11. Governance e revisione dello Statuto.

Il nostro Statuto, nato all’alba dell’autonomia, mostra ormai l’usura del tempo, soprattutto a causa delle riforme che in questi anni hanno ridisegnato le funzioni didattica, di ricerca e anche, più recentemente, assistenziale sanitaria delle Università.

La materia ha rilevanza nazionale e già la CRUI, il CUN, il Ministro hanno presentato una serie di proposte per un nuovo modello istituzionale delle Università e per la revisione della governance, più precisamente per definire in modo omogeneo sul piano nazionale la suddivisione e il bilanciamento dei poteri e l’attribuzione delle responsabilità, la composizione dei vari organi, il loro ruolo nella programmazione e nella allocazione delle risorse, con l’obiettivo di combattere l’autoreferenzialità e creare un sistema universitario solido, articolato, pluralista nelle sue fisiologiche diversità, dinamico, aperto alla società e proiettato nella dimensione internazionale, capace di assicurare le condizioni di libertà irrinunciabili per lo svolgimento della ricerca e delle attività formative.

Sono in discussione in Parlamento provvedimenti delega e disegni di legge che incideranno profondamente nella materia, prevedendo tra l’altro la possibile sfiducia del Rettore deliberata dai 2/3 dei componenti del Senato. Dunque il prossimo anno sarà un anno costituente, nel quale dovranno affrontarsi i nodi dell’autonomia, il nuovo modello istituzionale, le strategie, il sistema di incentivi e disincentivi in rapporto alla promozione della sostenibilità economica e degli standard qualitativi, l’adozione entro sei mesi di un codice etico che individui i casi di incompatibilità e di conflitto di interesse.

In sede locale occorre rinnovare alla radice lo Statuto ed il Senato Accademico integrato assumerà il compito essenziale di fissare le linee guida per uno Statuto riformato più compatto e coerente al proprio interno, indirizzandole verso una reale governance dell’Ateneo, capace di bilanciare i poteri di programmazione, di gestione e di controllo e tesa a ripristinare una durata fisiologica delle cariche istituzionali (due mandati al massimo) che garantisca un ricambio periodico nei diversi uffici: autonomia, autogoverno, democrazia, equilibrio dei poteri, collegialità, responsabilità chiare anche verso i portatori di interessi, management, valutazione dei risultati, efficacia gestionale.

Occorre stabilire un legame indissolubile fra autonomia e responsabilità, con l’assegnazione delle risorse basata sul merito e sui risultati e con una conduzione manageriale, per quanto l’Ateneo non sia assimilabile in alcun modo ad un’azienda. Le Linee guida del Governo sull’Università e l’imminente Disegno di legge quadro in materia di organizzazione del sistema universitario impongono un ripensamento sul tema della composizione e delle funzioni degli organi di governo, allo scopo di evitare il sovraccarico e le sovrapposizioni di competenze: la materia in realtà è ancora in evoluzione, ma penserei ad un Senato Accademico che abbia il compito di definire le linee strategiche generali di indirizzo della didattica e della ricerca, ponendosi come garante della libertà accademica e dei diritti dei membri della comunità universitaria; al suo interno deve essere realmente rappresentato il mondo della ricerca, dei Dipartimenti, delle Scuole di dottorato, dei Comitati d’area.

Ad un Consiglio di Amministrazione più rappresentativo dei portatori di interesse dovrebbero essere attribuiti l’attuazione degli indirizzi generali, l’impegno di reperire risorse finanziarie aggiuntive al FFO e una gestione ispirata agli interessi comuni con funzioni di alta amministrazione. Occorre perseguire una semplificazione degli organi e delle procedure, un decentramento delle decisioni, contenendo l’assemblearismo e il circuito decisionale deresponsabilizzante.

La Consulta di Ateneo, istituita dallo Statuto, deve assumere il ruolo propositivo e di stimolo, anzitutto sul fronte dei problemi legati alla didattica. Vedo infine il ruolo del Rettore e dei suoi delegati come relativamente “leggero” e di coordinamento, contro ogni forma di “neo-centralismo”, alla ricerca di una sintesi all’interno e di una forte rappresentatività verso l’esterno, con il compito specifico di difendere l’autonomia propositiva, funzionale, organizzativa e gestionale delle diverse componenti e dell’insieme della struttura universitaria.

I compiti del Rettore, che dovrà avere una reale esperienza internazionale, saranno quelli di iniziativa, indirizzo, promozione, coordinamento, attuazione, vigilanza, garanzia, rappresentanza interna ed esterna, con piena responsabilità degli atti e delle scelte assunte e condivise dagli organi di governo. Mi impegno per il futuro, se sarò eletto, ad avvalermi della competenze di chi opera nei settori specifici, di sentire le opinioni di tutti e di mettere a frutto l’esperienza degli addetti ai lavori, perché respingo una gestione accentrata e considero centrale una visione pluralista.

Deve essere chiara la separazione dei poteri di indirizzo politico e di gestione e si deve costruire un efficace sistema di pianificazione, programmazione e controllo, che parta dalle risorse umane, finanziarie e strumentali, definisca il quadro delle attività e stabilisca obiettivi e risultati, combatta la deresponsabilizzazione ed i comportamenti impropri.

