Convegno internazionale Isole, Isolanità, Insularità (Cagliari, 3-5 ottobre 2018)

Attilio Mastino, Raimondo Zucca (Università di Sassari)
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, / fin nel Morrocco, e l’isola de’ Sardi, / e l’altre che quel mare intorno bagna. Le isole del Mediterraneo occidentale, dell’Atlantico iberico e del Marocco tra oralità e scrittura
Convegno internazionale Isole, Isolanità, Insularità (Cagliari, 3-5 ottobre 2018)


Il richiamo al celebre “Canto di Ulisse” dantesco di If. XXVI, con la terzina dei vv. 103-105, definisce un paesaggio insulare del Mediterraneo occidentale dei Mappamondi, delle carte nautiche e dei portolani medievali cristiani e arabi, così come il paesaggio atlantico, oltre i riguardi posti da Ercule (le Colonne d’Ercole) (If. XXVI, 107-108: quando venimmo a quella foce stretta / Dov’Ercule segnò li suoi riguardi), che era quello d’un mondo sanza gente (If. XXVI, 117), dunque privo di abitanti, ancorché la cosmografia antica vi conoscesse delle isole (in primis le isole dei Beati o Insulae Fortunatae, citate da Dante nel De Monarchia (Mn. II III 13)), così come il medioevo con la Navigatio Santi Brandani e con lo stesso Dante che conosce Gade (Pd. XXVII 82), l’ isola atlantica di Gadir/Gadeira/Gades a 76 miglia nautiche (130 km) ad ovest delle colonne d’Ercule; nel Grande Oceano si conclude il folle volo di Ulisse (If. XXVI, 125), con l’ultimo naufragio davanti alla montagna bruna / per la distanza e parvemi alta tanto / quanto veduta non avëa alcuna (If. XXVI, 133-135), ossia l’isola oceanica del Purgatorio.

Prendendo l’avvio dalle isole dell’immaginario mediterraneo e atlantico di Dante proponiamo una riflessione sulle insulae occidentali attraverso le coordinate geografiche, mitostoriche, linguistiche ed epigrafiche della Sardinia et Corsica, delle Baliares, dell’arcipelago gaditano e delle insulae Purpurariae (Mogador, presso Essaouira- Marocco), soffermandoci su alcuni fulcri tematici:

1) La geografia antica delle isole occidentali.

2) L’itinerario mitico eracleo che abbraccia in una antica ruta de las islas le isole citate.

3) Il melting pot degli ambienti insulari dei mari d’Occidente tra autoctoni, levantini, greci, romani, arabi.

4) Le lingue e le scritture nelle isole d’Occidente.

Più in generale il tema identitario costituisce uno dei filoni più fecondi della storiografia moderna;  il tema delle lingue e delle scritture antiche appare cruciale per definire il momento del passaggio da una oralità esclusiva delle culture autoctone insulari ad una civiltà orale e dotata di scrittura. Allo stato delle conoscenze dobbiamo rimarcare che questo momento si fissa nelle nostre isole mediterranee occidentali e dell’Atlantico prossimo nel momento in cui esse sono raggiunte dal mundo cosmopolita de los mercaderes. Solo in un contesto di incontri tra Oriente e Occidente poté germinare presso alcune comunità insulari della prima età del ferro (IX- VIII sec. a. C.) la coscienza del valore dei codici scrittori.

1)La geografia antica delle isole occidentali.

Un punto di partenza sulla geografia antica delle isole può essere costituito dal “canone” delle isole, fondato dalla geografia greca, in cui il primo posto era stato assegnato alla Sardegna:

Erodoto, nella narrazione della rivolta ionica, ricorda che

Biante di Priene nel Panionio consigliava che con una flotta comune gli Ioni salpassero e navigassero verso Sardò e poi fondassero una sola città di tutti gli Ioni e così, liberatisi dalla schiavitù [dei Persiani], avrebbero avuto una vita felice, abitando la più grande di tutte le isole.

Evidentemente il “canone” delle isole, si era formato entro il V secolo a.C. se Erodoto riconosceva in Sardò la più grande di tutte le isole in confronto alle altre.

È possibile che il canone si fosse già formato dal secolo precedente se al VI secolo, sulla scorta di Peretti, deve attribuirsi il passo del Peryplus di Scilax in cui sono elencate le eptà nesoi, in quest’ordine:

La più grande Sardò, seconda Sikelìa, terza Krete, quarta Kypros, quinta éuboia, sesta Kyrnos, settima Lesbos.

Questo dovette essere l’elenco delle eptà nesoi nel testo originario di Scilax, poiché l’intestazione descrittiva dell’opera specifica: kai ai nesoi kai ai epta ai oikoumenai

La sequenza delle isole è derivata dal periplo di ciascuna isola, unico strumento in possesso degli antichi, per determinare, seppure approssimativamente, l’estensione delle isole.

Comunque lo sviluppo costiero delle sette isole mediterranee ci dà un elenco solo parzialmente corrispondente a quello di Scilax:

 

Isola

sviluppo costiero

Sardò

1897 km

Sikelìa

1637 km

Kyrnos

1046 km

Krete

1046 km

Euboia

700 km

Kypros

648 km

Lesbo

350 Km

 

Nella realtà l’elenco delle isole per effettiva estensione è il seguente:

 

Isola

Estensione

Sikelìa

25.460 km²

Sardò

24.100 km²

Kypros

9.251 km²

Kyrnos

8.687 km²

Krete

8 336 km²

Euboia

3.655 km²

Lesbos

1.632 km²

 

Questo canone attestato successivamente al Peryplus di Scilax in Timeo, Alexis, nel De mundo aristotelico, in un epigramma ellenistico di Chio, in uno scolio alle Vespe Aristofanee, ed è ancora riecheggiata in autori di età romana (Diodoro, Strabone, Anonimo della Geographia compendiaria, Tolomeo), comprendeva originariamente, come si è detto, sette isole secondo un canone che, nel numero, è ricorrente per i sette sapienti, i sette mari e, in epoca ellenistica, le sette meraviglie del mondo.

A queste sette isole, forse, nella redazione del Peryplus Scilacis del IV sec. a. C. furono aggiunte, da una fonte greca che prendeva in considerazione esclusivamente le isole del Mediterraneo orientale:

Ottava Rodos, nona Chios, decima Samos, undecima Kòrkyra, dodicesima Kasos, tredicesima Kephallenìa, quattordicesima Naxos, quindicesima Kos, sedicesima Zàkynthos, diciasettesima Lèmnos, diciottesima Aìgina, dicianovesima Imbros, ventesima Thasos.

È sintomatico del processo di formazione arcaica di questo canone il fatto che le isole più occidentali dell’elenco siano Sardò Kyrnos.

L’«ammissione» della prima isola del Mediterraneo occidentale nel canone delle isole è un portato della cultura ellenistica. Il siceliota Timeo di Tauromenio fu il primo ad aggregare l’isola di Maiorca al canone tradizionale, benché in realtà l’insula Maior delleBaliares sia al settimo posto, prima di Lesbos, nella serie delle isole mediterranee per estensione:

Timeo afferma che la più grande di queste isole [Gymnesiai – Baleari] risulta essere la più estesa dopo le seguenti sette: Sardegna, Sicilia, Cipro, Creta, Eubea, Cyrnos e Lesbo.

L’ottava posizione della maggiore delle isole Baleari è ribadita da Diodoro e da Strabone ed è mantenuta, nel II secolo d. C., da Ampelio nella sua elencazione delle clarissimae insulae, che include, inoltre, al nono e decimo posto, la Baliaris minor ed Ebusus.

Appare rilevante da un lato la persistenza dell’arcaico canone delle isole fin nell’età tardo antica, anche con i riferimenti alle eptà nesoi sparsi negli Ethnikà di Stefano di Bisanzio, dall’altro la percezione ancora in età romana della sequenza delle isole mediterranee da oriente (Kypros) ad occidente (Sardò kai Kyrnos), che consacra una rete interinsulare attiva con certezza dal Miceneo IIIA (XIV sec. a. C.) e nel Tardo Minoico III e Tardo Cipriota III e nel Cipro Geometrico, quindi con le rotte associate degli Eubei e dei Fenici dall’800 a. C., quelle di età arcaica, classica ed ellenistica, fino alle rotte romane di età repubblicana ed imperiale, con la diffusione nel Mediterraneo centrale e occidentale di merci orientali.

D’altro canto i circuiti mediterranei con le rotte d’altura, affiancate alle rotte interinsulari e di cabotaggio (fonti in Pascal Arnaud) dimostrano, pur nell’ambito di variazioni statistiche nel lungo periodo, che le grandi isole del Mediterraneo appartengono essenzialmente alla categoria dell’ île-carrefour.

 

2) L’itinerario mitico eracleo che abbraccia in una antica ruta de las islas le isole citate.

La versione originaria della spedizione di Eracle verso l’estremo Occidente, dove aveva sede Gerione, pur prendendo le mosse da Creta «perché quest’isola ha una felice posizione naturale per le spedizioni in tutta la terra abitata», non sembra che interessasse le isole del terzo bacino del Mediterraneo, benché gli eponimi di Sardegna e Corsica, Sárdos e Kúrnos, siano entrambi figli di Eracle e, come vedremo, una periocha liviana alluda alla spedizione via mare attraverso le isole contro Gerione.

Gerione, figlio di Crisaore e di Calliroe, era un gigante con tre testee tre busti, sovrano re dell’Isola di Erythia,identificata con la primitiva sede di Gadir (odierna Cadiz, in Andalusia). Nell’isola pascolavano le bellissime vacche rosse, consacrate da Gerione ad Apollo, e custodite da Euritione, figlio di Ares, e dal cane Orthos. Herakles ebbe l’ordine di Euristeo di compiere la sua decima fatica trasportando la mandra di Gerione e consegnandola ad Euristeo.

In effetti la saga degli Eraclidi in Sardegna è esplicitamente fissata da Diodoro (IV, 29) «quando ebbe compiuto le imprese», dunque le 12 fatiche canoniche, mentre l’odos Herákleia, la strada di Herakles, con le mandre strappate a Gerione, lungo l’Iberia, la Provenza, la penisola italiana, e la Sicilia esclude del tutto la rotta delle isole del Mediterraneo centrale e occidentale, di ritorno da Erythia.

Livio conosceva sull’origine del nome Baliares, accanto alla vulgata opinio che lo derivava da bállein, in rapporto alla celebrità dei funditores balearici che “scagliavano” (bállein) con straordinaria abilità i proiettili con le loro fionde, una seconda versione che indicava in Balius l’eponimo delle isole.

Balius, non noto ad altre fonti, era Herculis comes, abbandonato nelle Baleari, cum Hercules ad Geryonem navigaret.

A connotare l’importanza di Herakles-Hercules- Melqart in Sardegna sta la figura mitica di Sardus, Herculis filius, che diverrà una sintesi delle culture autoctona, punica e romano-italica della Sardinia, rappresentando perfettamente le identità plurime della provincia.

Alla metà del II secolo a. C., nel sud ovest della Sardinia, presso la valle di Antas (Fluminimaggiore), nell’area del tempio punico di Sid Addir, succeduto ad una divinità indigena Baby, sorse un tempio tetrastilo, con decorazione del frontone fittile, di matrice italica, con rappresentazione di Sardus e del padre Hercules.

Intorno al 38 a. C. fu battuta una moneta con Atius Balbus, avo di Ottaviano sul D/ e Sard(us) Pater sul rovescio.

Nel II secolo d. C. Tolomeo documentava il Sardopatoros ieron, attestato ancora nelle fonti della Cosmographia del Ravennate e nella Geographica di Guidone.

L’individuazione di una statuina bronzea, nella tomba a pozzetto della seconda metà del IX sec. a. C., rappresentante un personaggio ignudo con lancia (attributo di Sardus pater negli assi del periodo di Ottaviano e forse anche di Sid) è un elemento di rilievo per ipotizzare un luogo di culto, cui connettere forse in parte i bronzetti nuragici figurati di Antas, ove non provenienti tutti dalle tombe. Ci attenderemmo, conseguentemente, ad Antas un sepolcreto di tombe individuali con accesso riservato ad alcune categorie di personaggi, del genere dell’area funeraria coeva di Monte Prama- Cabras.

Come ha notato Paolo Bernardini: “È verosimile che la necropoli indigena vada interpretato nell’ambito di un culto degli antenati e che di conseguenza la figurina [in bronzo di un personaggio virile stante, ignudo, con mano destra alzata in segno di benedizione e l’altra impugnante una lancia, rinvenuta nella tomba a pozzetto nr. 1] sia l’immagine antichissima di Sardus”.

La lettura di Paolo Bernardini sul culto degli antenati connesso alla figura divina dell’hegemon dei Sardi, Sid (B’by), che si specifica, probabilmente, in una iscrizione punica di Antas come ’b Sd, pater Sid, consentirebbe di comprendere una delle motivazioni dell’assunzione, come epiteto, da parte di Sid e successivamente di Sardus Pater rispettivamente del teonimo encorico B’by / BbyBab[..],in quanto non si ritiene plausibile l’affermata origine egizia o semitica del teonimo B’by.

Giovanni Garbini ha voluto individuare una puntuale corrispondenza tra B’by / BbyBabi da un lato e ’bPater dall’altro, come versioni punica e latina del teonimo paleosardo. In entrambi i casi vi sarebbe una specificazione etnica nel nome Sd, dio eponimo di Sidone e Sardus, dio eponimo dei Sardi.

Vi è però da notare che nella formazione del teonimo Sardus pater, più recente del nome Sardus / Sardos, noto sul rovescio dell’asse di M. Atius Balbus, e nella titolatura del dio del tempio di Antas, deve aver giocato anche un altro elemento, l’epiteto di Pater come proprio del summus Pater, dunque di Iuppiter, ma anche di divinità a lui assimilate come Ianus paterThibris pater, Numicius paterpater SoranusDis Pater.

Pater nella dottrina romanistica è il Signore dotato di potestas, “così nelle formule rituali e poetiche d’invocazione alla divinità”.

Pater nel teonimo Sardus pater, allora, potrebbe assumere una valenza simile anche all’epiteto di genàrches di Helios – Sol “capo del lignaggio” ossia Sol Indiges che non a caso a Lavinium è Pater IndigesIndige{n}s [Pa]ter, dove Indiges, con il correlato dio Numicus (il fiume), assimilato a Iuppiter, è, come sostenuto limpidamente Mario Torelli, “un summus pater dai caratteri ctoni, personificazione degli antenati divini del nomen Latinum”.

Se Sardos diviene in ambito romano Sardus pater, forse tra il 39 e il 27 a. C., è possibile che nel teonimo Sardus di origine toponimica o etnica unito all’epiteto Pater vi fosse un parallelismo, anche di carattere antiquario, che rapportava il dio capo del lignaggio dei Sardi agli altri dèi dotati dell’epiteto Pater, assimilati a Iuppiter. In particolare la gens Iulia di Cesare (che considerava la Sardinia, nella malevola interpretazione di Cicerone, un praedium suum) e del figlio adottivo Ottaviano avrebbe potuto costituire una liaison fra il pater Aeneas e ancor più il Pater Indiges lavinate e il dio Sardus “capo del lignaggio dei Sardi”, considerato che, secondo Attilio Mastino, sin dalla prima metà del II secolo a. C., probabilmente Catone, aveva reinterpretato paretimologicamente un bellicoso populus della Sardinia gli Ili, come Ilienses, ossia Troiani, divisi dal pater Aeneas dalla tempesta ed approdati in Sardegna, e dunque come affini per stirpe ai Romani, discendenti dal pater Aeneas.

In altre parole se l’epigrafia punica e latina di Antas ci rivela uno dei rari teonimi indigeni della Sardegna deve ricercarsi un inquadramento topografico del luogo di culto di B’by-Babi ad Antas, da cui potesse scaturire l’interpretatio punica e romana di Sid B’by e di Sardus Babi.

 

3) Le lingue e la scrittura nelle isole d’Occidente.

Il silenzio o la oralità incomprensibile delle comunità antiche delle isole può essere illustrata nelle narrazioni dell’incontro degli Achei e degli autoctoni nell’isola dei Lotofagi e delle lingue indecifrabili per gli esploratori fenici:

Il mondo antico attesta una pluralità di lingue dell’Africa, dimostrando la sostanziale incomprensione dei caratteri linguistici delle popolazioni dell’Africa o Libye.

È sintomatico di questa incomprensione l’analisi filologica dei lessemi adottati da Omero, nel libro IX dell’Odissea, a proposito dei Lotofagi, che sono ricondotti nella geografia post omerica all’isola di Meninx (Jerba- Tunisie):

Odisseo, sbarcato con i suoi compagni nella terra dei Lotofagi ἐπέβημεν γαίης Λωτοφάγων, invia due compagni (ἄνδρε δύω) insieme ad un araldo ad investigare quale popolo abitasse l’isola, ma i Lotofagi, niente di male fecero agli inviati, bensì diedero loro il loto per nutrirsi (ἀλλά σφι δόσαν λωτοῖο πάσασθαι).

In questo passo omerico lo scambio fra Lotofagi e Achei è attuato con la dazione (δόσαν) del loto, senza bisogno della parola.

In altro contesto, la Libye atlantica, Erodoto narra la celebre vicenda del baratto silenzioso tra Cartaginesi e Libyes:

  1. I Cartaginesi raccontano anche questo: c’è una località della Libia e ci sono uomini che la abitano fuori dalle colonne d’Eracle; quando i Cartaginesi giungono presso di loro, scaricano le merci, le mettono in fila sulla spiaggia, salgono sulle navi e innalzano del fumo; gli indigeni, visto il fumo, vengono al mare e quindi, deposto dell’oro in cambio delle merci, si ritirano lontano da esse. 2. Allora i Cartaginesi sbarcano e osservano: se l’oro sembra loro corrispondere al valore delle merci, lo prendono e se ne vanno; in caso contrario, salgono di nuovo sulle navi e vi restano; gli indigeni si accostano e aggiungono altro oro, finché non li soddisfino.3. Nessuno fa torto all’altro; infatti né i Cartaginesi toccano l’oro prima che gli indigeni l’abbiano equiparato al valore delle merci, né gli indigeni toccano le merci prima che gli altri abbiano preso l’oro.

Siamo di fronte alla prima testimonianza di quel fenomeno di economico noto come “silent trade”: i due partner non ricorrono alla parola, ma allo scambio silenzioso, il cui unico elemento di segnalazione è costituito dal fumo, che indica da parte dei Cartaginesi la presentazione delle merci, e da parte degli indigeni la valutazione in oro delle stesse merci.

Quale che sia l’interpretazione che diamo della narrazione del “silent trade”, appare chiaro che Erodoto si riferisca ad una soluzione arcaica dei rapporti libio-fenici precedente la attestazione dell’emporion-maqom nella Libye.

D’altro canto il Periplo di Annone riferisce per l’ambito Atlantico della Libye la presenza degli interpreti Lixiti nelle navi cartaginesi che seguivano la rotta meridionale verso le isole degli Etiopi occidentali, caratterizzati da strutture linguistiche non intelligibili ai Cartaginesi:

“6. E poi, salpati di lì, giungemmo al grande fiume Lisso, che scende dalla Libia. Nei pressi di quello i nomadi Lixiti pascolavano il bestiame, e noi siamo rimasti un certo tempo con loro divenendo amici. (…) 8. Presi degli interpreti dai Lixiti, costeggiammo il deserto per due giorni verso meridione; e da quel punto, di nuovo verso oriente per un giorno. Lì trovammo, in fondo a un golfo, una piccola isola, del perimetro di cinque stadi, che abbiamo colonizzato dandole il nome di Cerne (…)11. E da Cerne, navigando dodici giorni verso meridione, sempre vicino alla costa, tutta abitata da Etiopi, che fuggivano invece di aspettarci, e pronunciavano parole incomprensibili persino (agli interpreti) Lixiti che erano con noi”.

Erodoto, nella celebre elencazione dei popoli della Libye, menziona a sud dei Garamanti “gli Etiopi trogloditi (che) sono i più veloci alla corsa di tutti gli uomini dei quali noi abbiamo sentito parlare. Mangiano essi serpenti, lucertole e simili rettili; usano una lingua che non ha somiglianza con alcun’altra, ma emettono delle strida che ricordano quelle dei pipistrelli”.

Terminiamo queste osservazioni di popoli mediterranei dell’antichità sulle peculiarità linguistiche dei Libii con la citazione del passo di Plinio il Vecchio relativo alla difficoltà di pronuncia degli etnonimi e dei poleonimi dell’Africa del Nord: “Les noms de ses peuples et de ses villes (de l’Afrique) sont tout imprononçables pour d’autres bouches que celles des indigènes, et du reste ils habitent en général de simples fortins”.

Abbiamo insistito su questo tema del rapporto interlinguistico tra indigeni (in particolare delle isole) e le componenti levantine e greche dello ‘scambio internazionale’ poiché questo elemento è essenziale per la strutturazione di legami interculturali.

Questo tema appare cruciale per definire il momento del passaggio da una oralità esclusiva delle culture autoctone insulari ad una civiltà sia orale, sia dotata di scrittura.

Allo stato delle conoscenze dobbiamo rimarcare che questo momento si fissa, nelle nostre isole mediterranee occidentali e dell’Atlantico prossimo, nel momento in cui esse sono raggiunte dal mundo cosmopolita de los mercaderes.

Al riguardo vogliamo riprendere le parole che Javier de Hoz ha dedicato alla creazione delle scritture paleoispaniche, parole che consideriamo emblematiche del processo di disseminazione dei segni alfabetici nel Mediterraneo e nell’Atlantico insulare:  “Hay que tener en cuenta sin embargo […] que el creador o creadores del prototipo de las escrituras hispánicas podía no sólo conocer la escritura fenicia sino probablemente – estamos en el mundo cosmopolita de los mercaderes– también otras contemporáneas que le habrían familiarizado con la idea de los signos vocálicos”.

Questo «mundo cosmopolita de los mercaderes» è quello che ritroviamo tra IX e VIII sec. a.C. ad Al Mina come a Huelva, a Tiro come in Eubea, a Cipro come a Creta, a Cartagine come a Pithekoussai e a Veii, in Cilicia come in Sicilia e in Sardegna. Il mondo dei mercanti conosceva i vari sistemi scrittori e utilizzava anche le tavolette cerate del tipo di quelle di Ulu Burun, Megiddo, Huelva e Marsiliana d’Albegna. Tali tavolette rientrano nell’orizzonte della cultura omerica, in riferimento alla Licia, e paiono documentate dalle iscrizioni luvie. Il multilinguismo e la conoscenza di differenti codici scrittori («la scrittura della città, la scrittura di Sura [= Tiro], la scrittura di Assiria e la scrittura di Taiman») sono documentati, anche simbolicamente, in una iscrizione in geroglifico luvio, di circa l’800 a.C., proveniente da Karkamiš, nella quale il principe Yariris dichiara di conoscere 12 lingue e le differenti scritture.

In questo contesto di incontri tra Oriente e Occidente poté germinare presso alcune comunità insulari della prima età del ferro (IX- VIII sec. a. C.) la coscienza del valore dei codici scrittori.

