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Convegno internazionale Isole, Isolanità, Insularità (Cagliari, 3-5 ottobre 2018)

Attilio Mastino, Raimondo Zucca (Università di Sassari)
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, / fin nel Morrocco, e l’isola de’ Sardi, / e l’altre che quel mare intorno bagna. Le isole del Mediterraneo occidentale, dell’Atlantico iberico e del Marocco tra oralità e scrittura
Convegno internazionale Isole, Isolanità, Insularità (Cagliari, 3-5 ottobre 2018)


Il richiamo al celebre “Canto di Ulisse” dantesco di If. XXVI, con la terzina dei vv. 103-105, definisce un paesaggio insulare del Mediterraneo occidentale dei Mappamondi, delle carte nautiche e dei portolani medievali cristiani e arabi, così come il paesaggio atlantico, oltre i riguardi posti da Ercule (le Colonne d’Ercole) (If. XXVI, 107-108: quando venimmo a quella foce stretta / Dov’Ercule segnò li suoi riguardi), che era quello d’un mondo sanza gente (If. XXVI, 117), dunque privo di abitanti, ancorché la cosmografia antica vi conoscesse delle isole (in primis le isole dei Beati o Insulae Fortunatae, citate da Dante nel De Monarchia (Mn. II III 13)), così come il medioevo con la Navigatio Santi Brandani e con lo stesso Dante che conosce Gade (Pd. XXVII 82), l’ isola atlantica di Gadir/Gadeira/Gades a 76 miglia nautiche (130 km) ad ovest delle colonne d’Ercule; nel Grande Oceano si conclude il folle volo di Ulisse (If. XXVI, 125), con l’ultimo naufragio davanti alla montagna bruna / per la distanza e parvemi alta tanto / quanto veduta non avëa alcuna (If. XXVI, 133-135), ossia l’isola oceanica del Purgatorio.

Prendendo l’avvio dalle isole dell’immaginario mediterraneo e atlantico di Dante proponiamo una riflessione sulle insulae occidentali attraverso le coordinate geografiche, mitostoriche, linguistiche ed epigrafiche della Sardinia et Corsica, delle Baliares, dell’arcipelago gaditano e delle insulae Purpurariae (Mogador, presso Essaouira- Marocco), soffermandoci su alcuni fulcri tematici:

1) La geografia antica delle isole occidentali.

2) L’itinerario mitico eracleo che abbraccia in una antica ruta de las islas le isole citate.

3) Il melting pot degli ambienti insulari dei mari d’Occidente tra autoctoni, levantini, greci, romani, arabi.

4) Le lingue e le scritture nelle isole d’Occidente.

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Intervento di Attilio Mastino per la 59° edizione del Premio città di Ozieri.

Intervento di Attilio Mastino per la 59° edizione del Premio città di Ozieri
Ozieri, 29 settembre 2018

Cari amici,

i risultati di questa 59° splendida edizione del Premio città di Ozieri sono stati discussi a partire dalla riunione della Giuria del 5 luglio che si è confrontata intorno alle opere in poesia e in prosa di centinaia di partecipanti, con moltissime eccellenze che abbiamo potuto apprezzare in modo convinto: tanta aria fresca sta circolando tra i poeti della Sardegna.

Lasciatemi ringraziare il Presidente del Premio Vittorio Ledda, il vulcanico Segretario Antoni Canalis, la Giuria, i poeti, le Autorità, il Sindaco Marco Murgia, l’Assessore Ilenia Satta, i giornalisti; e ancora il pubblico.

Purtroppo non ha preso parte ai nostri lavori il nostro Paolo Pillonca, scomparso il 26 maggio scorso, che molti di noi hanno accompagnato fino a Seui per l’ultimo viaggio. Parlarne oggi rinnova un dolore autentico, una pena profonda, perché verso Paolo Pillonca ho sempre provato un’ammirazione senza confini: la sua profondissima cultura classica che emergeva ogni volta che c’incontravamo, tra Omero, Cicerone, Orazio, il Padre Dante, con citazioni che mi sembravano puntualissime e davvero felici e che pensavo fossero dedicate espressamente a me, anche se non era così.