Occorre avviare processi di riorganizzazione interna per un nuovo rapporto tra Facoltà e Dipartimenti, che eviti duplicazioni di funzioni, semplifichi le procedure, renda possibili processi di programmazione più trasparenti e più razionali; bisogna precisare gli ambiti di competenza dei Centri con autonomia di spesa e ridefinire le funzioni dei direttori e dei responsabili amministrativi alla luce della distinzione fra compiti di indirizzo e gestionali.

Occorre procedere alla riscrittura o all’approvazione di alcuni regolamenti (come quello per l’amministrazione la finanza e la contabilità, quello sui procedimenti amministrativi, quello sull’impiego di nuovi strumenti di pagamento, quello sulle spese di rappresentanza, quello sulle missioni, quello sui Comitati d’Area, quello sui PRIN, quello sugli acquisti di materiali per la ricerca, quello sull’uso dei telefoni cellulari), anche rispondendo alle sollecitazioni pervenute recentemente dalla Conferenza dei direttori dei Dipartimenti.

Mi impegno ad istituire la Giunta esecutiva di Ateneo prevista dall’art. 13 dello Statuto, allo scopo di avviare una gestione collegiale e partecipata, superando l’attuale sistema delle deleghe del Rettore e riducendo di numero i delegati, scelti sulla base delle loro competenze e con ampia autonomia.

Andrebbero potenziati i compiti di verifica e di controllo esercitati dal Collegio dei revisori dei conti e dal Nucleo di valutazione, che devono assumere sempre più anche il ruolo di consulenti capaci di prevenire i problemi e aiutare a trovare soluzioni in termini di legittimità, efficienza, verifica.

All’interno della Conferenza dei Rettori e nel rapporto con il Ministero ci si deve battere per evitare che le risorse vengano concentrate in pochi Atenei di eccellenza, senza per questo venir meno alla cultura della premialità e della valutazione, fatta confrontando il trend, i miglioramenti o i peggioramenti di ogni università rispetto agli anni precedenti.

Occorre aiutare le università svantaggiate geograficamente a migliorare la qualità dei servizi e della ricerca con un maggior impiego di risorse pubbliche.




10. Sassari città della conoscenza e il Sistema delle autonomie.

La campagna per l’elezione del Rettore può essere un’occasione straordinaria per mettere l’Ateneo al servizio della Sardegna e in particolare delle città nelle quali opera, Sassari per prima: il piano strategico è stato un momento importante per disegnare la città del futuro, con l’obiettivo di creare sinergie e alleanze e stabilire un rapporto che non può essere a senso unico, seppure non abbia avuto seguito con interventi concreti.

Allora le maggiori rappresentanze dell’economia e delle istituzioni locali, Comune, Provincia, Camera di Commercio e Unione Industriali, avevano sottolineato, in modo corale, la necessità di conoscenza tecnologica e informatica diffusa, più in generale avevano sollecitato un maggior interesse per le discipline dell’area ingegneristica, fisica e matematica.

Crediamo che l’Ateneo debba dare risposte a questa richiesta, riappropriandosi di funzioni di programmazione ed indirizzo che sono solo sue e che non possono attendere finanziamenti esterni né beneplaciti o compiacenze da parte di una Regione che talvolta sembra essere carente nel mantenere un saldo contatto con parte del suo territorio.

L’Università in Città o la Città universitaria deve fondarsi su una continuità urbanistica tra Ateneo e Città, su una reciproca accettazione di valori e di prospettive, su un impegno comune per migliorare la qualità della vita non solo degli studenti e dei professori ma anche dei cittadini. Le scelte, anche le più minute, fatte dall’Università in relazione agli orari, agli spazi, alla mobilità, ai servizi, ricadono immediatamente sulla città.

Se si escludono le Facoltà che hanno specifiche esigenze di un inserimento in un ambiente naturale aperto, ci si deve battere per la polarizzazione dei siti universitari, per favorire la piena utilizzazione delle strutture, la realizzazione di campus per consentire la nascita di una vera comunità di studenti e docenti. Sotto questo profilo, ripensare ai tempi del lavoro e dello studio dentro l’università può costituire un input per il rilancio stesso della vita urbana. Un buon esempio in tal senso è dato dall’allungamento dell’orario di apertura della biblioteca Pigliaru.

Il mondo della politica e dell’impresa deve allearsi con l’Università, nel rispetto dei ruoli e delle diverse competenze. L’Università con tanti suoi autorevolissimi esponenti si deve collegare con il sistema delle autonomie locali, con le città della Sardegna e con le Province; più ancora con le autonomie funzionali, come con la Camera di Commercio, le organizzazioni sindacali, le associazioni imprenditoriali, gli ordini professionali, le banche, la Fondazione Banco di Sardegna, gli altri organismi pubblici capaci di partecipare efficacemente alla programmazione comune, anche attraverso lo strumento di una Conferenza periodica degli Enti e delle Imprese.

L’Università non è una monade autoreferenziale, bensì è il valore aggiunto di un territorio che ha assoluta necessità di svilupparsi, un interlocutore fondamentale per le istituzioni che vogliano avviare nuovi percorsi di crescita, per l’economia e la piena occupazione in nuove filiere, sulla base di nuovi modelli di sviluppo. I corsi universitari, i master e le scuole di dottorato possono svolgersi in accordo con il sistema delle autonomie locali, attraverso cofinanziamenti mirati.

Le stesse ricerche che si svolgono entro l’Università debbono assumere una visibilità maggiore e rendere fertile il territorio che ci accoglie, con l’incremento dei brevetti. L’autonomia universitaria deve essere intesa come processo critico e non come acquisizione per sempre, in un continuo confronto interno e con le realtà circostanti.

