizzeremo uno stabulario unico di Ateneo. Avvieremo il piano per l’adeguamento normativo antincendio degli edifici universitari, il piano per l’abbattimento di barriere architettoniche, il piano per il contenimento dei costi di gestione e manutenzione programmata degli edifici, con una politica di certificazione energetica. Partirà il piano delle aree verdi, ludiche e sportive. Decideremo sul destino dell’area San Lorenzo e dell’ex brefotrofio.

Nell’ambito della programmazione triennale 2012-14 sono disponibili 29 milioni di euro per i lavori di manutenzione straordinaria delle facciate del Palazzo Ciancilla in Piazza Conte di Moriana, per l’edificio di Via del Fiore Bianco, per gli impianti sportivi a San Giovanni, per l’edificio di Largo Porta Nuova, per l’ultimazione del Polo naturalistico di Piandanna, per le nuove aule del Dipartimento di Agraria.

Grande soddisfazione lasciatemi esprimere per il risultato raggiunto con i fondi FAS. Vi risparmio l’elenco dei 17 cantieri per 85 milioni di euro che troverete elencati nel testo scritto, sempre con l’idea però che occorre avanzare con prudenza, ricordando la frase evangelica: .

Spero di esser riuscito a dare un’idea della complessità dei problemi che abbiamo di fronte, che affronteremo con tanti nuovi amici, collaboratori, apprezzati compagni di viaggio. Oggi rinnoviamo l’impegno preso due anni fa, di batterci per raggiungere obiettivi alti e per lavorare nell’interesse dell’istituzione che intendiamo rappresentare con determinazione e spirito di servizio, confortati dal coinvolgimento di tanti altri attori, di tanti colleghi che hanno deciso di spendersi in una nuova avventura di crescita e di solidarietà, senza lasciarci mai soli.

Allora auguri a ciascuno di noi, alla grande comunità della nostra Università, alla città di Sassari, a tutta la Sardegna. Il nuovo anno accademico sia un anno veramente produttivo, ricco di soddisfazioni e di risulati. Ai nostri carissimi studenti auguro con le parole di Steve Jobs un futuro non convenzionale, pieno di curiosità e di stimoli: Stay Hungry. Stay Foolish. Siate affamati. Siate folli.

Vorrei concludere con l’augurio fatto 50 anni fa dal Rettore dell’Universitas Vesontina, l’odierna Besançon, rinnovando i vota saecularia della studiorum universitas turritana sacerensis: possa essere decus, ornamentum e gloria della Sardorum inclita tellus: <<Atheneum nostrum cum antiquissimum tum gloriosissimum vivat, crescat, floreat>>.

Dichiaro aperto il 450° anno accademico dell’Università di Sassari.




VI Conferenza sulla lingua sarda.

VI Conferenza sulla lingua sarda

Intervento di Attilio Mastino

Alghero, 10 dicembre 2011

Cari amici,

la contestazione che si  è sviluppata dopo l’ultima relazione che ha riproposto la posizione della commissione per la lingua sarda dell’Università di Sassari non può che testimoniare la vivacità di un incontro, quello di oggi, che può veramente rappresentare una svolta, soprattutto costituisce una speranza per tutti noi.

Volevo per un attimo portarvi a Bosa, al carnevale del febbraio 1902, quando il fratello di mia nonna, il poeta sardo Giovanni Nurchi aveva rappresentato i problemi della città con la famosa Lamentazione di Geremia (>): in quell’occasione solenne il poeta era stato infastidito a lungo da un cittadino petulante ed invadente, al quale aveva risposto ironicamente: .

Credo che oggi tutti dobbiamo fare la nostra parte, cogliendo un’occasione storica, un’opportunità, un momento alto di riflessione e di incontro che lega i docenti dell’Università e della Scuola agli operatori degli sportelli linguistici, ai rappresentanti dei Comitati linguistici e dei premi letterari, ai membri dell’Osservatorio regionale, alla classe politica.

Come prima cosa, desidero ringraziare l’Assessore Sergio Milia per l’invito a partecipare a questa VI Conferenza sulla lingua sarda, porto il saluto dell’Università di Sassari e voglio subito dire che non mi sottrarrò a nessuno dei temi sul tappeto con l’intento sincero di dare un contributo positivo di riflessione sul piano triennale in corso di approvazione e sulla necessità di una maggiore integrazione tra politiche universitarie e politiche linguistiche regionali.  L’Università è una risorsa. Non c’è futuro senza l’Università per la Sardegna e per il Paese. L’Università è innanzi tutto al servizio della Sardegna. Metteteci alla prova e collaboreremo con voi, ascolteremo le vostre opinioni, vi rispetteremo davvero.

L’occasione odierna cade propizia, perché siamo reduci da una lunga polemica, la ‘guerra’ estiva che abbiamo dovuto sostenere sui mezzi di comunicazione e anche sui blog intorno al tema della cultura e della lingua sarda: vorrei allora profittare per parlare proprio delle critiche mosse all’Università riguardo a tali questioni, ricordando che le nostre storie personali testimoniano che il nostrro è il punto di vista di sardi che desiderano difendere la lingua sarda, anche se proprio non abbiamo la minima voglia di rispettare rigidamente un’ortodossia che rischia di appiattire il contributo di tutti.

Sono orgoglioso del fatto che nel corso del dibattito che abbiamo avviato a partire da gennaio intorno al nuovo statuto dell’Università, in attuazione della Legge 240 (la ‘legge Gelmini’), siamo riusciti a inserire un articolo (n. 58) che riguarda proprio la lingua e la cultura sarda: «L’Ateneo [di Sassari] promuove la tutela e la conoscenza dei beni e delle fonti dell’identità locale, con particolare riferimento alle lingue delle minoranze e alla lingua sarda nelle sua articolazioni territoriali, alle risorse naturali, ai beni storici, culturali, ambientali, paesaggistici e architettonici, ai saperi e alle tradizioni locali». Come si vede bene, nel nuovo statuto che verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale martedì prossimo e che comporterà l’abolizione delle Facoltà e l’istituzione di Dipartimenti che avranno funzioni di ricerca e di didattica, la ricchezza linguistica della Sardegna è indistintamente riconosciuta come un bene meritevole della più ampia salvaguardia. Per usare le parole di Silvano Tagliagambe l’Università non intende solo fornire contenuti astratti, ma deve partire dal contesto nel quale opera.

Al di là delle dichiarazioni di principi, voglio perciò ribadire anche in quest’occasione che l’Università di Sassari è fortemente impegnata per la difesa della lingua sarda come lingua dell’oggi e del domani, come segno di identità e come elemento distintivo per le culture della Sardegna. Le polemiche di questi giorni rendono necessario un chiarimento sulle posizioni assunte dalla Commissione lingua sarda dell’Università di Sassari, dalla università nel suo complesso: e mi consentono di ribadire che l’Ateneo prende l’impegno per difendere e qualificare l’insegnamento delle lingue minoritarie e della lingua sarda nel nostro Ateneo al servizio della scuola sarda.