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24° Annual Meeting of the EAA in Barcelona 2018. Session: Lived Ancient Religion in North Africa

Attilio Mastino

Neptunus Augustus and the fons Thignicensis: The works commissioned by the knight P. Valerius Victor Numisianus Sallustianus, of the Papiria tribe, by his father and his mother for the Temple of the Waters of Aïn Tounga in Tunisia

24° Annual Meeting of the EAA in Barcelona 2018 (8 settembre 2018)
Session: Lived Ancient Religion in North Africa


In this prestigious setting we aim to summarise the complex phenomenon of the cult of Neptune in North Africa, by way of about hundred inscriptions and dozens of mosaics, with reference to the latest developments (that have recently been published in “Epigraphica”) in relation to the fons Thignicensis and the work undertaken for the gathering of the spring waters of Thignica carried out by the knight Publius Valerius Victor Numisianus Sallustianus, of the Papiria tribe, by his father Valerius Tertullianus and mother Caecilia Faustina for the “Temple of the Waters” in Aïn Tounga in Tunisia, in the period of Gallienus and Salonina.

In reality, this is a monument dominated by the aedem [dei Nept]uni, which has been conceptually compared to the far more famous “Temple of the Waters of Zaghouan”, which was the origin of the Hadrian-era Carthage aqueduct; the dedication Neptuno Augusto sacrum links it closely to the Imperial cult, also by way of the use of the summae honorariae of the three flamines perpetui. This is an area that has been affected by the decrees of lex Hadriana de rudibus agris studied by Hernán Gonzáles Bordas of the Università of Alcalá de Henares in the text found at Henchir Hnich (Krib region, Tunisia).

It is precisely to Hadrian that the plan of the great Carthaginian aqueduct is to be attributed. This impressive work channelled water from Zaghouan to the cisterns of Malga and to the baths inaugurated in the first year of Marcus Aurelius and Lucius Verus: El-Bekri in c. 1068 knew of the origin of the aqueduct in the mountains of Zaghouan (56 km as the crow flies) and was able to state that the work took forty years, hence starting from the era of Hadrian. Arriving in a moment of great drought in Africa, it was Hadrian, in 128 AD, who planned the great aqueduct that was to give Carthage its new name: Hadrianopolis. The aqueduct was built above all to supply the great seaside baths, commonly known as “Thermes d’Antonin”, of which the commemorative plaque remains.

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Intervento per la consegna del candeliere speciale, 13 agosto 2018

Intervento per la consegna del candeliere speciale, 13 agosto 2018


Signor Sindaco, cari amici,

in questi giorni mi sono chiesto a lungo cosa dire per riuscire ad esprimere la mia gratitudine verso questa città ospitale che amiamo, Sassari, per questo candeliere speciale. Brigaglia mi avrebbe detto di non essere noioso come al solito. Ricevo questo candeliere anche a nome dei miei colleghi, dei miei studenti, dei miei amici; quaranta anni fa questa città mi ha accolto a braccia aperte con generosità, attenzione, orizzonti larghi, serenità, al di là dei miei meriti.  Ricevere oggi il Candeliere speciale significa per me entrare ancora di più nel mondo variopinto, chiassoso, allegro e allo stesso tempo misterioso e profondo dei Gremi, in quella che viene definita non banalmente l’anima della città, che ci emoziona tutti.

L’emozione e il percorso verso la “Festha Manna” sono iniziati domenica scorsa con i piccoli candelieri partecipi (con una serietà inusuale per dei bambini) di un rito fatto di ritmi, di musiche, di balli, di relazioni sociali profonde, di vita vera.  Di gioia, lungo il Corso Vico che straboccava di bambini rigidamente ordinati secondo tradizioni che si trasmettono da generazioni, con un minicandeliere portato dalle piccole gremianti, un segno che indica le trasformazioni che rinnovano il rito.