Innanzi tutto si deve costruire un rapporto trasparente con il territorio, poiché l’Università deve sentire il dovere di giustificare e difendere pubblicamente le proprie scelte strategiche, ad esempio sul piano urbanistico, ma anche sull’organizzazione interna, sulle strutture didattiche, sul decentramento.

Anche la città deve crescere più velocemente e sentire la responsabilità di ospitare una prestigiosa università, estendendo le sue offerte culturali, ampliando e qualificando la rete dei musei, con concerti, spettacoli, offerte culturali e con una elevazione della qualità della vita e degli incontri sociali, trasformandosi in un sistema urbano eco-sostenibile.

L’Università deve rompere le forme di isolamento e il Rettore, con la partecipazione delle Facoltà interessate, deve attivare forme di collaborazione con il sistema delle autonomie locali e funzionali (non solo della Sardegna nord-occidentale) per dar vita ad appositi percorsi formativi (come, per esempio, i corsi-concorso) che, nel più rigoroso rispetto dell’imparzialità amministrativa, contribuiscano alla formazione di personale in possesso delle necessarie competenze professionali.

Questo processo richiede una notevole capacità organizzativa, la consapevolezza che occorre fare sistema ed il conseguente coinvolgimento di più attori, prime tra tutte le amministrazioni locali (che debbono sentirsi protagoniste delle iniziative), delle autonomie funzionali (tra le quali la Camera di commercio e la società di gestione di porti e aeroporti) e della Regione Sarda, alla quale devono essere richiesti i finanziamenti necessari alla realizzazione dei progetti.




09. La Regione Autonoma.

Il Consiglio Regionale ha istituito con la legge 26/96 il fondo unico per le Università, promuove l’internazionalizzazione del sistema universitario finanziando i visiting professors, gli scambi ERASMUS ed il Master & Back; sostiene le scuole di specializzazione ed il rientro di studiosi, programma nell’Intesa con l’Università politiche di forte modernizzazione, di integrazione e di sviluppo; finanzia i progetti di ricerca e le borse per giovani ricercatori.

Credo che l’Ateneo meriti ancor più attenzione e debba rivendicare orgogliosamente l’autonomia universitaria dal potere politico, su temi della didattica, della ricerca, dello sviluppo edilizio: occorre avere la capacità di confrontarsi, resistere ed opporsi quando le scelte sono sbagliate, ribadire la libertà della ricerca di base e applicata, umanistica e scientifico-sperimentale. Ma non possiamo attestarci solo sulla difensiva e dobbiamo chiederci quale ruolo possa svolgere l’Università per interagire positivamente con le politiche regionali che tendano a dominare l’attuale crisi del sistema economico e sociale della Sardegna: l’Università deve porsi al servizio dell’Isola con idee, ricerche, tecnologie, responsabilità, valorizzando l’identità locale e contribuendo alla crescita delle strutture produttive, all’interno del circuito virtuoso della nuova economia della conoscenza, con attenzione al capitale fisico, al capitale sociale ed al capitale umano.

La Regione Autonoma mette in campo, in questi momenti di crisi, consistenti risorse finanziarie nell’ambito dei fondi strutturali europei e dei Fondi FAS per le aree sottoutilizzate; ma il rapporto tra Università e Regione non può limitarsi ad un rapporto a sportello, di una Università questuante che attinge a risorse pubbliche senza rendere conto dei risultati. Pur proiettata in un orizzonte internazionale e mediterraneo, l’Università di Sassari non rinnega il proprio radicamento locale e si batte per la nascita di un sistema regionale integrato, che veda lo sviluppo di una sinergia con pari dignità con l’Università di Cagliari, per quanto il rapporto di prossimità non possa oscurare il quadro di un impegno più alto ed ambizioso: utile appare un confronto tra i due atenei isolani intorno all’offerta formativa, all’università diffusa, alla definizione di programmi integrati.

Si tenderà così a migliorare il sistema, che comunque è fondato su una sana competizione tra le due principali realtà formative della nostra Isola e che deve partire dal riconoscimento di due Università storicamente distinte che operano con strategie proprie per quanto coordinate tra loro e convergenti. La logica di sistema sarebbe particolarmente utile anche allo scopo di evitare l’emarginazione di una delle due Università e ridare peso al Nord Sardegna attraverso azioni cooperative e competitive, evitando scorciatoie di comodo come quella del Politecnico o altre formule scintillanti ma debolissime.

Infine, un confronto a tutto campo può essere utile per far conoscere i punti di forza dell’Università di Sassari, per aumentare il rispetto nei confronti dei comportamenti virtuosi, per fare una vera e propria campagna di immagine che dia il giusto peso alle tante novità e positività che stanno maturando.

Dobbiamo interpretare il nuovo federalismo accademico, respingendo ogni modello gerarchico per il sistema universitario della Sardegna: questa strada aggraverebbe le attuali politiche di polarizzazione della popolazione, della ricerca, delle risorse grazie alla potenza demografica di Cagliari; viceversa intendiamo affermare un modello di università a rete, con condizioni di sviluppo paritetiche, significative specializzazioni e proiezioni verso l’esterno, grazie ad una forte mobilità internazionale che combatta una centralizzazione locale.