Negli incontri che sono avvenuti nei mesi scorsi con l’Assessore Milia e alcuni funzionari dell’Assessorato, credo che le preesistenti difficoltà di dialogo siano state positivamente superate. Il ritardo nell’approvazione del Piano non è in alcun modo dipeso dalla nostra volontà. L’Università non si sottrae all’impegno e alle responsabilità che si è assunta votando nell’Osservatorio il piano triennale, ma naturalmente chiede che la Regione abbia la piena consapevolezza della complessità dei problemi e dello specifico apporto dell’Università, che impone un metodo scientifico, una competenza, un’accertata autorevolezza ma anche una passione e un interesse forte. Sullo sfondo mi sembra che il problema vada ben oltre la lingua e la cultura della Sardegna, c’è il tema della sovranità della Sardegna, una sovranità che non può che partire dalla difesa e dalla valorizzazione del patrimonio culturale, in particolare delle lingue delle minoranze che raccontano, specie il sardo, di una millenaria tradizione linguistica che parte dall’età romana, attraversa l’età bizantina, l’età giudicale, l’età catalano‑aragonese, l’età spagnola per arrivare ai giorni nostri: con moltissimi problemi e anche, se mi consentite, con un progressivo impoverimento interno e con un ampliamento della complessità dei rapporti con le altre lingue che si sono succedute in Sardegna e con quelle che fanno parte del nostro bagaglio di uomini di oggi. La lingua sarda è stata pensiero, riflessione, strumento per intendere la realtà, per entrare in comunicazione con gli altri sardi, in una comunicazione orizzontale profonda.

La commissione lingua sarda della Università di Sassari si mette al servizio della Sardegna e può contribuire a radicare delle competenze diffuse sulle quali si deve costruire una politica linguistica per il futuro. Per quanto concerne le posizioni scientifiche sulle quali l’Università di Sassari si sta attestando, sono convinto che non siano di retroguardia, tutt’altro: penso anzi che il lavoro linguistico che si è fatto in Sardegna in questi anni ci metta ai primi posti in Europa come laboratorio di soluzioni fondate sulla problematicità del territorio. Occorre quindi partire dall’orgoglio per il livello fin qui raggiunto dagli studi universitari, ma anche dalla riflessione di taluni appassionati, nel campo della tutela delle lingue minoritarie. Questo anche grazie anche all’attività della Regione, che pure è arrivata in ritardo a confrontarsi su questi temi.

Credo che si debba riconoscere e apprezzare anche il ruolo che hanno avuto e hanno i premi letterari per la raccolta di documenti preziosi, che debbono costituire la base per le modalità espressive del futuro: alcune settimane fa ero a Padria per il premio ‘Gavino Delunas’, ma ho seguito tanti altri premi come quelli intitolati a Jorzi Pinna a Pozzomaggiore (per i poeti improvvisatori in lingua sarda), a Remundu Piras a Villanova, a Pittanu Moretti a Tresnuraghes, senza trascurare naturalmente il premio Ozieri e, senza volerli menzionare tutti, i tanti altri straordinari premi letterari della Sardegna, scuola di scrittura creativa per i sardi. Le lingue dei sardi possono essere un elemento distintivo dell’autonomia, della sovranità del Popolo Sardo, però solo a patto di difendere le radici culturali profonde di queste lingue, di conservarle come specchio di un mondo che ci appartiene e che in esse si riflette con immediatezza: se riusciremo a pensare sempre più in sardo (o in sassarese, gallurese, algherese, tabarchino), rendendoci conto criticamente che ci sono differenze tra città e campagna, tra città e paese, tra paese e paese e in molti casi la lingua materna non è più il sardo ma è l’italiano. Sono problemi dei quali bisogna tenere conto. A livello personale, ricordo anche di essere allievo di Giovanni Lilliu e ho sempre presente quella sua pagina in cui sostiene che la lingua sarda è grado di comunicare a livello locale, ma è anche «in grado di tradurre per iscritto qualunque pensiero o qualunque esperienza della realtà del mondo in cui viviamo. Dunque lingua, in effetti, quella sarda, per natura, è lingua perché è ampiamente espressiva».

Ciò su cui invece intendevamo porre l’accento è che il sardo, come le altre lingue minoritarie della Sardegna, ha un suo percorso storico che lo ha mantenuto sostanzialmente estraneo rispetto al mondo dell’istruzione, dell’amministrazione, della politica: se per un verso le richieste dei cittadini per mutare un simile quadro si sono lentamente affermate, per altro verso va anche rilevato che la Regione è intervenuta in ritardo in questa materia.

Basti pensare che la Facoltà di Lettere di Cagliari sollevava il problema con due delibere del 1971 e 1974 (e nel 1977 nella stessa direzione andava una relazione della Scuola in Studi Sardi scritta anche da me), ma la nota legge regionale 26 è stata approvata soltanto nel 1997, con venti anni di ritardo. Una delibera del Consiglio Comunale di Bosa del 1976, che mi sono divertito un poco provocatoriamente a distribuire agli amici, sta poi a dimostrare che il dibattito odierno non è affatto nuovo, si ripetono cose già dette in passato anche da me, forse persino in maniera più violenta e radicale. Pertanto, il Consiglio Regionale ha adottato tardivamente delle politiche linguistiche con la legge regionale 26/97, che pure è più avanzata rispetto alla legge nazionale 482/99, non riconoscendo quest’ultima per il sassarese, il gallurese e il tabarchino alcuna tutela, cosa che invece avviene nella formulazione più democratica della legge 26, art. 2 comma 4, in cui le lingue delle minoranze interne sono esplicitamente protette accanto al sardo (La medesima valenza attribuita alla cultura ed alla lingua sarda è riconosciuta con riferimento al territorio interessato, alla cultura ed alla lingua catalana di Alghero, al tabarchino delle isole del Sulcis, al dialetto sassarese e a quello gallurese). L’art. 2 della legge 482 precisa che in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo. Eppure è proprio la legge 482 che impone all’art. 4 che già nelle scuole materne, l’educazione linguistica preveda, accanto all’uso della lingua italiana, anche l’uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado é previsto l’uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento. Le istituzioni scolastiche elementari e secondarie di primo grado, nell’esercizio dell’autonomia organizzativa e didattica, nei limiti dell’orario curriculare, deliberano le modalità di svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali, stabilendone i tempi e le metodologie, nonché stabilendo i criteri di valutazione degli alunni e le modalità di impiego di docenti qualificati. Le medesime istituzioni scolastiche possono realizzare ampliamenti dell’offerta formativa in favore degli adulti. Nell’esercizio dell’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo, le istituzioni scolastiche adottano, anche attraverso forme associate, iniziative nel campo dello studio delle lingue e delle tradizioni culturali degli appartenenti ad una minoranza linguistica riconosciuta e perseguono attività di formazione e aggiornamento degli insegnanti addetti alle medesime discipline.

All’art. 6 si precisa che ai sensi della legge 19 novembre 1990, n. 341, le università delle regioni interessate, nell’ambito della loro autonomia e degli ordinari stanziamenti di bilancio, assumono ogni iniziativa, ivi compresa l’istituzione di corsi di lingua e cultura delle lingue di cui all’articolo 2, finalizzata ad agevolare la ricerca scientifica e le attività culturali e formative a sostegno delle finalità della legge.

Non ho nessuna esitazione ad ammettere che arriviamo  quindi abbastanza in ritardo a trattare l’argomento, e non nego che possano esserci anche responsabilità dell’Università, pure dell’Università di Sassari: questo tema vorrei affrontarlo, perché c’è stata una polemica sulle cattedre bandite, in fase di avvio, negli ultimi anni con fondi regionali. L’Università ha inteso radicare, nei propri corsi di studio, molte discipline di ambito sardistico: ad esempio, abbiamo attivato, negli ultimi anni, cattedre di Storia medievale della Sardegna, Etnografia della Sardegna, Storia dell’arte della Sardegna. Lo dico perché qualcuno ha ironizzato su questa molteplicità di approcci che non si limitano all’aspetto linguistico, ma sono andati ben oltre: Demografia della Sardegna, Ecologia vegetale della Sardegna, Ecologia forestale della Sardegna, Glottologia e linguistica della Sardegna, Geografia della Sardegna, Storia della filosofia morale, Storia della Sardegna e Preistoria e protostoria della Sardegna. Intanto occorre precisare che la Regione ha finanziato le cattedre solo per i primi due o tre anni, dopo di che è subentrata l’Università, che attualmente è l’unico soggetto che mantiene questa offerta fornativa. Del resto, melius abundare quam deficere. Oggi c’è più Sardegna nell’Università. L’Ateneo ha dunque allargato enormemente, non direi troppo, la propria attenzione in questo fondamentale settore di studi, e lo sta facendo investendo risorse proprie, salvo che in una fase iniziale. Per questa politica vorremmo ricevere elogi e riconoscimenti e non già rimproveri.

