21. Pianificazione, organizzazione e controllo di gestione.

Si deve pervenire rapidamente all’elaborazione di un piano strategico di Ateneo allo scopo di offrire una visione generale sullo stato dell’Università di Sassari e di definire le azioni di cambiamento per il prossimo triennio, indirizzate a definire specificità e differenze, a migliorare la capacità di autofinanziamento e l’efficienza, a garantire la qualità della didattica e della ricerca, ad aumentare il numero degli studenti stranieri ed i laureati in Sardegna, a sostenere gli studenti meritevoli che versino in condizioni economiche disagiate, a sviluppare la missione a favore del tessuto economico e sociale.

Il processo di programmazione si deve rafforzare soprattutto con riferimento alle strutture periferiche, adottando un reale meccanismo di budget ed adeguati sistemi di controllo della gestione e valutazione a livello centrale e periferico, con una forte trasparenza sulle reali disponibilità di bilancio; l’obiettivo è quello di pervenire ad una riorganizzazione dei servizi, ad una nuova contabilità, alla stesura di un Piano dei sistemi. Occorre riconoscere il ruolo programmatorio degli organi accademici in particolare del Senato e del Consiglio di Amministrazione.

Il governo dell’Ateneo deve essere affiancato adeguatamente da un ufficio di supporto, dotato di specifiche competenze e responsabilità, che risponda ai principi della programmazione, del controllo di gestione per misurare l’efficacia dei processi, del monitoraggio, della rendicontazione, della trasparenza e della valutazione.

Il processo di programmazione deve essere indirizzato a sostenere le performances dell’Ateneo sul piano dei 21 indicatori ministeriali, con un costante monitoraggio dei risultati e del peso delle singole Facoltà, se si vuole ottenere un incremento della competitività dell’Ateneo nella didattica e nella ricerca e si vuole diffondere la cultura della valutazione capace di eliminare le sacche di inefficienza.

Occorre arrivare ad una razionalizzazione complessiva delle attività miranti ad accrescere l’efficienza ed economicità della gestione e ad eliminare eventuali sprechi, diseconomie e inefficienze.

Si deve avviare un dibattito sulla governance, per far assumere al Consiglio di Amministrazione un ruolo di programmazione adeguato alle responsabilità finanziarie connesse e insieme promuovere un coordinamento tra organi, Senato, Consulta, Consiglio di Amministrazione, al fine di identificare la missione da raggiungere, favorendo il dialogo, indicando una linea politica che consenta di varare un progetto di cambiamento ed un’ottica rinnovata, in una sinergia adeguata ai gravi problemi che si prospettano.

Non si può rimandare la creazione di un’unità organizzativa che garantisca la massima integrazione e condivisione di informazioni tra la contabilità e gli strumenti di pianificazione, sia in fase preventiva che in fase consuntiva, che possa fornire agli organi di governo uno strumento evoluto di analisi e reportistica e supportando il processo di controllo di gestione, di analisi dei processi e di simulazione del costo e dello sviluppo delle risorse umane.

Occorre offrire la massima integrazione e condivisione delle informazioni tra la contabilità e gli strumenti di pianificazione e controllo, creando un punto di riferimento unitario per tutto l’Ateneo (Amministrazione centrale, Dipartimenti, organi di governo e personale docente), che consenta il supporto sia alla pianificazione strategica che a quella operativa.

L’ottica deve essere non solo annuale ma soprattutto pluriennale, in maniera tale che il raggiungimento dei risultati possa essere rivisto ed eventalmente corretto.




20. Il personale tecnico amministrativo.

Ritengo che il personale tecnico e amministrativo costituisca parte importante dell’Ateneo e sarei felice se partecipasse anche al dibattito elettorale con proposte, osservazioni, indicazioni operative, che certamente saranno utilissime per impostare un lavoro che dovrebbe essere espressione condivisa di una comunità da costruire, verso una stagione di relazioni sindacali non conflittuali ma positive anche a livello di RSU: penso alla nascita di un sistema di relazioni sindacali stabile, improntato alla correttezza e trasparenza dei comportamenti delle parti, orientato alla prevenzione dei conflitti, in grado di favorire un’efficace collaborazione al fine del raggiungimento di obiettivi condivisi.

Occorre essere consapevoli della complessità della macchina universitaria ed avviare nell’Amministrazione processi di innovazione, riforma e valorizzazione delle risorse umane e delle professionalità, combattendo disfunzioni e ritardi e riducendo il contenzioso.

Credo sia utile definire la dotazione organica ed una vera e propria pianta organica, procedere con un progetto di nuova struttura dirigenziale, alla quale affidare una puntuale verifica delle esigenze dei Dipartimenti, delle Facoltà e dell’Amministrazione centrale, cogliendo tutte le occasioni per rispondere ai bisogni reali anche attraverso assunzioni a tempo determinato; è necessario rivedere il carico di lavoro per ottenere una più razionale distribuzione del personale nelle strutture ed una più equa ripartizione del lavoro, perché la valutazione dei singoli discende anche dalle funzioni degli uffici.

Si debbono offrire opportunità di progressioni di carriera ma anche pretendere responsabilità e impegno, indicando a ciascuno gli obiettivi da raggiungere, premiando poi professionalità e merito e facendo crescere tutti i dipendenti, evitando graduatorie costruite solo sulla carta ma entrando nel merito dei risultati raggiunti.

Il personale deve essere ridistribuito, sulla base di una indagine conoscitiva che può essere la premessa per favorire una mobilità tra amministrazione centrale e periferia.

L’organico deve essere ampliato adeguatamente e si deve pervenire ad una completa riorganizzazione degli uffici, con programmazione della mobilità, innovazione e sperimentazione gestionale basata sulle responsabilità, nel rispetto della professionalità acquisita.

La nuova organizzazione del lavoro deve essere frutto di un nuovo modello di gestione delle risorse umane che parta dal riconoscimento delle competenze, da una equa distribuzione delle indennità e dalle prospettive di crescita professionale. Un capitolo importante è quello del confronto relativo al personale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria che opera nella Facoltà di Medicina e Chirurgia e che interagisce col personale universitario ed al quale si applica lo stesso Contratto: Rettore e RSU dovranno rapportarsi efficacemente col Direttore Generale entro l’AOU.

La struttura amministrativa deve essere flessibile e deve organizzarsi in funzione degli obiettivi, secondo principi di economicità, di efficienza e di efficacia.

Nell’ambito del Contratto nazionale del pubblico impiego, mi impegno per una riorganizzazione della struttura amministrativa e tecnica, attraverso una modernizzazione della strumentazione informatica, un potenziamento dell’organico dopo la storica contrazione dell’ultimo decennio, il varo di una programmazione triennale che preveda un congruo numero di assunzioni a tempo indeterminato di PTA, l’impiego di strumenti di formazione, aggiornamento e riqualificazione del personale.

Parlo ovviamente di formazione certificata e pertinente, la sola che dovrebbe essere valutata in futuro. Infine l’uso di tutte le possibili leve promozionali previste dalle normative vigenti, l’incentivazione attraverso tutte le forme previste dal Contratto Collettivo nazionale di lavoro, in merito alla mobilità verticale, alla mobilità orizzontale, al salario accessorio, che andrebbe sfoltito dalla giungla di indennità differenti (concentrandosi preferibilmente sull’indennità di responsabilità, sulla retribuzione di posizione e di risultato del personale EP).

Temi sui quali si rende necessaria una nuova regolamentazione d’intesa con le rappresentanze sindacali. Penso a corsi di formazione e di aggiornamento veramente mirati alla professione, tenuti a costi ridotti da professori del nostro Ateneo competenti e motivati.

Più in generale occorre investire risorse per completare il programma di formazione del personale tecnico che opera nei laboratori scientifici dell’Ateneo, nell’ambito di un sistema di aggiornamento professionale continuo, integrato e pertinente rispetto all’attività svolta e coerente con le effettive esigenze della struttura di afferenza: parlo di campi di intervento che vanno dal chimico-ambientale all’agroalimentare, al tossicologico-clinico, al microbiologico, al biotecnologico, alle tecnologie dei Beni Culturali.

La prossima discussione sulla bozza di regolamento per l’organizzazione del personale deve essere l’occasione per creare un consenso sui criteri generali ai quali ispirarsi: occorre sviluppare un clima di fiducia che consenta una franca discussione tra parte pubblica e parte sindacale nei diversi tavoli tecnici, nella distinzione dei ruoli e delle responsabilità, e in un franco rapporto con il Direttore Amministrativo e direttamente col Rettore al fine di stabilire rapporti sindacali costruttivi improntando il rapporto a principi di correttezza, buona fede e trasparenza dei comportamenti.

Occorre rendere la contrattazione decentrata un momento fervido di confronto, senza formalismi, schermaglie e inutili contrasti, senza limitare la discussione, promuovere l’innovazione e la nascita di nuovi modelli organizzativi, garantire un sistema di valutazione dei risultati e del conseguimento degli obiettivi non discrezionale (dando operatività al programma informatico già disponibile), in pieno accordo con il Contratto, che prevede le forme della contrattazione collettiva, l’informazione preventiva e successiva, la concertazione, la consultazione, l’interpretazione autentica delle norme contrattuali, anche per tutelare efficacemente il personale che non è iscritto ad un sindacato.

Non si deve ipotecare il futuro, ma motivare adeguatamente i giovani e creare tutte le opportunità di riscatto e gli stimoli tramite incentivi per quel personale che si sente sottoutilizzato, mortificato nella propria professionalità, desideroso di nuove prospettive, fondate sul recupero di un orgoglio professionale.

Insieme richiamare rigidamente il rispetto degli obblighi per i dipendenti, che sono tenuti a garantire l’imparzialità dell’attività amministrativa, ad anteporre il rispetto della legge e l’interesse pubblico agli interessi privati, ad instaurare rapporti di fiducia e collaborazione tra l’Università e gli studenti, a garantire il rispetto del segreto d’ufficio, l’orario di lavoro, un impegno efficace di collaborazione con i dirigenti, a evitare rigorosamente negligenze, comportamenti denigratori e vessatori, molestie.

La discussione sul nuovo Regolamento deve essere l’occasione per definire meglio le finalità dell’Amministrazione: progressivo miglioramento delle condizioni di lavoro, opportunità di crescita professionale, funzionalità degli uffici, accrescimento dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa e gestione delle risorse, definizione di un sistema condiviso di attribuzione di incarichi comportanti particolari responsabilità gestionali con trattamento economico accessorio, programmazione della chiusura estiva di uffici e servizi, ferie.

Nello specifico penso ad una riflessione per la nascita di un’organizzazione divisionale, rivendendo i processi e le competenze, aumentando la flessibilità, per garantire libertà di movimento tra uffici, per una semplificazione delle procedure e un aumento della responsabilità.

Penso ad un calcolo del monte del salario accessorio che superi la scarsità di risorse, recuperi i residui degli anni precedenti e interpreti con efficacia lo spirito delle norme contrattuali, utilizzando anche gli utili delle prestazioni a pagamento.

Occorre una valutazione equilibrata, rispettosa delle conoscenze ma soprattutto delle competenze, che introduca ad una effettiva politica di promozione delle eccellenze e delle professionalità più significative.

Inoltre occorre che i dipendenti dell’Università di Sassari possano godere di trattamenti almeno analoghi a quelli di altre università vicine, grazie a politiche che siano fondate su coraggiosi investimenti, riconoscimenti personali ed economici, rigoroso accertamento delle capacità.

Gli uffici amministrativi debbono modernizzarsi, assumere sia a livello centrale che periferico precise responsabilità, per osare di più, svolgere ruoli di efficace sostegno, di proposta e di progetto. Accanto agli uffici tradizionali di servizio e di supporto dovranno essere sostenuti ed incentivati gli uffici che fanno sviluppo.