Chi ha avuto modo di assistere ai duri confronti con l’ex Presidente della Giunta Regionale conosce la determinazione con la quale ho difeso in passato l’autonomia e il prestigio dell’Università, contro forme di dipendenza e di ossequio assolutamente pericolose: l’interesse della Regione non può essere un’interferenza momentanea, bensì un’occasione preziosa di riflessione e di crescita, un salutare stimolo esterno, capace di far superare antiche pigrizie mentali. Più ancora non possiamo farci emarginare dalle scelte regionali più significative, per quanto Sassari sia lontana dal “centro” del potere politico. Del resto, un confronto con la classe politica è necessario per definire strategie di sviluppo dell’Università e del territorio, basate sulla convergenza della programmazione.

L’Università deve arrivare rapidamente alla firma di una nuova Intesa che preveda, tra l’altro, consistenti investimenti orientati sugli obiettivi strategici di medio e lungo termine nel campo dell’alta formazione e della ricerca: dunque i criteri per stabilizzare i corsi di laurea fuori sede, l’internazionalizzazione del sistema universitario (visiting professors in particolare visite lunghe e soggiorni brevi con bando internazionale, attrazione di studenti stranieri, corsi di insegnamento specialistici delle diverse discipline in lingua inglese ecc.), la formazione permanente (con impiego delle risorse del FSE) per master, corsi di aggiornamento, biblioteche, archivi, musei, servizi, politiche della ricerca, i finanziamenti per l’allestimento tecnologico legato alla didattica, i processi di certificazione e accreditamento, la residenzialità, il campus, la qualità ambientale dell’Università e delle residenze, l’integrazione tra Città e studenti, con una rivitalizzazione del centro storico.

Occorre ripensare gli storici rapporti tra i due atenei regionali, tradizionalmente polarizzati da un punto di vista disciplinare, con una visione moderna ed internazionale del ruolo e della funzione universitaria. In questo quadro sono tre gli obiettivi importanti a cui dobbiamo puntare per arrivare ad un sistema universitario regionale: – investimenti per una moderna dotazione infrastrutturale che consenta di rafforzare le identità dei due atenei sardi, in grado di accogliere presso i due poli, studenti e docenti provenienti dalla Sardegna, dalla penisola e dall’estero; – definizione di meccanismi “competitivi” che stimolino, all’interno dei singoli atenei, politiche di eccellenza nella ricerca, di trasferimento tecnologico e di interscambio culturale; – ripensamento delle modalità organizzative dei singoli atenei, mirate allo sviluppo di processi di insegnamento e apprendimento integrati, che sfruttino in modo adeguato ed organico i diversi linguaggi per la comunicazione del sapere.

L’utilizzazione di tecniche telematiche deve essere riconsiderato in una chiave meno alternativa e più complementare rispetto al sistema tradizionale. La mobilità di docenti e studenti passa anche attraverso interventi incisivi della Regione Autonoma a favore degli aeroporti della Sardegna settentrionale, dei porti, dei trasporti, delle comunicazioni interne, della viabilità stradale e ferroviaria, allo scopo di abbattere le rigidità dell’insularità.




08. Altri obiettivi.

La madre di tutte le battaglie sarà l’impegno per combattere il provincialismo, abbattere gli steccati, aprire l’Università ad uno scenario europeo ed internazionale (anche attraverso la nomina di un apposito delegato), evitando l’autoreferenzialità e puntando sulla qualità, per rendere l’Ateneo competitivo sotto il profilo scientifico e organizzativo.

Occorre però migliorare i servizi agli studenti, far nascere un sistema informativo che faciliti la pianificazione delle risorse da un punto di vista sia finanziario che economico, garantire l’efficienza allo stesso modo dell’Amministrazione centrale e periferica, allo scopo di combattere l’appesantimento burocratico e semplificare le procedure: chi mi conosce sa che obiettivo principale della mia azione è sempre stato quello di trovare in modo pragmatico delle risposte efficaci a problemi complessi.

L’amministrazione deve sostenere quanti sono direttamente impegnati nell’attività di ricerca e apportano un contributo in termini di risorse finanziarie e di qualità dei risultati scientifici: dunque occorre valorizzare l’autonomia dei Dipartimenti e la creatività dei singoli ricercatori e insieme la valutazione e la responsabilità. Non si tratta evidentemente solo di una questione di assunzioni di personale né tantomeno di eludere le norme, bensì di uniformare e semplificare il più possibile i processi adeguandoci alle norme europee, per garantire una più rapida ed efficiente operatività nell’utilizzazione delle risorse: sui docenti troppo spesso ricadono gli oneri di reperire i finanziamenti, predisporre i progetti, occuparsi di rendicontazioni e soprattutto svolgere complesse attività che nulla hanno a che fare con la ricerca.




07. Correggere i limiti del nostro Ateneo.

Sulla valutazione dei risultati ottenuti in questi anni esistono molti pregiudizi che non tengono conto dei successi conseguiti da un Ateneo che registra dei limiti ma anche molte eccellenze. Sono persuaso che il limite più vistoso sia il bacino locale di utenza, così come lo scarso numero di studenti che provengono da altre province, da altre regioni, da altre nazioni.

Dunque l’attrattività (che attualmente non supera l’1% degli iscritti), fortemente condizionata dall’insularità, che pure non impedisce al 20% degli studenti sardi di iscriversi in altre università, in una diaspora che dobbiamo analizzare per evitare che vada collegata ad una cattiva reputazione dell’Ateneo in alcune aree: per attirare studenti da altre sedi è necessario acquisire docenti di fama internazionale, ma soprattutto garantire servizi competitivi, promuovere forti investimenti, chiedere alla Regione di mantenere l’impegno per la nascita di un Collegio mediterraneo.