Da un punto di vista della legittimità, è bene ricorda che l’art. 19 della legge 26 precisa che l’ Amministrazione regionale ha facoltà di finanziare, presso le Università della Sardegna, cattedre universitarie e corsi integrativi, destinati alla formazione del personale docente, da realizzare mediante contratti di diritto privato, volti all’ approfondimento scientifico delle conoscenze relative alla Sardegna prioritariamente nelle aree di cui al comma 2 dell’ articolo 17. Tali cattedre e corsi saranno finanziati secondo le modalità di cui alla legge regionale 8 luglio 1996, n. 28.

Le aree disciplinari indicate in legge sono le seguenti:

a) lingua e letteratura sarde;
b) storia della Sardegna;
c) storia dell’ arte della Sardegna;
d) tradizioni popolari della Sardegna;
e) geografia ed ecologia della Sardegna;
f) diritto, con specifico riferimento alle norme consuetudinarie locali e all’ ordinamento della Regione autonoma della Sardegna.

E’ certo che l’investimento sulla lingua è stato insufficiente e dobbiamo recuperare ritardi, ma ciò non toglie un impegno e uno sforzo significativo.

Per quanto concerne il ruolo dell’Osservatorio della Lingua Sarda, dove siamo stati rappresentati prima dal Prof. Giuseppe Meloni, poi dal Prof. Angelo Castellaccio, ritengo debba essere potenziato in modo soddisfacente, nel senso che vorremmo l’Osservatorio più presente sul territorio, più capace di approfondire i problemi e anche di scrivere, discutere e emendare i piani triennali confrontandosi in spirito di apertura corale con le Università e la società civile, avviando reali percorsi di valutazione esterna e obiettiva dei risultati ottenuti in termini di efficacia nel perseguimento degli obiettivi.

Per arrivare al cuore del problema, la discussione di questi mesi è incentrata sulle modalità di realizzazione di corsi di formazione per insegnanti di ogni ordine e grado, finanziati dalla Regione, sui quali siamo pronti a rendere conto alla società civile, a chiedere il vostro aiuto, ad ascoltare i vostri suggerimenti e le vostre critiche. Quello che però non sopportiamo è il metodo del confronto: non si capisce perché quando non si entra nel gregge e si esprimono dei dubbi, delle perplessità, delle proposte concrete sul futuro della lingua sarda (e magari quando si ricorda il tema delle minoranze interne), ci sia l’inveterata abitudine in Sardegna di demonizzare gli avversari. Perciò, stigmatizzo il comportamento di alcuni ‘protagonisti’ del dibattito in corso: alcuni studiosi sono stati anche attaccati pesantemente per le loro legittime opinioni, per giunta da persone che continuano regolarmente a usare l’italiano e che non parlano mai in sardo, che attaccano le persone (non le idee) senza avere la capacità di approfondire davvero il discorso sul piano scientifico. Si ama la Sardegna anche attraverso un profondo rispetto nei confronti dei singoli cittadini sardi.

Anche il tentativo di rappresentare i sardi come pocos, locos e malunidos è un modo gravissimo di svalutare la cultura della Sardegna che dobbiamo assolutamente abbandonare. Dobbiamo dunque partire dal rispetto per i sardi, dal rispetto per le persone, pronti a confrontarci con chiunque, senza rinunciare però al valore aggiunto che ha l’Università, soprattutto un Ateneo storico come il nostro, che compie quest’anno 450 anni di vita e che si mette al servizio dei sardi.

C’è un ultimo aspetto che ci sta a cuore. Il nostro bacino di utenza, assai più di quanto accade per l’Università di Cagliari, include studenti che provengono da aree sardofone, ma anche di espressione sassarese, gallurese e catalana. Insomma, ci troviamo a offrire i nostri servizi a un’area tradizionalmente caratterizzata dalla compresenza di lingue e varietà di lingue, circostanza che ai nostri occhi rappresenta una ricchezza da esaltare e valorizzare.  Come Rettore dell’Università di Sassari, poi, vorrei tranquillizzare tutti sulla volontà dell’Ateneo che rappresento di fare quanto possibile per preservare e valorizzare una simile ricchezza linguistica che la storia ci ha consegnato.

In questa conferenza di Alghero si mette in rilievo in particolare l’esigenza di estendere la presenza della lingua sarda nelle scuole anche attraverso i nuovi media dell’era digitale, attraverso la musica, l’arte, la poesia. Mettiamo a disposizione il sistema e-learnig dell’UNITEL Sardegna, il Consorzio telematico dei due Atenei, mettiamo a disposizione i nostri Centri Linguistici di Ateneo e le nostre risorse intellettuali, con l’unico vincolo di innalzare la qualità dell’insegnamento.

Grazie e auguri a tutti noi




Presentazione del volume Storia dell’Università di Sassari

Attilio Mastino
Presentazione del volume Storia dell’Università di Sassari

Sassari, 9 dicembre 2011

Signor Sindaco, Aurorità, Cari amici,

sono felice di aprire questo incontro per la presentazione del volume della Storia dell’Università di Sassari, curato da Antonello Mattone, in occasione di un appuntamento importante per l’Università di Sassari, per la città e per la Sardegna: le celebrazioni centenarie per ricordare la laboriosa formazione dell’Ateneo, la nascita del Collegio gesuitico, l’Università ispanica, la riforma boginiana e il Settecento, l’assolutismo sabaudo, l’Ottocento fino alla legge Casati, la “perfetta fusione” con il Piemonte, che significò la rinuncia all’autonomia a favore dell’Unità d’Italia, 150 anni fa. Infine il fascismo, il secondo dopoguerra, il Sessantotto, l’Università di massa oggi sempre più inserita in un contesto competitivo internazionale.

Siamo tutti grati all’Editore Ilisso di Nuoro ed ad Antonello Mattone, delegato rettorale al Museo e alla memoria storica dell’università, e ai tanti altri colleghi appassionati e attenti che tanto hanno lavorato per questo volume, per questo loro straordinario impegno che ha consentito di ricostruire lucidamente una storia lunga, i profili istituzionali, le tradizioni scientifiche, le scuole: in questa sede vengono presentati i maestri, i rettori, i docenti, gli studenti, il personale tecnico, amministrativo, bibliotecario, gli edifici, le biblioteche, i musei. Attuando un progetto concepito durante il rettorato di Giovanni Palmieri, è stato soprattutto il rettore Alessandro Maida a portare generosamente avanti questa iniziativa, che vediamo oggi felicemente condotta a termine, con tanto entusiasmo e tanta passione.

Scorrendo queste pagine emergono tanti aspetti poco noti, la profondità di una storia, le articolazioni di un Ateneo vivace, dinamico, proiettato verso il futuro, inserito in reti di rapporti e di relazioni: penso agli accordi internazionali e all’adesione alla Xarxa Vives d’Universitats che raggruppa le 21 università catalane; alla aggregazione RETI tra decine di università insulari, in una prospettiva di integrazione e di attiva cooperazione; a UNIMED ed ora a l’Euro-Mediterranean University EMUNI.