Occorre ridurre i troppi procedimenti ed i troppi processi che appesantiscono l’amministrazione anche attraverso forme di esternalizzazione.

L’innovazione passa attraverso un processo di formazione ed un maggiore spazio per il mercato elettronico. Verrà sostenuto il CRUS, il Circolo ricreativo del personale universitario, che può essere un prezioso strumento di integrazione e di unità.

Occorre costituire la Consulta del Personale Tecnico Amministrativo che interloquisce periodicamente con le politiche presentate dal Rettore.




19. L’amministrazione e la dirigenza.

Occorre pensare una completa revisione della struttura organizzativa, superando l’eccessiva parcellizzazione delle articolazioni interne, secondo un modello organizzativo e funzionale più agile, a Dipartimenti, ormai ampiamente condiviso da numerose istituzioni accademiche sulla base delle funzioni, dei servizi e degli strumenti (Affari generali e negoziali, Finanze bilancio programmazione e controllo, Ricerca, Formazione, Personale e gestione delle risorse umane, Infrastrutturazione e gestione del patrimonio edilizio).

Si potrà pervenire alla definizione un numero limitato di centri di servizio, con indipendenza amministrativa, in grado di assicurare servizi fondamentali (biblioteche, piattaforme informatiche e telematiche e diffusione delle conoscenze, ecc.).

La revisione della struttura organizzativa deve partire dal documento dell’ottobre 2006 messo a punto dalla Commissione di Ateneo per l’organizzazione del lavoro, partendo dall’analisi del modello organizzativo attuale, che presenta non pochi punti di debolezza perché è incentrato su una impostazione gerarchico-funzionale secondo una logica di adempimento amministrativo rispetto alle procedure ed alle funzioni piuttosto che sulla responsabilizzazione, la flessibilità, l’efficienza e l’efficacia dei processi produttivi.

Tra i problemi più rilevanti:

  • perdita di controllo al crescere dei livelli gerarchici;
  • sovraccarico della direzione generale;
  • difficoltà di specificare obiettivi che rendano misurabile il contributo delle singole unità al sistema degli obiettivi aziendali;
  • deresponsabilizzazione.

Manca nel nostro Ateneo una pianta organica o se si vuole un organigramma definito esplicito e condiviso. Il rinnovamento atteso tarda ad arrivare. Occorre procedere oltre orientando la struttura organizzativa alla missione dell’Ateneo in materia di formazione e ricerca, al raggiungimento di obiettivi misurabili e controllabili.

Occorre sviluppare le professionalità dell’Ateneo passando dalla concezione tradizionale di amministrazione del personale ad una moderna gestione delle risorse umane, con metodologie adeguate di comunicazione e di motivazione delle persone coerenti con le strategie e gli obiettivi generali dell’Ateneo.

I criteri generali di riferimento sono la missione, gli obiettivi, il rinnovamento della struttura organizzativa orientata ai processi produttivi, il passaggio da una organizzazione gerarchico funzionale ad una organizzazione divisionale che comprenda l’Amministrazione centrale ed i centri con autonomia di bilancio, mentre la Direzione generale deve assumere funzioni specialistiche comuni alle divisioni.

Si deve arrivare ad una netta separazione dei poteri di indirizzo politico dai poteri di gestione finanziaria, amministrativa e tecnica. Si debbono affermare logiche di pianificazione, di programmazione, di innovazione, di controllo di gestione e di valutazione e nuovi modelli di gestione improntati alla sostenibilità e finalizzati al cambiamento; occorre definire processi di lavoro trasparenti per tutti i principali ruoli amministrativi, identificando obiettivi ed indicatori di funzionalità dei processi direttamente legati al riconoscimento di opportunità ed emolumenti aggiuntivi.

Più in generale occorre una deburocratizzazione di tutti i principali processi amministrativi ed una chiara distinzione fra funzioni amministrative e funzioni politiche e strategiche, proteggendo la dirigenza da continue interferenze dei singoli, attribuendo effettivamente le responsabilità di istituto. Sarà pubblicata la carta dei servizi, con indicazione dei rapporti con il pubblico, le procedure standardizzate, i tempi da rispettare per i procedimenti ed il contenzioso, orientando i servivi di tutte le strutture al cliente ed alla qualità.

Occorre potenziare la comunicazione interna ed esterna, far emergere un senso di appartenenza, una forte coesione e organicità del lavoro, migliorando la distribuzione delle competenze tra i vari organi di governo e l’apparato amministrativo, con una nuova organizzazione di gestione e meccanismi di indirizzo e supporto formativo. Ci si aspetta un maggior turn-over nei diversi ruoli e modelli decisionali che partano dai budget, dagli obiettivi, dalle risorse, dai tempi di attuazione.

Occorre ponderare le specializzazioni professionali, i costi di struttura, le relazioni tra divisioni e staff centrale, l’efficiente utilizzo delle risorse. Contemporaneamente va definita la dotazione organica di cui ha bisogno l’organizzazione amministrativa dell’Università, definendo i profili professionali già presenti e, soprattutto, individuando quelli non ancora adeguatamente coperti (informatici, esperti in materia di bilancio, di controllo di gestione-audit e di risorse europee, ad esempio), ma necessari per la costruzione della nuova struttura amministrativa.

Una Università moderna, solida, pluralista, articolata nelle sue diversità ha bisogno di un Direttore Amministrativo (che deve essere più ancora un Direttore Generale) indipendente, rispettoso delle competenze degli organi e dei ruoli, pienamente motivato, consapevole della complessità del sistema e delle proprie specifiche responsabilità, competente in gestione aziendale ma con una buona conoscenza delle peculiarità del mondo universitario, con riconosciute capacità di coordinare il personale amministrativo, tecnico e dirigenziale e seguire adeguatamente l’organizzazione del lavoro.

Obiettivo principale dell’azione del Direttore Amministrativo, che dovrebbe essere assunto con contratto della durata minima prevista dalle direttive ministeriali, sarà quello di concentrarsi nel dare efficienza alla macchina amministrativa, verificando la realizzazione degli obiettivi fissati dal Consiglio di Amministrazione, dal Senato, dalla Giunta, che manterranno viceversa il ruolo politico strategico della programmazione e della valutazione finale.

Ritengo assolutamente necessario arrivare ad un profondo rinnovamento dei ruoli dirigenziali con nuove responsabilità manageriali, con adozione di pratiche di lavoro basate su obiettivi e su risultati, con l’adozione di un sistema di valutazione delle prestazioni individuali esteso a tutto il personale.

Occorre procedere ad notevole ringiovanimento della dirigenza attraverso una serie di concorsi, ad un cambio generazionale che identifichi le responsabilità e misuri le prestazioni sulla base dei risultati, costituendo una cabina di regia che supporti la direzione amministrativa e la giunta di Ateneo.

Occorre nominare un Vice Direttore ed identificare le macro-aree dirigenziali articolate in Settori e Servizi non prescindendo dall’organizzazione del lavoro, ma a valle di metodi e processi chiaramente definiti per ambiti divisionali, per competenze e funzioni, con responsabilità a cascata. È necessario istituire alcuni uffici nuovi, centralizzando le gare di appalto.

Si deve affrontare il problema delle deleghe ai Vice Dirigenti. L’intera struttura amministrativa deve essere ripensata con lo scopo di consolidare alcune posizioni di elevato livello e dare adeguata dignità ai diversi incarichi, garantendo idee, progettualità, relazioni, più in generale tempi di maturazione delle decisioni che siano immediati ma insieme adeguati alla complessità delle problematiche poste dalla ricerca scientifica e dalla didattica: non può essere accettato che l’Ateneo nel suo complesso subisca ritardi perché l’amministrazione procede con un passo più lento o comunque con una velocità differente rispetto alle diverse équipes di ricerca.

Occorre dare risposte immediate alle esigenze concrete e definire i processi decisionali secondo i principi di sussidiarietà e di semplificazione amministrativa, passando da un modello burocratico-centralista ad un modello regolativo-valutativo fondato sulla valutazione dei risultati. I primi a dover dare l’esempio di impegno e di dedizione dovranno essere i dirigenti. Per risolvere i problemi non è possibile pensare solo ad una politica di risparmi, ma anche ad investimenti coraggiosi.




18. Strategie di sviluppo e gestione delle risorse umane, reclutamento.

Il numero di docenti in servizio è attualmente soddisfacente, tanto che il nostro Ateneo si è collocato al primo posto in Italia per il parametro del c.d. affollamento: il dato va considerato in rapporto alle positive operazioni di chiamate di idonei e con incentivo effettuate negli anni e insieme deve essere messo in rapporto con il consistente turn-over previsto per i prossimi anni, compromesso dal limite del 50% fissato in finanziaria.

Per evitare di essere travolti dalla spirale degli aumenti degli stipendi, non si può immaginare un potenziamento dell’organico ma si deve perseguire un riequilibrio tra le Facoltà, ponendo alla base di tale processo indicatori semplici e coerenti rispetto alle politiche ministeriali.

Allora i concorsi previsti per l’immediato futuro dovranno privilegiare il reclutamento di giovani meritevoli ed un urgente ricambio generazionale, che consenta di far entrare forze nuove ed esperienze conseguite in altre università ed all’estero; si devono correggere gli squilibri disciplinari, garantendo veramente le eccellenze con interventi mirati volti a coprire i requisiti necessari per corsi di studio e scuole di specialità.

I budget delle Facoltà non debbono essere virtuali ma realmente disponibili, con una costante interazione del Senato con il Consiglio di Amministrazione per promuovere aree trasversali, interstiziali, meritevoli, strategiche anche se di ridotte dimensioni.

Occorre lavorare per il ringiovanimento del corpo docente, concedendo solo in casi di provata necessità la deroga per un biennio aggiuntivo e revocando, fatti salvi i diritti acquisiti, il regolamento sui pensionamenti anticipati incentivati con supplenze retribuite con cifre alte; viceversa occorre creare prospettive per i molti studiosi che collaborano, a titolo volontario e in assoluto precariato, sia alla didattica che alla ricerca.

Si deve fare chiarezza sul reclutamento di nuovi ricercatori con concorsi aperti ma tenendo conto dei possibili candidati fra i “non strutturati” di tutti gli Istituti (scientifici ed umanistici) che hanno un curriculum che dimostri la loro maturazione adeguata per ricoprire un tale ruolo e quindi capaci eventualmente di poter dare all’Ateneo, da subito, un ritorno in termini di Fattore di Impatto o di altri parametri oggettivi di valutazione della ricerca; sulla base dell’inventario si possono quindi identificare le aree di ridondanza (ammesso che ce ne siano) e le aree di sofferenza e quindi procedere alla attribuzione dei posti in numero ed allocazione adeguati.

Le chiamate degli idonei e le progressioni di carriera debbono puntare alla qualità delle scelte, con una rigorosa politica di Facoltà e di Ateneo volta a definire precise priorità, rispondendo alle attese ed ai valori, promuovendo più giustizia ed equità, con un forte impegno che non può non essere altruistico e disinteressato, con azioni mirate anche a sostegno dei più deboli e delle aree in sofferenza, dei settori rimasti orfani, delle discipline trasversali, introducendo forti elementi di competizione meritocratica, di mobilità internazionale, di trasparenza; occorre valutare il rapporto docenti/studenti, la posizione delle singole aree, la disponibilità di budget virtuali delle Facoltà, con un’analisi delle politiche precedenti.

Più in generale, sia a livello di Statuto sia a livello di regolamenti, occorre ridiscutere gli specifici problemi delle diverse fasce (ordinari, associati, ricercatori) e affrontare tematiche trasversali e di integrazione tra fasce.