Mi propongo di istituire un numero progressivamente crescente di borse per accogliere studenti stranieri, che dovrebbero essere esentati dalle tasse. Il Ministero ha fissato ora gli indicatori per valutare i risultati nella didattica e finalizzare i corsi di laurea al mercato del lavoro: dobbiamo rispondere con rigore e puntuale verifica dei dati, combattendo il localismo e costruendo le basi per un futuro migliore, raggiungendo standard qualitativi di livello nazionale e internazionale.

L’Ateneo deve trovare un equilibrio tra le spese per il personale docente e quelle per il personale tecnico amministrativo; deve rientrare rapidamente sotto il limite del 90% nel rapporto tra stipendi e Fondo di Funzionamento Ordinario: le assunzioni debbono collocarsi in una politica di razionale impiego delle risorse che provengono per la gran parte dallo Stato, con una copertura dei settori scientifici disciplinari carenti, quelli in particolare di base e caratterizzanti e quelli più innovativi.

Infine, credo che dobbiamo superare alcuni limiti dell’offerta didattica, con un allargamento delle discipline tecniche, informatica, matematica, fisica, lingue straniere; con un riposizionamento delle lauree in ambito umanistico finalizzate a raccogliere i nuovi campi che si aprono (ad esempio la formazione degli anziani), con un ruolo profetico e previdente.




06. Le priorità.

Fissare le priorità degli interventi, le urgenze, il quadro di riferimento e la scala dei valori è certamente compito del nuovo Rettore, dei suoi collaboratori e degli organi accademici rinnovati, che – dopo aver ascoltato le diverse componenti dell’Ateneo – dovranno assumere in proprio la responsabilità delle scelte.

A mio modo di vedere l’impegno prioritario deve riguardare la riforma della attività formativa, che deve conoscere un salto di qualità e finirà per coinvolgere tanti giovani, il loro avvenire, le famiglie e l’intero Paese all’interno dello Spazio Europeo per l’Istruzione superiore. E poi, inestricabilmente legate, le politiche reali di promozione e sostegno della ricerca e l’assistenza sanitaria.

Inoltre la riorganizzazione del modello gestionale dell’amministrazione con una estensione delle attività di programmazione e controllo; la totale revisione dello statuto dell’autonomia; l’impegno contro il precariato dei giovani ricercatori; la lotta al localismo, l’adesione ad una nuova metodologia di governo fondata su progetti e programmi.

Sul piano edilizio la priorità sarà certamente la definitiva collocazione della Facoltà di Economia, che dopo 17 anni di vita merita una attenzione puntuale e risolutiva e deve avere al più presto la disponibilità di alcune aule di grandi dimensioni. In attesa di una soluzione definitiva dei problemi edilizi, si deve pensare ad un Piano di intervento immediato. Al momento non sappiamo se la Regione manterrà gli impegni sottoscritti per il Polo Agro-Veterinario di Bonassai oppure abbandonerà il progetto, che non può pesare in nessun modo sulle spalle della sola Università: questa sarebbe stata un’occasione storica per rilanciare l’area vasta di Sassari e più in generale il territorio della Sardegna nord-occidentale facendo leva sulle vocazioni naturali e sulla creazione di poli di qualità che attraggano investimenti e imprenditori.

Ora occorre dare immediate risposte costruendo l’Ospedale Veterinario per l’accreditamento europeo ed le aule di Agraria. Tra le emergenze: il completamento del complesso bionaturalistico di Piandanna, l’aggregazione dell’Università per poli omogenei all’interno della città di Sassari, il nuovo lotto di Farmacia, l’allargamento di Lettere e Lingue, la sinergia con l’ERSU per la realizzazione di campus per favorire la nascita di vere comunità di studenti e docenti, ma anche per la ricerca e l’alta formazione di qualità.

Al di là dell’edilizia occorre però una svolta culturale profonda, è necessario dare spazio ai ricercatori veri che non scompaiano nel confronto internazionale e che siano disposti a investire in una struttura universitaria che li coinvolga davvero nelle decisioni.

Occorre ancora un forte investimento per le strutture informatiche, per incrementare le competenze linguistiche e matematiche degli studenti, per sostenere gli scambi internazionali, per rafforzare la rete di relazioni con le altre università e, insieme, per sostenere l’innovazione e sviluppare la terza missione, estendendo il legame con il territorio, per la difesa dell’ambiente naturale, dei beni culturali, del patrimonio.

Soprattutto potenziare ricerca e didattica mirate ad aspetti innovativi nelle metodologie di approccio alla cultura locale ed all’offerta turistica della Sardegna. Per raggiungere alcuni obiettivi dovremo cogliere le opportunità offerte dai fondi strutturali europei ed è necessario confrontarsi maggiormente con il mondo della politica e dell’impresa.

Tra le priorità è da comprendere anche l’accreditamento europeo della Facoltà di Medicina Veterinaria che riveste carattere di urgenza. Tutte le Facoltà debbono elevare i propri standard formativi a livelli europei.

