Programma di candidatura di Attilio Mastino alla Presidenza della CRUI

Programma di candidatura di Attilio Mastino
alla Presidenza della CRUI.

Prof. Attilio Mastino
Rettore dell’Università di Sassari
mastino@uniss.it, www.attiliomastino.it

UN PROGRAMMA PER LA PRESIDENZA DELLA CRUI

Cari Rettori,

in questi ultimi anni l’Università italiana ha subito un fortissimo attacco mediatico telecomandato, sostenuto da chi ha espresso ingenerose e severe valutazioni sul Sistema Universitario Italiano. Nella discussione in Senato c’è stato chi ha affermato che il Sistema Universitario “in molti casi sembra aver perso la bussola, aver scambiato l’autonomia per la licenza; un sistema che troppo spesso ha pensato a sé stesso e non alle esigenze dell’Italia”. Soprattutto sarebbero oggi offuscati il prestigio e la considerazione del Paese verso il mondo universitario, a causa dei tanti scandali. Starebbero emergendo “sofferenze a lungo sottaciute che rivelano anni di diffusa irresponsabilità, di spese facili, di assunzioni fuori controllo, di promozioni senza copertura, di gestioni mirate ad acquisire il consenso dimenticando responsabilità e qualità”: dunque gli sprechi, le patologie gestionali ed economiche, i cedimenti, gli errori del passato.

Se le critiche fossero fondate, se ne dovrebbe trarre la conclusione che esistono responsabilità dei Rettori e dell’intera CRUI, che forse avrebbe dovuto svolgere una vitale funzione di controllo, di verifica e di aiuto alla programmazione. Possiamo ammettere che non sempre la CRUI ha saputo essere all’altezza di questo compito; ha rischiato di apparire sensibile al fascino e alle sirene dei partiti. La Conferenza dei Rettori ha pericolosamente rischiato di diventare un organo autoreferenziale, con una sua Fondazione che ha coperto interessi di tipo tanto vario quanto di difficile comprensione, ma non quelli di governo, di controllo e di indirizzo.

Eppure noi siamo convinti che le critiche non sempre sono fondate e anzi che spesso sono state strumentali ed interessate. E crediamo che ci troviamo di fronte a campagne denigratorie tese principalmente a mortificare gli Atenei nel momento in cui sono impegnati a rendere credibile il processo riformatore, a vere e proprie aggressioni che travisano la realtà dei fatti e ignorano l’esistenza di aree di eccellenza e di tradizioni vitali; aggressioni che offendono migliaia di ricercatori, di studiosi e di colleghi. Una qualsiasi legge di riforma delle università sarebbe dovuta partire dalla enumerazione e dalla difesa delle tante ricchezze che caratterizzano il nostro sistema universitario: esse sono all’avanguardia nella formazione e nella didattica. Ciò appare confermato dal fatto che i nostri laureati vengono accolti a braccia aperte all’estero in misura sempre maggiore; e questo significa anche che il nostro sistema di insegnamento, nonostante i paletti e i vincoli imposti, si dimostra uno dei migliori del mondo. Le Università italiane sono ricche di esperienze e di risultati, considerate le condizioni nelle quali spesso si svolgono la ricerca di base e quella sperimentale, non supportate adeguatamente da fondi che più che accrescersi tendono sempre di più a ridursi.

Quel che è certo è che il Sistema Universitario non è stato in grado di difendersi sul piano della comunicazione e non solo, se è vero che la direzione della CRUI è stata descritta dal Ministro Tremonti come un esempio residuale di nomenclatura stalinista. La risposta agli attacchi subiti dall’Università è stata inadeguata e deludente, debolissima. Da tempo il Ministro diserta le riunioni CRUI, non ha inteso discutere con i nuovi Rettori le linee guida del DDL ed ha sostanzialmente rinunciato al confronto con le singole Università. Non pochi Consigli di Facoltà hanno invitato i Rettori a bloccare il pagamento delle quote associative e sollecitato l’uscita di alcuni Atenei statali e non statali dalla CRUI.