Il personale docente e tecnico amministrativo rappresenta l’anima del nostro Ateneo.

Un sistema di gestione delle risorse umane che presìdi l’ambito economico, giuridico e professionale può rappresentare il vero fattore di successo di ogni organizzazione ed in particolare in quella universitaria, riconducendo ad un’unica identità i soggetti e le strutture che partecipano a processi diversi nei differenti ambiti funzionali, comunque con pari dignità, in forma democratica e partecipata.

Ultimamente questo processo di identità e di identificazione tende ad appannarsi e molti docenti vedono l’amministrazione come una controparte che non aiuta a risolvere i problemi, ma arriva a crearne artificialmente di nuovi. Occorre garantire la massima efficienza, allo scopo di non perdere occasioni di crescita: occorrono trasparenza, rigore, responsabilità.

I risultati positivi che si ottengono vanno a vantaggio di tutti ed è vitale per l’intero Ateneo garantire un trend di crescita e di sviluppo: ci si attende da tutti una ambizione maggiore, un orizzonte di impegno più alto.

Occorre allora gratificare coloro che desiderano impegnarsi, produrre, lavorare di più, motivarsi meglio. Bisogna affermare un nuovo modello di gestione delle risorse umane che parta dall’individuazione delle effettive competenze professionali del personale, per arrivare ad una realistica organizzazione del lavoro, ad un’attenta programmazione della formazione interna e ad una equa distribuzione delle indennità.

In questo modo sarebbero garantiti sia la crescita professionale che il benessere organizzativo, come previsto dal D.L. n. 165 del 30 marzo 2001 e dalle successive direttive del Dipartimento della Funzione Pubblica. Occorre progettare la nascita di servizi per il personale, come ad esempio la istituzione di un asilo nido per i figli dei dipendenti universitari ma anche per gli studenti che dovessero avere questa esigenza.

E ciò in un’ottica di accoglienza dell’Università, che dovrebbe essere il luogo primario in cui sia possibile abbattere gli ostacoli tra vita privata e vita lavorativa e di studio; l’iniziativa potrebbe godere dei vantaggi fiscali previsti dalla legge per i dipendenti e per l’Azienda.




17. Sedi decentrate.

È noto come molte sedi gemmate, non solo in Sardegna, siano nate sotto la spinta della società civile, che sperava di aprire i territori verso l’esterno, auspicando l’arrivo di studenti e professori da altri paesi: in realtà la nascita dei corsi universitari in alcune realtà ha significato un’ulteriore chiusura, un ripiegamento, una limitazione ed un impoverimento; non sempre le sedi gemmate hanno avuto adeguata stabilità e hanno potuto offrire agli studenti la possibilità di seguire dibattiti e convegni, di fruire di servizi come biblioteche, mense, impianti sportivi; spesso le attività universitarie hanno drenato preziose risorse che sarebbero potute essere meglio orientate verso lo sviluppo.

I risultati fin qui conseguiti nella didattica delocalizzata non sono esenti da ombre e l’immagine stessa delle due Università sarde in qualche caso ne ha risentito pesantemente. Credo che vada ripensata tutta la politica delle gemmazioni, tenendo conto soprattutto che frequentare l’università non si esaurisce nel seguire le lezioni e dare gli esami, soprattutto non può circoscriversi “nel cortile di casa”, se non si vuole morire di provincialismo; deve invece comportare un’esperienza internazionale, aperta e stimolante, inserita in un ambiente vivace e attivo.

C’è un valore aggiunto nel concentrare gli studenti in un’unica sede, in una città come Sassari che sia capace di offrire opportunità di incontri e di occasioni culturali, contribuendo a dare profondità alla vita di professori e studenti.

La stessa presenza di una forte concentrazione di studenti favorisce la socializzazione e l’esperienza di vita universitaria: opportunità che la dislocazione territoriale indebolisce e che le sedi gemmate non sempre possono offrire.

L’Università di Sassari ha notevolmente ridotto in questi anni la presenza nel territorio, sulla base di un processo di razionalizzazione che è stato fortemente voluto dal Senato Accademico: i corsi di Nuoro, Olbia, Oristano (tre della Facoltà di Agraria, uno di Economia, se si porta ad esaurimento il curriculum di Beni culturali) hanno ragione di esistere soltanto nella misura in cui qualificheranno l’offerta formativa e la collegheranno alla ricerca ed alle vocazioni locali, solo se il territorio sarà reso più ricco per la presenza stabile di docenti, laboratori, centri di ricerca.

L’università diffusa non può essere solo lo strumento per intercettare la domanda locale e neppure solo un attrattore di risorse, di attenzioni, di iscritti, di docenze per l’alta formazione: gli interessi locali si debbono incontrare con una prospettiva alta di insegnamento e di ricerca, con una forte residenzialità e con un’alta qualità. Per ottenere risultati significativi occorre che i Consorzi, le Fondazioni, i Comuni, le Province, la Regione garantiscano risorse adeguate agli standard qualitativi necessari, liberando l’Ateneo da qualunque tipo di intervento finanziario per il pagamento delle docenze.

Per il futuro occorre contenere al massimo la politica delle gemmazioni garantendo la piena sostenibilità nel tempo, evitando sprechi, diseconomie e duplicazioni.

Non c’è spazio in Sardegna per nuovi poli universitari al di fuori di Sassari e Cagliari. Per la sede urbana di Alghero, è necessario potenziare la Facoltà di Architettura sostenendo nel suo complesso il polo universitario algherese, integrato con le attività di ricerca di ambito tecnologico localizzate a Porto Conte ricerche: la strada è quella di una forte attenzione per le nuove strutture e per la dimensione internazionale dell’investimento, con un significativo sviluppo sul piano informatico e tecnologico.

Bisogna adottare interventi per assicurare non solo la sopravvivenza ma il rilancio della Facoltà di Architettura in un ambiente culturale aperto e di qualità, con il raggiungimento dei requisiti minimi di docenza, la stabilizzazione del personale tecnico amministrativo, la sicurezza delle risorse messe a disposizione dal Consorzio che stenta a decollare, i nuovi spazi didattici e di ricerca gestiti con il coinvolgimento degli studenti e un rigido controllo telematico degli accessi.

È arrivata anche l’occasione per riflettere sui risultati positivi di UNISOFIA e del Consorzio dell’Università telematica della Sardegna, che meritano un ripensamento complessivo ed un collegamento costante con le iniziative promosse dalle Facoltà nel campo della teledittatica e dall’Ateneo nel settore dell’orientamento e delle attività informatiche, verso una piattaforma digitale comune e-learning.

L’alta formazione non può prescindere da un contatto più stretto con il corpo docente e con i luoghi del sapere (laboratori, biblioteche). Occorre avviare la riconversione delle piattaforme informatiche sviluppate al servizio di politiche rivolte principalmente agli studenti lavoratori ma anche alla generalità degli studenti.




16. Centro Linguistico di Ateneo.

Con l’acquisto e la ristrutturazione dei locali di Via Zanfarino, il Centro Linguistico di Ateneo potrà finalmente riacquistare quegli spazi vitali che gli sono mancati in questi ultimi cinque anni, ma di cui aveva necessità per potersi qualificare stabilmente come centro di studio e di ricerca oltre che di servizi per l’università e l’intero territorio.

Nel corso degli ultimi anni peraltro il Centro ha risposto molto bene alle sempre crescenti richieste di una società in rapida trasformazione, in cui la conoscenza delle lingue straniere assume un ruolo fondamentale per competere alla pari sia con i paesi di area europea, sia con quelli che si affacciano prepotentemente alla ribalta da altri continenti, come l’Asia e l’Africa.

Se il progetto regionale “Sardegna Speaks English”, che in poco meno di due anni ha alfabetizzato o contribuito ad approfondire le competenze linguistiche in lingua inglese di oltre mille studenti – e che nel prossimo biennio potrà intervenire su un numero triplicato di utenti – ha risposto con efficienza alla richiesta di maggiori competenze in inglese, lingua veicolare per eccellenza, non si può ignorare che nuove esigenze sociali ed economiche richiedono con forza un’attenzione maggiore ad altre lingue finora meno frequentate, come il rumeno, il portoghese, l’ungherese e alcune lingue slave e baltiche, oltre che al cinese, al giapponese, all’arabo.

Per gli stessi motivi sarà necessario potenziare l’insegnamento della lingua italiana per stranieri, una disciplina fondamentale per l’istituzione di una o più “Summer Schools” per utenti di altre università consociate, ma anche per fornire un punto di riferimento competente e scientificamente aggiornato a quanti ne potranno fare richiesta per i più svariati motivi: dal soggiorno di studio agli scambi commerciali, dall’immigrazione agli scambi culturali.

Il recupero del laboratorio di produzione dovrà finalmente ritrovare una sua collocazione nei nuovi locali e dovrà permettere la creazione di materiali linguistici originali e di supporti didattici autonomi, di testi di riferimento, documentari visuali e sonori e altri supporti per la didattica che, oltre a fornire strumenti di lavoro costantemente aggiornati, potranno garantire l’autofinanziamento della struttura.

L’accresciuto volume di interventi per fasce molto differenziate di utenti richiederà un rafforzamento sia del personale amministrativo che di quello tecnico (rafforzamento reso necessario anche dalla loro riduzione nel corso degli ultimi anni) e, naturalmente, una politica di sostegno e potenziamento degli esperti linguistici di lingua madre che fino a questo momento, per effetto di una selezione seria e oculata, hanno fornito servizi di qualità in primo luogo agli studenti di tutte le Facoltà.

Se l’Università dovrà incoraggiare inizialmente tale rafforzamento, peraltro, sarà compito successivo del Centro stesso di provvedervi autonomamente con una politica di investimenti. Sarà a questo proposito necessario chiarire con enti pubblici e privati quali delle attività del C.L.A. possano e debbano considerarsi istituzionali e quali invece fornite per conto terzi, in modo da permettere al Centro di poter fornire servizi adeguati per utenze differenziate con un corrispettivo finanziario che gli permetta di lavorare sempre ad alti livelli e con una gestione virtuosa.

Si debbono programmare corsi estivi aperti al territorio.




15. Sistema bibliotecario, Museo della Scienza, Orto Botanico, Azienda Agraria, Archivio.

Dopo i risultati raggiunti, il Sistema bibliotecario di Ateneo deve compiere un ulteriore salto di qualità, finalizzato ad una digitalizzazione di molti materiali, collegandosi con la Biblioteca scientifica regionale.

Occorre consolidare l’assetto del Sistema nella prospettiva di una ulteriore razionalizzazione e aggregazione funzionale e logistica dei servizi erogati in loco dalle Biblioteche specie nell’area Umanistica e in quella di Scienze con la creazione di tre grandi biblioteche di area, presso le Facoltà di Lettere e Lingue, presso la Facoltà di Agraria e presso il complesso bio-naturalistico (terzo lotto).

Intendo aggiornare il Regolamento del Sistema bibliotecario di Ateneo adeguandolo all’esperienza di applicazione e alle esigenze maturate dopo la sua istituzione otto anni fa.

Bisogna motivare e favorire una maggiore partecipazione agli sviluppi del Sistema della componente accademica, specie della ricerca scientifica a cui molti dei servizi erogati dal Sistema sono destinati. Occorre potenziare con adeguate risorse umane e finanziarie i servizi di elevata qualità tecnologica diffusi in rete e a forte valenza aggregante (Catalogo di Ateneo, Sfx, Metalib, Proxy, UnissResearch, ecc.) e pensare allo sviluppo di nuovi servizi: si può procedere con l’allestimento di un Laboratorio di digitalizzazione di materiale antico e raro e di manoscritti degli autori sardi con loro messa a disposizione in rete a libero accesso.