Lo stesso interesse venerdì scorso abbiamo visto tra i partecipanti al corteo dei 19 pesanti ceri dei candelieri medi rimasti rigorosamente all’esterno delle porte di Santa Maria, la chiesa francescana che mantiene un legame diretto con la terra santa di Betlem. Domani identico entusiasmo susciterà in tutti i sassaresi la Faradda Unesco, per sciogliere un voto religioso ma anche per raccogliere i frutti di un lavoro che si è sviluppato per tutti i giorni dell’anno. In questo senso penso agli archivi ritrovati nelle sedi dei Gremi ma anche alle relazioni degli obrieri con i novizi, ai tanti progetti e ai nostri sogni.

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La scomparsa di Paolo Pillonca (Osilo 8 ottobre 1942 – Cagliari 26 maggio 2018)

La scomparsa di Paolo Pillonca (Osilo 8 ottobre 1942 – Cagliari 26 maggio 2018)

Verso Paolo Pillonca da sempre ho provato un’ammirazione senza confini: la sua profondissima cultura classica che emergeva ogni volta che c’incontravamo, tra Omero, Cicerone, Orazio, il Padre Dante, con citazioni che mi sembravano puntualissime e davvero felici e che pensavo fossero dedicate espressamente a me, anche se non era così.

Questa conoscenza professionale di dettaglio della poesia in lingua sarda, in particolare questa sistematica schedatura della folta schiera degli improvvisatori, che si estendeva nel tempo dai grandi del passato, copriva spazi geografici  impensabili, raccontava una passione, una curiosità, una sensibilità che ci commuoveva e ci incantava. I suoi interventi erano davvero godibili e apprezzati da un pubblico eterogeneo e vivace.

Tante volte l’avevo interrogato su aspetti marginali, sui poeti dei miei territori, Giovanni Nurchi a Bosa, Pittanu Morette a Tresnuraghes, Gavino Delunas a Padria oppure Remundu Piras a Villanova, trovandolo sempre preparato e capace di penetrare il senso profondo, l’eleganza, la qualità della produzione poetica isolana, la sua ispirazione profonda, le sue radici.

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The Italian Archaeological School in Carthage Workshops on Archaeology in Africa.

Attilio Mastino (with the contribution of Sergio Ribichini)
The Italian Archaeological School in Carthage
Workshops on Archaeology in Africa
Rome, La Sapienza, 7th December 2017


The study that has been undertaken over the last thirty years of the historical relations between North Africa and Europe in antiquity is far-ranging and rich in results. The areas studied include the pre- and proto-historic phases of the Berber world, the colonisation by the Phoenicians, the foundation of Utica and Carthage, the Mediterranean politics documented by the Etruscan-Carthaginian and Roman-Carthaginian treaties, also dealing with Hannibal and the rather hypocritical tears of Scipio Aemilianus, as well as the new urbanisation by order of Gaius Gracchus, then by Caesar and Augustus twenty years after the re-foundation of Carthage. Virgil in Book I of the Aeneid describes the builders of Dido’s Carthage as being like thousands of bees in a hive at the start of summer, toiling to produce honey with a scent of thyme: it is clear that Virgil was thinking of the Augustinian colony as it was in the years in which he was writing, a Mediterranean capital rich in products coming from the wide Numidian hinterland.

In the fervour of the structores Tyrii of Carthago, the refugee from Troy, Aeneas is both hospes welcomed with respect by the queen and then hostis who is cursed for centuries: he observes, through Virgil’s eyes, the furrow of the plough as it marks the sacred limit of the colonia, renewing the pain and the hope that motivate those who build a new city, in contrast with his original hometown, Ilium, that was devoured by the flames. There is no doubt that Virgil reflects the urbanistic experience of the Augustinian Age in Africa in his description of the birth of Carthage with the theatrum of the immanes columnae of the frons scaenae taken from quarries in which the specialised workers laboured untiringly to extract the stone to build the new city. Or yet again the portae of the walls and the strata viarum, the urban viae silice stratae, the judiciary basilica and the theatre. Virgil’s lines exalt the activity of the men of goodwill, even though the gods and goddesses are fully involved in a studium and in an ars that nobilitates those who practice it.