Abbiamo ricevuto messaggi di adesione da moltissimi colleghi, dal Presidente della Banca di Sassari dott. Ivano Spallanzani, dal Presidente del Banco di Sardegna prof. Franco Farina, dal Sen. Nicola Mancino, dalla Presidente del Tribunale di sorveglianza di Sassari dott.ssa Antonella Vertaldi. Ringrazio le autorità presenti, il Sindaco di Sassari, i numerosi assessori, l’assessore provinciale Paolo Denegri, il vice prefetto, le autorità civili, militari, religiose. Saluto i relatori,, in particolare il prof. Luigi Berlinguer, al quale rivolgo gli auguri dell’Ateneo per il premio MEP 2011 per il miglior deputato dell’anno come eurodeputato di Alleanza progressista dei socialisti e democratici al Parlamento europeo per la categoria cultura e istruzione. E poi il prof. Gian Paolo Brizzi, antico collega nell’Università di Sassari ed ora Segretario Generale del Centro interuniversitario per la Storia delle Università italiane; il prof. Gino Fornaciari direttore della Divisione di Paleopatologia e ordinario di Storia della Medicina e Bioetica, il prof. Giancarlo Nonnoi direttore di SARDOA Digital-Library La Sardegna e le Scienze.

Ora abbiamo ben presente il valore di un patrimonio storico che ereditiamo, nella sua complessità e nella sua ricchezza di contenuti umani e scientifici, dal quale partire per costruire un Ateneo nuovo, capace di misurarsi in un confronto internazionale ma fortemente ancorato a un’identità e a una storia speciale.

Siamo orgogliosi di assumere questa eredità e insieme siamo convinti che è necessario un forte impegno di innovazione e di modernizzazione, un deciso cambiamento, che richiede determinazione e fantasia, creatività e capacità operative, perché occorre accelerare gli interventi, con una spinta riformista, dando spazio ai giovani, alle donne, a tutti coloro che abbiano talento, valorizzando le competenze di ciascuno e il merito.

Anziché volgerci al passato, vorremmo cogliere questa occasione preziosa per guardare al futuro, pensando alla rifondazione del nostro Ateneo che è in corso, in relazione a una riforma universitaria che nei propositi intende ispirarsi ai principi di autonomia e di responsabilità, ma che avremmo desiderato ancora più rispettosa delle identità e degli specifici profili dei singoli atenei italiani, più consapevole della complessità delle tradizioni accademiche e del valore della diversità e della differenza, soprattutto più attenta al tema dei giovani ricercatori in formazione e più sensibile alle esigenze del diritto allo studio.

Le Università stanno rapidamente rinnovandosi e abbiamo trascorso l’ultimo anno a riflettere sul nuovo statuto ed a dare esecuzione alla legge 240, che ora dobbiamo applicare cogliendo tutti gli spazi di democrazia e di partecipazione, ribadendo i principi delle pari opportunità, del diritto allo studio, della dignità del lavoro e del contrasto al precariato, della promozione del merito e delle competenze, della programmazione e della valutazione, della trasparenza. Vorremmo raggiungere un obiettivo ambizioso,  aumentare la produttività, innalzare il numero degli iscritti, dunque il numero dei laureati specie nelle discipline scientifiche, degli specializzati, dei dottori di ricerca.  Ridurre il numero dei falsi studenti, promuovere l’internazionalizzazione, gli scambi Erasmus, la mobilità, lo sviluppo dell’ITC, la conoscenza delle lingue straniere, combattere nuove forme di analfabetismo e introdurre una formazione più lunga. Soprattutto sostenere la ricerca di eccellenza capace di introdurre innovazioni nei diversi campi del sapere.  Il quadro disegnato dalla legge di riforma alla ricerca dell’efficienza degli Atenei si dovrà comunque confrontare con la capacità di coinvolgimento delle persone, con la adozione partecipata degli obiettivi prioritari da raggiungere, con politiche di integrazione che correggano il modello centralistico di base che ci preoccupa.

C’è un compito che ci aspetta e ritardi che si sono accumulati specialmente in un Ateneo come il nostro che celebra i suoi 450 anni di vita, rivendicando una dimensione internazionale originaria. Nel richiamare le proprie radici storiche, l’Ateneo sta avviando un percorso di rifondazione come Università pubblica, all’interno di un sistema internazionale più competitivo e globale, ispirandosi ai principi di autonomia; nel nuovo statuto la comunità universitaria si dichiara solennemente consapevole della ricchezza e complessità delle tradizioni accademiche e del valore delle diverse identità. Si dà un ordinamento stabile, afferma il metodo democratico nella elezione degli organi, si dichiara attenta al tema della formazione delle giovani generazioni e alle esigenze del diritto allo studio; colloca lo studente al centro delle politiche accademiche e promuove la cultura come bene comune. Rivendica i valori costituzionali, previsti per le «istituzioni di alta cultura», della libertà di scelta degli studi, di ricerca e di insegnamento, assicurando tutte le condizioni adeguate e necessarie per renderla effettiva. Si impegna a promuovere, d’intesa con le altre istituzioni autonomistiche, lo sviluppo sostenibile della Sardegna e a trasferire le conoscenze nel territorio, operando per il progresso culturale, civile, economico e sociale. Senza dimenticare l’identità e la lingua.

Siamo impegnati a lavorare intensamente con senso di responsabilità e consapevolezza delle attese che ora ci accompagnano e che non possiamo deludere. Col dovere di rispondere alla fiducia accordataci. Anche con orgoglio e rivendicando una storia, una tradizione scientifica di eccellenza, una nostra cifra originale.

Consentitemi in chiusura di tornare indietro di un secolo, per cogliere con emozione una distanza e soprattutto una speranza. L’Ateneo di oggi è veramente diverso da quello che un secolo fa si dibatteva in una tremenda crisi di identità. In un polemico memoriale Pro Atheneo Sassaresse indirizzato a SE il Ministro della pubblica istruzione del Regno d’Italia Leonardo Bianchi, il 7 aprile 1905 gli studenti universitari di Giurisprudenza, Medicina Farmacia protestavano contro il falso pareggiamento dell’Università: <<Il decoro del nostro Ateneo, la serietà degli studi e la base civile della nostra vita avvenire, il risentimento giusto contro soprusi colpevoli da parte delle autorità politiche, che ci fanno immeritatamente inferiori rispetto agli altri colleghi del continente, spingono oggi noi, Studenti Universitari, ad una dignitosa protesta, la quale, nel campo della verità e nel limite del possibile, vuole le sue soddisfazioni>>.

E, al termine di una serie di osservazioni critiche <<provvederà il governo alle nostre giuste richieste ! noi lo speriamo, perché la nobiltà degli studi è tale questione civile che non può essere disconosciuta o risolta con mezzi termini. L’istruzione, idealmente intesa, è la forza e la vita delle genti, e le vittorie del pensiero, perché non hanno, come le altre, l’ebrezza sanguinosa dell’eccidio, sono veramente sante e belle. Noi vogliamo istruirci e questa nostra volontà non è violenza, ma dovere e diritto incontrastabile. Chè, se il desiderio e il vero pareggiamento fosse ancora d là da venire, noi vorremmo che i battenti del nostro Ateneo rimanessero eternamente chiusi, ed a caratteri di fuoco avessero scolpiti i versi del grande Michelangelo:
Grato m’è il sonno e più l’esser di sasso

Mentre che il danno e la vergogna dura

Non veder, non sentir m’è gran ventura,

però non mi destare, deh! parla basso.