Infine, occorre incrementare, mediante maggiori finanziamenti, la qualità dei contenuti informativi per la didattica e la ricerca (collezioni librarie, banche dati, riviste elettroniche che hanno avuto negli ultimi anni uno straordinario sviluppo) sulla base delle esigenze delle due componenti e delle varie aree disciplinari. Penso ad una riforma che consenta di alleggerire le biblioteche di libri, riviste e collezioni di valore in disuso, magari con la destinazione di un unico edificio da destinare a biblioteca storica. Infine occorre consentire l’accesso ad altre riviste elettroniche e volumi di case editrici per le quali attualmente si ha l’accesso al solo abstract.

Necessario è poi passare alla fase realizzativa del Museo della Scienza e dell’Orto Botanico con le sue aree verdi offerte alla città, prevedendo anche le necessarie dotazioni organiche.

Attenzione specifica sarà dedicata ai laboratori, ai centri ed alle aziende collocate sul territorio: propongo la ricostituzione dell’Azienda Agraria che possa monitorare la conduzione dei campi sperimentali, delle serre, dell’intera infrastruttura, con una rigorosa e trasparente certificazione dei servizi in conto terzi e delle produzioni, con nuovi investimenti dell’Ateneo e precise responsabilità degli amministratori. Infine, l’Archivio storico, l’archivio di deposito e l’Archivio corrente debbono avviarsi ad una completa riorganizzazione.




14. La programmazione dei fondi strutturali europei.

La programmazione dei fondi strutturali europei 2007-2013 ha conosciuto una profonda innovazione, dal momento che non si può più far riferimento ad un documento programmatico unico e sono stati avviati programmi specifici per tematica e grandi segmenti di fondi strutturali. Le priorità di intervento sono indicate dai sette assi: società dell’informazione; inclusione, servizi sociali, istruzione e legalità; energia; ambiente, attrattività naturale, culturale e turismo; sviluppo urbano; competitività.

Ulteriori interventi saranno possibili, in considerazione dell’insularità della Sardegna, anche nei settori delle risorse idriche, rifiuti, trasporti, istruzione, strutture per il turismo, sicurezza, servizi sociali e sanità, infrastrutture per le imprese.

L’Università di Sassari si deve impegnare a presentare proposte, progetti, operazioni da finanziare, nell’ambito degli obiettivi del POR, istituendo adeguate forme di partenariato e valutando preliminarmente l’efficacia delle proposte, l’efficienza attuativa, la qualità progettuale, l’impatto con attività di valutazione operativa e strategica.

L’Università deve essere disponibile a partecipare ai diversi tavoli di partenariato e può entrare autorevolmente in alcune cabine di regia, ma deve essere capace di favorire l’emergere di proposte che obbediscano agli obiettivi strategici della trasversalità e dell’integrazione, definendo target di intervento, monitorando costantemente gli stadi di realizzazione dei programmi.

Particolare interesse rivestono gli investimenti a favore del Distretto tecnologico della Biomedicina, della filiera della Biodiversità e della Produzione agroindustriale di qualità (Piano per la ricerca e l’innovazione); il Distretto tecnologico dell’ICT, il Cluster tecnologico delle energie rinnovabili, la Rete Regionale per l’innovazione, la Biblioteca scientifica regionale, la Rete telematica regionale per la ricerca (Accordo di programma quadro sulla ricerca e l’innovazione).

La Strategia regionale per la ricerca e lo sviluppo tecnologico identifica le seguenti cinque linee: informatica e telecomunicazioni, biotecnologie, sostenibilità ambientale ed energia, settori tradizionali del sughero, lapidei ed inerti, agro-alimentare, chimica ed innovazione tecnologica nel settore dei beni e dell’industria culturale.

Un impegno positivo che deve essere esteso è quello per coordinare i progetti strategici del programma europeo Marittimo (erede del vecchio INTERREG) e per i progetti semplici del programma ENPI-Mediterraneo: le due commissioni svolgeranno una funzione essenziale di coordinamento, di consulenza, di stimolo, d’intesa con il delegato per il VII programma quadro europeo e con l’Ufficio per la ricerca e le relazioni internazionali, che deve crescere enormemente e svilupparsi con una sezione sui progetti europei per sviluppare una sinergia con i proponenti, deve fornire competenze, conoscenze e metodi di gestione e rendicontazione.

L’idea non è quella di una centralizzazione della programmazione, ma di un coordinamento leggero che favorisca la creatività dei Dipartimenti e delle singole équipes di ricerca. Dovremo affrontare i tempi nuovi del “Processo di Lubiana” e della nascita dello Spazio Europeo della Ricerca (ERA 2020) concentrandoci sui grandi temi di ricerca e ponendoci obiettivi realistici e misurabili.

I finanziamenti europei arriveranno non solo se saremo capaci di promuovere l’immagine dell’Ateneo e scrivere i progetti, ma soprattutto se migliorerà la notorietà internazionale e la produttività dei nostri ricercatori: investire in ricerca si può privilegiando innanzi tutto i settori che caratterizzano l’economia della Sardegna (penso al lattiero caseario oggetto di un nostro centro di competenza); ma occorre confrontarci anche con l’economia globale grazie a ricerche mirate e microsettori di eccellenza e sviluppare le relazioni fra produzione e ricerca, facendo un salto di qualità nella formazione, che è lo specifico del nostro essere Università.




13. La ricerca e il trasferimento tecnologico.

Il nodo centrale della ricerca rimangono i Dipartimenti, cuore pulsante dell’Ateneo, che non possono essere emarginati dalla programmazione e dalla catena decisionale, accanto ai Centri interdipartimentali (che debbono estendere la collaborazione interdisciplinare) e ai laboratori progressivamente da razionalizzare: strutture che costituiscono una preziosa risorsa dell’Ateneo e che devono arrivare a coprire tutta la realtà della ricerca. Dobbiamo perseguire la trasversalità, sinergia, conoscenza tra gruppi di ricercatori.

Dentro l’Università sarebbe opportuno organizzare meglio la ricerca, incentivando la collaborazione tra i vari ricercatori superando rivalità e diffidenze, favorire l’utilizzazione comune delle grandi apparecchiature e potenziare i finanziamenti, anche attraverso una immediata informazione, in tempo utile, sulle varie possibilità di accesso ai fondi disponibili.

Per favorire un continuo scambio di informazioni è arrivato il tempo di estendere la Newsletter Arianna e pensare ad altri sistemi di comunicazione per presentare le attività in corso.

Tra i delegati rettorali si impone la presenza di un tecnologo della ricerca e di un economista, capaci di dare una svolta ad un settore in forte sviluppo e trasformazione.

Anche l’Ufficio ricerca deve acquisire managerialità, indipendenza, capacità di stimolo e di proposta, di promozione e di accompagnamento; deve essere di supporto e non pesare sui ricercatori; si deve impegnare a comunicare in tempo reale tutte le opportunità di domande di finanziamento che possano essere rintracciate in rete e sulla stampa, deve assistere i ricercatori nella costituzione di partenariati qualificati e collaborare alla preparazione dei progetti per bandi complessi anche in sede europea.

Penso alla nascita di un Research manager. In questi anni non abbiamo affatto sottovalutato l’importanza della ricerca e dell’innovazione tecnologica e l’intero Ateneo ha potuto fare tantissimi passi in avanti, come testimonia la classifica CIVR soprattutto per alcune aree che si sono distinte a livello nazionale.

Il successivo passo sarà quello di promuovere azioni che portino ad un deciso miglioramento delle performances nella ricerca che non può rimanere dissociata dalla formazione, sostenere le eccellenze ed i settori più produttivi, semplificare la gestione dei progetti e le rendicontazioni, aumentare i finanziamenti esterni, estendere le attività in conto terzi e le prestazioni a pagamento incentivando meglio i protagonisti anche nella valutazione della produttività, accedere alle consistenti risorse europee, nazionali e regionali, potenziare le piattaforme tecnologiche, rinnovare l’anagrafe della ricerca pesando con i nuovi parametri per singola area scientifica i prodotti per assegnare le risorse disponibili a chi effettivamente lavora, concentrandosi in particolare sulle strutture.

E, ancora, rilanciare la valutazione sulla base di parametri oggettivi e dei nuovi indicatori ministeriali di attività scientifica e di ricerca, attribuire risorse aggiuntive ai migliori, avere la capacità di farsi carico di tutti e di recuperare con capacità di ascolto chi è rimasto indietro per assenza di risorse, per mancanza di incentivi e di motivazioni. Infine collegarci di più al sistema produttivo del territorio con l’Industrial Liaison Office e con la Rete Regionale per l’innovazione, confrontarci con la Regione nella Consulta sulla ricerca e nei quattro Comitati tecnici d’area dove siamo ben rappresentati, allo scopo di raccogliere interventi finanziati con le rilevanti risorse della legge regionale della ricerca e dell’Accordo quadro con il Ministero.

Dobbiamo combattere a viso aperto la politica di polarizzazione degli investimenti della ricerca nella Sardegna meridionale, anche se negli ultimi tempi si è aperta con Sardegna Ricerche una finestra di collaborazione che può allargarsi fino a diventare strategica.

Occorre aumentare la disponibilità media di risorse finanziarie per la ricerca scientifica per singolo professore, soprattutto collegandoci con gli Enti esterni, anche se il tessuto imprenditoriale che ci circonda è oggi particolarmente fragile: dunque sosterremo il rilancio di Porto Conte Ricerche, che sta diventando un efficace punto di riferimento per la ricerca universitaria, anche se è ancora lontano dal competere con il polo di Sardegna Ricerche a Pula, che rischia di diventare un pozzo senza fondo nell’assorbire preziose risorse finanziarie. Tramariglio ha alti costi di gestione che sono sostenuti dalla Regione Sarda, ma serve innanzi tutto all’Università, in particolare ad alcune Facoltà, ad alcuni Dipartimenti, ad alcuni Centri di ricerca, con una gestione che appare finalmente ricca di risultati, capace di attrarre imprese e di collegare l’Ateneo al sistema delle PMI ed ai centri di ricerca della Regione come Agris e Laore, infine all’Istituto Zooprofilattico.

Tra qualche anno si porrà il problema del rinnovo della convenzione con la Regione o in alternativa della retrocessione dei locali all’Università, tema che deve essere affrontato valutando esattamente gli sviluppi di una collaborazione che si estende alle produzioni tipiche, alle nanotecnologie, all’imaging molecolare, alla genomica di ambito agro-veterinario, alle Biotecnologie applicate alle produzioni marine.

Si deve promuovere un ulteriore salto di qualità, per trasformare Porto Conte Ricerche in un polo di eccellenza che non solo utilizzi risorse regionali, ma si apra sul piano internazionale e accolga la ricerca universitaria, che si sta concentrando su settori di eccellenza veramente innovativi e di punta. Sarebbe bene che le attività di ricerca che si localizzeranno a Porto Conte con forti investimenti in strumentazioni e laboratori e con una sinergia che coinvolge quasi la metà delle Facoltà dell’Ateneo siano coordinati in un Centro interdipartimentale avente come obiettivo specifico gli aspetti tecnologici, informatici, matematici, adeguatamente autonomo e flessibile, con forte rappresentanza esterna e con capacità di confrontarsi con altri poli di ricerca di analogo livello.

È necessario arrivare alla creazione di un unico soggetto referente per la ricerca, che includa i Direttori di Dipartimento e i Presidenti dei Comitati di area, con il coordinamento da parte di un delegato rettorale.

Dobbiamo costruire le forme per una imparziale valutazione della dimensione dei Centri di ricerca e dei Dipartimenti e delle caratteristiche degli stessi in termini di omogeneità culturale ed adeguatezza delle strutture. La creazione di un centro di spesa finalizzato alla ricerca comporta una valutazione puntuale delle performances e delle prospettive di crescita.