Non ci debbono essere spazi di esclusione e spazi di privilegio: intendo lavorare per una forte rappresentanza femminile nella Giunta di Ateneo e per un rilancio del Comitato delle Pari opportunità che sia veramente aperto alla realtà che ci circonda, che si batta per il principio di uguaglianza e contro ogni forma di discriminazione, fondata sul genere, la cittadinanza, l’origine etnica o sociale, le opinioni religiose, politiche o di qualsiasi altra natura, il censo, la disabilità, l’età o gli orientamenti sessuali: il Comitato è ormai un organo statutario al quale occorre dare piena dignità per consentirgli di entrare largamente nei temi dell’handicap (in sintonia con la Commissione competente), degli sbocchi professionali per le donne, della tutela di tutte le minoranze, per l’ingresso di studenti stranieri. Più specificamente penso ad una delegata del Rettore responsabile per le politiche e gli studi di genere.

Infine dobbiamo riempire di contenuti efficaci il nuovo ruolo statutario del Garante degli studenti, con una funzione di prestigio e forte rappresentanza.




05. I provvedimenti del Governo sull’Università.

Il taglio di risorse generalizzato ma destinato a colpire soprattutto le Università del Mezzogiorno e della Sardegna, rappresenta a mio avviso un errore grave che speriamo venga presto corretto. In realtà l’Università non è una torre d’avorio ma è una istituzione che fa parte di un sistema unitario con la scuola: sistema che rischia di essere minato dalle fondamenta, se la politica del Governo si limiterà a procedere con tagli indifferenziati, ancor più gravi perché è stato notevolmente aumentato il numero delle Università pubbliche e private in Italia.

Credo però che il tempo che stiamo vivendo sia anche l’occasione per far arrivare al Ministero non solo proteste ma anche proposte positive e credo che noi dobbiamo ripensare alla struttura stessa dell’Università, per trovare forme nuove di gestione, per migliorare la produttività e la qualità dell’alta formazione, per collocarci entro reti internazionali di ricerca.

Il Ministro ha ragione quando denuncia i mali delle Università, in particolare l’eccessivo numero di corsi di laurea, i ritardi, le dispersioni, l’alto numero di fuori corso e soprattutto di studenti inattivi.

Eppure rilancia ora il vecchio e logoro progetto che risale ormai a quasi dieci anni fa di creare Fondazioni universitarie con la partecipazione di enti ed amministrazioni pubbliche e soggetti privati al fine di realizzare l’acquisizione di beni e servizi alle migliori condizioni di mercato, nonché per lo svolgimento di funzioni strumentali e di supporto alla didattica ed alla ricerca: nella nuova formulazione la prospettiva di creare Fondazioni federate regionali appare pericolosa, in contrasto con il principio costituzionale dell’autonomia universitaria, soprattutto in un territorio come quello del Nord Sardegna caratterizzato da una situazione socio-economica del tutto particolare e con scarsa propensione della tradizione imprenditoriale a finanziare la ricerca; del resto la povertà del tessuto economico che ci circonda ha creato una sorta di relativa impermealibità tra università e sistema delle imprese.

Il rischio è quello di costituire un nuovo ente, con direttori generali, dirigenti, responsabili e addetti che aumenterà i costi di gestione ed appesantirà i problemi. Fortunatamente la nostra Università non è nel gruppo di Atenei italiani oberati di debiti, dal momento che in questi anni l’amministrazione è stata accurata, attenta, sostanzialmente sana.

Dunque esistono tutte le premesse perché la scossa del Governo possa innescare un’esplosione positiva, un momento di maggiore impegno e responsabilità.

Occorre migliorare l’aliquota di prelevamento dal Fondo di Funzionamento Ordinario con un innalzamento delle performances dell’Ateneo, utili al fine della riattribuzione delle quote accantonate dal Ministero per la premialità sulla base delle valutazioni effettuate per le prestazioni relative alla qualità dell’offerta formativa e ai risultati dei processi formativi, alla qualità della ricerca scientifica, alla qualità efficacia ed efficienza delle sedi didattiche: particolarmente spinoso è il tema dei risultati della didattica, che rischiano di penalizzare drammaticamente il nostro Ateneo sul piano finanziario, perché la produttività certificata è insufficiente.

L’Università non deve subire le iniziative ministeriali, ma deve ripensare a se stessa con un forte progetto fondato su una visione strategica, capace di modificare in profondità anche l’ambiente che ci ospita.




04. Valutazione e libertà.

A me piacciono le sfide e credo che sia giunto il momento di confrontarci sul piano internazionale, in un orizzonte più ampio, con nuove idee, con la capacità di mettere a frutto tutti i talenti che ci sono dati, con strategie innovative condivise, verso una positiva fase di rivitalizzazione e di rilancio.

È il momento di aprire l’Università, fare entrare aria nuova, inaugurare le nuove strutture, i nuovi laboratori, i centri di ricerca, operando per creare occasioni per consistenti investimenti, con lo sguardo volto alla multidisciplinarietà come momento essenziale di confronto e di crescita su progetti che coinvolgano più aree dell’Ateneo.

Soprattutto avviare una spinta riformatrice, far crescere la cultura della valutazione, introdurre meccanismi premianti per le Facoltà ed i Dipartimenti più virtuosi, mobilitando gruppi di lavoro per approfondire i problemi e trovare forme nuove di comunicazione all’interno e verso l’esterno. Dobbiamo diventare militanti della programmazione, al fine di definire progetti e obiettivi e attivare azioni per raggiungere risultati efficaci.