Se dobbiamo escludere, allo stato delle nostre conoscenze, l’esistenza di codici scrittori nell’età del Bronzo medio, tardo e finale nel Mediterraneo centrale e occidentale, differente è la situazione della Prima età del ferro, poiché certamente entro l’VIII sec. a.C. abbiamo una documentazione \scrittoria sia presso stanziamenti emporici e / o coloniali greci e fenici, sia presso ambiti indigeni della penisola italica, della Spagna meridionale e, possiamo aggiungere, della Libye. Appare evidente che la disseminazione di iscrizioni in particolare vascolari nel Mediterraneo centrale e occidentale sia da rapportarsi all’agilità dei codici “alfabetici” sia fenici, sia aramaici, sia greci per notazioni varie (di possesso, di dedica, ma anche, per il versante greco, di carattere erotico / simposiastico in versi) rispetto alla complessità dei codici scrittori dell’età del bronzo, appannaggio di una ristretta classe di scribi.

Allorquando utilizziamo il termine «disseminazione» epigrafica intendiamo alludere, nell’ambito dell’VIII secolo a.C., per il Mediterraneo centrale e occidentale (ma anche per l’Atlantico mauro-iberico) alla relativa frequenza di iscrizioni vascolari che costituiscono il plafond della attività scrittoria officinale; quest’ultima è appannaggio di rari contesti occidentali: valgano gli esempi della statuina bronzea della dea Ashtart in trono da El Carambolo con iscrizione ancora della fine dell’VIII sec. a.C. , riportata ad atelier fenicio dell’isola di Gadir, o le stele monumentali in panchina da Nora o in ignimbrite da Bosa in Sardegna, dipendenti da prototipi orientali, in un momento, tuttavia, in cui Nora non presenta tratti urbani ma parrebbe una enclave fenicia in ambito di un centro sardo e Bosa non rivela elementi fenici prima della fine del VII- inizi VI sec. a.C. (scarabeo in pasta naucratite).

Le prime attestazioni epigrafiche fenicie insulari dell’Atlantico sono state scoperte dagli anni ’50 del XX secolo, sulla piccola isola di Mogador, proprio di fronte a Essaouira (Marocco). Si tratta di un centinaio di graffiti molto brevi su ceramica con nomi fenici qualin (BaalYaton), MGN (Magon) e ZMLKT. I testi più antichi risalgono alla fine dell’VIII secolo a. C.

La documentazione dei primi contatti alfabetici tra Fenici e Sardi la ricaviamo soprattutto dalla presenza di anfore sarde del tipo Sant’Imbenia in Spagna e in Africa:

La missione tedesca di Amburgo a Cartagine ha rivelato negli strati arcaici del Decumanus Maximus insieme a molti frammenti ceramici con grafemi fenici, due frammenti di anfore della Subklasse Nuragisch 1 (Anfore sarde di Sant’Imbenia) con “Punische Graffiti” dell’ultimo quarto dell’VIII secolo a. C.

La stessa situazione epigrafica è stata riconosciuta dalle missioni archeologiche tunisino-francese e tunisino-spagnola a Utica. Qui abbiamo più antichi strati indigeni con presenza di Fenici e altri partner del commercio mediterraneo, vale a dire sardi, greci (Eubei e Ateniesi), Latini della cultura Laziale II, etc. dalla fine del IX secolo a. C. e all’inizio dell’VIII secolo a.C. Tra i materiali nuragici annoveriamo un’ansa di anfora Sant’Imbenia con un marchio grafematico (taw?).

Inoltre a Huelva, Calle Méndez Núñez è stato scoperto un frammento di spalla di anfora Sant’Imbenia con trelettere fenicie, cioè lamed, beth e una lettera indecifrabile, che è stato interpretato da Michel Heltzer dell’Università di Tel Aviv come (appartenente) a B + (l’iniziale di un antroponimo).

La Sardegna ci appare tra le isole centro-occidentali come una delle più ricettive di sistemi scrittori esterni quali il fenicio ed il cipro-sillabico sin dal IX secolo a. C.

A livello di IX secolo a. C. l’acquisizione di oggetti arricchiti da scrittura costituisce per le élites sarde un elemento di prestigio.

Possiamo così comprendere la rilevante presenza in centri santuariali e in emporia della Sardegna di oggetti inscritti quali l’anfora di Tipo 9 di Tiro con una lunga iscrizione fenicia sulla spalla dal santuario di S’Arcu ‘e is forros di villanova Strisaili, o i due frammenti vascolari con iscrizioni graffite dall’emporio di Sant’Imbenia Alghero e finalmente l’iscrizione cipro-sillabica (o cipro minoica) di uno spillone nuragico del IX sec. a. C. dal santuario funerario di Antas:

Si è proposta da parte di Raimondo Zucca e Massimo Perna l’interpretazione dei segni dello spillone come sillabogrammi ciprioti suddivisi da uno stictogramma: avremmo, infatti, con andamento destrorso,. ti | sa-ti.

I due sillabogrammi ti e sa documentano la forma attestata sia nel sillabario pafio antico, sia nel sillabario eteocipriota o amatusiano, sia nel sillabario comune.

D’altro canto i sillabogrammi in esame rispondono rispettivamente ai nrr. 023 e 082 del CM 1.

Il livello cronologico cui rimanda il supporto della iscrizione (uno spillone sardo) e la necropoli di Antas consente la interpretazione dei sillabogrammi nell’ambito del cipro sillabico, le cui più antiche attestazioni rimontano all’VIII sec. a.C., se con Jean Pierre Olivier riferiamo al Cipro Minoico 1 (e non al cipro sillabico) le iscrizioni sugli obelòi enei della tomba 49 della necropoli di Palaepaphos-Skales del Cipro Geometrico I, uno dei quali (nr. 16) reca una sequenza di segni interpretata come il genitivo di possesso del proprietario greco: o-pe-le-ta-u (Opheltas).

Finora non abbiamo attestazioni di elementi lessicali, toponomastici e antroponomastici paleosardi anteriormente all’età augustea, proponendo per la Sardegna una situazione affine per l’acquisizione della scrittura per singoli elementi paleosardi al Basco e al Lusitano.

Il prosieguo della ricerca potrà eventualmente suffragare una data più antica per le prime documentazioni scrittorie di lessemi paleosardi.

4. Il tema dell’identità insulare nell’antichità

Il tema identitario rappresenta un indirizzo davvero nuovo all’interno della storiografia moderna ed in quanto tale si manifesta come uno degli approcci contemporanei più stringenti ad un ambito, nel nostro caso antichistico, della ricerca. I nostri strumenti, tuttavia, sono le fonti, tutti i tipi di fonti antiche (letterarie, epigrafiche, giuridiche, numismatiche, toponomastiche, storico-artistiche, archeologiche, antropologiche etc.) attraverso l’interpretazione delle stesse che ci guidano alla individuazione sia delle manifestazioni identitarie autoctone (culturali, linguistiche etc.), sia dei modi di vedere autoctoni gli “altri”, sia, infine, delle classificazioni identitarie che le altre culture, entrate in rapporto con gli autoctoni, diedero dei sistemi antropogeografici presi in esame.

Per l’antichistica ci piace ricordare il volume miscellaneo Cultural Identity in the Ancient Mediterranean curato da Erich S. Gruen (2011), il lavoro coordinato da Antonio Caballos Rufino e Sabine Lefebvre, Roma generadora de identidades: la experiencia hispana. Collection de la Casa de Velázquez, (2011), e per il tema insulare gli Atti del VI Congresso di Erice, curati da Carmine Ampolo, Immagine e immagini della Sicilia e di altre isole del Mediterraneo antico (2009). Infine il nostro Identità insulare, in Insularity, Identity and Epigraphy in the Roman World, Edited by Javer Velaza, Cambridge Scholars Publishging, Cambridge 2017, che si sofferma su alcuni aspetti delle identità insulari del Mediterraneo, rinunciando senz’altro ad individuare delle costanti, poiché la chiave di lettura del mondo insulare deve essere ricercata nella dinamica storica dei paesaggi antropogeografici di ogni isola.

Uno dei fondatori delle Annales, Lucien Febvre, ha dedicato alle isole il secondo capitolo «Les petits cadres naturels: les unités insulaires», nel quadro delle «possibilités et genre de vie», troisième partie della sua opera «La terre et l’évolution humaine. Introduction géographique à l’histoire». Il volume di L. Febvre è un classico della geografia umana ad onta della sua data di pubblicazione, il 1922, come riflettono le varie edizioni e ristampe fino all’ultima del 2014 e la sua continuativa utilizzazione da parte di studiosi di vario ambito, antichisti, medievisti, modernisti, storici del diritto etc.

È stato osservato che La Terre et l’évolution humaine di L. Febvre costituisca la critique basique du déterminisme insulaire, che va a colpire il concetto tradizionale antico di insula come terra mari cincta, e dunque isolata poiché, secondo Festo, Isidoro ed altri le insulae dictae quod in salo sint.

Prenderemo, dunque, le mosse da una celebre pagina di Febvre sovente citata negli studi sulle isole dell’antichità: “Les rivages sollicitent, notions-nous, tous ceux qui, prenant un point d’appui sur eux, s’élancent à travers le libre espace marin et mènent la vie aventureuse du navigateur. — Mais, nous l’avons dit auparavant : l’île est donnée, couramment, comme le type même du domaine d’isolement sur la mer. Contradiction. Comment la résoudre ? Disons-le tout de suite, il n’y a pas à la résoudre ; il n’y a qu’à accuser la contradiction, aussi nettement que possible. Et qu’à essayer, pour commencer, de comprendre comment s’est créé le thème de l’isolement insulaire. (…)Évidemment, il y a des îles perdues dans l’espace océanique, tout à fait à l’écart des grandes routes et des grands courants de circulation maritime. (…) Pourquoi même aller si loin ? En pleine Méditerranée, un îlot comme Scarpanto, l’ancienne Karpathos, entre la Crète et Rhodes, donne l’impression, aux rares voyageurs qui y abordent d’aventure, du plus absolu des isolements. (…)Mais, par contre, il y a des îles placées sur les grandes routes du globe, à des points de bifurcation des principaux itinéraires mondiaux : à des carrefours maritimes. Comment les comparer aux premières ? Voici la Sicile et la Crète dans la Méditerranée d’autrefois (…)Que l’on pense à la Sicile, tour à tour phénicienne (pour ne point remonter plus haut), puis grecque, puis carthaginoise, puis romaine, puis vandale et gothique et byzantine — arabe, et puis normande, et puis angevine, aragonaise, impériale, savoyarde, autrichienne… Arrêtons-nous: l’énumération complète serait interminable. Et sans doute à tous ces changements politiques n’a pas correspondu un changement total de civilisation, l’établissement d’une culture et d’une vie matérielle toute nouvelle; la remarque n’a pas besoin d’être faite. Mais chacune de ces vagues successives qui ont recouvert, plus ou moins longtemps, l’antique sol sicilien a laissé quelque chose sur le rivage en se retirant au loin. Autant de dominations, autant d’expériences, à tout le moins. Sociétés insulaires ? Mais qui va comparer une île de cette sorte, une île-carrefour, à ces îles-prisons qui semblent autant de conservatoires de vieilles races éliminées, de vieux usages, de vieilles formes sociales bannies des continents ? Qui va comparer, pour ne pas chercher plus loin, cette Sicile convoitée, disputée, colonisée sans répit, avec la Corse voisine ou la Sardaigne?”.

Al concetto chiave febvriano di île-carrefour contrapposto à îles-prisons- conservatoires si sono richiamati Sylvie Vilatte per le isole greche e, più recentemente, Carmine Ampolo che nel suo Isole di storie, storie di isole attenua la opposizione febvriana fra Sardegna e Sicilia:

“Credo che nel caso specifico questa opposizione tra Sicilia – île carrefour e Sardegna e Corsica îles-conservatoires o persino isole-prigione – sia ormai inaccettabile, almeno per chi si occupa di preistoria e protostoria o anche di storia antica (malgrado periodi di relativo isolamento o ad esempio di una Sardegna luogo di condanna ad metalla e di una Corsica luogo di esilio di un Seneca)”.

Alle stesse conclusioni è giunto Stephane Gombaud, nel suo studio Iles, insularité et îleité: “Enfin, le thème de la navigation et de l’isolement insulaire doit être repris dans une perspective historique. Si quelques îles nous apparaissent comme des prisons, il ne s’agit que d’un point de vue subjectif. Un bout du monde peut devenir une destination prisée voire un relais sur une nouvelle route maritime. Le thème de l’isolement insulaire est une fiction, un thème créé à partir de quelques considérations accidentelles (les îlots “perdus”au milieu des océans) et soutenu en réalité par un tour d’esprit anhistorique. La Sicile n’est pas davantage une île-carrefour qu’une île-prison, quand ce serait l’inverse pour la Sardaigne. En réalité, chaque île apparaît comme close ou ouverte en fonction de la civilisation qui la domine et, sur la longue durée, cette domination ne cesse de changer”.

Il tema dell’identità insulare mediterranea deve essere declinato storicamente al plurale poiché la definizione nesonomastica, mitografica, geografica, etnografica, storica, socio-antropologica di ogni isola lungi dall’essere fissa nel tempo, si evolve in rapporto alle dinamiche antropologiche e naturali che delineano il palinsesto del paesaggio storico.

Il Volksgeist (spirito di un popolo) ha forme identitarie che possono essere anche mitiche come la eleuthería (libertà) che l’oracolo delfico vaticinò per i Sardi discendenti dai figli di Herakles, e che ha ispirato una profonda riflessione storiografica qual è la «costante resistenziale» di Giovanni Lilliu. Altra cosa, invece, sono le interpretazioni false dei Realien, ossia, nelle scienze storiche, delle fonti, siano esse documentarie, epigrafiche, archeologiche etc., piegate ad esprimere un mito made in Sardinia, di volta in volta al servizio di interessi spettacolari e massmediologici, magari arrivando ad amputare la Sardegna della sua vera storia e perfino della sua antichissima lingua.




Intervento di Attilio Mastino per la 59° edizione del Premio città di Ozieri.

Intervento di Attilio Mastino per la 59° edizione del Premio città di Ozieri
Ozieri, 29 settembre 2018

Cari amici,

i risultati di questa 59° splendida edizione del Premio città di Ozieri sono stati discussi a partire dalla riunione della Giuria del 5 luglio che si è confrontata intorno alle opere in poesia e in prosa di centinaia di partecipanti, con moltissime eccellenze che abbiamo potuto apprezzare in modo convinto: tanta aria fresca sta circolando tra i poeti della Sardegna.

Lasciatemi ringraziare il Presidente del Premio Vittorio Ledda, il vulcanico Segretario Antoni Canalis, la Giuria, i poeti, le Autorità, il Sindaco Marco Murgia, l’Assessore Ilenia Satta, i giornalisti; e ancora il pubblico.

Purtroppo non ha preso parte ai nostri lavori il nostro Paolo Pillonca, scomparso il 26 maggio scorso, che molti di noi hanno accompagnato fino a Seui per l’ultimo viaggio. Parlarne oggi rinnova un dolore autentico, una pena profonda, perché verso Paolo Pillonca ho sempre provato un’ammirazione senza confini: la sua profondissima cultura classica che emergeva ogni volta che c’incontravamo, tra Omero, Cicerone, Orazio, il Padre Dante, con citazioni che mi sembravano puntualissime e davvero felici e che pensavo fossero dedicate espressamente a me, anche se non era così.

Questa conoscenza professionale di dettaglio della poesia in lingua sarda, in particolare questa sistematica schedatura della folta schiera degli improvvisatori, che si estendeva nel tempo dai grandi del passato, copriva spazi geografici impensabili, raccontava una passione, una curiosità, una sensibilità che ci incantava.

I suoi interventi erano davvero godibili e apprezzati da un pubblico eterogeneo e vivace. Tante volte l’avevo interrogato su aspetti marginali, sui poeti dei miei territori, Giovanni Nurchi a Bosa, Pittanu Morette a Tresnuraghes, Gavino Delunas a Padria oppure Remundu Piras a Villanova, trovandolo sempre preparato e capace di penetrare il senso profondo, l’eleganza, la qualità della produzione poetica isolana, la sua ispirazione lontana, le sue radici. Nel premio Ozieri l’avevo visto all’opera durante le precedenti riunioni della giuria e quando conduceva assieme a Nicola Tanda e ad Antoni Canalis una cerimonia come quella di oggi, che è davvero complessa: coglievo tutte le occasioni per assorbire da lui idee, suggerimenti, indicazioni, giudizi, come quando censurava con severità la frequente zoppìa nella metrica adottata da molti poeti che partecipavano al premio Antoni Sanna o quando esaltava i risultati straordinari ma meno noti della poesia per il canto, come nel Premio Gurulis Vetus a Padria o nel Premio Antoni Cubeddu o in tanti altri premi letterari ai quali partecipava come presidente o come giurato, in tutta l’isola, con questa serenità che lo distingueva tra tutti: con la voglia di estendere la rete dei rapporti, di allargare la documentazione negli archivi, di approfondire la conoscenza della vita dei poeti, di coinvolgere tutti, di recuperare il carattere plurilingue della Sardegna, di non abbandonare le varianti storiche, di confrontarsi sul tema degli standard con un profondo rispetto per le posizioni di tutti ma senza rinunciare ad una ricchezza e ad un rapporto diretto con la lingua materna dei Sardi.

E poi l’antico legame con Vittorino Fiori e con mio padre attraverso le pagine de L’Unione Sarda o con il mio maestro Giovanni Lilliu, orgoglioso delle sue origini contadine che leggeva una continuità ideale con la storia della sua famiglia originaria di Barumini: continuità che era innanzi tutto un persistente legame affettivo con gli spazi, con i monumenti, con il territorio, con l’ambiente fisico che contribuiva a costruire un’identità. Pillonca aveva mantenuto rapporti con il paese di nascita, Osilo, con l’Orgosolo della sua infanzia, con la Lanusei dei Salesiani, con Tempio, con Cagliari, infine con Seui. Proprio a Cagliari si era brillantemente laureato con Antonio Sanna in Linguistica Sarda.

A Sassari poi negli anni Novanta, Nicola Tanda, io stesso e il preside Giuseppe Meloni, l’avevamo chiamato a tenere vari corsi e seminari sulla poesia verbale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari, molto seguiti dagli studenti, con la partecipazione alternata di cinque improvvisatori: Mario Màsala, Francesco Mura, Antonio Pazzola, Giovanni Seu e Peppe Sozu. Eravamo allora partiti dalle sue tante pubblicazioni, fino a quello che considero il suo capolavoro, Chent’annos, cantadores a lughe ‘e luna, pubblicato dalla sua casa editrice Domus de janas a Selargius nel 2003: sempre alla ricerca della strada originale dalla quale nasce il miracolo della creazione improvvisata del verso logudorese, “una caminera ‘e virtude pro su tempus benidore ‘e unu pòpulu chi leat alénu dae s’istoria sua pro poder atopare a cara franca cun ateros pòpulos de su mundu”.

Questo è stato un modo di Paolo per supplire l’evidente incredibile eterno disinteresse degli antropologi sul mondo dei poeti a bolu, in particolare sui cantadores, protagonisti di una forma di teatro popolare originale ed emozionante.  Eppure ci rendiamo ben conto che la “scuola impropria” della gara poetica, insieme alle prediche e alle poesie in sardo, sono state in grado nel passato di formare le coscienze e di esprimere anche la durezza del confronto in una società arcaica come quella sarda. A Paolo Pillonca, che ripeteva spesso la frase latina castigat ridendo mores, non dispiacerebbe se io ricordassi oggi l’aspra risposta di Remundu Piras ad Antonio Piredda sul perdono predicato da Cristo: Deo che Cristos perdonare dia / su ladru chi non toccat robba mia. O il rifiuto delle lodi adulatorie di un avversario: ohi ohi, po mi che fagher mannu non mi sules / ca non so ne buscica ne pallone.

O l’insofferenza per una politica miope come per il piano di rinascita arenato nelle nebbie del porto di Cagliari: e de sos batoschentos miliardos / no amos bidu ancora ses dinaris / ca de Sardigna sos fizos bastardos / a sa mama an tiradu sos caltzaris. C’è dietro queste frasi tutto un mondo ricco di saperi che rimandano alle radici di un’identità lontana, talvolta superata dai tempi; eppure, anche se il tempo lontanto sembra definitivamente dimenticato, riesce a riemergere in su sàmbene de sos chi nde sun bénnidos a pusti; ma non sempre si riesce in tottu a penetrare in sos pàlpitos chi naschen dae sas intragnas de un’òmine e de un poete. Una sabidoria populare come quella cristallizzata nei proverbi che non viene più trasmessa ai nostri giovani, deprivandoli di strumenti retorici, di argomentazioni saldamente fondate per collocarsi nel tempo e nello spazio, della capacità stessa di capire nell’insieme i rapporti sociali della loro terra, le radici di una vita reale che fortunatamente si trasforma ma che mantiene molti contenuti di un passato che ci appartiene.

In apertura dell’ultima riunione della Giuria del premio Città di Ozieri abbiamo ricordato Paolo commossi con infinito rimpianto, partendo da alcune poesie che gli erano più care. Al termine di un incontro che è stato lungo, tormentato e per noi anche difficile, le lacrime di Anna Cristina Serra mi hanno riportato dolorosamente al senso della perdita irreparabile, partendo da un ricordo che mi ha fatto sobbalzare: il pranzo a Bosa con Tonino Oppes, qualche anno fa, alla vigilia del premio di Padria, un momento incantato della mia vita, che non dimenticherò. Allora abbiamo capito cosa la Sardegna intera ha perduto, siamo per un momento riusciti a cogliere la fortuna di chi l’ha conosciuto e a valutare il senso di un’eredità che spero vorremo tutti raccogliere con rispetto e gratitudine.

Pochi giorni prima, il 10 maggio, era scomparso anche Manlio Brigaglia circondato dall’affetto degli amici, dei colleghi, degli studenti, di tanti Sardi. Ho avuto modo recentemente di ricordarlo all’Università e rimando al testo scritto. Ci ha tanto colpito la sua scomparsa, avvenuta sul lavoro, quasi sotto i nostri occhi, dopo la presentazione due giorni prima in aula Magna con Sabino Cassese e Paolo Pombeni del volume “La macchina imperfetta” in età fascista, l’opera di Guido Melis premiata recentemente al Premio Viareggio. Proprio quella settimana ci aveva consegnato la nuova edizione della sua Storia della Sardegna dalla preistoria ad oggi, un’opera fortunata, da noi curata per le Edizioni Della Torre. La domenica prima ci aveva chiamato nel bar di Viale Umberto per discutere di nuove idee e nuovi progetti con Pietrino Soddu e gli amici di sempre. In quegli stessi giorni al cinema abbiamo ascoltato la sua intervista sul film di Fiorenzo Serra, “L’ultimo pugno di terra”, nella straordinaria rivisitazione di Peter Marcias, con quella transumanza di pecore e ma anche di uomini lontano dall’isola. E quella frase di Fiorenzo Serra e di Gavino Ledda a proposito della desertificazione e del disagio sociale degli anni ‘50, con quella espressione tremenda “maledetto quell’autobus, maledetto quel treno che svuota il mio paese”. Quanta pena per la Sardegna, quanto desiderio di vedere un tempo nuovo, quanto amore per la sua gente, i suoi allievi, i suoi studenti, la sua famiglia che ha seguito giorno per giorno con la ricchezza del suo affetto e la sua intelligenza.