Quei battenti del nostro palazzo oggi sono spalancati. La chiusura della nostra Università non è all’ordine del giorno.

Abissale mi pare oggi la distanza tra quegli studenti combattivi ma delusi ed i nostri studenti che non hanno complessi di inferiorità e guadano davvero all’Europa.

Il compito che ci viene affidato è innanzi tutto quello di accompagnare i giovani sardi in una competizione internazionale dalla quale possono veramente uscire vincenti.

E’ una responsabilità, un impegno, una promessa.




Joseph Ratzinger Benedetto XVI: Gesù di Nazaret, dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione.

Joseph Ratzinger Benedetto XVI:
Gesù di Nazaret, dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione.

Saluto del Rettore Prof. Attilio Mastino

Sassari, 9 dicembre 2011

Ho il piacere di introdurre questo incontro intorno al volume di Joseph Ratzinger Benedetto XVI su Gesù di Nazaret, dedicato ai pochi giorni che vanno dall’ingresso a Gerusalemme fino alla risurrezione. Saluto cordialmente i due arcivescovi mons. Paolo Atzei e Ignazio Sanna, don Marco Angioni responsabile della Cappellania Universitaria e il dott. Giuseppe Scotti direttore della Libreria editrice vaticana, che ha pubblicato l’opera; infine il dott. Pierluca Azzaro curatore el volume.

Già nel I volume uscito nel 2007 per Rizzoli, dedicato ai lunghi anni che hanno preceduto l’arrivo di Gesù a Gerusalemme, ero stato sorpreso – come storico – per l’attenzione di un Papa verso le fonti che consentono di ricostruire la storicità della figura del Cristo, per questo radicamento della metastoria nella storia, per questo tentativo di Benedetto XVI di presentare il Gesù dei Vangeli come un personaggio della vita reale, come il “Gesù storico” in senso vero e proprio. Allora Benedetto XVI si era dichiarato <>.

E poi l’impatto sulla società dei suoi tempi, la precocità delle testimonianze, le reazioni commosse e sorprese dei contemporanei, se è vero che . Per Benedetto XVI  la figura di Gesù ha fatto saltare tutte le categorie disponibili e ha potuto così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio.

C’è anche in questo secondo volume una straordinaria attenzione per le opere teologiche, filosofiche, storiche più recenti, anche di matrice protestante, per lo sviluppo dell’esegesi patristica nei nostri giorni, per una cristologia rinnovata che non perda il suo radicamento storico, che sia sostenuta da una riflessione teologica fresca, da un’informazione completa sulla ricerca in corso anche di tipo archeologico, numismatico, epigrafico,  partendo dai vangeli. Benedetto XVI va molto al di là, con questa opera, rispetto ad una cristologia di maniera attenta esclusivamente all’ortodossia dottrinale.

Al centro di questo secondo volume sta veramente  il tempio di Gerusalemme, il luogo sacro invaso dai mercanti, che per Marco Gesù libera rovesciando i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe nel cortile dei gentili, perché secondo Isaia <>. Per Benedetto XVI la purificazione del tempio non fu un evento violento come quello desiderato dagli zeloti,  fu invece un messaggio esplicito verso una comune adorazione di Dio aperta ai gentili. E se ci sarà qualcuno che distruggerà questo tempio, per Giovanni in tre giorni Gesù lo farà risorgere, nel segno della croce e della risurrezione. E dopo la purificazione del tempio, ricorda Matteo, gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi ed egli li guarì, perché Gesù non fu un distruttore che impugna la spada del rivoluzionario, ma fonda il suo potere sull’amore per gli ultimi.

Il tema della fine del tempio è veramente al centro di queste pagine: per Epifanio Cristo aveva detto loro di abbandonare Gerusalemme e di trasferirsi altrove, perché la città sarebbe stata assediata e Marco aveva raccomandato di fronte all’abominio della devastazione a quelli che si trovavano in Giudea di fuggire sui monti.

Nel 40° anniversario dalla crocefissione di Gesù, ancora una volta per Pasqua, il tempio fu effettivamente distrutto dall’imperatore Tito, dopo la sospensione del sacrificio e l’arrivo di tanti fanatici.

Spero mi perdonerete se ricorderò brevemente di aver scritto in questi giorni un articolo  scientifico proprio su questo tema, un tema che trovo sintetizzato da Benedetto XVI con poche e significative parole, guardando ai tempi della diaspora: . Per la mentalità degli antichi, se il Signore aveva abbandonato la sua residenza nel tempio, dove si era trasferito ?

Dopo i contrasti tra Farisei, Sadducei, Esseni, la rivolta giudaica contro i Romani era stata alimentata dall’arrivo dei Sicari e soprattutto degli Zeloti a Gerusalemme, animata da quei ciarlatani, falsi profeti, individui falsi e bugiardi – scrive Giuseppe – che fingevano di essere ispirati da Dio, macchinavano disordini e rivoluzioni, spingevano il popolo verso il fanatismo religioso e lo conducevano nel deserto.

Proprio il Dio dei Giudei per Giuseppe Flavio avrebbe deciso di abbandonare il suo popolo, disgustato per le tante empietà, distogliendo il suo sguardo dai luoghi santi a causa di quei malvagi, offeso per il fatto che il santuario era stato contaminato e  aveva necessità di un nuovo rito di purificazione dopo esser diventato la tomba dei cittadini massacrati.  Per Giuseppe Flavio fu il Dio a condannare alla distruzione la città contaminata ed a voler purificare col fuoco i luoghi santi, provocando un furore fratricida ed una lotta intestina.  Dopo le rapine e gli assassini, il Tempio era diventato il ricettacolo di tutti i delinquenti e il luogo santo era profanato da mani di connazionali, mentre anche i Romani fino ad allora lo avevano rispettato tenendosene lontani e trascurando molti dei loro usi in ossequio alla legge.  Dio aveva abbandonato i luoghi sacri ed era passato dalla parte dei Romani, quelli che ora i Giudei combattevano.

Del resto per Giuseppe Flavio esisteva un antico detto d’ispirazione divina secondo cui, quando la città fosse caduta in preda alla guerra civile e il tempio del dio profanato per colpa dei cittadini, allora essa sarebbe stata espugnata e il santuario distrutto col fuoco dai nemici; ed il Vangelo di Marco attribuisce a Cristo la predizione della distruzione del tempio (Gesù gli rispose: <>).   Per Flavio Giuseppe erano state disattese quelle prescrizioni rituali, consacrate anche su lapidi antiche con iscrizioni sulla porta del santuario, che imponevano ai visitatori, giudei e stranieri la legge della purificazione in lingua greca ed in latino.

Gerusalemme fu espugnata da Tito, che non avrebbe voluto la distruzione del tempio; il luogo, un altopiano con le pareti scoscese, era forte per natura e straordinariamente rafforzato dalla costruzione di opere difensive. Di fronte a coloro che sostenevano che la città dovesse subire i rigori delle leggi di guerra, poiché i giudei non avrebbero mai cessato di ribellarsi finché restava in piedi il tempio nel quale si radunavano da ogni parte, Tito diede disposizioni per salvare il tempio anche se era stato il dio stesso a condannarlo alle fiamme: contro il volere di Cesare il tempio fu distrutto dalle fiamme,  il 10 del mese di Loos, nell’anniversario dell’incendio del tempio per volontà del re dei Babilonesi Nabucodonosor.