Il grido del vasto e significativo movimento di protesta del dicembre scorso che si è sviluppato negli Atenei, nelle aule e sulle terrazze delle Facoltà, non è stato raccolto dalla CRUI: eppure le proteste intendevano denunciare gli evidenti limiti della Grande Riforma e il grave sotto-finanziamento del Sistema Universitario Italiano.  Restare asserragliati nel Palazzo non può essere un modo per risolvere i problemi e i selvaggi tagli al FFO che a partire dal 2008 non sono stati adeguatamente compensati: alla gravissima riduzione di risorse a danno degli Atenei statali, si sono aggiunti “tagli drammatici e inaccettabili” per quelli non statali. Questo non è avvenuto nei paesi europei più avanzati (Germania, Regno Unito, ecc.), che hanno evitato le sforbiciate ma anzi hanno investito nel campo della cultura e dell’istruzione. In Italia la prudenza della CRUI non ha pagato.

La maggior parte degli Atenei si avvia a superare il limite del 90% nel rapporto tra assegni fissi e FFO, non solo a causa dell’eliminazione delle spese sanitarie per gli Atenei che hanno una Facoltà di Medicina, ma anche a causa del taglio percentuale del FFO, che prescinde dai risultati della valutazione. Il superamento del 90% potrà avere conseguenze catastrofiche, il blocco delle assunzioni e una ulteriore riduzione del FFO degli Atenei italiani: eppure è noto il grave sotto-finanziamento dell’intero sistema nel confronto europeo. Gli Atenei non possono rassegnarsi a dimagrire ulteriormente nel momento in cui aumenta la distanza dagli obiettivi di Lisbona e si riducono le assegnazioni percentuali sul PIL a favore della cultura, della ricerca e dello sviluppo.

Appare evidente che è necessario che i Rettori riescano ad interpretare efficacemente gli umori del mondo universitario, non contrastando ma anzi guidando il movimento critico che rappresenta una ricchezza, una risorsa ed una speranza per il Paese. Dunque la CRUI deve correre di più, deve acquisire più autorevolezza e capacità di incidere nella società civile, nei territori, nel rapporto con il Governo: ciò si verificherà solo attraverso una rinnovata, più convinta ed autorevole azione della CRUI, tesa a garantire l’autonomia ed il ruolo sociale delle Università italiane e insieme a fornire una preziosa consulenza che rappresenti un’alternativa alle classifiche di parte, spesso fondate su dati parziali che non tengono conto della diversità degli Atenei.

Il taglio di risorse generalizzato ma destinato a colpire soprattutto le Università più fragili, rappresenta un errore grave che deve essere corretto. In realtà l’Università non è una torre d’avorio ma è un’istituzione che fa parte di un sistema unitario con la scuola: sistema che rischia di essere minato dalle fondamenta, se la politica dei Governi si limiterà a procedere con tagli indifferenziati, ancor più gravi perché è stato notevolmente aumentato il numero delle Università statali e non statali in Italia. Credo però che il tempo che stiamo vivendo sia anche l’occasione per far arrivare al Ministero non solo proteste ma anche proposte positive e credo che noi dobbiamo ripensare alla struttura stessa delle Università, per trovare forme nuove di gestione, per migliorare la produttività e la qualità dell’alta formazione, per collocare gli Atenei e la loro Associazione entro reti internazionali di ricerca.

Dunque esistono tutte le premesse perché la scossa decisa dal Parlamento possa innescare un’esplosione positiva, un momento di maggiore impegno e responsabilità. Chi mi conosce sa che non sono un conservatore e non temo il cambiamento, per quanto provenga da un Ateneo che quest’anno celebrerà i suoi 450 anni di storia.

C’è stato recentemente uno studioso che ha ironizzato sull’idea tutta italiana di dare alla parola “Riforma” un contenuto miracolistico, tra favola e inganno, partendo dall’onnipotenza del legislatore che interpretando il mandato ricevuto dal popolo sovrano è in grado di attuare un illuminato disegno potendo contare sulla spontanea adesione dei cittadini (Vincenzo Zeno Zencovich). Gli errori di questa impostazione sono molteplici ma, come per le superstizioni, sono difficili da superare. In primo luogo perché tra il dire del Parlamento o del Governo e il fare dei destinatari delle norme c’è un vasto mare fatto di una somma di comportamenti individuali che non sono automatici.

Temi che richiedono più equilibrio e che impongono di partire dalla consapevolezza della ricchezza degli Atenei, dal valore del patrimonio scientifico che ereditiamo, dalla consapevolezza dell’esistenza di una  complessità che è troppo superficiale ridurre a formule.