Un anno fa ci aveva stupito accettando con emozione la cittadinanza onoraria a Pozzomaggiore conferita dal Sindaco Mariano Soro, dove da ragazzo aveva guidato come portiere la squadra di calcio e aveva insegnato appena laureato subito dopo la guerra; ma i suoi rapporti erano soprattutto con la Gallura, con Tempio, Arzachena e Santa Teresa, di cui era diventato cittadino onorario.

Oggi voglio ricordare il debito che noi tutti del Premio città di Ozieri abbiamo nei suoi confronti e mi piace farlo richiamando la polemica che quasi quarant’anni fa sostenne con il segretario del Partito Sardo Carlo Sanna, Assessore alla PI nella Giunta Rais, che aveva la colpa di non possedere l’ubiquità per non esser riuscito a presenziare alla – credo – 20a edizione del Premi Ozieri. Poi la sua collana su “Il meglio della grande poesia in lingua sarda” avviata dopo le trasmissioni a Radio Cagliari a partire dal 1966 e attivamente sostenuta da Salvatore Fozzi delle edizioni Della Torre, con il volume che rivelava come la poesia in sardo fosse praticamente sconosciuta tra gli intellettuali sardi “moderni”, salvo forse i nuoresi, con l’eccezione di Paulicu Mossa; ma, se vale il parere di Remundu Piras, Mossa non fiat uno catadore / però fut unu veru cantonalzu / cumponiat cantones a primore / po cantare padronu e pischeddalzu. Allora le antologie dei poeti in pinna famados, Peppino Mereu per la festa di Tonara nel 1982, Antonio Domenico Migheli nel volume curato da Mimmo Bua, Remundu Piras curato da Paolo Pillonca (prima della monumentale antologia di Domus de janas del 2009, Opera omnia), la poesia gallurese sulla fame di Mastru Juanni studiata da Salvatore Sechi, le Cantones de sambene curate da Salvatore Tola e Rita Cecaro nel 1999, le Cantones de bandidos di due anni dopo, Benvenuto Lobina, e così via, fino al recente volume sul poeta girovago Giovanni Filippo Pirisi Pirino di Borutta pubblicato in questi giorni da Salvatore Tola, sempre ricordando il contributo di Raimondo Carta Raspi e Michelangelo Pira. Salvatore Tola assieme a Sandro Ruju hanno presentato qualche mese fa il volume Tutti i libri che ho fatto, con questa lunga intervista piena di dettagli, di informazioni, di piste da seguire, di prospettive per il futuro.

Mi sembra giusto allora richiamare l’impegno intellettuale e la ricchissima sequenza di successi professionali di Manlio Brigaglia, partendo dalla rivista “Ichnusa” di Antonio Pigliaru, poi da lui diretta tra il 1982 e il 1993 assieme a Giuseppe Melis Bassu e a Salvatore Mannuzzu; la fondazione dell’Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo con Pietrino Soddu e Pierangelo Catalano; la direzione del Quaderni Mediterranei, la collana concepita con Alberto Boscolo “Storia della Sardegna antica e moderna”, i nostri “Quaderni Sardi di Storia“, la collaborazione con Radio Sardegna, L’Unione Sarda che lasciò nel 1994 in un momento di polemica con Nicola Grauso assieme a Giovanni Lilliu, Giulio Angioni, Antonello Mattone e Guido Melis, la pagina quotidiana su La Nuova Sardegna, le mille imprese con tanti editori diversi (Gallizzi, Chiarella, Della Torre, Edes, Stampacolor, Ilisso, Carlo Delfino, la Cuec, ma anche Einaudi, Carocci, Amilcare Pizzi), nelle quali ci aveva coinvolto, sempre con spirito critico, con rispetto, generosità, voglia di capire, aprendoci orizzonti nuovi. Perché Brigaglia è stato soprattutto un democratico pieno di idee originali e di curiosità, dal quale ci aspettavamo sempre una battuta ironica, un’informazione strana, un retroscena che spesso ci lasciavano senza parole, insegnandoci a non prenderci troppo sul serio.

Quando nel 2002 aveva lasciato la cattedra, aveva terminato l’insegnamento universitario (Storia dei partiti e dei movimenti politici e Storia contemporanea) ed era andato in pensione, lo avevamo onorato con il volume di studi pubblicato da Carocci “Dal mondo antico all’età contemporanea” con oltre 40 saggi, presentato da Luigi Berlinguer. In quell’occasione Gian Giacomo Ortu ci aveva ricordato che per lui andare in pensione non sarebbe stato possibile, perché avrebbe continuato come e forse più di prima a dipanare il filo di un impegno intellettuale ammirevole per durata e per coerenza. L’insegnamento liceale di italiano e latino all’”Istituto Principe” il Liceo classico Azuni tra il 1955 e il 1977 e l’insegnamento universitario nelle Facoltà di Magistero dalla fondazione, poi Lettere e Filosofia e Scienze politiche tra il 1971 e il 2001, per la Storia contemporanea, il giornalismo, la comunicazione; la direzione del Dipartimento di Storia che aveva fondato con tutti noi nel 1982; la Presidenza del Consorzio tra le Università di Cagliari e Sassari per la Scuola di specializzazione per insegnanti. Giuseppe Ricuperati aveva scritto che Brigaglia ha avuto il merito di esser maestro di color che sanno e di continuare a confermare in ogni lavoro una creatività che è la vera felicità mentale, fondata sua una lucidità di idee e una scrittura che è tra le meno artefatte che si possano immaginare. Già quindici anni fa proprio Ortu ricordava che Brigaglia si è speso nell’organizzazione della cultura, soprattutto nel campo dell’editoria, che ha contribuito a far maturare anche in Sardegna la produzione di libri di contenuto e di fattura sempre migliori ma anche nel campo della pubblicistica con la creazione di riviste che hanno quasi sempre lasciato il segno; infine con la promozione, direzione e incoraggiamento di enti e di istituzioni di ricerca extra-accademici tra i quali l’Isprom e l’Istituto sardo per la storia della residenza e dell’autonomia.

Questa sua straordinaria dote, la sua profondissima cultura classica, la sua proverbiale memoria, il suo talento spiegano il numero enorme di pubblicazioni sulla Sardegna per oltre 60 anni, con una sostanziale continuità e coerenza di studio, con un carattere documentario ed enciclopedico, con un coinvolgimento di lettori che ha attraversato tutta l’isola e non solo. Innanzi tutto la centralità della democrazia come scelta culturale, le ricerche sull’origine del fascismo e sull’antifascismo sardo, approdate come sono alle figure di Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Velio Spano, Angelo Corsi il sindaco di Iglesias, fino al volume sull’antifascismo curato assieme a Francesco Manconi, Antonello Mattone e Guido Melis; la collaborazione con Piero Sanna e Francesco Soddu, o quella con Luciano Marroccu sul tema degli intellettuali e la costruzione dell’identità sarda tra Otto e Novecento e poi tante altre questioni, i temi sociali, quelli relativi all’editoria, che hanno fornito una preziosa consulenza al legislatore regionale.

E poi le sue traduzioni di Alberto La Marmora, W.H. Smith, Maurice Le Lannou, lo sforzo di confezionare opere come l’Enciclopedia della Sardegna assieme a Guido Melis e Antonello Mattone a partire dal 1982, e poi nel 2007 la Grande Enciclopedia della Sardegna, tanti altri strumenti di orientamento bibliografico, le sue guide, le sue antologie divulgative, le sue sintesi indirizzate alla scuola come i 5 volumetti di Storia della Sardegna per i licei nella collana delle Storie regionali di Laterza (con me e Gian Giacomo Ortu) o Tutti i libri della Sardegna. Con Salvatore Tola il Dizionario Storico-Geografico dei Comuni della Sardegna, del 2006 per Delfino Editore.

Mario Da Passano introducendo nel 2001 il volume di studi in onore ricordava il nostro comune debito di riconoscenza, le sue straordinarie doti umane, la sua curiosità intellettuale, il suo spirito acuto e pungente senza mai essere malevolo, la sua amichevole curiosità, il suo gusto per le cose belle e buone. Sentimenti che oggi sono di tutti coloro che rimpiangono il suo sorriso. Oggi prevale il senso della perdita irreparabile, il dolore per la scomparsa di una persona che ci ha aiutato tutti i giorni, alla quale guardavamo con ammirazione e senza riserve, cercando le occasioni per incontrarci, come a Palazzo Ciancilla nei pomeriggi, quando preparava la sua lezione e lo aspettavamo solo per la gioia di parlare con lui. Non dimentico i tre volumi di mio padre, che aveva voluto correggere tagliando – come scherzava – una riga sì e una riga no, facendone poi dei libri godibili e profondi. Anche nel suo ultimo difficile intervento all’Università negli ultimi giorni aveva mantenuto la linea di uno strenuo impegno civile e democratico ed aveva voluto ricordare il legame con Antonio Pigliaru, la lezione di Antonio Gramsci, il contributo della Sardegna per un’Europa migliore. Un’eredità che ci lascia per intero.

Nei giorni scorsi abbiamo potuto vedere il bellissimo documentario su Aldo Moro il professore: ecco, al di là dei paragoni non appropriati, con il prof. Brigaglia abbiamo perso il rappresentante di una stagione in cui i maestri sapevano costruire davvero una relazione intellettuale e umana con gli studenti che durava tutta la vita, oltre le differenze, nella piena libertà di pensiero.

Un pensiero infine al nostro antico Presidente Nicola Tanda, scomparso il 4 giugno 2016 a 88 anni di età a Londra, assistito dal figlio Ugo. Prima di me aveva presieduto la nostra Giuria per oltre vent’anni dal 1982 e mi aveva chiamato a sostituirlo, con una generosità che mi aveva lasciato senza parole.  Oggi il dolore si rinnova e ancora lo piangiamo, rileggendo le pagine di allora, Un’odissea de rimas nobas, che ci resta nel cuore.

Non posso però chiudere questo intervento senza citare la recente approvazione della legge regionale pubblicata il 3 luglio scorso (mr. 22) sulla “Disciplina della politica linguistica regionale”, con 32 articoli nel testo unificato che raccoglie stimoli e spunti venuti dal mondo della cultura e dalla società civile. Esprimere un giudizio oggi è necessario, anche se l’unificazione di tre distinte proposte di legge non sempre è stata felice e capace di rispondere alle attese che tutti avevamo concepito in questi anni. Tra i principi, la Regione assume l’identità linguistica del popolo sardo come bene primario e individua nella sua affermazione il presupposto di ogni progresso personale e sociale.

La Regione impronta la propria politica linguistica ai principi di trasparenza, etica pubblica, partecipazione democratica, programmazione degli interventi, razionalizzazione, efficacia e efficienza. La lingua sarda, il catalano di Alghero e il gallurese, sassarese e tabarchino, costituiscono parte del patrimonio immateriale della Regione, che adotta ogni misura utile alla loro tutela, valorizzazione, promozione e diffusione. La Regione promuove, tutela e sostiene l’insegnamento scolastico del sardo e delle altre lingue di Sardegna. Si prevede l’insegnamento (anche in italiano) della storia, della letteratura e di altre discipline riferite alla cultura della Sardegna. La legge regionale 22 promuove e sostiene le arti veicolate attraverso la lingua sarda (definite nel testo arti proprie): tra queste: la musica cantata in una delle lingue di Sardegna, sia moderna che nelle espressioni tradizionali (definite nel testo “linguaggi poetici musicali della tradizione”: poesia a bolu, cantu a tenore, cantu a cuncordu, cantu a ghiterra etc.), inoltre, incentiva in teatro, il cinema e le altre forme di espressione artistica che impiegano la lingua sarda.

Viene istituita la Consulta de su sardu, molti Sportelli linguistici (Ofitzios de su sardu), e per l’attività didattica un Comitato interistituzionale permanente per l’insegnamento delle lingue delle minoranze storiche (Obreria pro s’imparu de su sardu). La legge istituzionalizza il coordinamento della Regione e del Ministero (attraverso s’Obreria) per la pianificazione dell’insegnamento delle lingue, in modo da permettere la definizione degli obiettivi didattici e degli strumenti di valutazione, la continuità nella educazione scolastica, la produzione di materiale didattico con un controllo sulla qualità, la retribuzione del personale docente e tutto l’insieme delle procedure che definiscono la didattica delle lingue e le azioni propedeutiche. Vengono enunciate le regole per le trasmissioni tv, radio e web, e le linee guida per la convenzione RAI regionale e nazionale.

Si promuove la istituzione di almeno un canale radiofonico ed uno televisivo esclusivamente nelle lingue della Sardegna. La legge definisce una norma ortografica alla quale è subordinato il sostegno della Regione. Definisce inoltre una norma linguistica “amministrativa” per i documenti in uscita del sistema regione (Consiglio Regionale, Giunta Regionale, assessorati, enti, agenzie e istituti regionali). La norma linguistica dovrà indicare quali forme lessicali adottare, che siano simbolicamente rappresentative della Sardegna per gli atti ufficiali. Gli enti locali, le scuole, le associazioni e i soggetti privati saranno tenuti solo ad adottare la norma ortografica. Essi sono però liberi di scegliere la norma linguistica (possibile scegliere quella regionale, una delle varietà letterarie storiche o altre norme locali). La Regione organizza ogni anno una Conferenza aperta (Cunferentzia aberta) sulla lingua sarda.

Viene inoltre definito l’ambito di collaborazione con le università della Sardegna per lo svolgimento di attività di studio, ricerca e formazione attraverso una convenzione che può prevedere, tra gli altri, i seguenti contenuti:

a)     percorsi di formazione e aggiornamento permanente, in particolare percorsi formativi specifici per insegnanti, interpreti e traduttori;

b)     corsi universitari finalizzati anche al rilascio delle certificazioni linguistiche;

c)     corsi universitari, master di primo o secondo livello specificamente dedicati alla lingua e letteratura sarda;

d)     corsi universitari di etnomusicologia;

e)     organizzazione di convegni, incontri di studio e seminari di carattere scientifico e divulgativo;

f)      attività di studio e ricerca e realizzazione di pubblicazioni di carattere scientifico anche in collaborazione con università, accademie, scuole di studi superiori e altri centri di ricerca a livello regionale, nazionale e internazionale;

g)     assegnazione di premi per tesi di laurea;

h)     attività di certificazione linguistica;

i)       assegnazione di assegni di studio, borse di dottorato, contratti di ricerca di durata almeno biennale, nelle materie disciplinate.

La Regione, con la collaborazione delle Università di Cagliari e Sassari, promuove l’istituzione dell'”Academia de su sardu” costituita da ricercatori, docenti ed esperti di comprovata fama, di lingua e linguistica sarda. Essa svolge attività di studio e di consulenza scientifica sulle caratteristiche strutturali e funzionali della lingua e sulla sua evoluzione.

Viene fortemente potenziato il ruolo dell’Istituto Superiore etnografico della Sardegna (ISRE), attualmente presieduto dall’on.le Giuseppe Pirisi, che mi ha pregato di salutarvi oggi. E ciò nell’ambito dei compiti istituzionali di cui alla legge regionale 5 luglio 1972, n. 26, attraverso l’approvazione di un programma che preveda la concessione di contributi a favore di:

a) enti locali, pro loco, comitati delle feste regolarmente costituiti, associazioni, organismi del teatro e dello spettacolo, per l’organizzazione di manifestazioni pubbliche o pubblici spettacoli che includano le arti proprie;

b) conservatori e scuole civiche di musica per l’attivazione di corsi per insegnamento delle arti proprie.

Sono previsti contributi a favore dei soggetti che, in forma singola o associata, promuovono le arti proprie attraverso le seguenti attività:

a) la produzione e diffusione di materiale musicale;

b) le produzioni originali di spettacoli teatrali e di cinema;

c) il doppiaggio di materiale cinematografico non originale;

d) la partecipazione a rassegne di carattere nazionale o internazionale, a titolo di rimborso delle spese di viaggio.

L’ISRE, inoltre, promuove e sostiene:

a) un “Festival itinerante dei linguaggi poetici e musicali della Sardegna” aperto ad analoghe tradizioni presenti a livello nazionale e internazionale, da svolgersi con cadenza annuale;

b) la creazione di luoghi nei quali poter svolgere attività di riproduzione, aggregazione, apprendimento e trasmissione delle competenze inerenti le arti proprie, denominati “Domus de sa cultura”; a tal fine individua, anche d’intesa con le autonomie locali interessate, beni immobili appartenenti al proprio patrimonio disponibile da adibire a tale scopo;

c) un catalogo multimediale delle arti proprie, al fine di garantire la sistematizzazione e divulgazione del materiale audiovisivo in proprio possesso anche attraverso attività di ricerca e di acquisizione di ulteriore materiale del quale assicura la valorizzazione e divulgazione al pubblico anche attraverso il sito tematico “Sardegna digital library” o attraverso specifiche manifestazioni o eventi di promozione.

Qualunque sia il giudizio che ciascuno di noi darà di questa legge e della sua applicazione concreta, questo sarà un punto di partenza del quale non si potrà non tener conto e col quale dovremo confrontarci.

Credo che non posso andare oltre con questo intervento che si è mosso tra ricordi e speranze: lasciatemi dire che il Premio Ozieri si conferma ancora una volta come una finestra su un mondo ricco, colorato, complesso, fortemente identitario, su una Sardegna che vuole crescere ancora, che non vuole chiudersi in se stessa e che si mette al servizio del nostro Paese e del Mediterraneo.




24° Annual Meeting of the EAA in Barcelona 2018. Session: Lived Ancient Religion in North Africa

Attilio Mastino

Neptunus Augustus and the fons Thignicensis: The works commissioned by the knight P. Valerius Victor Numisianus Sallustianus, of the Papiria tribe, by his father and his mother for the Temple of the Waters of Aïn Tounga in Tunisia

24° Annual Meeting of the EAA in Barcelona 2018 (8 settembre 2018)
Session: Lived Ancient Religion in North Africa


In this prestigious setting we aim to summarise the complex phenomenon of the cult of Neptune in North Africa, by way of about hundred inscriptions and dozens of mosaics, with reference to the latest developments (that have recently been published in “Epigraphica”) in relation to the fons Thignicensis and the work undertaken for the gathering of the spring waters of Thignica carried out by the knight Publius Valerius Victor Numisianus Sallustianus, of the Papiria tribe, by his father Valerius Tertullianus and mother Caecilia Faustina for the “Temple of the Waters” in Aïn Tounga in Tunisia, in the period of Gallienus and Salonina.

In reality, this is a monument dominated by the aedem [dei Nept]uni, which has been conceptually compared to the far more famous “Temple of the Waters of Zaghouan”, which was the origin of the Hadrian-era Carthage aqueduct; the dedication Neptuno Augusto sacrum links it closely to the Imperial cult, also by way of the use of the summae honorariae of the three flamines perpetui. This is an area that has been affected by the decrees of lex Hadriana de rudibus agris studied by Hernán Gonzáles Bordas of the Università of Alcalá de Henares in the text found at Henchir Hnich (Krib region, Tunisia).

It is precisely to Hadrian that the plan of the great Carthaginian aqueduct is to be attributed. This impressive work channelled water from Zaghouan to the cisterns of Malga and to the baths inaugurated in the first year of Marcus Aurelius and Lucius Verus: El-Bekri in c. 1068 knew of the origin of the aqueduct in the mountains of Zaghouan (56 km as the crow flies) and was able to state that the work took forty years, hence starting from the era of Hadrian. Arriving in a moment of great drought in Africa, it was Hadrian, in 128 AD, who planned the great aqueduct that was to give Carthage its new name: Hadrianopolis. The aqueduct was built above all to supply the great seaside baths, commonly known as “Thermes d’Antonin”, of which the commemorative plaque remains.

The Temple of Neptune in Thignica is on the eastern foot of the hill of Aïn Tounga, a few hundred metres from the Sanctuary of Saturn, on the south-western border of the municipium: the topographic appearance is fundamental for our theme, that will lead us to that part of the territory of Carthage that lies beyond the Fossa Regia. The aedes dei Neptuni was located at the natural springs of the aqua Thignicensis (from which, according to Beschaouch, derives the modern Aïn Tounga)  and was composed of a square cell with a barrel-vault roof, which was partially cut from the rock. It also featured a columned gallery on three sides, with a niche in the centre to house a statue and pools to collect the spring water. In the background there is ever the theme of the relationship of inland Africa with the cult of Neptune called undarum dominus Nereidumque pater at Dougga, with springs, spas, aqueducts and the contemporary veneration of the Nymphs, in association with, or even with the assimilation of other Numina. In our case, particular attention must be paid to the connections between Neptune and the imperial cult, the euergetic nature of some of the dedications, the adoption of the cult for the God of Waters by the supreme magistrates of the colonies and municipia, as well as by priests connected with the municipium’s aristocracy and by members of the army.

Partially excavated fifteen years ago by Habib Ben Hassen of the Agence de Mise en Valeur et de Promotion Culturelle de la Tunisie, the complex has been summarily published in the volume Thignica (Ain Tounga), son histoire et ses monument, with numerous inaccuracies in terms of the epigraphic text. The research carried out in 2017 and over these last few weeks, coordinated by Samir Aounallah and myself (along with Maria Bastiana Cocco, Claudio Farre, Antonio Ibba, Salvatore Ganga, Alberto Gavini, Piergiorgio Floris, Paola Ruggeri, Alessandro Teatini, and Tarek Hammami), has led to the revision of the large dedication inscription and the importance of the monument, that presents only slight similarities with the Temple of the Waters of Zaghouan at the origins of the Aqueduct of Carthage in the era of Antoninus Pius, but with a plan that is wholly conditioned by the profile of the nearby hill. The total measurements are about 40 x 20m, with a large square temple that was not envisaged in the original project ([ampli]ata pecunia aedem [dei Nept]uni): the cell was barrel-vaulted, and not perfectly in line with the plan of the large monument. It was cut out of the rock of the hill and was 5.2m (18 Roman feet) wide, with a semi-circular niche at the bottom. Just downhill from this was the wide triple columned gallery, that was 3.4 m (12 Roman feet) wide, and closed by an opus incertum wall, with remains of canalisation. The pavement was partially restored in the late period, and there was another niche in the substructure of the portico that was to house a female statue, which according to H. Ben Hassen, was a mermaid. The intercolumniation is 2.2m, with a total of 12 columns at the front, and five in the side arms. The approximate height was 5m including capitals. The frieze and remains of the capitals are currently being studied (A. Teatini) and the Eastern facade of the monument has not been excavated. Several rectangular basins have survived for the gathering and filtering of the waters. The central basin was 28.5 m (10 feet) x 10m (3.5 feet). The activity of the dedicator was that of gathering the water from the springs on the side of the hill, like Lambaesis: collectis fontibus et / [scatu]riginibus aedem Neptuni / [a] solo fecit.