Bisogna implementare la nuova anagrafe delle ricerche che consente la definitiva interconnessione tra i poli di UNISS, UNICA e Sardegna Ricerche, integrando le piattaforme di archiviazione aperta realizzate presso le biblioteche di Sassari e Cagliari e trasferendo in automatico i dati CINECA. Lo scopo è quello di dare migliore visibilità alle attività in corso e si dovrà perseguire l’adozione di un sistema di valutazione della produttività scientifica dei singoli ricercatori e soprattutto dei Dipartimenti, capace di favorire un miglioramento dei risultati della ricerca: tale valutazione, che si affiancherà alla prossima indagine quinquennale del CIVR, sarà affidata a Commissioni scientifiche più rappresentative dei Comitati d’area, che si debbono trasformare in un vero e proprio Consiglio della ricerca.

Occorre ancora definire il peso degli editori, delle riviste con impact factor, delle politiche da premiare, degli strumenti di valutazione e delle ricadute successive in tema di attribuzione di risorse aggiuntive. La valutazione dovrà articolarsi con metodologie differenziare a seconda delle aree e dei settori scientifico-disciplinari, senza semplificazioni o scorciatoie, e non sarà fine a se stessa ma diventerà un punto di riferimento per l’assegnazione di una quota significativa delle dotazioni dei Centri di spesa e delle borse di dottorato, degli assegni di ricerca e dei posti di ricercatore.

È opportuno alleggerire il ruolo di intermediazione degli uffici centrali per qualsiasi genere di contratto che abbia finalità di ricerca, ivi inclusi i progetti PRIN, FIRB, dell’UE. Si devono incentivare, per mezzo di apposito ufficio alle dirette dipendenze della direzione amministrativa, politiche di trasferimento tecnologico, arrivando alla definizione di uno scenario praticabile che tenga conto delle necessità di incubazione di impresa (spin-off, PNICube) e dell’attuale offerta del Parco Scientifico della Sardegna: tra gli spin-off occorre sostenere soprattutto quelli con accentuati contenuti tecnologici, l’Uni-strains per le biotecnologie agro-alimentari, Xeniabiotech per la produzione di proteine, Vis.po, ecc. Si può iniziare a pensare, nell’ambito dell’Associazione incubatori universitari, alla nascita di una struttura di Ateneo specializzata per l’incubazione di impresa, con servizi a favore di imprese che abbiano reali possibilità di sviluppo. Penso alla partecipazione dei nostri colleghi a corsi di perfezionamento in gestione del trasferimento tecnologico.

Occorre aumentare rapidamente il numero degli assegni di ricerca, con attribuzioni alle aree disciplinari inserite nelle tradizioni culturali delle diverse discipline, sempre in una prospettiva di futura occupazione poiché rifiutiamo il principio di aumentare il numero dei precari e fisseremo un tetto per i rinnovi di contratti. Dobbiamo definire i requisiti minimi, scientifici e retributivi, per ricercatori a contratto a tempo determinato italiani e stranieri, con l’obbligo di pubblicizzare i bandi in modo trasparente, ampiamente diffuso e duplice lingua.

Ci si deve battere per lo sviluppo dei Centri di competenza tecnologica (Biologia avanzata, analisi del rischio ambientale, trasporti, agrorisorse, nuove tecnologie per le attività produttive, ICT, biodiversità marina, in un futuro prossimo BB.CC.), perseguire la sinergia con il Consiglio Nazionale delle Ricerche alla vigilia della rinascita dell’area di Li Punti e con gli Enti Regionali.

A fronte della crescente competizione nazionale e internazionale, è necessario muoversi nell’ambito della Carta Europea dei Ricercatori non solo per garantire un’alta capacità scientifica, ma anche per promuovere un’efficiente organizzazione per gestire ingenti finanziamenti e assicurare metodi per amministrare i fondi pubblici in maniera rigorosa, trasparente, mirata: in questo campo il personale amministrativo deve osare di più e deve assumere veramente responsabilità e ruoli da protagonista, sburocratizzandosi e trovando occasioni per valorizzare i talenti.

Intendo lavorare per migliorare la capacità di attrazione delle risorse e per aumentare il tasso di partecipazione ed il tasso di successo del nostro Ateneo nei PRIN dopo la recente riforma che ha portato alla liberalizzazione della quota di Ateneo per i progetti PRIN, sganciata dalle graduatorie di Dipartimento. Occorre aumentare il numero dei coordinatori nazionali finanziati ed il numero dei progetti presentati. Analogo impegno deve essere garantito per i progetti FIRB in particolare quelli per giovani ricercatori. Dobbiamo lavorare per garantire il massimo successo ai progetti di ricerca presentati all’Assessorato alla programmazione della Regione e più in generale per aumentare le fonti esterne di finanziamento della ricerca e la capacità di impegnare risorse proprie, rendendo la spesa più efficiente.

Mi impegno a difendere il Fondo di Ateneo della ricerca dell’ex 60% (magari con un nuovo regolamento che elimini i finanziamenti a pioggia), che considero un prezioso strumento per certificare le ricerche in corso nell’Ateneo. Si deve valutare l’opportunità di ripristinare il contributo di primo impianto capace di incoraggiare l’arrivo di studiosi e sostenere i primi anni di attività. Inoltre mi batterò per migliorare gli indicatori ministeriali che hanno un’immediata incidenza sul Fondo di Funzionamento Ordinario (ad esempio numero delle borse di dottorato), per investire sui giovani in particolare istituendo posti di ricercatore a tempo determinato iunior e senior con forme di selezione trasparenti in questa prima fase di sperimentazione.

Occorre un impegno specifico a favore dei giovani ricercatori in formazione, assegnisti e dottorandi. La prossima indagine CIVR costituirà l’occasione per un bilancio della ricerca in singole aree, con una valutazione quantitativa basata per le riviste su impact factor e banca dati ISI, con dati riferiti ai “ricercatori equivalenti a tempo pieno”, alla mobilità internazionale, ai finanziamenti per la ricerca, alle scuole di dottorato, ai brevetti ed al trasferimento delle conoscenze.

Altro tema cruciale sarà quello della programmazione dei visiting professors e del bando per sostenere il rientro in Sardegna di docenti e ricercatori sardi che abbiano maturato importanti esperienze professionali all’estero. La Legge Finanziaria 2009 impone alle Università l’approvazione di una relazione annuale sulla ricerca, la formazione ed il trasferimento tecnologico in occasione del consuntivo, che sarà un’occasione preziosa per riflettere sui risultati raggiunti dall’Ateneo.

La recente creazione dell’Industrial Liaison Office è solo l’inizio di un processo che dovrà consolidarsi e soprattutto essere più capillare nel territorio, coinvolgendo le varie istituzioni per un rapporto costante Università-impresa: è necessario avanzare rapidamente verso un pieno trasferimento tecnologico che è oggi possibile grazie alla rete, alle caratteristiche del mercato, alle norme sulla proprietà intellettuale. Troppo pochi sono i brevetti registrati, che costituiscono un indicatore prezioso per misurare la produttività del nostro Ateneo; per aumentarne il numero è necessario rivedere il relativo regolamento riducendo gli oneri a carico dei ricercatori.

La rete che si è creata con altri Atenei (Cagliari, Genova, Milano Bicocca) deve rappresentare la prima maglia di un’altra rete che consenta il supporto per lo sviluppo del know-how acquisito nei vari ambiti della ricerca. Il mercato consente di valorizzare adeguatamente i prodotti della ricerca. Il sistema dei premi di produttività non può essere smantellato, ma deve essere regolamentato in modo da distinguere l’impegno dei giovani ricercatori dalle segnalazioni delle eccellenze dei loro maestri; i premi potrebbero essere rappresentati più che dal denaro da nuove opportunità (sostegno alle pubblicazioni, concorsi, assegni di ricerca).

L’Università deve confrontarsi efficacemente con le iniziative della Regione Sardegna in materia di ricerca: rimane aperto il problema del finanziamento del terzo anno degli assegni di ricerca di rientro del Master & Back, mentre le 350 borse di ricerca tra breve assegnate non devono diventare l’occasione per svuotare i laboratori universitari a vantaggio di quelli privati. Infine dobbiamo seguire l’esame dei numerosi progetti di ricerca presentati alla valutazione regionale in ambito di ricerca di base, di ricerca applicata e di ricerca sanitaria.

Tutta la materia deve essere meglio coordinata all’interno della Conferenza permanente dei Direttori di Dipartimento, che dovrà promuovere la V Conferenza di Ateneo sulla ricerca e la III Conferenza degli Assegnisti e dei Dottorandi. I Dipartimenti debbono vedere accolta la richiesta di una razionalizzazione organizzativa dei centri autonomi di spesa, per ridurne la proliferazione ed incrementarne l’efficienza.

Si dovranno esaminare le altre proposte della Conferenza dei Dipartimenti in relazione ai seguenti altri aspetti:

  1. l’attribuzione ai responsabili amministrativi dei Centri di spesa di un insieme di funzioni specialistiche, finalizzate all’ottimizzazione dei risultati, con riguardo soprattutto all’attività istruttoria sotto i profili di legittimità, economicità e copertura finanziaria delle uscite;
  2. il potenziamento dei processi gestionali con l’introduzione delle “linee guida organizzative e di indirizzo amministrativo-gestionale” e l’adozione di un “Manuale di amministrazione” che prevedano accordi quadro per l’approvvigionamento di beni e servizi, la nascita di un servizio accentrato di supporto per i Centri di spesa, la creazione di una “stanza di compensazione delle spese”;
  3. la definizione di un modello organizzativo-gestionale dei Centri di spesa coerente col principio della distinzione dei poteri di indirizzo strategico, politico e di controllo dalle funzioni di gestione e attuazione amministrativo-contabile e con un corretto bilanciamento dei poteri tra il direttore ed il segretario amministrativo;
  4. un sottoinsieme di interventi attuabili rapidamente in materia di standardizzazione delle funzioni, procedimenti amministrativi, utilizzazione di nuovi strumenti di pagamento, missioni;
  5. la nascita di un sistema di controllo di gestione a livello di Centri autonomi di spesa. Tra le proposte per il futuro penso anche ad un ampliamento della visibilità della ricerca con siti Internet di Facoltà, di Dipartimento, di gruppi di ricerca; è necessario stabilire in bilancio un capitolo di spesa per cofinanziare convegni, stampare atti, pubblicare riviste scientifiche con referees internazionali che escano con il logo dell’Ateneo in copertina.

Sarà compito del Rettore, dei Direttori dei Dipartimenti e dei Presidi individuare strumenti e reperire risorse con un confronto serrato con il territorio. Un gruppo di ricercatori precari mi ha suggerito di proporre la nascita a Sassari di un “laboratorio di idee” che, così come avviene in tantissimi altri Atenei italiani e stranieri, avrebbe la finalità di raccordare l’Università con le altre istituzioni ma soprattutto di mantenere nel proprio organico le figure professionali che negli anni si sono formate all’interno delle Facoltà e dei Dipartimenti per offrirle sul mercato delle consulenze, della ricerca e delle conoscenze.

L’Università degli Studi di Sassari potrebbe promuovere un servizio finalizzato a favorire l’incontro tra le conoscenze scientifiche e professionali acquisite nell’ambito di percorsi di formazione accademico-scientifica con il mondo produttivo e del lavoro. I laboratori, presso ogni centro di ricerca o dipartimento, sarebbero costituiti da docenti, professori in pensione, assegnisti, ricercatori, dottorandi, pensati come centri di sviluppo e scambio delle idee e della cultura, di incontro tra l’attività di studio e ricerca accademica e quella esterna della produzione e dei servizi.