Ho di recente ipotizzato che Tito, fornito degli auspicia imperiali, abbia di fatto celebrato un rito di vera e propria evocatio del Dio dei Giudei da Gerusalemme a Roma nel Templum Pacis, costruito da Vespasiano in quello stesso anno, sul modello della Giunone Regina di Veio nell’età di Camillo o della Tanit Caelestis di Cartagine per iniziativa di Scipione l’Emiliano: alcuni altri esempi di evocatio sono citati dalle fonti tra l’età repubblicana e il principato di Tiberio.  Si può forse ipotizzare che Tito abbia celebrato un rito religioso arcaico, nel tentativo di trasferire a Roma il culto del Signore degli Ebrei, con cerimonie di cui le fonti non ci hanno conservato notizia: egli avrebbe semplicemente certificato ciò che poi lo stesso Flavio Giuseppe avrebbe dichiarato, cioè che il Dio sdegnato aveva abbandonato per sempre il sacro tempio. Tacito del resto nel V libro delle Historiae ricorda i prodigi che avevano preceduto l’assedio, mentre gli Ebrei, schiavi della superstizione – sono parole i Giuseppe Flavio –  non erano riusciti a scongiurare la minaccia: si erano visti in cielo scontri di eserciti e sfolgorio di armi e, per improvviso ardere di nubi, illuminarsi il tempio. Si erano aperte di colpo le porte del santuario e fu udita una voce sovrumana annunciare: <>, audita maior humana vox <>.

Più tardi, dopo il sanguinoso episodio di Masada, dopo il trionfo di Vespasiano e Tito, la città di Gerusalemme sarebbe divenuta per Giuseppe Flavio ormai una landa desolata, con gli orti distrutti, gli alberi tutti tagliati alla radice, mentre le mura erano abbattute, la reggia e il Tempio devastati. Restavano a ricordare l’antico splendore le tre torri Fasael, Ippico e Mariamme lasciate sopravvivere da Tito per testimoniare ai posteri l’importanza originaria della città che lui aveva conquistato. Presso le ceneri del santuario abbandonato dal Dio ora se ne stavano dei miseri vecchi e poche donne riservate dal nemico al più infame oltraggio. Iniziavano i tempi terribili della diaspora, quando gli Ebrei dovettero avviarsi in esilio, sparpagliandosi per il Mediterraneo.

Gli oggetti preziosi del culto, i cimeli civili e religiosi conquistati nel corso dell’assedio, avevano ormai raggiunto Roma, al tempo del vescovo Lino, i primi raccolti nel tabularium principis sul Palatino, i secondi conservati all’interno del Templum Pacis, dove non escluderei sia stata progettata da Tito (tanto legato alla principessa Berenice)  la ripresa di un culto in onore del Dio dei Giudei, ripresa che in realtà poi non dové svilupparsi, apparentemente a causa della mancata adesione della comunità ebraica romana. Eppure si ha traccia di un vero e proprio pellegrinaggio di fedeli di religione ebraica verso il templum Pacis a Roma negli anni immediatamente successivi alla sua  consacrazione.

Non pretendo che questa mia spericolata ipotesi storica possa essere accettata oggi né tanto meno che possa coincidere con il pensiero di Benedetto XVI, che è ben più profondo e articolato: eppure il merito di questo libro è soprattutto quello di ancorare la figura di Gesù ad una storia reale, a un personaggio vero, ad una terra, ad un popolo. Nella prospettiva della purificazione del tempio e dopo la critica ai sacrifici cruenti celebrati nel cortile dei gentili, come il sangue della crocifissione è metafora di riparazione e di espiazione, la resurrezione è insieme una realtà, una speranza, una profezia, un luogo di riconciliazione, un orizzonte  escatologico per noi uomini di oggi.




La Sardegna nel Risorgimento

La Sardegna nel Risorgimento
Cagliari I dicembre 2011
Intervento del Rettore dell’Università di Sassari prof. Attilio Mastin
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Si chiudono con questo Convegno le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Dunque quello che oggi inauguriamo non è solo un incontro scientifico che vede riuniti molti autorevolissimi studiosi che si interrogano sulle ultime novità della ricostruzione storiografica sulla Sardegna nel Risorgimento nazionale, ma è soprattutto – diceva la Presidente on.le Claudia Lombardo – un’opportunità per programmare lo sviluppo della Sardegna di domani e l’occasione per un bilancio degli straordinari risultati di oltre un anno di incontri, convegni, dibattiti, mostre che hanno visto mobilitato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Comitato per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, presieduto in Sardegna da Aldo Accardo.

Si è sviluppata in questi mesi una più profonda riflessione sul federalismo prossimo venturo, un evento insieme desiderato e temuto, e sulla specialità della Sardegna ed è ripreso proprio in questi giorni il dibattito sullo statuto sardo in Consiglio regionale e sulla sovranità della Sardegna all’interno di una realtà federale.

E’ emerso con sempre maggiore chiarezza il ruolo della Sardegna nel processo di unificazione nazionale, la scelta della Perfetta fusione dei Sardi con gli Stati di terraferma nel 1847, il contributo dell’isola al Risorgimento. Sono stati presentanti nuovi documenti e sono stati aperti archivi e musei.  Ieri ho potuto visitare alla Cittadella, all’interno del forte di Castello, la mostra su Gaetano Cima, i progetti per lo Spedale civile, per Porta Stampace, per il Mercato Carlo Felice, per il ricovero San Vincenzo, per il Bastione Darsena e la Carrettera da porta S. Agostino, per la Parrocchiale San Giacomo, per il Teatro Civico, per la Piazza del Carmine tra il 1842 ed il 1863.

Tanti altri documenti verranno presentati nel Convegno che oggi si inaugura.

Nei giorni scorsi a Sassari, discutendo il volume del reumatologo cagliaritano prof. Ugo Carcassi abbiamo messo al centro delle celebrazioni la figura del generale Giuseppe Garibaldi, la sua tomba solitaria a Maddalena, le sue imprese tra Uruguay, il Rio della Plata che ho visitato poche settimane fa, la Russia, le Alpi e la Sicilia. La sua capacità di trascinare una generazione di giovani entusiasti e appassionati verso l’obiettivo di costruire una patria.

La concessione della cittadinanza di Sassari al generale Garibaldi nel 1861 ha avuto innanzi tutto lo scopo di restituire una patria all’esule che aveva perduto la sua Nizza. Ma è stato anche il modo che hanno avuto i Sassaresi, primi in assoluto, a legare la Sardegna all’impresa dei Mille.

Vorrei oggi  tentare brevemente di far rivivere, in questo intervento introduttivo, qualche frammento di quell’entusiasmo giovanile, di quelle “grandi speranze” che in Sardegna si alimentarono del mito di Giuseppe Garibaldi. Oggi  Garibaldi è Caprera, Garibaldi è Sardegna; scrive il giornalista Paolo Rumiz, durante una sua visita all’isoletta dell’arcipelago maddalenino: . Certo sono tantissimi i luoghi garibaldini, ricordati con una targa commemorativa “qui soggiornò l’eroe dei due mondi…” e tanti mi è capitato di vederne, penso solo alla casa Whittacker, nell’isola di Mozia, davanti al golfo di Trapani, dove l’eroe si fermò a dormire ma nessuno ha il sapore sardo e internazionale della dimora di Garibaldi a Caprera.