E ciò può avvenire solo con un lavoro di gruppo nel quale tutti siano coinvolti: è inevitabile stabilire meccanismi che attribuiscano risorse aggiuntive a quelle Facoltà che abbiano raggiunto performances adeguate e che si siano dimostrate effettivamente solide a livello nazionale. Nel nuovo contesto competitivo in cui ci troveremo ad operare, credo che ognuno di noi (docenti, tecnici, amministrativi, studenti) dovrà impegnarsi con rigore, definendo in primis le strategie che intendiamo adottare, pianificando, programmando e controllando le risorse sempre più scarse, soprattutto in considerazione dei nuovi obiettivi fissati dal Ministero; ma anche puntando su altre alleanze, alla ricerca di nuove risorse attraverso strumenti innovativi (trasferimento tecnologico, prestazioni in conto terzi, spin-off, centri di competenza, laboratori).

Improcrastinabile esigenza è quella di applicare anche alle nostre attività obiettivi di efficienza e di efficacia, estendendo all’interno dell’Ateneo una cultura amministrativo-gestionale che miri ad una visione integrata delle principali aree strategiche dell’Ateneo non solo nel breve, ma anche nel medio e lungo termine. Le priorità da raggiungere sono state più volte evidenziate dal Consiglio di Amministrazione, dal Senato Accademico, dalla Commissione bilancio, dal Nucleo di valutazione.

Tuttavia non si è attuato per intero quel cambiamento invocato da più parti che potrebbe significare una svolta decisiva per l’Ateneo, superando ostacoli e resistenze. Naturalmente cum grano salis, poiché sono convinto anche che occorra riacquisire spazi di libertà di pensiero e di azione, se è vero che il “mestiere” del professore universitario è fondato innanzi tutto sulla fantasia, sulla creatività, sull’imprevisto, al di là dei sistemi più o meno occulti di centralizzazione, di accentramento e di miope controllo burocratico, costruiti a vantaggio di una élite di Università ricche, più esposte al confronto internazionale e più orientate al mercato.

Mi batterò per migliorare la buona reputazione ed il prestigio internazionale del nostro Ateneo, l’accreditamento delle diverse Facoltà, con l’obiettivo di far entrare l’Università di Sassari nelle liste di Shangai, di Taiwan, del Times-Higher Education Supplement e nelle altre graduatorie relative alle migliori università, ultima quella del Comitato Nazionale per la valutazione e del CENSIS: e ciò lavorando sia sul piano della comunicazione ma anche su quello dell’efficienza e dell’efficacia dei nostri investimenti, affrontando a viso aperto le criticità, le diseconomie, le situazioni consolidate di vantaggio.

Occorre allora superare una visione veteroaccademica ed autoreferenziale dell’Università, perseguendo con coraggio l’innovazione e la modernizzazione.




03. Ripartire, verso un forte cambiamento per una profonda innovazione.

Questo programma si pone in una prospettiva di forte cambiamento e di svolta verso nuovi ed inediti scenari, dopo un lungo e fecondo periodo di crescita: sono convinto che Alessandro Maida abbia governato con molto impegno, energia, soprattutto con equilibrio e buon senso difendendo innanzi tutto l’Istituzione. Gli debbo gratitudine per la fiducia che mi ha concesso come suo principale delegato.

Negli ultimi dieci anni l’Università di Sassari è cresciuta moltissimo e ha vissuto una vera e propria rivoluzione, con l’incremento della pianta organica, l’ampio potenziamento delle strutture edilizie compresa la riacquisizione della parte storica del Palazzo centrale dell’Ateneo, gli interventi per la sicurezza, i servizi agli studenti, la ricerca, il Sistema Bibliotecario, i nuovi ordinamenti didattici, le Scuole di dottorato, i rapporti con le Istituzioni, l’apertura al territorio, l’acquisizione di consistenti risorse economiche, un bilancio sano.

Oggi la bufera che l’intero sistema universitario italiano sta attraversando chiede una forte trasformazione del sistema di governo per responsabilizzare tutti i protagonisti, per dare un’accelerazione degli interventi, per sollecitare un’innovazione profonda ed una politica lungimirante che assicurino un rilancio della nostra Università. Tutto il quadro è cambiato profondamente: la globalizzazione e l’economia della conoscenza ci costringono ad un confronto continuo in un mondo sempre più aperto, dove però le specificità locali possono fare la differenza.

Se vogliamo stare al passo, solo un candidato fortemente radicato e con una piena conoscenza dei meccanismi dell’Amministrazione può preservare le tante cose buone fatte in questi anni, salvaguardare i risultati raggiunti dall’Ateneo e soprattutto assicurare orizzonti propizi per il futuro con una prospettiva che consenta di prevedere gli sviluppi delle dinamiche del sistema, riflettendo sulla complessità della missione dell’Ateneo. Intendo allora svolgere un ruolo innovativo e fortemente propositivo proprio mettendo a frutto la mia esperienza. Propongo infatti una rivoluzione copernicana, introducendo un metodo rinnovato, una diffusa forma di responsabilizzazione e di raggiungimento degli obiettivi in seno all’Ateneo.