La finalità principale sarebbe quella di non disperdere un ricchissimo capitale umano e di conoscenza che l’università ha formato negli anni e che non riesce a inserire, o non può farlo nell’immediato, nelle posizioni di carriera accademica. Per realizzare al meglio questo obiettivo, si dovrebbero sottoscrivere nuove convenzioni fra l’Ateneo e le realtà del mondo lavorativo e imprenditoriale.

Queste convenzioni renderebbero possibile l’attivazione di laboratori per la selezione e lo sviluppo di idee innovative; si offrirebbe la possibilità a tante figure professionali altamente specializzate e formate nell’ambito dell’università, attraverso i corsi di dottorato di ricerca, i master universitari, i partecipanti ai “percorsi di rientro” (Back) della Regione Sardegna, di fornire servizi e supportare le idee maggiormente innovative.




12. Organizzazione della didattica, alta formazione, diritto allo studio e servizi agli studenti.

Nell’ambito della struttura amministrativa dell’Ateneo, deve essere ben chiaro che la missione dell’Università è innanzi tutto orientata verso gli studenti, che colloco veramente al centro di questo programma e più in generale al centro delle azioni di sviluppo promosse dall’istituzione universitaria, soprattutto se la componente studentesca vedrà confermato il valore politico della rappresentanza negli organi accademici per garantire una partecipazione reale degli studenti a tutte le decisioni fondamentali della vita universitaria.

Innanzi tutto, il numero dei giovani che si iscrivono all’università (attualmente in Sardegna il 53% dei 19enni ed il 68% dei maturi) deve essere aumentato e soprattutto deve crescere il numero dei laureati (oggi solo 7 sardi su 100 sono in possesso di laurea): in Italia si laurea il 60% degli immatricolati, a Sassari solo il 45%.

In particolare è basso il numero dei laureati nelle discipline scientifico-sperimentali. La necessità di aumentare il numero dei laureati non è un problema esclusivo dell’Università, ma è una vera e propria emergenza sociale della Sardegna. In merito è urgente aprire un dibattito con gli Enti locali, con la Scuola e con le organizzazioni economiche dell’Isola, perché si studino strategie di intervento per ridurre la dispersone scolastica e gli abbandoni degli studi universitari e perché si sostengano le generazioni più giovani nel proseguimento degli studi.

L’accrescimento formativo dei nostri giovani è la sola base su cui può poggiare un’effettiva economia della conoscenza ed un futuro di sviluppo e di benessere dell’intera società sarda. Il diritto allo studio, al di là delle facili formule propagandistiche, deve essere un’occasione reale per tanti giovani motivati che debbono vedersi garantita una preparazione adeguata agli standard europei nelle scienze matematiche, nelle lingue straniere, nell’informatica, con una alfabetizzazione informatica estesa a tutti gli studenti in corso, anche attraverso il bando per l’assegnazione di PC portatili agli studenti migliori.

Nella nuova università, abbiamo sempre di più necessità di laboratori linguistici decentrati coordinati dal Centro Linguistico di Ateneo, di laboratori informatici, di laboratori scientifici aperti veramente agli studenti e che ricadano sotto la responsabilità di un unico soggetto. Soprattutto occorre riconoscere il ruolo delle Facoltà, con un incremento delle risorse finanziarie e dunque con un riconoscimento di una gestione autonoma efficace e adeguata. Far crescere il numero degli studenti (e soprattutto degli studenti di qualità) e dunque aumentare la dimensione della domanda di servizi formativi, ponendo attenzione al bacino di utenza, è solo il primo obiettivo da conseguire, anche in coincidenza con la crisi demografica che investirà la Sardegna nei prossimi anni: il quadro nel quale ci muoveremo sarà caratterizzato da un forte calo demografico dell’Isola e da un forte invecchiamento della popolazione.

Tutto ciò richiede nuove politiche di formazione al servizio dello sviluppo, nuovi modelli di cittadinanza, attenzione ad un orizzonte che superi la dimensione locale e regionale. Dunque occorre creare strutture flessibili, capaci di sostenere le eccellenze, le attitudini, il talento dei migliori e, insieme, veramente in grado di portare avanti una missione sociale condivisa, sempre più allargata verso fasce sociali fin qui escluse e verso un’utenza proveniente da altre regioni e altri paesi, estendendo le ragioni di una forte motivazione e di un reale impegno.

Ci proponiamo ora di avviare un miglioramento della qualità del vivere degli studenti in uno stimolante clima di fermento culturale e di vivacità intellettuale: ma per arrivare a questo è necessario affrontare i problemi uno per uno, garantire strutture didattiche, di ricerca e sanitarie adeguate e sicure, migliorare i servizi agli studenti, aumentare la mobilità internazionale, fornire ausili didattici e strutture per gli studenti diversamente abili, sostenere l’associazionismo studentesco, continuare ad erogare il servizio sanitario per gli studenti fuori sede, estendere le agevolazioni sul trasporto pubblico urbano, sostenere le attività sportive del CUS, le Associazioni studentesche ed il Coro dell’Università.

Si deve arrivare alla ridefinizione degli ambiti e delle modalità di utilizzazione dei fondi autogestiti dagli studenti. Un ruolo fondamentale sarà quello dei referenti amministrativi per la didattica, che devono progressivamente assumere un alto livello professionale ed una managerialità adeguata. L’Università di Sassari giunge a questo appuntamento elettorale con un organico solido, con un rapporto studenti/docenti ottimale, a seguito di una crescita negli ultimi dieci anni del 26% del personale docente, con una struttura adeguata all’impegno, che ci viene richiesto, di migliorare la qualità della didattica e la produttività complessiva: è necessario affrontare quello che è il tallone di Achille del nostro Ateneo, un processo di trasmissione delle conoscenze che forse ha fin qui privilegiato l’insegnamento, con scarsa attenzione per l’efficacia dei risultati e per l’apprendimento. L’innovazione del sistema formativo universitario ha prodotto un ampliamento dell’offerta.

Non sempre, però, ne è conseguita una riconsiderazione dei modelli di impegno e di responsabilità d’azione dello studente, dei docenti e del sistema organizzativo all’interno del quale avviene il loro incontro, né una adeguata rivisitazione dei modi di fare formazione. Non mi riferisco qui ai modelli didattici delle singole discipline, ma al modo di intendere il percorso e le strategie dell’istruzione universitaria come parte di un più ampio processo di continuità formazione-lavoro: sia come costruzione mentale che come fattivo collegamento con i sistemi delle professioni.

Tale continuità si declina su almeno due livelli: le competenze attese-richieste-anticipate (quali capacità lo studente dovrebbe possedere alla fine del percorso di studi, in termini di conoscenze, abilità tecniche, capacità interpretative di sé nel ruolo, nelle funzioni, nel contesto); la riflessione sulle competenze esercitate nella pratica lavorativa attraverso l’apporto esperto di professionisti. In questa direzione vanno sicuramente i tirocini che, però, appaiono ancora attività non sufficientemente integrate con l’impianto didattico complessivo e con una visione dell’esperienza in chiave riflessiva.

L’affanno, in cui tutti siamo stati risucchiati, nell’individuazione di offerte formative variegate e appetibili, si è spesso tradotto nella ricerca di nuovi strumenti che non sempre hanno previsto anche la predisposizione di condizioni atte a favorire “capacità d’uso” di quegli stessi strumenti da parte degli studenti e di strategie adeguate al raggiungimento della meta finale attraverso le altrettanto importanti mete di processo. Infine, il sistema universitario sembra essere in una fase ancora iniziale di integrazione dei saperi specialistici con le competenze trasversali auspicate dalla strategia di Lisbona.

Possiamo partire da un esempio, quello dei rapporti tra formazione universitaria e il sistema delle amministrazioni pubbliche, che costituisce il primo e più importante sbocco occupazionale per i nostri laureati di almeno tre facoltà, Giurisprudenza, Scienze Politiche ed Economia. Anche l’offerta formativa deve tener conto delle richieste del mercato, inserendo nei corsi di studio adeguati insegnamenti professionalizzanti, superando logiche interne al mondo accademico. Dobbiamo formare “professionisti” in possesso di competenze che gli enti richiedono.

E ciò ad esempio anche nella formazione del personale delle professioni sanitarie, nel settori dei turismo, dei beni culturali, con l’obiettivo di fare sistema, di coinvolgere più attori. I nostri studenti hanno difficoltà a tracciare un itinerario mentale del percorso di studi che stanno effettuando in direzione di una meta che, in molti casi, non riescono ad anticipare con quella chiarezza necessaria a costruire un processo fatto di impegno-responsabilità-azione (il commitment) nel corso degli studi, in vista dell’inserimento lavorativo e lungo l’arco della vita. E se non si rappresentano, se non anticipano la prospettiva verso cui tendere (realisticamente, costruendo equilibrio fra motivazioni, attese, vincoli di contesto = possibilità effettive), difficilmente sapranno come utilizzare nel modo migliore, più consono alle loro realtà soggettive, le nostre offerte, per quanto ampie e articolate queste possano presentarsi.

La strategia di Lisbona definisce un orientamento: apprendere lungo tutto l’arco della vita per organizzare i propri saperi teorici, le competenze tecniche e gli atteggiamenti a essi correlati secondo criteri di flessibilità (spendibilità) in diversi contesti organizzativi. L’idea di fondo è quella di accompagnare le persone a costruire identità situate e strategicamente orientate, in grado di fronteggiare il cambiamento e di trasformare vincoli strutturali e risorse emergenti in valore positivo di risorsa.

Il nuovo focus sull’imprenditorialità costituisce non solo un’esigenza, imposta dalla variabilità del mercato delle offerte, ma una sorta di nuovo paradigma che attribuisce all’attore sociale intenzionalità e responsabilità d’azione. In questo senso credo che il nostro compito sia quello non solo di sollecitare saperi e competenze specialistiche, ma di accompagnare lo studente nell’assegnare valore a quelle competenze trasversali che, nel corso della vita, potrà utilizzare come strumenti per costruire nuovi saperi e competenze, per individuare-consolidare-usare strategie di nuovo apprendimento, per mettere a frutto la propria esperienza (di studio e di lavoro, ma anche di vita quotidiana) attraverso la riflessione nel corso dell’azione e la disponibilità a confrontare le proprie “convinzioni” con le sollecitazioni provenienti dalla ricerca.

È un’abitudine di pensiero e di auto-orientamento che nel corso degli studi universitari credo possa trovare il contesto generativo più adeguato: ecco la rilevanza dello sviluppo di processi di insegnamento e apprendimento integrati con la ricerca. Si potrebbe ipotizzare una sperimentazione d’Ateneo (con il coinvolgimento dei Corsi di laurea interessati) che, da una parte, solleciti l’implementazione di tradizioni-attività in corso (penso, in particolare, ai tirocini e ai seminari-convegni finalizzati allo scambio fra saperi scientifici e saperi professionali, che vedono la partecipazione attiva degli studenti nelle definizione dei contenuti), dall’altra, promuova strategie e strumenti innovativi. Rispetto all’innovazione potremmo pensare di introdurre una funzione di accompagnamento concordato del percorso di studio (potenziando le finalità del tutorato in direzione del coaching e orientando la docenza secondo la logica del facilitatore di apprendimento).

In una prima fase la sperimentazione potrebbe essere rivolta ai fuori corso, per estendersi, successivamente, a tutti gli studenti (dal momento dell’iscrizione) secondo diverse formule di facilitazione dell’apprendimento, in funzione delle esigenze rilevate dallo studente stesso e dai docenti. Considerate le nostre forze, non possiamo pensare ad azioni mirate sul singolo.