Sadok Ben Baaziz in volume XIV (1996) of “Africa” has studied other Temples of Neptune in Africa, and almost all are from the 2nd century: the closest analogies are with Pheradi Maius, with its cell, basins and porticos; Thubursicu Numidarum, and Aïn Drin at Lambaesis. However, epigraphy testifies to the presence of at least 13 temples, in: Leptis Magna, Thugga, Mactaris, Aquae Thibilitanae, Sidi el Bahloul, Calama, Cartagine, Zama Minor, Chullu, Thamugadi, Khemisssa, and Aïn el Aouad on the Aurès. Furthermore, there are more than 15 statues of Neptune, generally in upright position. This is a god that in reality acted as a synthesis of “plusieurs divinités ou génies préromains locaux des sources”.

The large inscription that was recently studied in “Epigraphica” was inscribed on three large blocks of damaged limestone, with a width of 2.45 (8 feet), and a height of 49 cm (1.5 feet).

Thignica p. 85 = AE 2006, 1762 = AE 2007, 1680 = AE 2010, 1807. Vd. ora Ruggeri, La dedica dell’aedes Neptuni, cit., pp. 338 ss.: Neptuno Augusto sacrum / pro salute [[Imp(eratoris) Caes(aris) P(ubli) Licini Gallieni Pii Fel(icis) Aug(usti) p(ontificis) m(aximi), Dacici max(imi) Germ[a]nici max(imi), Persici max(imi) trib(unicia) pot(estate) XIII]] / [[imp(eratoris) XII co(n)s(ulis) VI p(atris) p(atriae) proco(n)s(ulis) et Corneliae Saloninae Aug(usti) coniugis Aug(usti) n(ostri) totiusque domus divinae eorum]] (vacat) / P(ublius) Valerius L(uci) fil(ius) Pap(iria) Victor Numisianus Sallustianus eq(ues) R(omanus) aedilic(ius) IIviral(icius) XIpr(imus) fl(amen) perp(etuus) opus fontis [Thignicensis] quod Valerius Tertullianus pater eius / 5 ob summam flam(onii) perpetui sui itemq(ue) Caeciliae Faustinae matris suae f(laminicae) p(erpetuae) ex HS LIIII mil(ibus) n(ummum) facturum se promi[serat supra legitima]m taxationem podium tantummodo eiu[s] / exstruxerat quodq(ue) idem Numisianus ob honorem flamonii sui perp(etui) ex HS XXX mil(ibus) n(ummum) experitu[r]um se pollicitus [erat, ampli]ata pecunia aedem [dei Nept]uni VM.

The dedication to Neptuno Augusto was carried out in 265 AD on the occasion of the works at fons Thignicensis pro salute of Gallienus in his 13th potestas tribunicia and Cornelia Salonina (the Arabic placename Aïn Tounga that in the first part reminds us of fons Thignicensis (Aïn) and in the second part (Tounga) echoes the name of the Severian municipium of Thignica). A very important testimony to the municipium’s euergetism, the document directly links the cult of Neptune the protector of springs to the Imperial cult in the ancient territory of the colony of Carthage. The person making the dedication, an important figure of the aristocracy of the municipium founded by Septimius Severus, was the knight P. Valerius Victor Numisianus Sallustianus fl(amen) perp(etuus), who used the summae honorariae flamonii sui (more than 54,000 sestertii) saved by his father flamen Valerius Tertullianus and mother Cecilia Faustina f(laminica) p(erpetua), for a change to the original project and a further ampliatio pecuniae with respect to the 30,000 sestertii that he had originally promised, with the construction of the temple to the god Neptune behind the gallery, slightly higher than the pools. The interpretation provided by H. Ben Hassen is erroneous from many points of view, as he imagined a podium aeneum and did not read aedes [dei Nept]uni, which is clear in the 3D reproduction and in the facsimile we now avail of.

In the reuse an epigraphic fragment was found that testified to successive euergetic interventions by the corporation of the fullones.

Large lists of epigraphic references to the cult of Neptune in Africa have been published in recent years: we know of sacerdotes, flamines, cultores, templa, aedes, aediculae, arae, curiae, for Neptune Augustus, redux Augustus, dominus et deus, in a Greek dedication by Thapsus (Ras Dimas, in Tunisia) karpodòtes, in the sense of carpofòros and Frugifer, merged with the genius of the nearby Colonia Concordia Ulpia Traiana Frugifera Hadrumetina. It is the same god Frugifer on the coins of the Emperor from Hadrumetum, Clodius Albinus, dedicated Saeculo Frugifero, that connect Neptune to the agricultural cult and to the fertility of the land. Neptune is represented in the bas-reliefs with a trident and a stick, around which is wrapped a snake, as for Aesculapius, with reference to the therapeutic value of the spa waters: so at Aïn el Hamedna, close to Hr. Bou Saadoun, south of Althiburos: “le serpent est enroulé autour d’un baton que tient le dieu Neptune represente nu debout de face”; the text of the votive altar is: Neptuno Aug(usto) s(acrum) L(ucius) Apronius Processus mag(ister) suo(!) i(ussu) d(ei) p(ecunia) p(osuit)[i]. In reality one could also think of the myth of the serpent Python, protecting the escape of Leto the mother of Apollo and Artemis. Of great interest is the attribute of Neptunus cremens, from the Imperial Latifundia of the region of Thala, at Ain Hedia (Henchir El Roumia), which refers to the patronage of the god over vegetation: deus Crem[e]nti deo / Ne[ptun]o. Aedem / su[is su]m(p)tibus / fe[ceru]nt instan/te, [—Te]rtio (?), mag(istro), in a dedication recently presented by Ridha Kaabia. This underlines the abilities of the god with reference to the patronage of the products of the land. At Thapsus, instead, the god was associated with grasslands without trees, and at Thala with vegetation in general, with an extension of the attribute Frugifer, without the chthonic characteristics of the cult of Ceres or Saturn, but with a direct link to water: “Neptune est donc le patron de la croissance et de la poussée de la vegetation”. This is an unique case in the epicleses of the god, who “s’introduit dans la logique du rapport entre l’eau douce, en l’occurrence l’eau de source, comme l’indique le lieu de la decouverte, et l’activité agricole. C’est donc par l’irrigation que Neptune dispose d’un pouvoir fecondant toute espece vegetale et participant a la floraison des produits de la terre. Il rejoint dans ce contexte Jupiter et Caelestis qui procurent de la pluie”.

Neptune, confused with Poseidon, was associated with, or even assimilated with, Baal Hammon, Saturn, Triton, Poseidon, Frugifer, agricultural Mars, Serapis (for example at Carthage), Silvanus, Apollo (for example at Calama), Liber Pater, Mercury (in common with the Caduceus), Vulcan, Concordia as at Dougga, Ceres with a torch, and other Numina. He is often flanked by the Sphinxes, the Nymphs, the Sirens, the Tritons and the Genius loci as at Timgad: in colonies, municipia, pagi, civitates, with more than 50 localities: Leptis Magna, Sabratha, Thysdrus, Thapsus, Capsa, Thala, Althiburos, Tleta-Djouanna, Sufetula, Saltus Massipianus, Mactaris, Pheradi Maius, Zama, Ksar Mdoudja, Tituli, Theveste, Henchir Bou Chekifa, Masculula, Thamugadi, Calceus Herculis, Lambaesis, Zarai, Madauros, Hippo Regius, Calama, Aquae Thibilitanae, Sigus, Cirta, Chullu, Cuicul; as well as Thelepte, Verrona, Ammaedara, Rusicade, Mopthi, Sitifis, Saldae. This was mainly in the inland areas of the African provinces, that were almost desert, far from the coast, but in the vicinity of springs, oases or rivers. The geographical extension highlights the particular importance that the cult of Neptune had in the peripheral (inland) territory of the colony of Carthage, in particular beyond the Fossa Regia. The most important piece of evidence is precisely this temple close to the spring of the municipium of Thignica in the era of Gallienus, the emperor who promoted  the nearby towns of Thubursicum Bure and Thugga to the status of colony. More specifically, at Dougga the ex forma promotion, hence with a new cadastral delimitation (the arrival of new settlers was improbable) is dated to between 261 and 265, as has recently been demonstrated by Louis Maurin and Samir Aounallah[ii], who have reconstructed dedication carried out [pro salute] of Gallienus in the 13th potestas tribunicia and of Salonina (names we believe were erased following the damnatio memoriae), by a cur(ator) reipubl(icae), to exalt the imperial indulgentia, [ob] benivolentiam dignationis ac liberalita[tem] Imp(eratoris) Aug(usti) col(oniam) deducent(is) ex forma. The theme and the reasons for the African deductions (institutional promotions) following Caracalla’s de civitate edict have already been discussed by Antonio Ibba and Michel Christol, starting from the dedication of the Arch of Uchi Maius under Severus Alexander: sub eius nomine auspicioqu[e] deducta[iii]. The association of the emperors with Neptune August is to be found in at Dougga in at least two of the four dedications on record, some of which certainly came from the fourth chapel of Sanctuary B, which was attributed to Neptune, perhaps in the era of Hadrian[iv], where reference is made to the [temp]la Concordiae Frugiferi Liberi Patris Neptuni … cum marmoribus et statuis et ornamentis, all of which are divinities of fertility particularly appreciated in Byzacena, but less so in Zeugitana. These divinities are invoked by [M(arcus) Gabiniu]s Quir(ina) Bassus flam(en) Aug(usti) perp(etuus) patron[us pagi et civitatis] and by [A(ulus) Gabinius Arn(ensi) Datus patronus pagi et civitatis flamen(?)] divi Titi aedilis augur c(oloniae) I(uliae) K(arthaginis).

Of similar interest is another inscription from Dougga, more specifically from Caracalla’s Temple of Victory, which is still connected with the organisation of the imperial cult of Neptuno / Aug(usto). This association with the imperial cult in the era of Severus is also present at Thibursicu Bure, the modern-day Theboursouk, later one of Gallienus’ colonies, close to a rich spring: Neptuno Aug(usto) sac(rum) / pro salute Imp(eratorum) Caesarum L(uci) S[ep]timi S[everi—]. Three epigraphic dedications to Neptune come from Carthage, the capital of Africa Proconsularis, the first of which appears to be of a particularly early date, as it dates to the reign of Augustus, who ordered its placement in his last years: [N]eptun[o] / [Imp(erator) C]aesar divi [f(ilius) Aug(ustus)] / [po]nt(ifex) maxim[us] / trib(unicia) pot(estate) / [de st]ipe quam p[opulo p(ostulante)] / f(ieri) i(ussit) K(alendis) Ia[n(uariis)]. Neptune is associated with Serapis once: Sarapidi / Neptuno / Aug(usto) sacr(um) / P(ubli) Aurelii / Pasinici / cum suis / s(ua) p(ecunia) f(ecit) d(ecreto) d(ecurionum). The later document was Christian, a carmen[v]. A dedication to Vulcanus, Ne[ptunus] comes  from Tunisi.

Also of great significance is the dedication to Neptuno Aug(usto) of Pagus Suttuensis at Uchi Maius, placed close to the source of the supply for the local aqueduct (“Dans la source dite Aïn-Zroug, au dessus de 1’Henchir ech-Chelt, qui est alimentée par ses eaux”) : Neptuno / Aug(usto) / sacr(um).

It is hence precisely in the territory of Carthage that emerge the characteristics of that which Alain Cadotte in 2002 (in Phoenix) and in 2007 in the volume on La romanisation des dieux called the Neptune Africain: product of the Roman interpretatio of a god that had deep Libyan roots documented by contact with the Libyan water genius. But these roots were also Punic, as is documented by numerous geographical, literary and epigraphic sources (we may note those that were bilingual, Latin-Punic in Leptis Magna), that refer to the Phoenician god ‘El qõnē ‘areş, in the sense of “owner of the land”, perhaps a Poseidon that was originally Libyan. However, we cannot imagine a close local relationship with the great sanctuary of Saturn-Baal Hammon, which has yielded almost 300 steles (that will be described in an upcoming publication of ours), with constant confusion with the Libyan Poseidon, who was already associated by Herotodus (IV 180 and 188) with Lake Triton (Chott el Djerid), behind the mythical Sirti mountains. From Byzacena and in particular from the territory of Ammaedara (Tleta-Djouama) comes the dedication Neptuno Saturno sacrum following the fulfilment of a vow. This dedication rightly would lead us to think of outright assimilation. Along similar lines is the dedication of Thala (Aïn Maja), that carries out dom(ino) et deo Neptuno et dis deabus etc., referring to the African dominus par excellence, Saturn, the heir of the Phoenician/Punic Baal Hammon. Besides Byzacena, J. Toutain already underlined the importance of Neptune, the god of running water and of springs in the areas far from the coast: we may think of the springs of the Temple of Lambaesis, of the nymphs of Pheradi Maius and of Ksar Mduja , civitas A[—], of the pool of Tituli, at the baths of Aïn el Hmadna and Sitifis; at the springs at Pagus Suttuensis, Hr Bou Chelifa, Zarai, Madauros, Thubursicu Bure, and Cirta. Hence, according to Cadotte “ces differents indices montrent bien la nature différente de ce Neptune, dont la popularité dépassait de beaucoup celle du Neptune marin”; and this was the case, even if the Neptune of Dougga, father of the Nereids, was also undarum dominus, the lord of the waves and of the rough sea. According to Cadotte, this is an aspect which is not well known in the Italic religion, and almost completely absent in the rest of the Empire, one that was enriched in Africa by way of its blending with more ancient local traditions linked to the cult of the genius that protected the springs.

Yet in numerous African mosaics, many of which are well known, one notes the prevalence of a form of classicism more closely linked to Greek mythology, that of Neptune as God of the Sea, associated in triumph with Amphitrite and Cirta, with the Nymphs, the Tritons, but also with the Seasons, as has been observed by such a great scholar as the sorely missed J.M. Blázquez Martínez. The most famous cases are that of the House of Neptune’s Triumph in Acholla in the third quarter of the 2nd c.  and that of La Chebba (to the south of Hadrumetum), which portrays Neptune with a head surrounded by rays, flanked by Triton and Nereid, in the mid-2nd c. AD, ever with Herodotus’ remembrance of Lake Triton. Hence, along the coasts, but also in the inland areas of the African provinces, the iconography is more inclined towards the classic model of a marine Neptune, as for example in the Villa of the Laberii and in the villa of the composite capitals at Uthina (end of the 2nd c. AD), with nereids, sea monsters or dolphins. In the Oued Blibane villa at Hadrumetum at the end of the 2nd c. and at the Sorothus villa, Neptune appears with three sirens, tritons and nereids. Other examples come from the Villa of Neptune at Thuburbo Maius (end of the 3rd c.), from Thamugadi (second half of the 3rd c.) and from Hippo Regius. Neptune is often presented as triumphant on a chariot drawn by horses, as in Sousse. The documentation that provides the greatest depth and is of most interest is hence that of the inscriptions and the bas-reliefs that express different subtleties and represent the multi-faced nature of a god that the Africans venerated above all for his connection with the capacity to protect the springs, to irrigate the fields and make them fertile, and to supply the spa baths. Precisely at Dougga, the inscription that commemorates the [a]quam con[ductam e fonte M]occol[i]tano in the era of Commodus, according to Azedine Beschaouch, had an extraordinary response that continues to the present day, with the folk traditions of the mysterious festival of Lella Moccola.




Intervento per la consegna del candeliere speciale, 13 agosto 2018

Intervento per la consegna del candeliere speciale, 13 agosto 2018


Signor Sindaco, cari amici,

in questi giorni mi sono chiesto a lungo cosa dire per riuscire ad esprimere la mia gratitudine verso questa città ospitale che amiamo, Sassari, per questo candeliere speciale. Brigaglia mi avrebbe detto di non essere noioso come al solito. Ricevo questo candeliere anche a nome dei miei colleghi, dei miei studenti, dei miei amici; quaranta anni fa questa città mi ha accolto a braccia aperte con generosità, attenzione, orizzonti larghi, serenità, al di là dei miei meriti.  Ricevere oggi il Candeliere speciale significa per me entrare ancora di più nel mondo variopinto, chiassoso, allegro e allo stesso tempo misterioso e profondo dei Gremi, in quella che viene definita non banalmente l’anima della città, che ci emoziona tutti.

L’emozione e il percorso verso la “Festha Manna” sono iniziati domenica scorsa con i piccoli candelieri partecipi (con una serietà inusuale per dei bambini) di un rito fatto di ritmi, di musiche, di balli, di relazioni sociali profonde, di vita vera.  Di gioia, lungo il Corso Vico che straboccava di bambini rigidamente ordinati secondo tradizioni che si trasmettono da generazioni, con un minicandeliere portato dalle piccole gremianti, un segno che indica le trasformazioni che rinnovano il rito.

Lo stesso interesse venerdì scorso abbiamo visto tra i partecipanti al corteo dei 19 pesanti ceri dei candelieri medi rimasti rigorosamente all’esterno delle porte di Santa Maria, la chiesa francescana che mantiene un legame diretto con la terra santa di Betlem. Domani identico entusiasmo susciterà in tutti i sassaresi la Faradda Unesco, per sciogliere un voto religioso ma anche per raccogliere i frutti di un lavoro che si è sviluppato per tutti i giorni dell’anno. In questo senso penso agli archivi ritrovati nelle sedi dei Gremi ma anche alle relazioni degli obrieri con i novizi, ai tanti progetti e ai nostri sogni.

Qui sorge una speranza per un futuro diverso, per una città più felice. Del resto stasera parlano anche i luoghi: in questa piazza 400 anni fa presso la chiesa di Gesù Giuseppe e Maria fu fondato il Canopoleno e il Convitto di Sant’Antonio Abate, alla base degli attuali Istituti Canopoleno e Azuni, a breve distanza da quel Culleziu nato cinquanta anni prima col testamento di Alessio Fontana del 1558.  Tante storie si incontrano tra il Palazzo di Città e Palazzo Ducale. Negli stessi anni i Gremi scioglievano il voto alla Madonna dopo una pestilenza e lo facevano gioiosamente, con la goliardia e lo spirito ironico sassarese, la cionfra, riplasmando le più antiche tradizioni pisane e spagnole.

Oggi tocchiamo con mano le radici, il rapporto forte, intenso, identitario che lega la città di Sassari al territorio, nel ricordo di storie parallele che risalgono al Cinquecento sardo e di quel legame storico sotterraneo con i gremi, espressione delle categorie produttive di una città che vuole crescere ancora, che non vuole chiudersi e che si mette al servizio della Sardegna, del nostro Paese e del Mediterraneo. Ho apprezzato moltissimo l’impegno dell’Università e della Fondazione di Sardegna per il progetto di formazione di tante centinaia di studenti magrebini, Formed; io stesso ho avuto negli anni tanti allievi che ci hanno seguito nei nostri scavi in Tunisia e in Marocco voluti dal Ministero degli Esteri.

Sono convinto che in un momento come quello che oggi viviamo la cultura può fare moltissimo per creare rapporti, riconoscere le diverse identità del Mediterraneo, irrobustire il rispetto per le persone, in un mondo globale dove la formula gramsciana “culture egemoni e culture subalterne” dovrebbe essere meglio interpretata, con capacità di ascolto e sforzo di comprensione di culture in contatto. L’espressione latina mare nostrum, eredità del periodo coloniale e odiosa per il suo senso proprietario, deve ora essere intesa in un orizzonte largo, entro un processo in cui prevalga la capacità di integrare identità e storie diverse, facendo emergere (per seguire Franco Cassano) il <<noi>> mediterraneo: per ritrovare quell’ecumene globale che secondo Platone era un lago salato sulle cui rive si affollavano uomini diversi come tante formiche al sole.

E allora tornerei alla nostra identità, con le parole di Pompeo Calvia, l’amico di Enrico Costa, altra eccellenza e memoria storica della città, al quale Manlio Brigaglia con un gruppo di sassaresi guidati dall’avv. Toto Porcu volle dedicare la statua di Piazza Fiume, che sarà tra breve inaugurata:

Chi canzoni e chi alligria

Vi so sott’a la bandera !

Pari giunta primabera

Cinquanta anni fa ziu Zesaru descriveva Li Paraj ariganti, mentre oggi su La Nuova ho visto riprese le straordinarie poesie di due amici, Tino Grindi e Mario Olivieri.
Visthuddi commu tanti prinzipini,
cun li cazzetti nieddhi e l’ippadini!
Passani li trapperi e li viandanti,
li cazzuraggi tutti tirintini,
li masthrudascia e li cunzadori;
e affaccu a li massai cun la Bandera
lu Sindaggu in isceippa tricurori.
La città è cambiata profondamente in questi anni,
Ma gandu farani li sò Parai
Sassari torr’assè chissa chi era,
ed è pa chissu chi no mori mai!

A tutti li Sassaresi prisenti e no prisenti, un carurosu a Zent’anni, si dabboi so di biù mengliu ancora.

Ho il piacere di offrire al Signor Sindaco Nicola Sanna una copia del volume appena pubblicato su Cartagine signora del Mediterraneo e capitale dell’Africa. Carthage, maîtresse de la Méditerranée, capitale de l’Afrique (Histoire & Monuments, 1), (IXe siècle avant J.-C. — XIIIe siècle). AMVPPC, SAIC Sassari, Tunisi 2018, S. Aounallah, A. Mastino (cur.), pp. 1-500

Attilio Mastino




La scomparsa di Paolo Pillonca (Osilo 8 ottobre 1942 – Cagliari 26 maggio 2018)

La scomparsa di Paolo Pillonca (Osilo 8 ottobre 1942 – Cagliari 26 maggio 2018)

Verso Paolo Pillonca da sempre ho provato un’ammirazione senza confini: la sua profondissima cultura classica che emergeva ogni volta che c’incontravamo, tra Omero, Cicerone, Orazio, il Padre Dante, con citazioni che mi sembravano puntualissime e davvero felici e che pensavo fossero dedicate espressamente a me, anche se non era così.

Questa conoscenza professionale di dettaglio della poesia in lingua sarda, in particolare questa sistematica schedatura della folta schiera degli improvvisatori, che si estendeva nel tempo dai grandi del passato, copriva spazi geografici  impensabili, raccontava una passione, una curiosità, una sensibilità che ci commuoveva e ci incantava. I suoi interventi erano davvero godibili e apprezzati da un pubblico eterogeneo e vivace.

Tante volte l’avevo interrogato su aspetti marginali, sui poeti dei miei territori, Giovanni Nurchi a Bosa, Pittanu Morette a Tresnuraghes, Gavino Delunas a Padria oppure Remundu Piras a Villanova, trovandolo sempre preparato e capace di penetrare il senso profondo, l’eleganza, la qualità della produzione poetica isolana, la sua ispirazione profonda, le sue radici.