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Dalle piante dell’Ara Pacis al Nemus Sorabense di Fonni: l’eudaimonia della Sardegna antica.

Attilio Mastino
Dalle piante dell’Ara Pacis
al Nemus Sorabense di Fonni: l’eudaimonia della Sardegna antica
LXI Congresso distrettuale Rotary, Distretto 2080
Valle dell’Erica, Santa Teresa di Gallura, venerdì 25 maggio 2018

Questo 61° Congresso Distrettuale del Distretto 2080 del Rotary  si è svolto in Sardegna a Santa Teresa, l’antico porto di Longone sul Fretum Gallicum, le Bocche di Bonifacio, a ridosso dell’Errebantium Promunturium, il Capo Testa al margine settentrionale dell’isola Ichnusa.

Vorrei oggi tentare di immaginare il paesaggio antico, ricostruire un ambiente naturale che oggi vorremmo ancor più verde, ricco di alberi, ospitale. Abbiamo seguito con emozione i programmi e il sogno verde del Presidente internazionale Ian H.S. Riseley, l’invito a piantare un albero per ogni rotariano per la generazione futura (come già scriveva Ciceronel nel Cato Maior), la definizione del nostro tema congressuale dedicato all’Ambiente, a un mese di distanza da quel 22 aprile nel quale abbiamo celebrato la Giornata mondiale rotariana per l’ambiente e per la Terra, perché veramente il Rotary può fare la differenza anche nei giorni nei quali la Sardegna viene proclamata dall’European Forest Institut Regione forestale d’Europa per l’impegno nella salvaguardia delle foreste e la selvicoltura mediterranea e per i consistenti investimenti a favore del patrimonio forestale e della bioeconomia delle risorse rinnovabili. Si ritiene che nell’ultimo mezzo secolo la superficie forestale dell’isola si sia triplicata.

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Il dolore della Sardegna per la scomparsa di Manlio Brigaglia.

Il dolore della Sardegna per la scomparsa di Manlio Brigaglia.
(Tempio Pausania 12 gennaio 1929 – Sassari 10 maggio 2018)

Manlio Brigaglia è tornato per un giorno in quello che è stato il suo Dipartimento di Storia circondato dall’affetto degli amici, dei colleghi, degli studenti, di tanti Sardi. Consideriamo questa sua presenza oggi tra noi un segno di un legame profondo che la signora Marisa, Aldo, Mimma e la sua famiglia hanno voluto ricordare e riconoscere.

Ci ha tanto colpito la sua scomparsa, avvenuta sul lavoro, quasi sotto i nostri occhi, dopo la presentazione due giorni fa in aula Magna con Sabino Cassese e Paolo Pombeni del volume “La macchina imperfetta” in età fascista. Proprio questa settimana ci aveva consegnato la nuova edizione della sua Storia della Sardegna dalla preistoria ad oggi, un’opera fortunata, da lui curata per le Edizioni Della Torre.

Domenica ci aveva chiamato nel bar di Viale Umberto per discutere di nuove idee e nuovi progetti con gli amici di sempre. Mercoledì  al cinema abbiamo ascoltato la sua intervista sul film di Fiorenzo Serra, “L’ultimo pugno di terra”, nella straordinaria rivisitazione di Peter Marcias, con quella transumanza di pecore e ma anche di uomini lontano dall’isola. E quella frase di Fiorenzo Serra e di Gavino Ledda a proposito della desertificazione e del disagio sociale degli anni ‘50, con quella espressione tremenda “maledetto quell’autobus, maledetto quel treno che svuota il mio paese”. Quanta pena per la Sardegna, quanto desiderio di vedere un tempo nuovo, quanto amore per la sua gente, i suoi allievi, i suoi studenti, la sua famiglia che ha seguito giorno per giorno con la ricchezza del suo affetto e la sua intelligenza.

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Presentazione del volume di Marcello Derudas, Il Convitto Nazionale Canopoleno di Sassari. Una finestra aperta su quattrocento anni di storia.