Del resto che, per molti giovani sardi della sua epoca, Garibaldi abbia incarnato le fattezze dell’eroe è testimoniato dalla vicenda, poco nota, di Pietro Tamponi, l’archeologo olbiese, fondatore del Museo epigrafico di Olbia presso la Basilica di San Simplicio, fuggito nel 1867 a soli sedici anni dal collegio di Pistoia presso il quale era stato mandato dai genitori per compiere studi umanistici, per arruolarsi nell’esercito garibaldino capeggiato dal figlio di Garibaldi, Menotti. Si era nell’anno del tentativo d’invasione dello Stato Pontificio, dello scontro con i Francesi, della disfatta dell’esercito garibaldino a Mentana, della battaglia di Monterotondo del 25 ottobre del 1867 dove morirono circa 150 volontari garibaldini, tutti ragazzi come il Tamponi. Voglio ricordare il maddalenino Antonio Viggiani, caduto combattendo a Monterotondo: <>, del quale Garibaldi scrisse nelle Memorie: <>. Eppure Tamponi non dimenticò mai i suoi ideali di ragazzo se ancora nel 1895 scriveva a proposito di Garibaldi, definendolo il “leggendario eroe”, “sempre ben vivo nel cuore di tutti” e arrivando a immaginare che l’eroe “quando il fato d’Italia segni l’ora di guidare la patria a nuove pugne…scoperchiando l’avello, ritornerà alla testa dei martiri nostri, come nei tempi eroici, portando lo stendardo nelle prime file; e fra il cruento canto della vittoria, dalla spuma del sangue dei nuovi martiri, si vedrà sorgere al cielo la sua figura, piovente la chioma leonina sulla camicia rossa, gentile come un eroe di Virgilio, bello come un dio indigete lampeggiante fra l’imperversare della bufera”. Certo queste parole sono forse antiquate e lontane ma incarnano il senso di una generazione di Sardi che credette senza riserve nell’ideale dell’unità d’Italia e dell’unità europea nel quale anche la Sardegna e la sua identità avrebbero trovato un posto di primo piano. A questo proposito sono quanto mai significative le parole scritte da Victor Hugo a Tamponi nel 1870 dal suo esilio di Hauteville House in Normandia: .

Questa fede portò inevitabilmente a degli eccessi  se pensiamo alla vicenda di una delle più clamorose falsificazioni ottocentesche, quella delle Carte d’Arborea , pubblicate da Pietro Martini nel 1863, documenti che inventavano di sana pianta il mito di una Sardegna patria di eroi di filosofi e di poeti, falsificazione alla quale presero parte un gruppo di intellettuali dell’isola, nel momento critico del passaggio dalla “Sardegna stamentaria” allo “Stato italiano risorgimentale”: Salvator Angelo De Castro, Gavino Nino, fose lo stesso Giovanni Spano. Attraverso la vicenda delle Carte d’Arborea siamo in grado di ricostruire uno spaccato di personaggi e storie, indissolubilmente legate ad esempio a quelle garibaldine e dell’Unità d’Italia, come quella di uno dei probabili autori della falsificazione il canonico Gavino Nino, poeta, autore di tragedie, racconti opuscoli, contrario alla cessione della Sardegna alla Francia nel 1862, violento difensore di alcuni garibaldini di cui conosceva talmente bene le vicende da arrivare a firmare, all’epoca in cui era direttore del Regio ginnasio di Bosa, un violento opuscolo contro il Municipio, con  il nome di Giuseppe Dettori, un giovane maestro elementare, destituito dall’insegnamento nel 1861, per essersi arruolato nell’esercito garibaldino e non essersi curato di “prevenire il municipio di tale sua gita e del suo prossimo ritorno”.

Possono sembrare piccole storie di provincia, lontane dalla grande storia ma che in realtà si intrecciano indissolubilmente con essa, tessere di un mosaico che ricostruisce, a volte con fatica, con un duro lavoro di ricerca, la memoria di un’unità spesso contraddittoria sempre in bilico ma nella quale tanti ragazzi hanno creduto e per la quale si sono sacrificati come quel giovane Goffredo Mameli, l’autore delle parole del tanto discusso “Canto degli Italiani”, morto a ventidue anni nel 1849, nella difesa della Repubblica romana e i cui antenati erano originari di Lanusei in Ogliastra.

Si chiude oggi con questo convegno l’esperienza trentennale del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari e credo anche del Dipartimenti di Studi storico geografici e artistici e del Dipartimento storico politico dell’Università di Cagliari.

C’è tanta nostalgia e rimpianto. Eppure in questi giorni stiamo costruendo la nuova università del futuro, con il nuovo statuto, con i nuovi dipartimenti, con le nuove Facoltà: guardiamo a questi tre decenni con soddisfazione per le tante iniziative portate avanti, per i tanti risultati raggiunti, per le reti di relazioni che si sono sviluppate in questi anni, per i numerosi filoni di ricerca originali e innovativi.

Auguri per questi vostri lavori, benvenuto ai tanti ospiti,  soprattutto auguri per il nostro futuro.




Laurea ad honorem all’on.le dott. Pasqual Maragall i Mira.

Laurea ad honorem all’on.le dott. Pasqual Maragall i Mira.

Intervento del Rettore prof. Attilio Mastino

Sassari, 5 dicembre 2011

Autorità, caro Presidente, Onorevole Assessore, cari amici,

la Facoltà di Architettura della Università di Sassari in data 9 dicembre 2009, cn voto unanime, su impulso del Preside Giovanni Maciocco, ha proposto il conferimento della laurea honoris causa in Pianificazione e Politiche per la città, l’ambiente e il paesaggio ai sensi dell’articolo 169 del t.u. 31 agosto 1933 n. 1592 all’on.le dott. Pasqual Maragall i Mira, coraggioso esponente politico catalano, da sempre legato alla città di Alghero, alla Sardegna ed all’Italia.

La proposta è stata accolta dal Senato Accademico il 28 agosto 2010 e dall’allora Ministro Maria Stella Gelmini in data 7 settembre 2011. Nelle motivazioni la Facoltà ha affermato che , perché siamo convinti che veramente l’urbs è innanzi tutto civitas fatta da persone, da cittadini, da relazioni.

Nato a Barcellona il 13 gennaio 1941 all’indomani della guerra civile, Maragall fu alcalde di Barcellona tra il 1982 ed il 1997 e Presidente della Generalitat de Catalunya tra il 2003 ed il 2006. E’ un grande onore per il nostro Ateneo, che celebra quest’anno i suoi 450 di vita, accogliere un protagonista della resistenza antifranchista, una personalità politica di primo piano della Spagna democratica ed insieme un intellettuale di dimensione internazionale, con lo scopo di riconoscere l’impegno dell’uomo e insieme di legare ulteriormente la nostra Facoltà di Architettura, a breve il nuovo Dipartimento di Architettura, alla cultura catalana, alla quale ci legano secoli di storia comune. Voglio del resto ricordare che il nostro Ateneo partecipa attivamente alla Xarxa Vives d’Universtats, la rete delle Università catalane ed io stesso ho preso parte alla Universitat d’Estiu a Prada nella Catalunya Nord, luogo simbolico della resistenza alla dittatura.

Maragall si è laureato in Diritto e Scienze Economiche presso l’Università di Barcellona, entrando come economista nel 1965 nel Departament de urbanismo del Ayuntament de Barcellona. Al contempo agli ha impartito lezioni di teoria dell’economia presso l’Università Autonoma di Barcellona in qualità di assistente del professor Josep M. Bricall. Inoltre ha fornito consulenze per il Servizio studi del Banc Urquijo, diretto da Ramon Trias Fargas.

Era entrato da qualche anno nel Front Obrer de Catalunya (fronte dei lavoratori della Catalogna) e aveva aderito all’ala sinistra del movimento anti Franchista Fronte di Liberazione Popolare. In questi anni ebbe un ruolo fondamentale la famiglia, il suo felice matrimonio con Diana Garrigosa, i figli; sono gli anni inquieti ed intensi della giovinezza, segnati profondamente dalla collaborazione come assistente proprio col prof. Jospep Bricall all’Università Autonoma di Barcellona. E poi la sua tappa di giovane economista con grandi speranze a margine dell’intenso lavoro comune con Ramon Trias Fargas; infine la sua vocazione municipalista, sintetizzata mi pare nel Museu de historia de la ciutat di Barcellona.