Mi sembra più realistico ipotizzare piccoli gruppi costituiti per omogeneità di esperienza di studio ed extra-universitaria. L’intervento dovrebbe porsi il principale obiettivo di “agganciare” lo studente attraverso un contratto-accordo che preveda: l'(auto)diagnosi delle esigenze formative, la definizione degli obiettivi di apprendimento, dei tempi per il loro raggiungimento (anche attraverso l’esplicitazione degli obiettivi intermedi), delle strategie da utilizzare, delle risorse su cui contare e delle difficoltà da tenere sotto controllo, l’individuazione degli indicatori di apprendimento, delle prove dei risultati e della loro convalida.

L’intero percorso dovrà essere monitorato, modificato, laddove necessario, dallo studente con la consulenza esperta del facilitatore di apprendimento-coach. La finalità è quella di mettere lo studente nelle condizioni di governare-valutare il proprio percorso di apprendimento, assumendo consapevolezza (e responsabilità) delle sue finalità, in accordo con le proprie esigenze, tenuto conto delle proprie condizioni e risorse, delle possibilità di utilizzo e sviluppo degli apprendimenti effettuati.

A questo scopo potrebbero essere pensate nuove figure di affiancamento della docenza. Potrebbe essere altresì idoneo il coinvolgimento diretto dei docenti (sulla base del loro interesse e della loro disponibilità), utilizzando un’interpretazione ampia delle 120 ore di didattica frontale che risulterebbe coerente, peraltro, con un riconoscimento di fatto della valenza delle metodologie attive raccomandate dal Nucleo di valutazione.

Possiamo costruire allora uno sforzo collettivo per migliorare i risultati del processo formativo, innanzi tutto proponendo una diminuzione numerica di corsi di studio, sedi e insegnamenti, verificandone la sostenibilità; introducendo progressivamente l’obbligo di frequenza; ma anche investendo con coraggio per elevare il rendimento del sistema, migliorando l’efficienza, garantendo l’intersezione dell’offerta didattica e la ricerca scientifica ed adottando un modello di autovalutazione guidata, che metta a frutto la straordinaria esperienza del Campus One.

Sarà un Comitato di Ateneo per l’autovalutazione delle attività didattiche, assistito da una commissione di valutazione per singolo corso di studio e dagli Uffici, a misurare la qualità, cioè la idoneità allo scopo, la conformità agli standard e la soddisfazione percepita: in passato le procedure di autovalutazione e di valutazione sono state sentite spesso dai docenti come un’inutile e fastidiosa perdita di tempo.

Ora se vogliamo competere e partecipare positivamente ai processi di accreditamento, è necessario correggere le anomalie esistenti legate ad una situazione drogata comune alle università meridionali (l’università vista da alcuni come parcheggio): bisogna aumentare la media dei crediti superati (attualmente la media non supera i 23 crediti per studente per anno), far crescere il tasso di successo e di regolarità in rapporto alle altre Facoltà italiane, ridurre il numero degli abbandoni dopo il primo anno (oggi si è ridotto ed è pari al 20%), abbattere il numero degli studenti fuori corso, contenere i tempi di percorrenza e favorire la piena occupazione per i nostri laureati, in rapporto alla crescita economica del territorio ed alla creazione di nuovi posti di lavoro. E insieme aumentare il numero degli iscritti alle classi di laurea scientifico-sperimentali, migliorare la preparazione nelle scienze matematiche, nell’informatica, nelle lingue straniere.

Più in generale occorre diffondere la cultura della qualità, correggere le tendenze negative della didattica di Ateneo e sviluppare quelle positive, promuovere un confronto tra obiettivi prefissati per singolo corso di studio, progetti realizzati, risultati raggiunti: occorre allora applicare modelli di valutazione oggettivi che partano dalla fase di progettazione dei corsi di studio, seguano lo svolgimento e lo sviluppo dell’attività didattica, evidenzino la ridondanza di alcuni programmi di insegnamento e arrivino al controllo finale, fornendo strumenti per orientare il processo decisionale degli organi accademici e soprattutto per incidere effettivamente sulle inefficienze anche attraverso l’attribuzione delle risorse effettuata sulla base della scomposizione dell’aliquota standard del FFO per Facoltà.

Il Nucleo di valutazione ha segnalato le criticità, in rapporto all’organizzazione dei corsi di studio e degli insegnamenti, alla frequenza obbligatoria, alla disponibilità e presenza in sede dei docenti, alla verifica sulla regolarità dei comandi, delle aspettative e dei distacchi, al carico di lavoro, all’utilità del materiale didattico, alle attività formative, al proliferare delle discipline (sono oggi impartiti oltre 1600 insegnamenti, in media due per docente reale).

Occorre combattere la sclerotizzazione e ipertrofia delle Facoltà, là dove si è verificata una crescita che non ha riscontro con le reali necessità didattiche; bisogna migliorare i risultati finali soprattutto in quelle Facoltà che hanno un numero assai elevato di docenti rispetto agli studenti equivalenti; bisogna rendere più omogenei i risultati della ricerca, soprattutto nelle aree poco competitive sul piano nazionale; non sono procrastinabili le soluzioni ai problemi infrastrutturali che non consentono un corretto svolgimento delle attività didattiche e di ricerca; infine occorre affrontare le problematiche organizzative e amministrative che permeano ogni settore dell’Ateneo: uso assai scarso degli strumenti informatici nelle pratiche più comuni, come la gestione del personale, del patrimonio, dei servizi didattici e bibliotecari, infine economico-amministrativa. L’applicazione del nuovo Regolamento per il conferimento di incarichi di insegnamento dovrà essere monitorata.

La nuova politica dei professori esterni con contratto di insegnamento passerà attraverso la completa riorganizzazione delle modalità attuative, con definizione di requisiti minimi, scientifici e retributivi, per professori a contratto italiani e stranieri. Le nuove procedure dovranno prevedere la pubblicizzazione dei bandi in modo trasparente, ampiamente diffuso e duplice lingua.

Occorre perfezionare i contratti entro termini che precedano ragionevolmente l’inizio delle lezioni. L’Ateneo dovrà porsi il problema di estendere l’applicazione del DM 270/2004 progettando gli obiettivi ed i percorsi formativi: siamo a metà del guado perché al momento solo i due terzi del corsi sono riformati (44 su 61) ed esistono pochissimi corsi interfacoltà ed interateneo.

La consultazione delle parti sociali e il Comitato regionale di coordinamento debbono essere momenti di sintesi che vadano ben oltre il localismo, per un confronto col territorio che consenta di riprogettare l’offerta formativa sulla base delle esigenze espresse dal mercato del lavoro, dalle famiglie, dagli studenti verso l’appuntamento del 2010 e l’avvio dello spazio europeo per l’istruzione superiore: un’offerta che deve prevedere un percorso unitario delle lauree, lauree magistrali, specializzazioni, dottorati e master.

Occorre consolidare gli incontri con le parti sociali, gli enti pubblici e privati, gli ordini professionali, le aziende, le associazioni di categoria, allo scopo di semplificare l’offerta formativa, avviare un processo di razionalizzazione, ridurre la proliferazione dei corsi, umanizzare il numero degli esami, armonizzare il numero dei docenti. Occorre tagliare le duplicazioni dei corsi di laurea, garantire l’organico necessario per tutti i corsi di studio, valutare la numerosità minima e la reale produttività.

Il tema del requisito di Qualità e del sistema di gestione per la qualità (anche in vista di una possibile certificazione rilasciata da appositi organismi nazionali accreditati) si declina individuando con precisione le esigenze formative delle parti interessate attraverso consultazioni, indagini e studi che valutino anche le possibilità di inserimento nel mondo del lavoro, gli obiettivi di apprendimento (conoscenze, capacità e comportamenti attesi dagli studenti), i contenuti ed i piani di studio, i requisiti per l’accesso, il monitoraggio dei processi e dei risultati, l’accreditamento dei corsi.

Allo stesso fine deve essere certificata l’adeguatezza del personale disponibile, delle infrastrutture, con le relative dotazioni e attrezzature, i servizi di informazione, assistenza e supporto: in particolare si debbono correggere squilibri ed eccedenze rispetto al fabbisogno. Deve essere garantito un sistema di gestione dei processi che sia improntato ad efficacia ed efficienza.

Si debbono correggere le sproporzioni nei carichi didattici tra docenti di aree diverse. Occorre mirare a diminuire i tempi di inserimento lavorativo dei laureati. Infine, non bastano le lezioni frontali effettivamente svolte negli orari stabiliti, ma si devono perseguire processi innovativi con sperimentazioni di seminari, esercitazioni, laboratori che rivitalizzino l’apprendimento e con la teledidattica.

Tutto ciò richiede una forte professionalità dei presidenti dei corsi di studio, che dovrebbero ricevere un riconoscimento concreto, in relazione ai risultati conseguiti ed alle attività messe in opera. Per ottenere risultati positivi occorre una forte politica di Ateneo per l’orientamento, per differenziare gli studenti a tempo parziale dagli studenti a tempo pieno, per garantire la serietà degli studi con i servizi di assistenza e di tutorato, per definire nuove forme di premialità: penso a misure strutturali, con un piano di interventi articolato che preveda azioni capaci di incidere in profondità.

È attualmente disponibile un finanziamento di un milione di euro per la realizzazione di un progetto indirizzato a risolvere alcuni di questi problemi, per premiare i corsi di laurea più virtuosi, orientato non tanto ai servizi agli studenti quanto agli interventi presso le diverse Facoltà per seguire le matricole e combattere gli abbandoni, recuperare i debiti formativi, ridurre il numero dei fuori corso e dei “falsi studenti”, istituire i tutor o figure professionali specializzate per le diverse aree, con corsi di recupero o corsi zero che precedano l’iscrizione, assistenza telematica agli studenti, ricollocazione degli studenti inattivi o che non abbiano maturato un minimo di crediti dopo il primo anno propedeutico.

Si deve attuare un’azione efficace e coerente rivolta agli studenti lavoratori e più in generale agli studenti part-time, attraverso percorsi di studio ad hoc che utilizzino in modo innovativo le piattaforme informatiche, lavorando anche sugli orari, sulla disponibilità ed il contatto personale dei docenti, sulla leva delle tasse per premiare i meritevoli e gli studenti regolari.

Occorre una verifica sull’utilità dei corsi di studio che debbono rispondere veramente alle esigenze del territorio, con la soppressione dei corsi non giustificati o comunque al di sotto di una soglia minima di studenti iscritti, che non rispondono ai requisiti necessari ed ai requisiti di qualità. Occorre ridare fiato al Comitato consultivo permanente delle forze sociali, per trasformare l’appuntamento annuale in una preziosa occasione di confronto aperto, che consenta di discutere sugli obiettivi formativi, le competenze, i percorsi, le metodologie, gli sbocchi professionali, d’intesa con gli Ordini. Occorre rilanciare gli uffici tirocinio di Facoltà e ripensare di conseguenza i numeri programmati limitando se necessario gli accessi.

La manifestazione “Studiare a Sassari” per aprire l’Università agli studenti delle Scuole superiori deve essere ripensata nel suo complesso. Penserei ad una migrazione graduale dei servizi di orientamento e internazionalizzazione verso le Facoltà, mantenendo a livello centrale un semplice coordinamento e la gestione della logistica di accoglienza.

È necessario un potenziamento del dialogo tra Università ed Istituti Secondari Superiori che vada oltre la presentazione dell’offerta formativa, il Call Center e le prove simulate sui test nazionali per l’accesso alle Facoltà a numero programmato. Penso ad un ruolo diretto dei nostri docenti di Didattica, di Pedagogia, di Psicologia nella formazione dei formatori istituzionalizzando esperienze già effettuate, all’assunzione a tempo determinato di tutor, all’estensione dell’esperienza del Counseling di supporto psico-pedagogico, all’aggiornamento dei sito Web. Nell’orientamento in uscita si deve estendere il numero dei tirocini di formazione e di orientamento per laureati.