Nel premio Ozieri l’avevo visto all’opera durante le riunioni della giuria e quando conduceva assieme a Nicola Tanda e ad Antoni Canalis una cerimonia davvero complessa: coglievo tutte le occasioni per assorbire da lui idee, suggerimenti, indicazioni, giudizi, come quando censurava con severità la frequente zoppìa nella metrica adottata da molti poeti che partecipavano al premio Antoni Sanna o quando esaltava i risultati straordinari ma meno noti della poesia per il canto, come nel Premio Gurulis Vetus a Padria o nel Premio Antoni Cubeddu o in tanti altri premi letterari ai quali partecipava come presidente o come giurato, in tutta l’isola, con questa serenità che lo distingueva da tanti esagitati e incompetenti cultori, difensori di un orticello sempre più piccolo: con la voglia di estendere la rete dei rapporti, di allargare la documentazione negli archivi, di approfondire la conoscenza della vita dei poeti, di coinvolgere tutti, di recuperare il carattere plurilingue della Sardegna, di non abbandonare le varianti storiche, di confrontarsi sul tema degli standard con un profondo rispetto per le posizioni di tutti ma senza rinunciare ad una ricchezza e ad un rapporto diretto con la lingua materna dei Sardi.

E poi l’antico legame con Vittorino Fiori e con mio padre attraverso le pagine de L’Unione Sarda o con il mio maestro Giovanni Lilliu, orgoglioso delle sue origini contadine che leggeva una continuità ideale con la storia della sua famiglia originaria di Barumini: continuità che era innanzi tutto un persistente legame affettivo con gli spazi, con i monumenti, con il territorio, con l’ambiente fisico che contribuiva a costruire un’identità. Pillonca aveva mantenuto rapporti con il paese di nascita, Osilo,  con l’Orgosolo della sua infanzia, con la Lanusei dei Salesiani, con Tempio, con Cagliari, infine con Seui. Proprio a Cagliari si era brillanteemente laureato con Antonio Sanna in Linguistica Sarda.

A Sassari poi  negli anni Novanta, Nicola Tanda, io stesso e il preside Giuseppe Meloni, l’avevamo chiamato a tenere vari corsi e seminari sulla poesia verbale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari, molto seguiti dagli studenti, con la partecipazione alternata di cinque improvvisatori: Mario Màsala, Francesco Mura, Antonio Pazzola, Giovanni Seu e Peppe Sozu. Eravamo allora partiti dalle sue tante pubblicazioni, fino a quello che considero il suo capolavoro, Chent’annos, cantadores a lughe ‘e luna, pubblicato dalla sua casa editrice Domus de janas a Selarigius nel 2003: sempre alla ricerca della strada originale dalla quale nasce il miracolo della creazione improvvisata del verso logudorese, “una caminera ‘e virtude pro su tempus benidore ‘e unu pòpulu chi leat alénu dae s’istoria sua pro poder atopare a cara franca cun ateros pòpulos de su mundu”.

In apertura dell’ultima riunione del premio Città di Ozieri qualche giorno fa, il 5 luglio, l’abbiamo ricordato commossi con infinito rimpianto, partendo da alcune poesie che gli erano più care. Al termine di un incontro che è stato lungo, tormentato e per noi anche difficile, le lacrime di Maria Cristina Serra mi hanno riportato dolorosamente al senso della perdita irreparabile, partendo da un ricordo che mi ha fatto sobbalzare: il pranzo a Bosa con Tonino Oppes, qualche anno fa, alla vigilia del premio di Padria, un momento incantato della mia vita, che non dimenticherò. Allora abbiamo capito cosa la Sardegna intera ha perduto, siamo per un momento riusciti a cogliere la fortuna di chi l’ha conosciuto e a valutare il senso di un’eredità che spero vorremo tutti raccogliere con rispetto e gratitudine.

Attilio Mastino




The Italian Archaeological School in Carthage Workshops on Archaeology in Africa.

Attilio Mastino (with the contribution of Sergio Ribichini)
The Italian Archaeological School in Carthage
Workshops on Archaeology in Africa
Rome, La Sapienza, 7th December 2017


The study that has been undertaken over the last thirty years of the historical relations between North Africa and Europe in antiquity is far-ranging and rich in results. The areas studied include the pre- and proto-historic phases of the Berber world, the colonisation by the Phoenicians, the foundation of Utica and Carthage, the Mediterranean politics documented by the Etruscan-Carthaginian and Roman-Carthaginian treaties, also dealing with Hannibal and the rather hypocritical tears of Scipio Aemilianus, as well as the new urbanisation by order of Gaius Gracchus, then by Caesar and Augustus twenty years after the re-foundation of Carthage. Virgil in Book I of the Aeneid describes the builders of Dido’s Carthage as being like thousands of bees in a hive at the start of summer, toiling to produce honey with a scent of thyme: it is clear that Virgil was thinking of the Augustinian colony as it was in the years in which he was writing, a Mediterranean capital rich in products coming from the wide Numidian hinterland.

In the fervour of the structores Tyrii of Carthago, the refugee from Troy, Aeneas is both hospes welcomed with respect by the queen and then hostis who is cursed for centuries: he observes, through Virgil’s eyes, the furrow of the plough as it marks the sacred limit of the colonia, renewing the pain and the hope that motivate those who build a new city, in contrast with his original hometown, Ilium, that was devoured by the flames. There is no doubt that Virgil reflects the urbanistic experience of the Augustinian Age in Africa in his description of the birth of Carthage with the theatrum of the immanes columnae of the frons scaenae taken from quarries in which the specialised workers laboured untiringly to extract the stone to build the new city. Or yet again the portae of the walls and the strata viarum, the urban viae silice stratae, the judiciary basilica and the theatre. Virgil’s lines exalt the activity of the men of goodwill, even though the gods and goddesses are fully involved in a studium and in an ars that nobilitates those who practice it.

More in general, Virgil found the words to represent the landscape that had been transformed by man at the side of the lake of Tunis, close to the temple of Juno, which had been built by the queen, the place where a magical finding of a horse’s skull had been announced by the oracle. In fact, how can we forget the Virgilian hyperbole of Meliboeus in the first Eclogue, At nos hinc alii sitientes ibimus Afros? And then the Vandals, the Justinian reconquest, and the Byzantine organisation up to the opening up (futûhât) to Islam. There have been many occasions, on both sides of the Mediterranean to discuss and compare notes regarding an archaeological and historiographical record that is able to go straight to the heart of the ancient world, overcoming the ideological deformation of our times. I take the opportunity to mention the many great international projects that have been and are being undertaken: the patronage of UNESCO for the site of Carthage from 16th October 1979; the Africa Romana conferences, which have been organised on an annual basis by the University of Sassari, as well as those of Tunis, Carthage, Djerba and Tozeur, which allow archaeologists, historians, and epigraphists to present their findings, with the aim of identifying the regional and national contributions to the phenomenon of Romanisation, as well as to highlight the relations between the dynamic and open Mediterranean area. The next appointment is in Tunis, in December 2018, for the 21st L’Africa Romana conference, the title of which is “Latin Epigraphy in North Africa: New discoveries, Re-interpretations, New synopses”.

On an international level, the topic facing us today is wider, one that goes far beyond the direct relations between the two shores of the Mediterranean: in a new interpretation, Africa becomes an essential part of the Mediterranean basin, a coastal area that is not isolated, but is instead closely related with the depths of the continent (I use the words of Umberto Cardia), finding in the Mediterranean a space for contact, co-operation, and we might say, super-national integration. This is the view by way of which we would like to build a different future; in fact we are ever aware of the need to show the greatest respect for cultural and religious traditions, for the profoundness of the different histories and different cultures, and for the cultural heritage with the awareness that there are geographical and chronological variables at play in the moment when different cultures come into contact, while always wary of losing concreteness and using scientific data for ideological purposes. We must oppose the simplifications that do not take the complexity of history into account.

The idea of creating a Scuola Archeologica Italiana di Cartagine [Italian Archaeological School in Carthage] was that of Antonino Di Vita and Andrea Carandini. It was proposed in several of the L’Africa Romana conferences and during the round table entitled “Mediterraneo Antico, Italia e Tunisia, Cooperazione e Patrimonio Culturale” [The Ancient Mediterranean, Italy and Tunisia, Cooperation and Cultural Heritage], which took place in Rome on 12th April 2013, under the auspices of the Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico  [Institute for the Study on Ancient Mediterranean], ISMA CNR, Rome, and the Institut National du Patrimoine [National Institute of the Heritage], INP, Tunis, under the project on the sanctuary of Baal Hammon at Althiburos co-directed by Nabil Kallala and Sergio Ribichini. On that occasion, two years after the “Jasmine Revolution” , the Directeur Général of the INP, Adnan Louhichi, pressed for a joint effort to reach the aim of presenting to the world the shared roots that unite the Mediterranean, proposing the establishment of an École Italienne de Carthage and citing on one hand, the difficult socio-political situation in contemporary Tunisia after the flight of Ben Ali on 14th January 2011 (immediately after this, Azedine Beschaouch, who had been bestowed with an ad honorem degree in Sassari, was nominated Minister for Culture in the government headed by Béji Caïd Essebsi), and on the other, the necessity to highlight, with the support of the European countries involved in the cooperation, how much of culture and most ancient history of the north-African country needed to be protected and promoted. In 2014 an Argumentaire laid out by Sergio Ribichini started to circulate; this contained the bare bones of the project, the start of the art, and the details of the future school, strongly advocated for by the new Directeur Général of the INP, Nabil Kallala. Also mentioned were the partners, its structure, and its aims and budget. These themes were at the centre of an Atelier de recherche that was held in Rome on 18th December 2014 at the CNR, presided by the  Director of ISMA, Alessandro Naso, with the participation of important representatives of MAECI, and the president of ICCROM in Roma Stefano De Caro, along with Cinzia Vismara, and Luciano Borin (who had initiated the constitution of an Association pour la Valorisation de l’Héritage Culturel in Tunisia), various members of the joint CNR-INP archaeological mission at  Althiburos, and many more of us. In the following months (Directeur Général of the INP Fathi Bahri) the Society saw the convergence of a number of bodies, especially the Italian Universities (with the two Departments, History, Human Sciences and Education of the University of Sassari, and History, Heritage and Territory of the University of Cagliari in the vanguard), other foreign Universities and Institutions, in particular the CNR’s ISMA, with Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle di Tunisi (AMVPPC, then directed by Ridha Kacem, today by Kamel Bchini), the INP (today directed by Faouzi Mahfoudh), the Italian Ministry for Foreign Affairs and International Cooperation, the Italian Institute for Culture in Tunis (IIC-Tunis), the Institute for Studies and Programmes for the Mediterranean, and the Fondazione di Sardegna [Sardinia Foundation]. Further participation was offered by the School for Specialisation in Archaeology, and museums, associations and institutions involved in the safeguarding of the archaeological heritage of the Mediterranean, in particular that of Tunisia and the Maghreb, in the fields of documentation, training and research.

The Academic Society SAIC, “Scuola Archeologica Italiana di Cartagine. Documentazione, Formazione e Ricerca” [Italian Archaeological School in Carthage. Documentation, Training and Research], was established in Sassari on 22nd February 2016, by way of a notorial act at the office of the solicitor Laura Faedda, with 25 founding members.

On 10th May, the SAIC was inserted at n. 31 on the “Registro delle Persone Giuridiche” [Legal entity register] at the Prefecture of Sassari, complying with the law DPR 361 of 10th February 2000[1].

The Life of the Society

The total number of members, after approval at the last Assembly, was 154, and this figure is divided into Honorary Founding Members (25), Full Members (7), Meritorious Members (6), Honorary Members (88) and Correspondent Members (28)[2].

During the year, one of the Honorary Members, Eduardo Blasco Ferrer, a great scholar and close friend, passed away.

The Honorary Members of the SAIC are those who direct cooperation projects with Tunisia[3]. Some of these projects avail of co-financing from the Direzione Generale per la Promozione del Sistema Paese del MAECI (Settore Archeologia), [General Direction for the Promotion of the Country System of MAECI – Archaeological sector], which assists Italian archaeological, anthropological and ethnographic missions abroad, as well as providing scholarships to researchers in foreign countries.

The school is ever growing: in the framework of an effort to coordinate Italo-Tunisian archaeological projects, it witnesses burgeoning participation by scholars belonging to Italian and foreign universities and academic institutions. The Assembly has met ten times: in Rome, in Sassari, and several times in Tunis at the IIC-Tunis, where, in the presence of the Italian Ambassador Raimondo De Cardona and the Director of the IIC-Tunis Maria Vittoria Longhi, we were presented on 18th March 2016 and 17th March 2017 (fig. 4) in commemoration of the attack on the Bardo Museum, with Seminars promoted by IIC-Tunis, “Archaeology and Protection of the Heritage of Carthage: the State of the Art and Future Possibilities for Italo-Tunisian Cooperation”.

The last meeting was held on 6th October for the inauguration of the Sabatino Moscati Library, for which communication was given to the Tunisian Ambassador to Italy, Moez Sinnaoui.

The SAIC has the aim of favouring forms of coordination between initiatives that characterise Italian cooperation in Tunisia (and in the countries of the Maghreb) in the realm of scientific and cultural studies. It also has the objective of: favouring opportunities for research, training and spreading knowledge concerning the heritage relating to prehistoric, pre-classical, classical, late-ancient, Islamic and modern civilisation; optimising the results of each initiative with functional coordination; contributing actively to intercultural dialogue and to the policies of development of Tunisia.

SAIC has the general intention of working alongside the Ministry for Foreign Affairs, and that of International Cooperation, as well as with the Italian Cultural Institutes, for the organisation and coordination of initiatives of a scientific, documentary, training, service or dissemination nature. To that aim, SAIC has signed agreements for scientific cooperation with institutions (in Tunisia, Italy and other countries) that are involved in the enrichment, safeguarding and promotion of cultural heritage. The School strives to promote, by way of agreements with Italian and Tunisian universities, Masters programmes and specialisation courses that can be attended also thanks to scholarships organised ad hoc.

An institutional site for the school has been set up[4] that can be used to divulge general news about our activities. We are also present and widely followed on social networks[5]. We are also present in the panorama of academic publications by way of an online journal and a series of printed volumes.

Even before the establishment of SAIC, the dramatic attack on the National Bardo Museum of Tunis (18th March 2015) was commemorated in the presence of the authorities in Sassari at the Department of History, Human Sciences and Education on the 26th of the same month (“Il canto del Bardo”) [The song of the Bardo] and the 5th April 2015 (“I musei del Bardo, Tunisi e Algeri: Henri Lhote e l’arte africana prima dei mosaici”) [The Museums of the Bardo, Tunis and Algeri: Henri Lhote and African Art before the mosaics]. Once our Academic Society was established we decided to commemorate the victims of the attack by way of the presentation of the book Je suis Bardo, edited by Samir Aounallah. This was the first commemorative event to take place at the museum and was held on 18th March 2016 in the presence of the President of the Sardinian Region, Francesco Pigliaru, and the Presidents and Vice-Presidents of the Universities of Sassari and Cagliari

Conventions and Agreements

Convention with AMVPPC Tunis. During the assembly on 12th May 2016 at the National Institute of Roman Studies, Rome a convention was signed between The Italian Archaeological School in Carthage and AMVPPC, directed by Ridha Kacem and represented for the occasion by Samir Aounallah. In the spirit of enhancing cooperation in research and the study of the Tunisian territory, the document stipulates the on memo use of class rooms and administration offices for the headquarters of the SAIC in Tunisia.

Convention with Comune di Sant’Antioco (Mayor Ignazio Locci) for the Ferruccio Barreca Museum in Sant’Antioco (Piero Bartoloni, Sara Muscuso).

Convention with the University of Sassari. The President of the University of Sassari, Massimo Carpinelli and the President of The Italian Archaeological School in Carthage have signed a framework convention to coordinate educational activities, above all in the PhD programme, “Archaeology, History and Humanities”.

Conventions with several universities in Tunis and the Maghreb. An agreement with l’Institut Supérieur des Sciences Humaines de Tunis / Université de Tunis El Manar ISSHT (26, Avenue Darghouth Pacha – Tunis) directed by prof. Taoufik Aloui is currently being signed.

All existing conventions with INP are being renewed.

The finalisation of an agreement with the Institut Supérieur des Langues de l’Université de Carthage.

The establishment of the Biblioteca Sabatino Moscati [The Sabatino Moscati library]

On 29th January 2017 Laura and Paola Moscati, heirs of the late Sabatino Moscati sent a declaration with which they formalised the donation of the personal library of the great scholar to SAIC so that it could be conserved and made usable in Tunis at the AMVPPC.

On 3rd February 2017 the Directeur Général of AMVPPC, Ridha Kacem expressed his appreciation on signing the “Declaration of Acceptance of the Donation”. On 15th February 2017, Prof. Piero Bartoloni, Honorary President of the SAIC, personally oversaw the delivery of the 215 boxes containing about 6,000 books, weighing four tons, from the Roman home of the Moscati family, to Tunis – Dogana di La Goulette, where there were received by officials of AMVPPC.

The Scientific Council of the SAIC unanimously proposed, and the Assembly likewise decreed that the members of the Sabatino Moscati family be made Meritorious Members of the SAIC, as is provided for by the Statute, with the following motivation: “for the generous donation to SAIC of about 6,000 books from the library of Prof. Sabatino Moscati, that are made available to the users in SAIC’s Tunisian offices”. The Scientific Council decreed the creation of a special commission for the management of this library, following the norms laid down in the Regulations of SAIC.

In 2017, thanks also to the contribution of the Fondazione di Sardegna, a new office of the School and Library specialised in Archaeology, Studies of Antiquity and Technology applied to Heritage, and History of Art was inaugurated on 17th March at the AMVPPC in Tunis-Belvedere[6].

The inauguration of the Moscati Library took place on 6th October 2017 in Tunis in the presence of the Italian and Tunisian authorities and the local associations that are involved in the promotion of Carthage.

As is well known, Sabatino Moscati (Rome, 24th November 1922 – Rome, 8th September 1997) in his academic life, which was rich in important contributions to first Islamic and then Phoenician history (with particular attention to the Carthaginian experience), led to a series of achievements, amongst which was the chair at the Roman universities of “La Sapienza” and Tor Vergata (in the 80s), the vice-presidency of Istituto per l’Oriente [The Oriental Institute], the presidency of Istituto per il Medio ed Estremo Oriente [The Institute for the Middle and Far East] (1978-79), the presidency of Accademia Nazionale dei Lincei (until June 1997), the Presidentship of Enciclopedia Archeologica [Archaeological Encyclopaedia] at l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana [the Italian Encyclopaedia Institute] and the foundation of the magazine Archeo (1985).

In 1969 he founded the Centro di Studio per la Civiltà Fenicia e Punica del CNR [Study center for Phoenician and Punic Civilisation of the CNR] (from 1993 to 2002, Institute for Phoenician and Punic Civilisation, and today Institute for Ancient Mediterranean Studies ISMA), previously connected with the Institute for Near Eastern Studies of the Roman University. He was amongst the main promoters of a series of exhibitions on archaeological themes in Palazzo Grassi in Venice, of which that concerning the Phoenicians in 1988 was of particular importance. The Accademia Nazionale dei Lincei has established a “Moscati Award” for studies on Mediterranean studies.

In relation to the opening of the Library, the President of the University of Cagliari, Prof. Maria Del Zompo, wrote:

“It is with great pleasure that I, as President of the University of Cagliari, take the pleasurable opportunity to offer to the Authorities here present, to my illustrious colleagues and all those gathered our warmest wishes from the whole University. The inauguration of a library is particularly important. The great French writer Marguerite Yourcenar has the Emperor Hadrian say in Mémoires d’Hadrien (1951): ‘Fonder des bibliothèques, c’était encore construire des greniers publics, amasser des réserves contre un hiver de l’esprit qu’à certains signes, malgré moi, je vois venir’. Besides the damning portrait that the writer makes of Hadrian, one which turns out to be prophetic, the image is strong and positive; and it speaks of the essential role of culture in nourishing the spirit and the conscience. On the other hand, such a meritorious initiative as that of the inauguration of the library of the Italian Archaeological School of Carthage, a place for research and advanced education, is perfectly in keeping with its being named after a scholar of Sabatino Moscati’s rank; one who mastered with equal skill the fields of archaeological and antiquarian research, epigraphy, philology and linguistics, leaving to the scholars that followed works that are ever valid and essential references (we need go no further than An Introduction to the Comparative Grammar of the Semitic Languages in 1964). As President of a Sardinian university, I cannot fail to remember Sabatino Moscati’s close links with the island. First of all these are obviously connected with the extremely important Phoenician-Punic presence, that he studied and got to know very well in a fertile network of collaboration with local scholars. In renewing my warm salutation, it is therefore for many reasons a great pleasure to offer my best wishes for the activity of the School and a prosperous future for its library.”

The School’s authorities have also mentioned Anna Enrico in Moscati, who curated the working of the library with passion and dedication over the years. Prof. Piero Bartoloni proposed that Members should contribute to the expansion of the Moscati Library, to enliven it and give it a prestigious future, worthy of the illustrious scholar it is named after, to whom the proceedings of the latest International Conference on Phoenician Studies were dedicated. These were presented in Tunis on the same occasion.

Dissemination of research and academic activity

Conferences and workshops

SAIC has promoted directly or in collaboration with others a series of academic and high level dissemination initiatives amongst which we would highlight the annual meeting entitled Archeologia e tutela del patrimonio di Cartagine: lo stato dell’arte e le prospettive della collaborazione tuniso-italiana [Archaeology and protection of the heritage of Carthage: the state of the art and prospectives for Italo-Tunisian collaboration], the first two of which were held in Tunis[7].

The two meetings were made possible with the help of the Italian Embassy, the Italian Institute for Culture in Tunis and our Tunisian colleagues. The themes dealt with were those that are most current in the large-scale projects carried out by ISMA-CNR in North Africa, by the Ministers and Italian universities together with the Tunisian institutions: the subjects addressed ranged from prehistory to the 12th century, arriving at the present day when regarding aspects linked to the safeguarding and promotion of heritage.

At the National Institute for Roman Studies in Rome, on 12th May 2016 the three volumes of the proceedings of the L’Africa Romana conference (Alghero 26th-29th September, 2013) were presented. These were entitled “Momenti di continuità e rottura: bilancio di 30 anni di convegni de L’Africa Romana” [Moments of continuity and fracture: the balance of 30 years of “Africa Romana” conferences], and were edited by Paola Ruggeri (the publisher was Carocci). The presentation took place after the SAIC assembly and was organised in cooperation with the Centre for Interdisciplinary Studies of the Roman Provinces at the University of Sassari, and the National Institute for Roman Studies. The presentation features talks by Paolo Sommella, Attilio Mastino, Isabel Rodà (Barcelona), Sergio Ribichini, and Mario Mazza. The book was dedicated “to the memory of the innocent victims of the tragic attack on Musée National du Bardo on 18th March 2015, with the solidarity of all the scholars to the people of a free and democratic Tunisia”

In Rome on 6th October of the same year the two volumes of Studi Africani [African Studies] by Antonino Di Vita, edited by Maria Antonietta Rizzo Di Vita and Ginette Di Vita Evrard were presented by Attilio Mastino and Giorgio Rocco.