Tra il 1971 ed il 1973, conseguì un Master in Economia internazionale e economia urbana presso la New School for social research dell’Università di New York, dove si era trasferito con la famiglia. Tornò quindi a lavorare, nel contempo, al Gabinet técnic del Ayntament de Barcellona, e come insegnante a tempo determinato di economia urbana ed internazionale, presso la facoltà di economia dell’Università Autonoma di Barcellona. Qui cinque anni dopo, presentò la sua tesi di dottorato sui prezzi dei suoli urbani a Barcellona nei trenta anni successivi alla guerra civile. Nel 1974 offrì assistenza ad uno dei gruppi fondatori del Partito Socialista, Convergència Socialista de Catalunya, e creò la Federazione di Barcellona. Nel Partit dels Socialistes de Catalunya ricoprì il ruolo di responsabile delle politiche comunali.

Subito dopo le prime elezioni legislative del 15 giugno 1977, insieme a Narcís Serra, organizzò a Barcellona la campagna del PSC per i ballottaggi. Dopo la vittoria, Maragall rappresentò il partito al comitato di controllo del Consiglio, che restò in carica, fino a quando vi furono le prime elezioni municipali democratiche.

Nel 1978 iniziò a lavorare come visiting professor presso la John Hopkins University a Baltimora, la quale, anni dopo, gli conferì la laurea honoris causa.

Al suo ritorno, nel 1979, entrò a far parte della lista elettorale nelle prime elezioni municipali della città di Barcellona nella nuova era democratica. Prima di tutto, in qualità di vicealcalde della riforma amministrativa, si occupò della modernizzazione della pubblica amministrazione, ed in un secondo momento, in veste di vice alcalde al bilancio, della pianificazione del sistema finanziario.

Quando nel 1982 l’amico sindaco Narcís Serra, fu promosso ministro e vice-presidente del governo spagnolo, Maragall divenne alcalde di Barcellona, rieletto per 5 mandati successivi. La sua vittoria elettorale gli consentì di ottenere per Barcellona i giochi olimpici del 1992, che furono l’occasione per cambiare profondamente l’aspetto di città grigia. Presidente del Comitato organizzatore, Maragall riuscì a trasformare Barcellona in quel polo di attrazione mondiale che è la città di oggi, come grande referente internazionale turistico e culturale.

Le Olimpiadi rappresentarono un enorme passo avanti non solo per la città ma anche per tutta la Catalogna, che godette del prestigio relativo all’evento sportivo, non solo per lo straordinario successo organizzativo ma anche in senso sociale.

Durante questo periodo fu anche il promotore della rete Eurociutats, gruppo di 6 grandi città del Mediterraneo occidentale (Toulouse, Montpellier, Zaragoza, Valencia, Palma de Mallorca e Barcellona).

Dal 1991 al 1997 fu Presidente del Consiglio dei Municipi e delle Regioni d’Europa ed anche vice Presidente della Unione Internazionale degli Enti Locali. Dal 1996 fino al 1998 fu anche Presidente del Comitato delle Regioni dell’Unione Europea.

Nel 1997, Pasqual Maragall si dimise da Sindaco, si ritirò temporaneamente dalla vita politica per prendersi un breve sabbatico e insegnò a Roma, dove continua ad avere un gran numero di amici.

Già l’anno dopo ritornò, tuttavia, nel mondo politico candidandosi alla presidenza della Generalitat per il Partit dels Socialistes de Catalunya y Ciutadans pel Canvi. Come Capo dell’opposizione, promosse la costituzione del Parlamento Ombra, e preparò il suo progetto per governare la Catalogna. Infatti ne divenne presidente dal 2003 fino al 2006. In questo frangente riformò lo statuto di autonomia della Catalogna che fu definitivamente approvato con un referendum il 18 giugno del 2006.

E’ considerato il maggior esponente del federalismo catalano della seconda metà del ventesimo secolo. Il suo spirito europeista lo spinse a promuovere la Euroregione Pirenei-Mediterraneo ed a lavorare perché il governo regionale Catalano ottenesse una maggiore rappresentanza nell’ambito del Parlamento Europeo.
Dal 2007 costituì e presiedette la Fundació Catalunya Europa, una fondazione che, si prefigge di agevolare la partecipazione della Catalogna nell´Europa. Il suo obiettivo fu quello di investire in conoscenze capaci di esprimere gli ideali Europei di democrazia, senso civico, collaborazione economica e welfare.
Il 20 ottobre 2007, Pasqual Maragall durante una conferenza stampa tenuta presso l’Ospedale San Paolo di Barcellona, rese noto il dramma della sua malattia, dedicandosi poi attivamente con tutte le sue energie alla lotta contro il morbo di Alzheimer. Nell’aprile del 2008 fondò la Pasqual Maragall Fondazione per la ricerca sull’Alzheimer. Si tratta di una organizzazione no profit, diretta dal Dr. Jordi Camí, che incoraggia la ricerca scientifica nel campo delle malattie neuro degenerative, con particolare riguardo verso la prevenzione, il trattamento e la cura.

Il riconoscimento di oggi, deciso dall’Ateneo tutto, vuole dare testimonianza dell’impegno del politico, dell’urbanista, dell’amministratore, del tecnico, del cittadino verso Barcellona ma anche verso l’Europa; soprattutto dell’interesse che Maragall sappiamo ha sempre avuto nei confronti delle città europee e in particolare de L’Alguer e del fatto che sotto il suo governo poté svilupparsi una stretta collaborazione della città sarda con la Generalitat de Catalunya.

Consentitemi di dire che in questo drammatico momento di crisi economica europea sono necessari intellettuali come Pasqual Maragall, attenti a interpretare l’economia con una attenzione allo stato sociale che va difeso contro la speculazione dei mercati.

La sua vicenda di uomo coraggioso che ha saputo affrontare la malattia e trasformarla in impegno e collaborazione verso la ricerca deve rappresentare un esempio per tutti noi, quello dell’intellettuale a tutto tondo proteso sempre verso il futuro, in grado di coniugare dottrina e humanitas.

Vorrei concludere ricordando i versi, per in qualche modo profetici, del grande sensibile poeta Joan Maragall, nonno di Pasqual Maragall, tratti dalla Oda nova a Barcelona, che a me sembrano un simbolo dei suoi rapporti con la Sardegna e testimoniano un legame profondo tra Alghero e Barcellona veicolato forse dalle onde del mare:

Oh! detura’t d’un punt! Mira el mar, Barcelona, com té faixa de blau fins al baix horitzó, els poblets blanquejant tot al llarg de la costa, que s’en van plens de sol vorejant la blavor.

Pasqual Maragall trasformò in realtà il sogno di suo nonno, aprì Barcellona al mare in occasione del nuovo disegno urbanistico per la grande Olimpiade nel suo mandato di alcalde.

A me piace pensare che alcuni di quei “poblets blanquejant tot al llarg de la costa” possano esser stati nella mente di Pasqual Maragall i litorali e le falesie a picco sul mare delle coste della Sardegna tra Oristano e Alghero, tra Capo Caccia, Capo Marrargiu e Capo Mannu.

Sono sicuro che è stato veramente cosi e la laurea honoris causa di oggi in qualche modo testimonia un’attenzione ed un sentimento.