Si deve aggiornare la banca dati dei laureati che debbono essere presentati al territorio ed alle aziende e perseguire nuove strategie di fidelizzazione per coloro che sono stati in passato i nostri studenti. Credo sia una priorità innalzare i livelli dei servizi agli studenti. Una nuova frontiera è quella dell’orientamento in uscita, lo “Job Placement”, per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, un settore nel quale l’Università si mette veramente al servizio dell’intero territorio: è noto che gli sbocchi occupazionali nel Nord Sardegna sono molto scarsi a causa di un progressivo impoverimento di un territorio ancora troppo concentrato sulla sostenibilità dei settori tradizionali ed è proprio per questo che la sfida dell’Ateneo deve essere ancora più incisiva e determinata, anche attraverso un costante aggiornamento dell’anagrafe dei laureati ed Alma Laurea.

Non si può più trascurare un’ampia fetta del mercato del lavoro, quello delle professioni e delle imprese. Più in generale occorre stimolare il senso di appartenenza ad un universo comune degli studenti iscritti e degli studenti usciti dall’Ateneo.

Occorre ripensare l’organizzazione dei test di orientamento ed anche delle prove di accesso che si rivelano spesso inadeguate a misurare conoscenze, competenze ed attitudini, sviluppando un’attività personalizzata di orientamento con la chiarezza dei percorsi e dei traguardi previsti all’interno dei descrittori di Dublino.

Si deve curare adeguatamente la comunicazione, informando gli utenti ed i possibili candidati studenti sulle novità, sulle eccellenze, sulle aree più competitive, sulle maggiori opportunità e garanzie occupazionali. Soprattutto si rende necessario un impegno concreto di tutti i docenti e degli studenti, attraverso l’affermazione della cultura del lavoro: i buoni risultati si possono ottenere solo a prezzo di sacrifici personali, di rinunce e di un impegno intenso ed a tempo pieno, senza sotterfugi o scappatoie di comodo, con rigore, applicazione e studio.

Penso alla stampa di guide dello studente, all’organizzazione della IV Conferenza di Ateneo sulla didattica finalizzata a definire strategie ed azioni concrete, ad un sistema più mirato sulla valutazione della didattica da parte degli studenti e degli stessi docenti in un processo automatico basato sull’autovalutazione dei corsi di studio in sede ed in sede decentrata, con una forte capacità di analisi autocritica anche con riferimento alle modalità di esame (modello Verona) e con una ricaduta sulle risorse per i corsi di laurea virtuosi.

Più in generale penserei alla interconnessione dei servizi, con la predisposizione di un’unica piattaforma informativa per l’autenticazione degli utenti e l’eventuale gestione di tutti i servizi di Ateneo (biblioteche, residenzialità, connettività, rapida registrazione degli esami, iniziative ludico-sportive, servizi ERSU).

La raccolta dei dati deve essere tempestiva ed il processo di certificazione dei crediti deve essere verificabile, con una cabina di regia unitaria, per una registrazione immediata anche attraverso un potenziamento delle segreterie, un allargamento dell’orario di sportello e la modifica dell’attuale normativa che non consente la registrazione degli esami per gli studenti non in regola col pagamento delle tasse.

L’attuale offerta formativa si regge per la gran parte sull’impegno dei giovani ricercatori: i provvedimenti ministeriali tendono a ridurre l’offerta, a combattere la proliferazione, la duplicazione e la moltiplicazione incontrollata, a contrarre il numero dei corsi di studio attraverso l’obbligo della copertura dei requisiti necessari e di qualità. Ridurre i corsi di laurea e di laurea magistrale non deve però significare ridurre il numero di classi coperte e rispondere solo parzialmente alle istanze delle aziende e del territorio. Voglio dire che occorre anzi un allargamento delle attività didattiche in ambito tecnologico, ingegneristico, delle ICT.

Un aspetto che desidero rimarcare è quello della specifica posizione all’interno della didattica dei ricercatori (o professori aggregati), che non possono essere soffocati con un eccessivo carico di insegnamenti e di esami e debbono avere a disposizione tempi adeguati per svolgere attività di ricerca, per frequentare seminari e congressi, per formarsi adeguatamente. Una verifica dei carichi didattici è del resto opportuna anche per gli associati e gli ordinari. Dobbiamo porci il problema della formazione degli insegnanti della scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo grado e di secondo grado, con un nuovo equilibrio tra la componente disciplinare e quella pedagogico-didattica.

Ogni decisione deve dunque valutare implicazioni ed effetti perversi: è indispensabile certamente affrontare le criticità interne della docenza e dell’apprendimento, ma occorre collegarsi efficacemente con il mondo della Scuola secondaria per definire percorsi di recupero dei crediti, ma soprattutto per costruire una frontiera di attività comuni, affrontando i problemi emersi con l’indagine OCSE-PISA anche attraverso la formazione continua dei docenti.

Intendo incentivare l’organizzazione di master di I e II livello e la completa rivisitazione della materia delle Scuole di specializzazione, con una razionalizzazione complessiva, il sostegno in particolare alle scuole di area medica, scientifica e giuridica.

Per l’ERASMUS si rende necessario potenziare l’azione fin qui condotta sotto l’egida del Comitato LLP-Erasmus d’Ateneo (il cui ruolo collegiale andrebbe ulteriormente potenziato e arricchito anche con una rappresentanza studentesca) per una politica di forte sviluppo degli scambi internazionali che poggi su un qualificato rafforzamento degli uffici amministrativi e insieme su una decisa semplificazione delle procedure che sempre più decisamente debbono mettere al centro la crescita intellettuale e gli interessi formativi dello studente; che tenga conto dei differenti ordinamenti didattici e delle specificità delle Facoltà a cui appartengono gli studenti in partenza sia per la mobilità di studio e sia per i tirocini; che punti su una tempestiva liquidazione delle borse e su efficienti procedure di anticipazione; che favorisca l’introduzione di meccanismi di incentivazione e l’istituzione di premialità per gli studenti impegnati a conseguire crediti all’estero; che si prefigga di offrire tempestivamente un’adeguata preparazione linguistica agli studenti Erasmus “in partenza”; che punti a fare dell’esperienza di studio all’estero un momento caratteristico (e il più diffuso possibile) del curriculum dei nostri laureati.

Il numero degli studenti coinvolti deve crescere ancora, e l’intero corpo docente di ogni facoltà deve essere impegnato su questo obbiettivo, a cui dobbiamo chiamare a concorrere anche le rappresentanze studentesche e le associazioni degli studenti Erasmus. Occorre monitorare sistematicamente le esperienze e attraverso un potenziamento delle convenzioni con le università straniere arrivare al reciproco riconoscimento di segmenti di curricula ed eventualmente alla gestione di attività formative integrate.

Lo scambio di studenti e docenti con Università dei paesi del Maghreb deve essere sostenuto attraverso il programma di mobilità Averroé coordinato dall’Università di Montpellier, al quale il nostro Ateneo deve urgentemente aderire. In conclusione richiamerei gli obiettivi di Lisbona per “l’Europa della conoscenza” del 2010: ridurre il numero degli abbandoni precoci (al di sotto il 10%), costruire nuove competenze ed aumentare il numero dei laureati in matematica, scienze e tecnologia (almeno incremento del 15% con correzione degli squilibri tra sessi); aumentare la media europea di partecipazione ad iniziative di lifelong learning (almeno il 12% della popolazione tra 25 e 64 anni); estendere la mobilità degli studenti, docenti e personale preposto alla formazione ed alla ricerca; garantire a tutti l’accesso alle ICT; migliorare l’apprendimento delle lingue straniere contrastando la gara al ribasso e aumentando il numero dei docenti incardinati, incoraggiando una più stabile attività dei collaboratori esperti linguistici all’interno del Centro Linguistico di Ateneo.

Per la lingua inglese e per le altre lingue è necessario prevedere dei corsi anche per l’aggiornamento dei docenti, in particolare per approfondire linguaggi tecnici e specialistici.

È opportuno allargare la sinergia dell’Ateneo con le politiche dell’ERSU: nel recente dibattito per l’elezione del rappresentante dell’Università abbiamo potuto apprezzare l’imponente lavoro svolto negli ultimi anni ed i numerosi progetti realizzati, soprattutto l’ampiezza di orizzonte nel quale l’ERSU si è collocata, verso una integrazione dell’Università all’interno della città, con le nuove residenze studentesche e le strutture di accoglienza, con le mense, i collegamenti telematici, il servizio sanitario, gli abbonamenti a prezzi agevolati all’ATP per i trasporti pubblici, le attività culturali, con le borse di studio, con il contributo fitto casa, con la ristrutturazione dell’amministrazione; è migliorato il rapporto studenti-docenti ad esempio con l’ospitalità per alcuni professori stranieri. Presidenti, Consiglieri, Rappresentanti degli Studenti, Commissione mista Università-ERSU hanno svolto un lavoro apprezzato e significativo.

Ora di fronte a noi abbiamo un impegno rinnovato degli amministratori dell’ERSU verso le residenze e le strutture sportive e di aggregazione entro l’ex ospedale psichiatrico, le nuove attività culturali, l’impegno per radicare in città gli studenti fuori sede, la discussione sulla proposta della nascita di un Centro Studentesco Universitario (Student Union) nella città di Sassari, destinato a rappresentare il luogo di incontro di tutta la comunità accademica con spazi di servizio agli studenti, spazi ricreativi e associativi, centro informazione, laboratori, media Center, punti vendita e sportello bancario. In questo quadro i docenti fuori sede potrebbero trovare spazi ed accoglienza. L’ERSU dovrebbe avviare iniziative ad Alghero, a Nuoro, ad Olbia, ad Oristano a favore degli studenti dell’Università di Sassari.

Infine le sinergie con l’Accademia di Belle Arti, il Conservatorio Musicale, la Facoltà Teologica della Sardegna, gli Istituti superiori di scienze religiose, gli interventi per gli impianti sportivi di Ottava: si tratta di un autentico gioiello realizzato in questi anni, che richiede ora un investimento sul piano dei trasporti, dell’apertura alla città, del servizio agli studenti per l’organizzazione di incontri e feste. Infine l’assistenza agli studenti ERASMUS ed ai visiting professors, per rendere il nostro Ateneo sempre più aperto ed internazionale.

È necessario sostenere le Scuole di dottorato quale terzo livello di formazione universitaria, rispondendo a precisi requisiti di dimensione e di qualità, favorendo l’eccellenza, la valutazione, l’internazionalizzazione e la mobilità.

Sono da progettare percorsi specializzanti e si devono istituire Scuole di dottorato esclusivamente in presenza di comprovata eccellenza scientifica, sulla base di un progetto fondativo culturale di ampio respiro, che documenti i requisiti per l’accreditamento e gli indicatori di qualità per la valutazione periodica.

Bisogna favorire la presenza di docenti e dottorandi stranieri, regolamentare la residenzialità, estendere il numero delle borse, accorpare le attività per aree disciplinari, promuovere le cotutele internazionali, con verifiche periodiche dell’attività di ricerca dei dottorandi ed una valutazione annuale interna finalizzata all’accreditamento ed alla formalizzazione dei momenti di alta formazione frontale; inoltre occorre verificare la disponibilità di strutture e di risorse per i dottorandi e gli interscambi con il sistema imprenditoriale o pubblico.

Si devono adottare gli indicatori di qualità e promuovere una politica di sostegno per l’accesso dei dottori di ricerca al mondo produttivo, a livelli adeguati al loro grado di specializzazione e alle potenzialità che essi offrono ai processi di innovazione. È necessario potenziare le Scuole di dottorato interuniversitarie in collaborazione con sedi di indiscusso prestigio.