Antonio Ibba and Alessandro Teatini were invited to give talks on mosaics with amphitheatre themes in the African provinces: one, entitled “Ferae e venatores in the Amphitheatres: re-readings of some documents of the African mosaic school”, took place on 16th June 2016 at the Deutsches Archäologisches Institut – Abteilung Rom within the “Neue Forschungen” cycle; the other, “The world of amphitheatres in African Mosaics: aspects and problems”, was given on 20th September 2016 at Universidad Carlos III in Madrid on the occasion of the “X Seminario Internacional sobre Mosaicos Romanos”. On 30th September 2017, Antonio Ibba presented a talk “Trajan and Africa: colonies, the colonised and soldiers” during the international conference dedicated to “Trajan: Optimus Princeps”, held in Ferrara.

International meetings have been promoted in Sardinia, Rome, Tunis and Carthage. These have been activities aiming to enhance intercultural dialogue and policies for development in Tunisia (and in the Maghreb in general). The meetings have been both academic and educational in nature, held in liaison with recognised Masters and PhD programmes. They were held in cooperation with institutes for research and heritage protection in Italy and Tunis, as well as with the Sardinian Regional Government and Fondazione di Sardegna-UniMed’s project ForMed.

The President of the University of Tunis, Tunis Hmaid Ben Aziza, (who had been nominated general secretary of Unimed – The Union of Mediterranean Universities, a few days before in Paris) participated in the ISPROM Workshop in Cagliari on 17th November 2017 on Globalizzazione o regionalizzazioni. Autonomie delle Regioni italiane nella “Regione Mediterranea” [Globalisation and Regionalisation. The Autonomy of Italian Regions in the “Mediterranean Region”]. On this occasion Attilio Mastino gave a talk entitled “Protection of Cultural Heritage and a Peaceful Mediterranean”. The same President of the University of Tunis was in Sassari in July for the first Masters degree graduations of Maghreb students within the ForMed project.

On the occasion of the Borghesi di Bertinoro conference on “L’epigrafia nascosta” [Hidden Epigraphy], research on the Antoninus Baths in Carthage was presented by Samir Aounallah, Attilio Mastino and Salvatore Ganga (9th June 2017): [E]x permissu [et indulgentia] Optimi maximique principis: Antoninus Pius and the seaside baths of della Colonia Concordia Iulia Carthago.

The results of the epigraphic analysis of  Uchi Maius was presented by Ernesto Insinna in “Epigraphica” 2016 (Nuove osservazioni sulla paleografia delle iscrizioni di Uchi Maius, Henchir Ed-Douamis). [new observations on the palaeography of the inscriptions of Uchi Maius, Henchir Ed-Douamis]

Epigraphic analysis of Ain Tounga-Thignica has started (March-October 2017) in the framework of a project involving other institutions besides SAIC[8]. This initial action involved the detailed analysis of the Temple of Neptune and other unpublished epigraphic documents[9].

The work at the Bardo Museum (Provincial altar from the Augustine Era) was presented at Paestum (Attilio Mastino, Aeneas’ voyage to Carthage, Mediterranean grant for archaeological tourism, 27th October 2017, “Aeneas’ voyage” Meeting, La Farnesina and archaeological research in the Mediterranean)[10].

Attilio Mastino presented a paper entitled Carmina saturnia epigraphica africana ? Popular folk poetry or archaisms in the funerary inscriptions of the central Imperial Era in Africa, Numidia and Mauretania in Barcelona on 18th December 2017.

Raimondo Zucca gave a recent talk (9th-10th November 2017) at Campus Italia in Tunis, at Cité des Sciences, in a meeting promoted by UniMed, the Italian Embassy, The Italian Institute for Culture, and the Ministére de l’Enseignement supèrieur et de la Recherche Scientifique, for the promotion of the Italian academic system. The courses on offer at Italian universities were presented and Raimondo Zucca was the delegate chosen by the President of the University of Sassari, Massimo Carpinelli.

Attilio Mastino is due to give a talk in Tunis on 20th April 2018 at Colloque Presence de L’Africa Romana dans l’antiquité et à l’époque moderne et contemporaine, regards croisés, on the topic Le futur du patrimoine : l’informatique et les nouvelles recherches sur l’épigraphie latine d’Afrique.

Educational activity

Many of the North African students enrolled at the Universities of Cagliari and Sassari under the auspices of the UniMed project financed by the Fondazione di Sardegna (fig. 6) have earned their Masters degrees. In Sassari on Tuesday 18th July 2017 the graduation took place of the first Tunisian, Algerian and Moroccan students to attend the Masters courses at the University of Sassari under the auspices of the ForMed project. Amongst the topics dealt with are: contact between the Arab Ifriqya and Sardinia in the period 7th- 15th century; and the analysis of aspects connected with Algerian cultural heritage in the post-colonial period (safeguarding and promotion); several archaeological and epigraphic finds from Cirta-Constantine have been analysed. In the afternoon of the same day a round table was held, that was promoted by the University of Sassari. The theme was “a new Mediterranean generation”, and the participants included the Presidents of the Universities of Tunis, Algiers and Rabat. The next graduation ceremonies will feature two Tunisian students who will present their Archaeology theses on subjects that focus on commercial relations in the western Mediterranean in the Medieval period. Five more students from Tunis enrolled in the same Masters programme in Archaeology in the academic year 2017-18, joining the other young people attending the degree course at the University of Sassari. We feel it is important to highlight the educational role that the School plays in our relations of cooperation with North Africa.

Higher learning – the PhD programme

The President of the University of Sassari has stipulated an agreement with SAIC, assigning a grant for the PhD programme “Archaeology, History and Humanities” at the University of Sassari, reserved for students from the Maghreb (32nd cycle). The courses are co-supervised and two Tunisian students are currently attending: Myriam Ben Othman, Faculté des Sciences Humaines et Sociales Tunis El Menar: La céramique de la cité génoise de Tabarka XVIe-XVIIIe siècle. Supervisor Adnan Louichi, ex Director of INP, co-supervisor Marco Milanese; and Yahyaoui Mahbouba Tunisi Manouba (Faculté des Sciences Humaines et Sociales): Les nouvelles technologies appliquées à l’étude et à la valorisation du complexe hydraulique romain de Zaghouan à Carthage. Supervisor Lotfi Naddari, co-supervisor Raimondo Zucca.

Joint action with the Italian Agency for Development Cooperation

The programme of the school’s activity will be updated in 2018 in relation to funding for the projects that have also been presented to AICS, the Italian Agency for Development Cooperation, with which SAIC has had contacts since its foundation in 2016.

An initial meeting has been held, which was promoted by the partner Sergio Ferdinandi, the President and the Secretary (also liaising with Dr. Luciano Borin), with the director of Cooperation, Minister Renato Varriale, and later with Dr. Rita Gonelli, in order to discuss the possibility of SAIC accessing the Agency’s funding for educational activity and tourism promotion concerning the archaeological sites of Tunisia.

The treasurer, Michele Guirguis, together with the director of the Department of History, Human Sciences and Education of the University of Sassari, Marco Milanese, represented the school at the meeting on 2nd October 2017 with the director of the Italian Agency for Development Cooperation (AICS), Dr. Laura Frigenti in Aula Milella at the University of Sassari. The Regional Councillor, Filippo Spanu, who is a delegate of Development Cooperation, also participated. Tangible prospectives for collaboration have been announced for 2018, the Year of the Mediterranean.

Projects in the Negotiation Phase

The Urbs antiqua Project

Urbs antiqua is a multidisciplinary project that has been presented for AICS’s approval. It aims to contribute to intercultural dialogue and to the policies for development of Tunisia by way of an innovative intervention, to be realised in synergy with public and private players, that are both Italian and Tunisian, within the field of archaeological heritage. It is based on an analysis of the forms of collaboration already established by the school, both with Italian diplomatic and cultural representatives, and with universities and institutes for research, safeguarding and promotion of cultural heritage, as well as with private enterprises in the country.

In light of these aims, SAIC has addressed AICS, proposing a project for integrated and multidisciplinary cooperation, that is able to renew and concentrate the activities of Italian cooperation in Tunisia in the field of Cultural Heritage.

The strategies for Intervention aim to assist the socio-economic development of Tunisia by way of actions in the field of archaeological heritage, favouring the introduction of a considerable number of experts in the workplace and in the realms of direction; experts that have been trained through cooperation with the institutions of the country.

The specific objectives have the aim of: training experts in the fields of the archaeological and historical/antiquities studies disciplines; increasing the synergy between Italy and Tunisia; offering expertise to Tunisia and other parts of the Maghreb; favouring new points of contact for cooperation in the fields of science, technology and innovation.

Urbs Antiqua is divided into five sections, each divided in turn into two modules to be carried our according the circumstances and the availability of funding: Documentation, Educational Activities, Conservation, Valorization, and Promotion.

Each sector and the relating modules have been programmed in detail in relation to: human resources, the skills to be deployed, and the specific organisational route.

Amongst the strengths of the project, we underline the organisation of the programme on the basis of the distinctive proposals of SAIC, that are those of documentation, training, conserving, promoting and disseminating archaeological heritage, as well as the possibility to extend or repeat these experiences also in other countries of the Maghreb. The standards adopted avail of the most up-to-date research methodologies in the fields of historical and antiquities studies, enriched by technologies applied to cultural heritage.

SAIC can count on the cooperation of dozens of scholars from the scientific and academic world, both in Italy and Tunisia: an entire professional class that no public or private body has up to now had the opportunity to involve in a cooperative initiative of this type.

Furthermore, by way of the numerous foreign correspondent partners, SAIC today constitutes the key partner in a project that aims to present itself not only in the national, but also in the European and International arena.

Other Projects: Fondazione di Sardegna [The Sardinia Foundation]

The 2017 Project, which was partially funded by the Fondazione di Sardegna (prompted by experience acquired in several missions in Tunisia by the Universities of Cagliari and Sassari), allowed the initiation of the activities of the School in Tunisia and the realisation of the Sabatino Moscati Library in Tunis.

The project presented to the Fondazione di Sardegna for 2018 (which has been partially funded) is entitled Carthage: Education and Promotion in the Cultural Domain in Tunisia. This project aims to be a training workshop inspired by the experience acquired during several missions by the Universities of Cagliari and Sassari in Tunisia. It starts off from such a concrete case as that of Carthage and its archaeological park. The aim is that of training a group of Tunisian and Italian young people in advanced techniques of management, documentation and communication concerning cultural heritage. Amongst the objectives are: the training of the Tunisian archaeologists; the birth of a network of connections between the Italian and Tunisian universities in the field of archaeology; dissemination of the data regarding the excavations of Neapolis, Zama, Uchi Maius and Thignica by way of conferences for the academic community and meetings with the population; and a study of the archaeological park of Carthage and shared activities in co-direction with various archaeological sites in Tunisia.

Besides the implementation of new protocols for cooperation in the field, it is also amongst the objectives of the project to increase the publishing activity (the journal Cartagine. Studi e Ricerche and the series Le Monografie della SAIC).

Operationally, the main activities foreseen for 2018, with the contribution of the Fondazione di Sardegna, are the following;

–                  An increase in the book collection and of the donations to the Moscati Library in Tunis;

–                  The realisation of an exhibition on current or recent Italian archaeological initiatives in Tunisia, coordinated by ISMA-CNR and the University of Sassari, and other universities and institutions;

–                  Two or more scholarships for a study period in Italy for a young scholar or official from Tunisia, for a period of two months, financed by MAECI, to be carried out in Rome and Sassari;

–                  The realisation of workshops, lectures and specific seminars, or talks in Tunisia by an Italian archaeologist and analogous didactic activities held in Italy by a Tunisian archaeologist;

–                  Involvement of the Tunisian students enrolled at the Universities of Cagliari and Sassari in the UniMed project financed by the Fondazione di Sardegna;

–                  Surveys and excavations conducted in cooperation with INP;

–                  Further agreements for Italo-Tunisian cooperation.

Conferences

The 21st international conference L’Africa Romana [Roman Africa] is currently being organised. It will be held in Tunis in December 2018.

Projects for Individual Research proposed by Partners

Dr. Valentino Gasparini has asked that the Society join his LARNA (“Lived Ancient Religion in North Africa”) research project, which has been financed within the framework of “Programa de Atracción de Talento. Ayudas destinadas a la atracción de talento investigador a la Comunidad de Madrid”.

The European Association of Archaeologists has agreed to a proposal for a panel on the cults of North Africa for the 24th Annual Meeting in Barcelona (5th-8th September 2018). Besides Valentino Gasparini (Carlos III Madrid), the organisers of the panel will be Jaime Alvar Ezquerra and Attilio Mastino.

Research Grants and Scholarships

Scholarships for students from the Maghreb for the 34th cycle of the “Archaeology, History and Human Sciences” PhD programme

The School has transferred a sum from a private donation for a scholarship on Archaeology of North Africa at the University of Bologna (Department of History, Culture and Civilisation, Ancient History section, vice-director Carla Salvaterra).

Publications

The publishing activity of SAIC takes two main forms. The first is the online journal Cartagine. Studi e Ricerche (CaSteR) (of which a hard copy is printed for libraries). This is published for SAIC by the Department of History, Cultural and Territorial Heritage of the University of Cagliari and directed by Antonio M Corda, University of Cagliari. The first two editions of this journal are available. The second publishing activity regards Le Monografie della SAIC directed by Paola Ruggeri of the University of Sassari. This is published directly by the association under the name SAIC Editore [SAIC Press]. The first volume to be published is entitled Archeologia e tutela del patrimonio di Cartagine: lo stato dell’arte e le prospettive della collaborazione tuniso-italiana [Archaeology and protection of the heritage of Carthage: the state of the art and prospectives for Tunisian-Italian cooperation] [SAIC Editore, Sassari, pp. 288 ISBN 978-88-942506-0-2].

Current partners

Public bodies

–        International Center for Conservation Studies and the Restoration of Cultural Heritage ICCROM, Rome

–        Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle (AMVPPC), Tunis

–        Institut National du Patrimoine (INP), Tunis

–        Italian Cultural Institute, Tunis

–        Italian Embassy, Tunis

–        Department of History, Human Sciences and Education of the University of Sassari

–        Department of Humanities and Social Sciences of the University of Sassari

–        Department of History, Cultural and Territorial Heritage of the University of Cagliari

–        Institute for the Study on Ancient Mediterranean of the National Research Council (ISMA-CNR)

–        Joukowsky Institute for Archaeology and the Ancient World, USA, Rhode Island

–        Various Italian universities and research programmes

Private bodies

–        Association pour la valorisation de l’Héritage culturel (Luciano Borin), Tunis.

Exhibitions

2nd August 2016-22nd January 2017: Annibale. Un viaggio. [Hannibal. A journey] Angela Ciancio and Filli Rossi, the designer and curators of the exhibition, also edited the catalogue. The exhibition presented the physiognomy of the great Carthaginian leader by way of the voices of ancient and modern historians and chroniclers. The exhibition was held in Puglia, in the Svevo di Barletta castle, on the anniversary of the Battle of Cannae (216 BC). Representing SAIC, Michele Guirguis, Attilio Mastino and Giuseppe Solinas, with a contribution by Salvatore Ganga, wrote the article Riflessioni sulla localizzazione della battaglia di Zama [Considerations on the localisation of the Battle of Zama] (Catalogue, pp. 179-191). Sergio Ribichini contributed with the paper Conquistare, accettare, confondere. Gli dèi pro e contro Annibale [Conquest. Acceptance, Confusion. The Gods for and against Hannibal] (Catalogue, pp. 21-29).

November 2017-March 2018: following a proposal by the member Giovanna De Sensi Sestito, SAIC has become a patron of the exhibition Annibale. La fine di un viaggio [Hannibal. The end of a journey], Crotone, the Archaeological Museum of Capo Colonna. The exhibition was promoted by the Museum Center of Crotone and the Magna Grecia Scientific and Technological Center, sponsored by the Presidency of the Republic. The exhibition, which benefits from contributions from the greatest experts and the most important Italian historical and scientific institutions, has the aim of telling the tale of Hannibal’s extraordinary adventure in Italy, which concluded with his stay at the Hera Lacinia sanctuary in Crotone, a stop that was of symbolic significance.

Excavations and other activities in North Africa in which SAIC is involved directly or indirectly by way of its members

The School has followed the renewal of the agreement with INP for the archaeological excavations in Tunisia. The School has also ensured the coordination between the different archaeological activities currently being carried out, and continues to do so.

Thignica (Ain Tounga). Work in the field has already started, and about 500 Latin inscriptions are expected to be published. The campaign of archaeological investigation was started under the direction of Samir Aounallah (of AMVPPC) and the President Attilio Mastino, on the basis of the convention signed by the President of the University of Sassari, Massimo Carpinelli and the General Director of INP, Faouzi Mahfoudh (19th May 2017).

The campaign was carried out in March and October with help of the students of the School for Specialisation in Archaeology of Oristano (Ernesto Amedeo Insinna, Davide Antonio Fiori, Alessandro Madau, Annalucia Corona and Donatella Bilardi), and Attilio Mastino with Salvatore Ganga.

SAIC has also participated, by way of its members, in the work at Althiburos (Gilberto Montali), Carthage (Giovanni Di Stefano), Biserta (Anna De Palmas, Elisabetta Garau), and Sidi Mechreg, Governorate of Biserta (Marco Milanese in cooperation with Sebastiano Tusa of the Soprintendenza del Mare – Sicily and with Ouafa Ben Slimane of INP, for the Islamic/Ottoman phases).

Mounir Fantar, Pier Giorgio Spanu, Raimondo Zucca and the students of the School for Specialisation in Archaeology of Oristano, Nesiotikà, have continued work at Neapolis (Nabeul) with excavations, surveys conducted using drones and underwater surveying.

Also worthy of note is the work by the INP and the University of Cagliari which has been re-started in the centre of Uthina (Oudhna) in Tunisia with a three-year program coordinated by Nizar Ben Slimane and Antonio M. Corda. The agreement, which was signed on 17th March 2017, involves the completion of the publication of the data obtained from previous activity (1995-2007/2013), enlarging the excavation area, the creation of a complete corpus of the town’s epigraphic heritage (publication, CAD and WebGis graphic documentation), the study of the mosaics with a view to the creation of a corpus, and the constitution of an international project group with the aim of creating the archaeological park of Uthina.

Under the auspices of the convention stipulated between INP and the Kore-Enna University, the first survey campaign relating to the research project co-funded by MAE was carried out in Carthage from 16th-23th November 2017. This was coordinated by Mounir Fantar and Francesco Tomasello, and Faouzi Ghozzi, Rossana De Simone, Carla Del Vais and Gilberto Montali also participated in the mission.

This research project involved the study of buildings effected by signs of Punic quarrying, in a framework of provincial Mediterranean contexts. This first phase involves the start of a survey of several areas in the Metropolitan Carthage sector that have already been uncovered for some time. Important epigraphic documentation has been acquired from the numerous limestone and calcarenite blocks used in the Byrsa quarter, on the Islet of the Admiral and in the quarters of Magone and Bir Massouda, above all from the palaeographic and chronological point of view. This material is on the whole unpublished, and of particular importance is the presence of Punic letters dating to the 4th c. BC that are flanked by anepigaphic signs.

SAIC partners are also active in Libya by way of the archaeological research conducted by the University of Urbino at Cyrene. Maria Antonietta Rizzo is editing the publication, which is imminent, of the last five volumes of “Libya antiqua”.

Bibliography

 

SAIC Monographs:

Paola Ruggeri (2017) [ed.], Archeologia e tutela del patrimonio di Cartagine: lo stato dell’arte e le prospettive della collaborazione tuniso-italiana, SAIC Editore, Sassari, pp. 288 ISBN 978-88-942506-0-2; digital version stored on Zenodo https://doi.org/10.5281/zenodo.437418.

The Journal CaSteR, “Cartagine. Studi e ricerche” (editor Antonio Corda):

– Cartagine. Studi e ricerche (CaSteR), 1, 2016, ISSN 2532-1110 [Online]; ISSN 2532-3563 [Print] (Summary: http://ojs.unica.it/index.php/caster/issue/view/72/showToc).

– Cartagine. Studi e ricerche (CaSteR), 2, 2017, ISSN 2532-1110 [Online]; ISSN 2532-3563 [Print] (Summary: http://ojs.unica.it/index.php/caster/issue/view/78/showToc).

Recent Bibliography:

L’Africa Romana XX, Momenti di continuità e rottura: bilancio di trent’anni di convegni L’Africa romana, edited by Paola Ruggeri, Carocci, I, Roma 2014.

Mastino Attilio, L’allée cavalière, La mosaïque du fundus Bassianus, in Je suis Bardo. Un monument, un musée, textes réunis par Samir Aounallah, Agence de Mise en valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle, Tunis 2016, pp. 90-91.

Ribichini Sergio, La création de la Société scientifique «Scuola Archeologica Italiana di Cartagine», CaSteR 1 (2016), doi: 10.13125/caster/2494, http://ojs.unica.it/index.php/caster/.

Mastino Attilio, L’attività della Scuola Archeologica Italiana di Cartagine (SAIC) nel 2017, in Archeologia e tutela del patrimonio di Cartagine: lo stato dell’arte e le prospettive della collaborazione tuniso-italiana, Proceedings of the Workshop edited by P. Ruggeri (Le Monografie della SAIC, 1), SAIC Editore 2017, pp. 9-19.

Mastino Attilio, L’attività della Scuola archeologica italiana di Cartagine 2016-2017, CaSteR 2 (2017), doi: 10.13125/caster/3092, http://ojs.unica.it/index.php/caster/.

Aounallah Samir, Attilio Mastino edd., Carthage, maîtresse de la Méditerranée, capitale de l’Afrique (Histoire & Monuments, 1), (IXe siècle avant J.-C. — XIIIe siècle). AMVPPC, SAIC Sassari, Tunisi 2018.

Mastino Attilio, Il viaggio di Enea fino a Cartagine. La ricerca archeologica nel Mediterraneo, “Forma Urbis”, Il viaggio di Enea. Mito, storia, arte, archeologia, XXIII,1, 25th January 2018 (but February), pp. 28-39.

LEGENDS

Fig.1. Tunis, Bardo Museum.

Fig. 2. Aeneas’ journey (S. Ganga).

Fig. 3 Tunis, Bardo Museum. The flight of Aeneas from Troy on the altar of the Gens Iulia.

Fig. 4. Programme and poster of the meetings promoted by SAIC and the Italian Cultural Institute on 18th March 2016 and 17th March 2017.

Fig. 5 Tunis, Italian Cultural Institute,17th March 2017.

Fig. 6. Sassari University, Aula Magna. Defence of theses by Dahou Hind (From Cirta to Constantine), Maziz Zahia (Connections between Arab Ifriqiya and Sardinia) and Djedid Hanane (Algerian Cultural Heritage).

Fig. 7. Carthage, the large inscription of Marcus Aurelius and Antoninus Pius in the maritime baths.

Fig. 8. Tunis, the Sabatino Moscati Library at the Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle.

Fig. 9. Tunis, AMVPPC. The Moscati Library before and after being fitted out.

Fig. 10. Thignica 2017.