Presentazione del volume di Marcello Derudas, Il Convitto Nazionale Canopoleno di Sassari. Una finestra aperta su quattrocento anni di storia, Delfino editore

Vorrei iniziare questa breve presentazione con due ricordi recenti, forti e intensi, che possono raccontare con più immediatezza cosa è diventato il Canopoleno di oggi, grazie all’impegno dei rettori e dei dirigenti, dei professori, degli educatori, di tutti gli studenti: come Rettore dell’Università ho assistito più volte nell’Aula Magna del Canopoleno a manifestazioni e incontri di grandissimo interesse.

Quelli che mi hanno emozionato di più sono stati i concorsi liceali “Marta Mameli”, promossi dall’Associazione “L’Albero di Marta”, con la voglia di raccontare, di parlare, di superare il distacco della morte, di stringersi ai ragazzi che presentavano elaborati fatti di poesia e di sentimenti profondi, impegnati per un futuro nuovo per la Sardegna. L’ultimo concorso affrontava il tema della libertà e della responsabilità, l’etica delle  scelte individuali in rapporto ai condizionamenti storico sociali del mondo occidentale e alla formazione socio culturale che si riceve.

E poi un ricordo felice, uno spettacolo teatrale, un esempio di sperimentazione didattica di straordinaria vitalità, di passione, di emozioni profonde, come quelle che abbiamo provato ascoltando il canto struggente del paggio, una dolce ragazza sarda che annunciava la fine dell’avventura di Bruto e di Cassio nel Giulio Cesare di William Shakespeare sul palcoscenico del Canopoleno. Una parentesi incantevole in lingua inglese.

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Archeologia Disegnata di Francesco Carta

Archeologia Disegnata di Francesco Carta

Questo volume voluto dall’Editore Carlo Delfino con il contributo della Fondazione di Sardegna esce poche settimane dopo la scomparsa (avvenuta l’8 gennaio 2018) di Ercole Contu, professore emerito di Antichità Sarde presso la Università di Sassari, che negli ultimi tempi ne aveva scritto la Prefazione per ricordare il suo lungo e fruttuoso sodalizio con il prof. Francesco Carta, personaggio vulcanico, che con queste immagini ci trasmette una visione inconsueta ed originale dell’”Isola dalle vene d’argento”, vista attraverso le straordinarie scoperte archeologiche; queste pagine più ancora documentano la crescita che l’archelogia, soprattutto quella preistorica, ha conosciuto negli ultimi decenni in Sardegna e non solo a livello di metodi di indagine, come disciplina incardinata nell’accademia, ma anche come passione, come tema di discussione per tanti insegnanti, per tanti studenti, ma soprattutto per tanta gente qualunque, appassionata del proprio territorio, alla ricerca delle proprie radici: un fenomeno culturale di massa che ha coinvolto intere generazioni.

La formula “Un Museo per tutti” utilizzata dallo stesso Contu nel 1976, rende bene l’idea di una impostazione museologica e museografica (ma non solo) per quei tempi straordinariamente innovativa; e ciò a significare la chiara impostazione didattica e divulgativa dell’esposizione, che da mero contenitore di oggetti rari e preziosi si tramutava in strumento di crescita e di promozione culturale per la comunità nella quale la struttura museale era inserita.

Oggi sappiamo meglio che tra i compiti più difficili dell’archeologia è la presentazione ad un vasto pubblico di monumenti e reperti archeologici risparmiati a stento dallo scorrere del tempo e dall’intervento dell’uomo. Arduo rendere comprensibili e didatticamente eloquenti antiche pietre e strutture in precario stato di conservazione, spesso avulse dalla loro ubicazione e funzione originaria.

Ercole Contu e i suoi collaboratori erano maestri in questo campo, come dimostra il recentissimo riconoscimento ottenuto dal documentario “Ercole Contu e la scoperta della Tomba dei Vasi Tetrapodi”, realizzato con la regia di Andrea Fenu per l’omonima mostra, prodotta dall’associazione ArcheoFoto Sardegna con la direzione scientifica di Nadia Canu: un documentario premiato all’Archeofilm Festival di Firenze come migliore film di Archeologia preistorica.

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