Il mio programma si pone in una prospettiva di svolta, di autonomia culturale, di analisi critica dei problemi, con una forte e celere spinta riformista, allo scopo di raggiungere obiettivi concreti entro il primo anno di mandato: credo che sia condivisa l’idea che possiamo crescere solo rinnovando profondamente la dirigenza, facendo un salto culturale dentro l’Amministrazione, nei Dipartimenti, nelle Facoltà, dando spazio ai giovani e alle donne, a tutti coloro che abbiano talento e contrastando ogni forma di discriminazione, responsabilizzando efficacemente il personale tecnico e amministrativo, intervenendo sull’amministrazione e sull’organizzazione in funzione di obiettivi precisi e di scelte coraggiose, senza stare ad inseguire unanimismi di facciata. La mia candidatura è stata accompagnata da chiari segnali di svolta per migliorare l’efficienza e le mie parole d’ordine saranno la valorizzazione delle competenze di ciascuno e il merito mediante la valutazione dei risultati.

Il cambiamento deve partire necessariamente dalle regole condivise, per cui l’accesso alle decisioni deve abbracciare in pieno una logica di governance, soprattutto alla luce delle “Linee guida” e del Disegno di legge quadro in materia di organizzazione del sistema universitario. La mia esperienza passata dentro e fuori l’Università, che considero positiva, stimolante e senza ombre, la mia lunga partecipazione alle sedute della CRUI, la dimensione internazionale della mia attività di ricerca ma anche il mio forte radicamento locale possono rappresentare un valore aggiunto, perché per governare una realtà complessa è utile contare su chi ha una conoscenza approfondita della struttura e della sua macchina organizzativa, senza perdere la memoria storica.

Le mie origini da una Facoltà umanistica e il mio saldo legame alla cultura classica mi hanno aiutato ad acquisire una visione generale che mi potrà consentire di farmi carico in modo aperto delle esigenze di tutte le aree, con il senso del limite, la modestia e la semplicità, la voglia di mettermi in discussione, ma anche con la consapevolezza della complessità di funzioni e di esigenze di un Ateneo che non può essere governato come un’azienda. Il quadro nel quale ci muoviamo è dato da una politica di riduzione delle disponibilità economiche per le piccole Università e da una grave crisi economica che tocca prima di tutto la Sardegna: il territorio subisce un processo di desertificazione con la chiusura di impianti, imprese, iniziative di sviluppo. Si riduce il numero degli abitanti anche a causa dell’emigrazione e la popolazione invecchia rapidamente.

Il futuro dei giovani deve essere costruito pensando ad una svolta profonda anche dell’Università, che consenta di recuperare lo svantaggio e combattere la decadenza, superando ogni forma di localismo. Occorre aumentare il numero degli studenti provenienti da altre regioni e altri paesi (specie di area mediterranea), con una nuova configurazione del vertice che passi attraverso le modifiche statutarie, una profonda riforma della dirigenza, la costituzione di una giunta esecutiva di delegati, rappresentativa delle anime dell’Ateneo e la scelta condivisa di un Prorettore che garantisca autorevolezza e stima, creando prestigio.

Nella nomina delle Commissioni rettorali deve prevalere il criterio e la logica della competenza e della responsabilità, anche al di là della separazione in fasce del mondo accademico.




02. Un impegno condiviso

In questo programma elettorale (che non è da intendersi come un libro dei sogni o un elenco di promesse roboanti, ma come il quadro generale per una prospettiva di impegno del Rettore, dei delegati e di tutti gli organi accademici) non posso nascondere i drammatici problemi che abbiamo di fronte, che richiedono esperienza, capacità decisionali, spirito positivo, una chiara visione della missione che si deve portare avanti con riforme coraggiose, con progetti concreti per raccogliere le sfide e rispondere a istanze sempre più complesse.

Anche capacità di ascolto e volontà di capire le posizioni degli altri. Adottare il linguaggio della verità e della cultura significa allora scegliere come metodo e come categoria etica la trasparenza, avere la capacità di leggere con spirito critico la realtà, indicare i mali e proporre soluzioni ai problemi, individuare gli spazi di miglioramento possibili, far leva sulla responsabilità di ciascuno, premiare il merito, costruire insieme una comunità di persone capaci di affrontare il futuro con serenità e senso di compartecipazione, soprattutto con una visione strategica e lungimirante sulla missione dell’Università nel sistema economico e istituzionale della Sardegna.

È necessario avere più idee ed investire di più, avere la capacità prensile di adottare soluzioni positive già indicate efficacemente da altri Atenei in Italia e all’estero; cogliere il buono delle positive esperienze fin qui maturate. Soprattutto valorizzare fino in fondo il senso di un patrimonio comune da difendere, in Sardegna, a Sassari, nelle sedi gemmate, in ciascuna Facoltà, in ciascun Dipartimento, in ciascun Centro di ricerca, in ciascun laboratorio, in ciascun ufficio: la mia professione di storico obbliga a misurarmi con chi ci ha preceduto con rispetto e con attenzione.

Per il futuro rimane il senso profondo della complessità dei problemi e di una sostanziale inadeguatezza delle singole persone e delle formule magiche, senza uno sforzo collettivo di tutti coloro che sono impegnati nell’istituzione universitaria con purezza di intenti e reale volontà di cambiamento, verso il rafforzamento di quella che considero una grande Università europea proiettata sempre di più in una dimensione internazionale.

Sempre con uno stato d’animo positivo e massimo rispetto per le opinioni di tutti, con la volontà anche di difendere la dignità di una professione che amiamo, il privilegio di occuparci a tempo pieno delle nostre curiosità, delle nostre passioni, dei nostri traguardi, di coinvolgere i nostri studenti, di metterci al servizio di chi ha bisogno di noi.