Fig. 11. Thignica. The block with the dedication carried out by the cur(ator) rei p[ub(licae)] Q(uintus) V[i]bul[e]nus Fabius Arianus according to Antonio Ibba.

Fig. 12. Book jacket of the volume “Carthage, maîtresse de la Méditerranée, capitale de l’Afrique ” published by AMVPPC, in cooperation with SAIC.

Fig. 13. The poster for the 21st L’Africa Romana Conference, Tunis 6th-9th December 2018 (“L’epigrafia del Nord Africa: novità, riletture, nuove sintesi”). [Epigraphy in North Africa: New discoveries, Re-interpretations, New synopses].


[1] The legal headquarters in Italy is Palazzo Segni, Università degli Studi di Sassari, Dipartimento di Storia, scienze dell’uomo e della formazione, Viale Umberto, 52 – 07100 Sassari (resolution 8th July 2015, cooperation agreement with the President of the University of Sassari in July 2016). The working headquarters in Tunis is at the Italian Institute for Culture – Italian Embassy, Avenue Mohamed V, 80 and at the AMVPPC in Tunisi-Belvedere (Rue 8000 Angle Ibn Nadime -Montplaisir, Tunis 1002). It is currently being recognised as a non-profit organization. About SAIC see also Ribichini (2016).

[2] The governing bodies of the school are constituted by the President, the Scientific Committee and the Assembly of Members (Full, Honorary, Meritorious, and Correspondent Members). The Scientific Committee is composed by: Piero Bartoloni (Honorary President), Antonio Corda, Savino di Lernia, Michele Guirguis (Treasurer), Attilio Mastino (President), Sergio Ribichini (Secretary), Maria Antonietta Rizzo, Pier Giorgio Spanu and Alessandro Teatini. The School has adopted a Statute, Regulations, Conventions and Projects. It has approved its budget for 2016 and 2017, and a predicted budget for 2018. The Assembly and Scientific Committee, after its constitution, have been held in Sassari on 22nd February 2016; Tunis on 18th March 2016; Sassari on 6th April 2016, Rome on 12th May 2016; Tunis on 2nd October 2016, Tunis on 17th March 2017 and Tunis on 6th October 2017.

[3] Currently, the full members are ISMA CNR, Simone Mulazzani, Massimo Botto, the two Sassari departments, and the  Cagliari department, Savino di Lernia and Oscar Mei.

[4] http://www.scuolacartagine.it

[5] Facebook page @scuolaCartagine. The page has almost 20,000 hits monthly, and today is followed by 1,700 subscribers.

[6] Five students from the Specialisation School in Nesiotikà Archaeology in Oristano (Anna Lucia Corona, Ernesto Insinna, Davide Fiori, Donatella Bilardi, and Alessandro Madau) spent the whole month of March 2017, preparing the set-up of the library, which was then carried out in August by Salvatore Ganga and Raymond Ganga. Finally, the books were put in order and available on the shelves by September.

[7] I (18th March 2016) and II (17th March 2017), at the Italian Institute of Culture of Tunis. Their organisation was possible thanks to the support of the Fondazione di Sardegna, the Institute for Studies and Programmes for the Mediterranean, INP and AMVPPC Tunis.

[8] INP (Tunis), the University of Sassari, AMVPPC (Tunis) and the University of Cagliari.

[9] A.M. Corda, S. Ganga, A. Gavini, A. Ibba, P. Ruggeri, Thignica 2017: novità epigrafiche dalla Tunisia, “Epigraphica”, LXXX, 2018, pp. 323-342.

[10] Il viaggio di Enea fino a Cartagine. La ricerca archeologica nel Mediterraneo, “Forma Urbis”, Il viaggio di Enea. Mito, storia, arte, archeologia, XXIII,1, 25th January 2018, pp. 28-39.




Dalle piante dell’Ara Pacis al Nemus Sorabense di Fonni: l’eudaimonia della Sardegna antica.

Attilio Mastino
Dalle piante dell’Ara Pacis
al Nemus Sorabense di Fonni: l’eudaimonia della Sardegna antica
LXI Congresso distrettuale Rotary, Distretto 2080
Valle dell’Erica, Santa Teresa di Gallura, venerdì 25 maggio 2018

Questo 61° Congresso Distrettuale del Distretto 2080 del Rotary  si è svolto in Sardegna a Santa Teresa, l’antico porto di Longone sul Fretum Gallicum, le Bocche di Bonifacio, a ridosso dell’Errebantium Promunturium, il Capo Testa al margine settentrionale dell’isola Ichnusa.

Vorrei oggi tentare di immaginare il paesaggio antico, ricostruire un ambiente naturale che oggi vorremmo ancor più verde, ricco di alberi, ospitale. Abbiamo seguito con emozione i programmi e il sogno verde del Presidente internazionale Ian H.S. Riseley, l’invito a piantare un albero per ogni rotariano per la generazione futura (come già scriveva Ciceronel nel Cato Maior), la definizione del nostro tema congressuale dedicato all’Ambiente, a un mese di distanza da quel 22 aprile nel quale abbiamo celebrato la Giornata mondiale rotariana per l’ambiente e per la Terra, perché veramente il Rotary può fare la differenza anche nei giorni nei quali la Sardegna viene proclamata dall’European Forest Institut Regione forestale d’Europa per l’impegno nella salvaguardia delle foreste e la selvicoltura mediterranea e per i consistenti investimenti a favore del patrimonio forestale e della bioeconomia delle risorse rinnovabili. Si ritiene che nell’ultimo mezzo secolo la superficie forestale dell’isola si sia triplicata.

Per un momento voglio presentare il rapporto sistente tra paesaggi storici ed evoluzione del paesaggio rurale, alla base dell’identità locale, tra cultura e natura, tornando indietro nel tempo fino al sacco di Roma da parte dei Galli nel 390 a.C. A questo periodo risale più antica notizia relativa alla Sardegna, con la fondazione della colonia romana di Feronia a Sud di Olbia con i cittadini indebitati per gli incendi e le devastazioni causate dai Galli invasori. Negli stessi anni l’allievo di Aristotele Teofrasto ci racconta che il paesaggio della vicina Corsica era dominato da quegli alberi fittissimi che impedirono la colonizzazione romano-etrusca, quando all’inizio del IV secolo a.C. sull’isola non riuscirono a sbarcare i 25 battelli, che ebbero i pennoni danneggiati dai rami degli alberi di una foresta sterminata. Si trattò di un tentativo di creare non genericamente una città in Corsica, bensì un centro navale, connesso alla silvicoltura. Niceforo chiamava la Corsica anche kefalé, testa irta di capelli, per via delle tante cime montagnose e la ricchezza di boschi.

D’accordo con il Governatore Salvina Deiana, mi è sembrato naturale, accogliendo tanti amici che provengono da Roma e dal Lazio, oltre che dalla Sardegna, partire dalle cose che amo, introdurre questa serata, ricordando la storia antica sintetizzata nei bassorilievi dell’Ara Pacis di Roma, restaurata dal Rotary nel 1971 fino all’attuale sistemazione che dobbiamo all’architetto newyorkese Richard Meier, inaugurata dal Sindaco Veltroni – dopo sette anni di lavori – in occasione del Natale di Roma il 21 aprile 2006, tra le proteste del FUAN.

Su quei marmi dell’Ara Pacis ritorna nel 9 a.C. tutto l’apparato ideologico di Augusto, partendo dalla distruzione di Troia, dal viaggio alla Cartagine di Didone, all’arrivo degli Ilienses nella Barbaria della Sardegna, alla fondazione di Lavinio sulla costa laziale, Alba Longa e Roma. Giulia Caneva ha recentemente pubblicato il bellissimo volume Il codice botanico di Augusto, Roma Ara Pacis, Parlare al popolo attraverso le immagini della natura, nel quale si dimostra che l’alfabeto botanico di Augusto era portatore di un messaggio divino di fertilità, che parlava della forza vegetativa, della fecondità, della rinascita della terra, della trasfornazione degli ambienti aridi e rocciosi, della rinascita dell’acqua, del ritorno dell’età dell’oro, all’inizio di una nuova era, l’aurea aetas di Augusto, nel rispetto delle regole divine della Natura, senza rinnegare i valori del passato. Il bosco sacro con decine di piante e quello che si definisce impropriamente l’albero della vita, i modelli vegetali, la candelaria e la luce, la dragontea e la fertilità, l’acanto, la lira e Apollo, il dio della luce, della cultura, della civiltà contro la barbarie.

Allo stesso modo l’ara provinciale di Cartagine dedicata negli stessi anni rappresenta l’albero di Ilio in fiamme mentre Enea-Augusto porta sulle spalle il padre Anchise vestito con la toga Romana e il figlioletto Ascanio-Iulo con il mantello frigio, con un’inversione di generazioni che segna anche una continuità e indirizza verso il futuro di un Mediterraneo di pace, dove la sponda sud con tutta la profondità del continente africano interagisca con l’Europa e l’Asia. Virgilio rappresenta i costruttori di Cartagine, sulla Byrsa, gli architetti della regina Didone, affaccendati e impegnati nella costruzione della colonia fenicia, con le sue mura, con le sue torri, con i suoi templi. Appare evidente che Virgilio pensa alla colonia augustea che negli anni in cui scrive sorge come una grande capitale mediterranea ricca dei prodotti: nel fervore degli structores Tyrii di Carthago, Enea profugo da Troia, è insieme hospes accolto con rispetto dalla Regina poi hostis maledetto per generazioni: egli osserva, con gli occhi di Virgilio, il solco dell’aratro che segna il limite sacro di una colonia, rinnovando il dolore e la speranza che anima coloro i quali costruiscono una nuova città, in contrasto con la sua originaria patria -Ilio- distrutta dalle fiamme. Non c’è dubbio che Virgilio rifletta nel racconto della Cartagine nascente l’esperienza urbanologica di età augustea in Africa, con il teatro dalle immanes columnae della frons scaenae tratte dalle cave in cui maestranze addestrate lavorano indefessamente a trarre il materiale lapideo della nuova città. O ancora con le porte delle mura e le viae urbane silice stratae; la basilica giudiziaria; i templi. I versi virgiliani esaltano l’attività degli uomini di buona volontà, anche se pure gli dei e le dee sono considerati a tutti gli effetti coinvolti in uno studium e in un’ars che nobilita chi la pratica. Più in generale, Virgilio trova le parole per rappresentare il paesaggio trasformato dall’uomo ai margini del lago di Tunisi, presso il tempio di Giunone eretto dalla regina.

Un’antica leggenda raccolta da Virgilio ma che si deve ad Ennio e Cartone, fondatori della letteratura latina, immaginava che i compagni di Enea, i profughi troiani Ilienses, nel corso della tempesta siano stati sbattuti dal mare in burrasca sulle spiagge della Sardegna e si siano rifugiati sui Montes Insani, dove si mantennero liberi, senza raggiungere l’Ausonia, il Lazio abitato dai Silvii e poi dai Latini. Il mito della parentela etnica tra Romani e Sardi attraverso la comune origine troiana sarebbe nato con lo scopo di piegare la resistenza dei Sardi Pelliti di fronte all’occupazione romana nel corso del II secolo a.C.

Gli scrittori classici guardavano alla Sardegna con ammirazione: quella che per Erodoto era l’isola più grande del mondo (nésos megíste), appariva nei miti greci come una terra “felice” eudaimon, che per grandezza e prosperità eguagliava le isole più celebri del Mediterraneo; le pianure erano bellissime, i terreni fertili, mancavano i serpenti, i lupi, altri animali pericolosi per l’uomo, non vi si trovavano erbe velenose (tranne quella che produceva il “riso sardonico”).

La Sardegna, isola di occidente, appare notevolmente idealizzata, soprattutto a causa della leggendaria lontananza e collocata fuori dalla dimensione del tempo storico. Ciò non significa affatto però che i Greci e più di loro i Cartaginesi ed i Romani non avessero informazioni precise sull’ambiente e sulla società isolana, variamente intrecciate con il mito: il paesaggio in particolare era sentito come fortemente originale, caratterizzato da una evidente biodiversità, percorso sulle montagne dai mufloni e nelle lagune dai fenicotteri; ma erano soprattutto i nuraghi dell’età del bronzo che marchiavano il paesaggio isolano modificato dall’uomo, le torri a cupola, «le tholoi dalle mirabili proporzioni costruite all’arcaico modo dei Greci», che il mito attribuiva a Dedalo, l’eroe fondatore dell’architettura greca, arrivato in Sardegna su invito di Iolao, il compagno di Herakles; quest’ultimo (identificato con il libico Makeris-Melqart) leggendario padre di Sardus, il dio venerato ad Antas.

Quella che veniva poeticamente chiamata l’ “isola dalle vene d’argento”, divenne poi Ichnussa e Sandaliotis, una terra fortunata, caratterizzata da una mitica eukarpía, da una straordinaria abbondanza di frutta e di prodotti: il latte, il miele, l’olio, il vino, che si attribuivano alla generosità del dio Aristeo. Per Diodoro Siculo, ancora all’età di Cesare, i Sardi suoi contemporanei discendenti dei figli di Eracle erano riusciti a mantenere la libertà promessa dall’oracolo di Apollo a Delfi, dopo le ripetute aggressioni esterne. I discendenti di Eracle erano riusciti ad evitare, nonostante le dure condizioni di vita, le sofferenze del lavoro. Si aggiunga che gli autori greci e latini avevano una notevole conoscenza, più o meno diretta, dell’esistenza in Sardegna di una civiltà evoluta come quella nuragica, caratterizzata da un lato dall’assenza di insediamenti urbani, dall’altro da uno sviluppo notevole dell’architettura, dell’agricoltura e della pastorizia. Questa consapevolezza si esprime, per l’età del mito, nella saga degli Eraclidi, di Dedalo e di Aristeo, che avrebbero determinato quello sviluppo, prima dell’evoluzione urbana miticamente attribuita a Norace.

Un bosco di querce copriva nell’Ottocento le rovine del tempio del Sardus Pater visitato da Alberto Ferrero della Marmora, in una valle che ancora oggi, completamente spoglia, conserva il senso di un Genius loci, arrivato dal Nord Africa a proteggere l’ambiente naturale e umano dell’isola dalle vene d’argento.

Il luogo evocativo più celebre dell’isola è rappresentato dalla stazione stradale di Sorabile l’attuale Fonni sulla via direttissima che collegava Olbia con Carales raggiungendo i mille metri di altitudine: qui il governatore Ulpius Severus nell’età di Traiano pose la targa con la sua dedica agli dei Diana e Silvano, protettori del bosco sacro di Sorabile, il nemus Sorabense, al centro della Barbaria.

Le navi del relitto di Spargi o delle navi di Olbia affondate dai Vandali alla vigilia del Sacco di Roma del 455 ci ricordano il noto passo di Plinio: Arbore sulcamus maria terrasque admovemus, arbore exaedicficamus tecta, Solchiamo i mari su un tronco d’albero, con un ramo ariamo le terre ed edifichiamo le case.

Vorrei allora pensare agli alberi secolari della Sardegna, veri e propri monumenti naturali, in particolare le querce millenarie del Gennargentu, il leccio di Mamone, il noce centenario di Belvì, l’agrifoglio, l’olivastro di San Pietro in Golgo, sull’altopiano calcareo di Baunei al quale forse rimanda il diploma militare della coorte di Corsi e Liguri di un Hannibal originario della località Nurak Albus. C’è dietro ciascuna di queste immagini una profondità storica che impressiona, un patrimonio ricchissimo che richiama ad una responsabilità precisa della nostra generazione.

Come non spingerci allora alle piante millenarie del Getsemani sul Monte degli ulivi di Gerusalemme dell’ultima notte di Cristo, forse le stesse fotografate dai turisti di oggi ? Oppure al tema della Risurrezione nel vicino cimitero ebraico, se nel libro di Zaccaria il monte degli Ulivi è identificato come il luogo da cui Dio comincerà a far rinascere i morti alla fine dei secoli. Del resto questa dimensione “divina” che accompagna le piante attraversa tutte le nostre tappe.

Se guardiamo per un attimo al futuro, nei giorni in cui in Italia si discute criticamente sul Testo unico sulle foreste approvato dal governo nel marzo scorso, il Papa ci ricorda la tragedia degli indigeni dell’Amazzonia e il sindaco di Parigi guida la rivoluzione verde: la capitale francese si propone di vegetalizzare la città costituendo parchi al posto delle piazze lastricate. Il numero del novembre scorso de La nuova Voce del Rotary è intitolato “gli alberi custodi dell’umanità”, in una prospettiva che come nella lontana immagine cartaginese di Enea-Augusto coinvolge le generazioni future.

Nella mozione finale che presenteremo alla fine dei nostri lavori ricorderemo il nostro impegno una nuova società fondata sulla conoscenza, sull’istruzione, sulla ricerca, sulle attività culturali, sull’ICT. Dobbiamo partire dal tema della sostenibilità ambientale e batterci per la riforestazione, per creare nuovi parchi e sviluppare una nuova economia ambientale capace di incentivare l’occupazione, difendere la ricchezza della biodiversità, migliorare il clima, per preservare il pianeta terra secondo il programma del Presidente Paulo Costa al Congresso del 1990 di Portland nell’Oregon, per mantenere pulite l’aria e l’acqua, difendere la biodiversità, proteggere il pianeta per le generazioni future. Con la lotta contro l’inquinamento e gli incendi, la Green Economy, il ruolo delle Università qui in Sardegna del Corso di laurea in Scienze Forestali e ambientali, e poi l’ambiente marino, la giornata mondiale dell’ambiente, il sostegno nel Distretto per la nascita di Gruppi di azione rotariana che assumeranno come prioritario l’impegno ambientale, per fare la differenza, con attenzione alle nuove generazioni.




Il dolore della Sardegna per la scomparsa di Manlio Brigaglia.

Il dolore della Sardegna per la scomparsa di Manlio Brigaglia.
(Tempio Pausania 12 gennaio 1929 – Sassari 10 maggio 2018)

Manlio Brigaglia è tornato per un giorno in quello che è stato il suo Dipartimento di Storia circondato dall’affetto degli amici, dei colleghi, degli studenti, di tanti Sardi. Consideriamo questa sua presenza oggi tra noi un segno di un legame profondo che la signora Marisa, Aldo, Mimma e la sua famiglia hanno voluto ricordare e riconoscere.

Ci ha tanto colpito la sua scomparsa, avvenuta sul lavoro, quasi sotto i nostri occhi, dopo la presentazione due giorni fa in aula Magna con Sabino Cassese e Paolo Pombeni del volume “La macchina imperfetta” in età fascista. Proprio questa settimana ci aveva consegnato la nuova edizione della sua Storia della Sardegna dalla preistoria ad oggi, un’opera fortunata, da lui curata per le Edizioni Della Torre.

Domenica ci aveva chiamato nel bar di Viale Umberto per discutere di nuove idee e nuovi progetti con gli amici di sempre. Mercoledì  al cinema abbiamo ascoltato la sua intervista sul film di Fiorenzo Serra, “L’ultimo pugno di terra”, nella straordinaria rivisitazione di Peter Marcias, con quella transumanza di pecore e ma anche di uomini lontano dall’isola. E quella frase di Fiorenzo Serra e di Gavino Ledda a proposito della desertificazione e del disagio sociale degli anni ‘50, con quella espressione tremenda “maledetto quell’autobus, maledetto quel treno che svuota il mio paese”. Quanta pena per la Sardegna, quanto desiderio di vedere un tempo nuovo, quanto amore per la sua gente, i suoi allievi, i suoi studenti, la sua famiglia che ha seguito giorno per giorno con la ricchezza del suo affetto e la sua intelligenza.

Un anno fa ci aveva stupito accettando con emozione la cittadinanza onoraria a Pozzomaggiore conferita dal Sindaco Mariano Soro, dove da ragazzo aveva guidato come portiere la squadra di calcio e aveva insegnato appena laureato subito dopo la guerra (a 19 anni aveva discusso la tesi a Cagliari con Giuseppe Citanna, alla scuola di Alberto Boscolo).  Per non parlare della cittadinanza onoraria di Santa Teresa.
Ricordare l’impegno intellettuale e la ricchissima sequenza di successi professionali di Manlio Brigaglia è cosa difficile. Ricorderemo però il gruppo di  “Ichnusa” di Antonio Pigliaru, la rivista poi da lui diretta tra il 1982 e il 1993 assieme a Giuseppe Melis Bassu e a Salvatore Mannuzzu, la fondazione dell’Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo e la direzione del Quaderni Mediterranei, i nostri “Quaderni Sardi di Storia“, la collaborazione con la Rai regionale, L’Unione Sarda che aveva lasciato in un momento di polemica assieme a Giovanni Lilliu e Guido Melis, la pagina quotidiana su La Nuova Sardegna, le mille imprese con tanti editori diversi nelle quali ci aveva coinvolto, sempre con spirito critico, con rispetto, generosità, voglia di capire, aprendoci orizzonti nuovi. Perché Brigaglia è stato soprattutto un democratico pieno di idee originali e di curiosità, dal quale ci aspettavamo sempre una battuta ironica, un’informazione strana, un retroscena che spesso ci lasciavano senza parole, insegnandoci sempre a non prenderci troppo sul serio.

Quando nel 2002 aveva lasciato la cattedra, aveva terminato l’insegnamento universitario (Storia dei partiti e dei movimenti politici e Storia contemporanea) ed era andato in pensione, lo avevamo ricordato con il volume di studi in onore pubblicato da Carocci “Dal mondo antico all’età contemporanea” con oltre 40 saggi. In quell’occasione Gian Giacomo Ortu ci aveva ricordato che per lui andare in pensione non sarebbe stato possibile, perché avrebbe continuato come e forse più di prima a dipanare il filo di un impegno intellettuale ammirevole per durata e per coerenza. L’insegnamento liceale di italiano e latino all’”Istituto Principe” il Liceo classico Azuni tra il 1955 e il 1977 e l’insegnamento universitario nelle Facoltà di Magistero dalla fondazione, poi Lettere e Filosofia e Scienze politiche tra il 1971 e il 2001, per la Storia contemporanea, il giornalismo, la comunicazione; la direzione del Dipartimento che aveva fondato con tutti noi nel 1982; la Presidenza del Consorzio tra le Università di Cagliari e Sassari per la Scuola di specializzazione per insegnanti. Giuseppe Ricuperati aveva scritto che Brigaglia ha avuto il merito di esser maestro di color che sanno e di continuare a confermare in ogni lavoro una creatività che è la vera felicità mentale, fondata sua una lucidità di idee e una scrittura che è tra le meno artefatte che si possano immaginare.  Già quindici anni fa proprio Ortu ricordava che Brigaglia si è speso nell’organizzazione della cultura, soprattutto nel campo dell’editoria che ha contribuito a far maturare anche in  Sardegna la produzione di libri di contenuto e di fattura sempre migliori ma anche nel campo della pubblicistica con la creazione di riviste che hanno quasi sempre lasciato il segno; infine con la promozione, direzione e incoraggiamento di enti e di istituzioni di ricerca extra-accademici tra i quali l’Isprom e l’Istituto sardo per la storia della residenza e dell’autonomia.

Questa sua straordinaria dote, la sua profondissima cultura classica, la sua proverbiale memoria, il suo talento spiegano il numero enorme di pubblicazioni sulla Sardegna per oltre 60 anni, con una sostanziale continuità e coerenza di studio, con un carattere documentario ed enciclopedico, con un coinvolgimento di lettori che ha attraversato tutta l’isola e non solo. Innanzi tutto la centralità della democrazia come scelta culturale, le ricerche sull’origine del fascismo e sull’antifascismo sardo, approdate come sono alle figure di Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Velio Spano, Angelo Corsi il sindaco di Iglesias, fino al volume sull’antifascismo curato assieme a Francesco Manconi, Antonello Mattone e Guido Melis; la collaborazione con Piero Sanna e Francesco Soddu, o quella con Luciano Marroccu sul tema degli intellettuali e la costruzione dell’identità sarda tra Otto e Novecento e poi tante altre questioni, i temi sociali, quelli relativi all’editoria, che hanno fornito una preziosa consulenza al legislatore regionale. E poi le sue traduzioni di La Marmora, W.H. Smith, Le Lannou, lo sforzo di confezionare opere come l’Enciclopedia della Sardegna assieme a Guido Melis e Antonello Mattone a partire dal 1982, e poi nel 2007 la Grande Enciclopedia della Sardegna,  tanti altri strumenti di orientamento bibliografico, le sue guide, le sue antologie divulgative, le sue sintesi indirizzate alla scuola come i 5 volumetti di Storia della Sardegna per i licei nella collana delle Storie regionali di Laterza o Tutti i libri della Sardegna. Con Salvatore Tola il Dizionario Storico-Geografico dei Comuni della Sardegna, del 2006.

Alessandro Maida si era impegnato per fargli ottenere nel 1997 il Premio Nazionale della Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’organizzazione della cultura che aveva ritirato con Marisa al Quirinale, accompagnato dal Rettore.

Mario Da Passano introducendo nel 2001 il volume di studi in onore ricordava il nostro comune debito di riconoscenza, le sue straordinarie doti umane, la sua curiosità intellettuale, il suo spirito acuto e pungente senza mai essere malevolo, la sua amichevole curiosità, il suo gusto per le cose belle e buone. Sentimenti che oggi vedo essere di tutti noi, che rimpiangiamo il suo sorriso.

Nei messaggi pervenuti anche attraverso i social, i necrologi, gli articoli sulla stampa ci ha stupito il numero dei suoi ex alunni liceali, che oggi lo piangono e ne sentono l’assenza dopo una presenza tanto lunga e incisiva: del resto lui stesso ci ricordava sempre con ironia che i giovani sassaresi erano stati quasi tutti suoi allievi oppure allievi della prof.ssa Marisa Buonaiuto; e che i pochi che non lo erano stati avevano perso davvero un’occasione. Altri bellissimi messaggi sono pervenuti dall’ Istituto per la Storia dell’Antifascismo e dell’Età contemporanea nella Sardegna centrale, associato all’Istituto nazionale Ferruccio Parri, dalle Università della terza età, dall’Icimar di San Teodoro, dall’Ordine dei giornalisti, dai Comuni galluresi partendo da Tempio e Santa Teresa e dell’intera Sardegna, da tante altre associazioni che si sono nutrite del suo insegnamento.  Tra i suoi allievi volevo ricordare il rammarico di Antonello Mattone che non può essere con noi e si trova fuori sede per un impegno inderogabile di tipo scientifico.

Oggi prevale il senso della perdita irreparabile, il dolore per la scomparsa di una persona che ci ha aiutato tutti i giorni, alla quale guardavamo con ammirazione e senza riserve, cercando le occasioni per incontrarci, come a Palazzo Ciancilla nei pomeriggi, quando preparava la sua lezione e lo aspettavamo solo per la gioia di parlare con lui. Non dimentico i tre volumi di mio padre, che aveva voluto correggere tagliando – come scherzava – una riga sì e una riga no, facendone poi dei libri godibili e profondi.

Anche nel suo ultimo difficile intervento all’Università nei giorni scorsi aveva mantenuto la linea di uno strenuo impegno civile e democratico ed aveva voluto ricordare il legame con Antonio Pigliaru, la lezione di Antonio Gramsci, il contributo della Sardegna per un’Europa migliore. Un’eredità che ci lascia per intero.

Nei giorni scorsi abbiamo potuto vedere il bellissimo documentario su Aldo Moro il professore: ecco, al di là dei paragoni non appropriati, con il prof. Brigaglia abbiamo perso il rappresentante di una stagione in cui i maestri sapevano costruire davvero una relazione intellettuale e umana con gli studenti che durava tutta la vita, oltre le differenze, nella piena libertà di pensiero.




Presentazione del volume di Marcello Derudas, Il Convitto Nazionale Canopoleno di Sassari. Una finestra aperta su quattrocento anni di storia.

Presentazione del volume di Marcello Derudas, Il Convitto Nazionale Canopoleno di Sassari. Una finestra aperta su quattrocento anni di storia, Delfino editore

Vorrei iniziare questa breve presentazione con due ricordi recenti, forti e intensi, che possono raccontare con più immediatezza cosa è diventato il Canopoleno di oggi, grazie all’impegno dei rettori e dei dirigenti, dei professori, degli educatori, di tutti gli studenti: come Rettore dell’Università ho assistito più volte nell’Aula Magna del Canopoleno a manifestazioni e incontri di grandissimo interesse.

Quelli che mi hanno emozionato di più sono stati i concorsi liceali “Marta Mameli”, promossi dall’Associazione “L’Albero di Marta”, con la voglia di raccontare, di parlare, di superare il distacco della morte, di stringersi ai ragazzi che presentavano elaborati fatti di poesia e di sentimenti profondi, impegnati per un futuro nuovo per la Sardegna. L’ultimo concorso affrontava il tema della libertà e della responsabilità, l’etica delle  scelte individuali in rapporto ai condizionamenti storico sociali del mondo occidentale e alla formazione socio culturale che si riceve.

E poi un ricordo felice, uno spettacolo teatrale, un esempio di sperimentazione didattica di straordinaria vitalità, di passione, di emozioni profonde, come quelle che abbiamo provato ascoltando il canto struggente del paggio, una dolce ragazza sarda che annunciava la fine dell’avventura di Bruto e di Cassio nel Giulio Cesare di William Shakespeare sul palcoscenico del Canopoleno. Una parentesi incantevole in lingua inglese.

E infine tante manifestazioni sportive e musicali, tanti occasioni di incontro, tante performances linguistiche: a scorrere le immagini del sito Web del Convitto Nazionale Canopoleno e delle Scuole annesse si trova l’annuncio delle borse di studio per i convittori, il programma delle dieci edizioni di “Scienza in piazza” (l’ultima dedicata al clima), i viaggi di istruzione: se ne ricava  nettissima l’idea di una Istituzione moderna, al passo coi tempi, ricca di fermenti e attenta ad un processo educativo  costruito anche su affetti e sentimenti profondi, su relazioni e progetti.

Ho letto diligentemente tutte le pagine di questo incredibile e inatteso volume del prof. Marcello Derudas, una vera “finestra aperta su quattrocento anni di storia”, che riporta in parallelo la nascita ad opera dei padri gesuiti di due Istituzioni sorelle, l’Università e il Convitto Canopoleno. Forse è questa la ragione per la quale mi è stato chiesto di scrivere queste righe. Quello che fece il cavalier Alessio Fontana per la nascita dell’Università con il testamento del 1558  (cinque anni prima della chiusura del Concilio di Trento nel 1563), lo stesso fece l’arcivescovo di Oristano Antonio Canopolo per la fondazione del Seminario-Convitto di Sant’Antonio abate, dal 1611 e le altre Scuole annesse (compreso quello che dal 1865 diverrà il Liceo Azuni, poi trasferito nell’attuale sede nel 1933) nel complesso di edifici collocati di fronte al Palazzo Ducale.

Due avvenimenti che finirono per essere in realtà quasi contemporanei, se si collocano entrambi nei primi del Seicento, quando proprio il Canopolo, sassarese di origine corsa e nei primordi greca, decise la costruzione, nella parte più antica dell’attuale edificio che ospita l’Università, delle aule destinate ad accogliere i padri gesuiti (arrivati a Sassari per dare esecuzione al testamento di Alessio Fontana) e i loro studenti.  Abbiamo celebrato tre anni fa i 450 anni dalla nascita del Collegio Gesuitico partendo dal 1562; abbiamo ricordato il provvedimento del Preposito Generale della Compagnia di Gesù Claudio Acquaviva, che nel 1612 aveva concesso al collegio turritano la possibilità di conferire i gradi accademici di “bachiller, licenciado y doctor”, sulla base di una precedente bolla di Paolo V Borghese. Arrivavano dunque le Lauree in Filosofia e Teologia a Sassari; nel 1617 il Collegio di San Giuseppe venne trasformato in Università di diritto regio, ma Filippo III firmò il privilegio di fondazione solo  il 31 ottobre 1620, mentre  nel 1632 una Carta Reale permise la concessione dei gradi in Diritto e Medicina. Se il processo di fondazione dell’Università appare alquanto tormentato, nell’intreccio tra potere civile e potere ecclesiastico, l’istituzione quattrocento anni fa del Canopoleno fu in realtà rapidissima, con il primo rettore Jaime Pinto, autore del celebre Christus Crucifixus, insediato come rettore del Seminario-Convitto già nel settembre 1613, seguito da alcune delle personalità più illustri del tempo, tra le quali molti professori universitari, che testimoniano la dimensione internazionale dell’istruzione in Sardegna: i contatti con Saragozza prima e con Torino poi: ne citerei solo uno tra tutti, un altro rettore, il celebre naturalista Francesco Cetti S. I., nato a Mannheim, nel Palatinato, (autore dei volumi sulla Storia naturale di Sardegna edita a Sassari da Giuseppe Piattoli tra il 1774 e il 1778, sui quadrupedi, gli uccelli, gli anfibi e pesci di Sardegna).

Gli anni della doppia fondazione, concentrati nel secondo decennio del Seicento, coincidono con l’episcopato di don Gavino Manca De Çedrelles, lo scopritore all’interno della basilica di San Gavino a Porto Torres dei corpi dei martiri turritani Gavino, Proto e  Gianuario, che compaiono nel sigillo storico dell’Ateneo turritano: testimonianza – fortemente sostenuta dai docenti del Convitto Canopoleno così come del Collegio di San Giuseppe – delle aspirazioni della città di Sassari che intendeva rivendicare il ruolo guida della “metropoli”  turritana rispetto alla Cagliari “troppo” spagnola e cortigiana. Da qui il forte legame con Oristano, che solo dal 1712 ebbe un proprio edificio per il Seminario, evento che la Diocesi arborense ha celebrato nell’aprile 2012 per i suoi trecento anni di vita, rimarcando ancora una volta l’autonomia dal più antico Seminario Canopoleno sassarese, voluto per preparare i sacerdoti della diocesi oristanese, al riparo dalle zanzare degli stagni e dalla malaria.

Questo libro rende conto di una storia complessa e articolata, racconta tante vicende: la peste del 1652, l’evoluzione urbanistica del complesso SeminarioCasa ProfessaConvitto e Scuole, tutti nell’area della chiesa di Gesù e Maria, che avrebbe cambiato il titolo dopo la demolizione della chiesa di Santa Caterina (1853) sita nell’attuale Piazza Azuni;  il passaggio da Collegio-Convitto (1848) e poi da Collegio Nazionale a Convitto Nazionale nel 1860;  l’interazione con l’occupazione da parte di militari e sanitari dell’Ospedale e Infermeria militare;  poi il numero degli iscritti, i convittori privilegiati per le borse di studio “Canopolo”, “Ferralis”, “Sampero” e altre, i semiconvittori, gli alunni esterni. Più in generale lo scioglimento canonico della Compagnia di Gesù nel 1773, il complesso periodo “secolare (1773-1824),  il ritorno dei Gesuiti e la definitiva cacciata del 1848 dopo la “perfetta fusione” della Sardegna (1847); la progressiva e contraddittoria “laicizzazione”; le alterne vicende politiche, il patriottismo dei convittori e degli insegnanti ed istitutori, le divise quasi militari, che corrispondevano ad una disciplina e a una formazione di rigido tipo militare, con qualche momento di svago negli splendidi giardini delle campagne di Sassari. Tutti elementi che grazie all’Autore riemergono prodigiosamente dalle pagine di Enrico Costa e soprattutto da un Archivio Storico ricchissimo, nonostante le mutilazioni avvenute nel corso dei secoli, caratterizzato da quella “babele linguistica” tra latino, catalano, castigliano, sardo e italiano che nel 1767 già il padre Emanuele Roero deplorava.  E infine la Biblioteca, parte di un Fondo importantissimo che in parte si è mischiato con la Biblioteca Universitaria (recentemente trasferita nella Piazza Fiume di Sassari nell’ex Ospedale SS.ma Annunziata) e con altre Biblioteche isolane.

Di grande interesse è l’analisi dell’evoluzione del metodo educativo, tra severità, “annientamento del pensiero individuale”, sottomissione, forse oscurantismo da una parte; libertà e addirittura anarchia dall’altra.  La riforma Casati. E ancora i rapporti con la massoneria, odiata dai Gesuiti e dalla Chiesa e per questo collocata al centro della ripresa “secolare”: citerei solo il caso, studiato e interessante, del Rettore Bartolomeo Ortolani, prete spretato, ‘venerabile’ della loggia massonica di Sassari da lui fondata nel 1860, autore del Dramma romantico Amsicora dedicato all’eroe dell’indipendenza dei Sardi contro i Romani, l’alleato di Annibale dopo la battaglia di Canne. L’opera, fortemente condizionata dai falsi delle Carte d’Arborea, fu scritta fra le mura del Canopoleno e rappresentata al Teatro Civico di Sassari il 27 febbraio 1867: Antonio Taramelli ne avrebbe condannato “le enfasi e le prevenzioni antiromane”.  E poi, come dimenticare gli allievi convittori Paolo Ornano, Giovanni Maria Angioy, i fratelli Simon di Alghero, Damiano Filia (futuro canonico di Sassari e storico), Antonio Pigliaru (filosofo del diritto), Enzo Cadoni (il latinista scomparso vent’anni fa) o l’economo Antonio Togliatti, padre di Palmiro?

Fu il Rettore Giovanni Aliseo a voler fortemente il nuovo edificio del Convitto Nazionale Canopoleno di Via Prunizzedda (ora Via Luna e Sole), con la prima pietra posta il 16 maggio 1968 e l’inaugurazione del I ottobre 1975; l’anno dopo, nel settembre 1976, l’Aliseo cessava dal suo incarico iniziato vent’anni prima nella vecchia e veneranda sede del centro storico. La nuova struttura a mattoni, che trovo ancora migliore di quanto non appaia, oggi ospita studenti che dalle materne e dalla Scuola Media giungono fino al Liceo.

Una volta che fu risolto il problema dell’umidità, messe in ordine la falda sotterranea e le famose dragonare di Piazza Santa Caterina, l’ex Canopoleno fu restaurato e destinato dal 2001 ad ospitare il Museo d’arte contemporanea Mus’a (Museo Sassari Arte) e per qualche tempo gli Uffici della Direzione Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo.  La splendida sala dell’ex refettorio accoglie periodicamente mostre temporanee e incontri scientifici.

Ho trovato esilarante la vicenda raccontata dai verbali del Consiglio di Amministrazione del 1910 sulla contestata e chiassosa passeggiata dei convittori lungo la ferrovia fino alle sorgenti di San Martino, alla chiesa della Trinità di Saccargia e al paese di Codrongianos: un episodio che  rende bene il clima di rinnovamento profondo del Canopoleno all’inizio del Novecento. Da un lato appare ancora il mondo inflessibile, oscuro e vendicativo rappresentato dal censore di disciplina Mazzoleni:  ma a trionfare sarebbe stata la figura del rettore Antonio Maria Cossu e soprattutto del Prof. Salvator Ruju (il famoso poeta Agniru Canu) e del collega Salvatore Coradduzza, indulgenti nel giudicare i canti goliardici e le intemperanze di un gruppo di convittori,  accusati e minacciarti di espulsione per aver cantato per le vie di Codrongianos una canzoncina che riecheggiava quella che gli studenti dell’Università di Cagliari avevano recitato per deridere goliardicamente i colleghi sassaresi:

Viva le belle Donne

di Codrongianus

Noi siamo le colonne

del Convitto Nazionale

Cinque anni dopo, molti sarebbero partiti per la guerra europea.

Negli stessi anni, in un polemico memoriale Pro Atheneo Sassarese indirizzato a S. E. il Ministro della Pubblica istruzione del Regno d’Italia Leonardo Bianchi, gli studenti universitari di Giurisprudenza, Medicina e Farmacia, protestavano contro il falso pareggiamento dell’Università, e con quelle ardenti parole brucia ancora la fiamma del Canopoleno:

“Provvederà il governo alle nostre giuste richieste ? noi lo speriamo, perché la nobiltà degli studi è tale questione civile che non può essere disconosciuta o risolta con mezzi termini. L’istruzione, idealmente intesa, è la forza e la vita delle genti, e le vittorie del pensiero, perché non hanno, come le altre, l’ebbrezza sanguinosa dell’eccidio, sono veramente sante e belle. Noi vogliamo istruirci e questa nostra volontà non è violenza, ma dovere e diritto incontrastabile. Ché, se il desiderio e il vero pareggiamento fosse ancora di là da venire, noi vorremmo che i battenti del nostro Ateneo rimanessero eternamente chiusi, e a caratteri di fuoco avessero scolpiti i versi del grande Michelangelo:

Grato m’è il sonno e più l’esser di sasso

Mentre che il danno e la vergogna dura

Non veder, non sentir m’è gran ventura,

però non mi destare, deh! parla basso”.

Ancora una volta le due storie si incontrano.

Sassari, ottobre 2014
Attilio Mastino




Archeologia Disegnata di Francesco Carta

Archeologia Disegnata di Francesco Carta

Questo volume voluto dall’Editore Carlo Delfino con il contributo della Fondazione di Sardegna esce poche settimane dopo la scomparsa (avvenuta l’8 gennaio 2018) di Ercole Contu, professore emerito di Antichità Sarde presso la Università di Sassari, che negli ultimi tempi ne aveva scritto la Prefazione per ricordare il suo lungo e fruttuoso sodalizio con il prof. Francesco Carta, personaggio vulcanico, che con queste immagini ci trasmette una visione inconsueta ed originale dell’”Isola dalle vene d’argento”, vista attraverso le straordinarie scoperte archeologiche; queste pagine più ancora documentano la crescita che l’archelogia, soprattutto quella preistorica, ha conosciuto negli ultimi decenni in Sardegna e non solo a livello di metodi di indagine, come disciplina incardinata nell’accademia, ma anche come passione, come tema di discussione per tanti insegnanti, per tanti studenti, ma soprattutto per tanta gente qualunque, appassionata del proprio territorio, alla ricerca delle proprie radici: un fenomeno culturale di massa che ha coinvolto intere generazioni.

La formula “Un Museo per tutti” utilizzata dallo stesso Contu nel 1976, rende bene l’idea di una impostazione museologica e museografica (ma non solo) per quei tempi straordinariamente innovativa; e ciò a significare la chiara impostazione didattica e divulgativa dell’esposizione, che da mero contenitore di oggetti rari e preziosi si tramutava in strumento di crescita e di promozione culturale per la comunità nella quale la struttura museale era inserita.

Oggi sappiamo meglio che tra i compiti più difficili dell’archeologia è la presentazione ad un vasto pubblico di monumenti e reperti archeologici risparmiati a stento dallo scorrere del tempo e dall’intervento dell’uomo. Arduo rendere comprensibili e didatticamente eloquenti antiche pietre e strutture in precario stato di conservazione, spesso avulse dalla loro ubicazione e funzione originaria.

Ercole Contu e i suoi collaboratori erano maestri in questo campo, come dimostra il recentissimo riconoscimento ottenuto dal documentario “Ercole Contu e la scoperta della Tomba dei Vasi Tetrapodi”, realizzato con la regia di Andrea Fenu per l’omonima mostra, prodotta dall’associazione ArcheoFoto Sardegna con la direzione scientifica di Nadia Canu: un documentario premiato all’Archeofilm Festival di Firenze come migliore film di Archeologia preistorica.

Anche per questi motivi è ancor più gradito questo volume innovativo e originale, che affronta il tema del disegno archeologico, uno strumento indispensabile alla conoscenza, allo studio e alla divulgazione del patrimonio di testimonianze antiche così diffuso sul territorio dell’Isola. Attraverso il disegno l’autore riesce ad esprimere emozioni, curiosità, passioni; soprattutto fa intravvedere un mistero che affascina e stimola la ricerca.  Archeologia Disegnata è un manuale agile e, al contempo, un’antologia ricca di contenuti che si distingue per una veste grafica insolita e accattivante.

Il lavoro, esito della lunga attività di rilevamento e insegnamento di Francesco Carta, si propone come una guida di facile consultazione per chi voglia accostarsi ai monumenti e ai reperti archeologici della nostra Isola, imparare a disegnarli a mano libera, documentarli e studiarli.

Il libro ha un’impostazione semplice e lineare. Il disegno non ha bisogno di molte parole, richiede solo tempo, impegno, tecnica e soprattutto quella “passione” indispensabile nella pratica di qualunque attività abbia a che fare con la creatività.

Aperto da una breve nota introduttiva sulla storia dell’archeologia disegnata della Sardegna, il lavoro si sviluppa in due sezioni principali dal titolo eloquente: “Disegnare Archeologia” e “Archeologia Disegnata”.

“Disegnare Archeologia” è il tema su cui verte la prima parte del manuale, ricca di indicazioni sui modi operativi di esecuzione del rilievo diretto “dal vero”.  La descrizione dei principali strumenti di rilevamento e le numerose dimostrazioni illustrate fanno da corredo alle lezioni rendendone più semplice la comprensione e l’apprendimento. L’obiettivo è quello di indicare un metodo operativo in grado di fornire risultati coerenti con i principi e le esigenze della ricerca archeologica.

“Archeologia Disegnata”, la seconda parte, l’antologia che offre al lettore un vasto catalogo di esperienze dell’attività di rilievo sul campo che ben emergono nelle gallerie illustrate, ricche di schizzi a matita, lucidi, ricostruzioni prodotti in oltre trent’anni di lavoro dell’autore.

Vi compaiono tutte le classi monumentali e alcune categorie di manufatti tra i più significativi dell’archeologia sarda, dalla preistoria al medioevo, dei quali si offre una breve scheda descrittiva: un vero e proprio campionario di esemplificazioni preziose dove è esplicita l’evidenza didattica.

A me sono care particolarmente le pagine sulla fase romana della storia della Sardegna, partendo dal Palazzo di Re Barbaro a Turris Libisonis, ma capisco che le novità principali stanno altrove, là dove la mano esperta di Ercole Contu ha potuto guidare con interpretazioni nuove e originali anche l’artista e l’amico.

Attilio Mastino
Università degli studi di Sassari