Vogliamo affermare una visione nuova di università, come luogo di dialogo, di discussione, di approfondimento e scoperta, dunque partendo da un bisogno intellettuale e da un forte senso di appartenenza ad una comunità che ha obiettivi comuni. Partendo dall’esistente per costruire il cambiamento.  Occorre stimolare le motivazioni, perché conteranno sempre di più le prassi, al di là di taumaturgici provvedimenti legislativi. Vogliamo introdurre un metodo, avviare un processo di partecipazione, cogliere l’occasione per crescere, accogliendo gli indirizzi della legge ma discutendo nel merito dei singoli aspetti, pensando all’università del domani.

Non vogliamo un regime di vincoli e di divieti, vogliamo in positivo indicare opportunità, spazi di autonomia, regole  chiare.

L’Università non deve subire le iniziative ministeriali, ma deve ripensare a se stessa con un forte progetto fondato su una visione strategica, capace di modificare in profondità anche l’ambiente che ospita gli Atenei. Dunque sono necessarie linee guida, indirizzi, nuove idee per la nascita di Fondazioni universitarie.

La legge 240

Dovremo dare applicazione ad una riforma universitaria che avremmo voluto profondamente diversa, più attenta al diritto allo studio ed alle esigenze dei giovani ricercatori, più capace di valorizzare la  complessità delle tradizioni accademiche e di sviluppare reti di relazioni internazionali, una riforma più generosa e meno punitiva.

Una riforma che nei propositi intende ispirarsi ai principi di autonomia e di responsabilità, ma che avremmo desiderato ancora più rispettosa delle identità dei singoli atenei italiani, più consapevole del valore della diversità.

La legge 240 (Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del Sistema Universitario) ha subìto emendamenti non sempre positivi, per tanti versi appare confusa e contraddittoria e rischia di aggravare i problemi dell’Università. Aleggiano sullo sfondo diverse e contrastanti  influenze  (anglosassoni, tedesche, americane), che denunciano la superficialità di chi ha concepito questa riforma, che intanto ha fermato il sistema e rallentato tutti i processi in atto.

Del resto non riusciamo a convincerci che per modernizzare l’Università italiana sia necessario ridurre le risorse anziché aumentarle.

In questi mesi saremo impegnati a scrivere i nuovi statuti, con un solo obiettivo, quello di mantenere ed estendere quell’autonomia universitaria riconosciuta dall’art. 33 della nostra Costituzione (L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sulla istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Le istituzioni di altra cultura università e accademie hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato).

Non crediamo sia giusto farsi trascinare da sterili risentimenti, né ci arrenderemo di fronte alla politica dei tagli disposta da Governo, ma è necessario chiedere conto dei propri comportamenti al Governo, alle Regioni, agli amministratori locali, pronti ovviamente a rispondere di ogni atto adottato, ad assicurare trasparenza sulle scelte, a garantire procedure non solo legittime ma soprattutto corrette nella sostanza, a declinare gli indicatori ministeriali con riferimento alla storia ed alla cultura del Sistema Universitario Italiano, ricco di quasi un centinaio di soggetti pubblici e privati, distribuiti geograficamente, che rispondono alle necessità del territorio. Dobbiamo confrontarci strettamente con l’ANVUR, per chiedere che la produttività dei singoli possa essere pesata in relazione alle risorse concretamente disponibili.

Oggi rischiano la sopravvivenza molti Atenei. Ci troviamo di fronte a un bivio, dove si giocherà la partita più importante della storia di molte Università di medie e piccole dimensioni che potrebbero a breve essere in difficoltà e addirittura in liquidazione, attraverso le formule di fusioni, federazioni, straordinarie trasformazioni. Rischiamo di vivere una vera e propria lotta nella jungla dove, per una darwiniana legge non scritta, periranno sotto i colpi dei vincoli economici sempre più capestro gli Atenei con forze minori senza alcuna considerazione della loro storia, del loro ruolo nel territorio, della loro attività di formazione e di ricerca.

Più in generale è in discussione la struttura stessa di tutti gli Atenei, la sopravvivenza di Dipartimenti, Facoltà, linee di ricerca, reti di relazioni consolidate, iniziative collegate al Servizio Sanitario Nazionale. La razionalizzazione proposta comporta anche drastici tagli e pone gli Atenei italiani di fronte a scelte molto dolorose.

L’ingresso dei privati nel Consiglio di Amministrazione, l’indebolimento del Senato Accademico, le incertezze sulle rappresentanze, la possibile scomparsa del personale tecnico e amministrativo dagli organi accademici, la nuova composizione delle commissioni di concorso, l’impoverimento dei momenti di democrazia e di confronto che passa attraverso la soppressione dei consigli di Facoltà, la precarizzazione dei ricercatori, l’incapacità di cogliere i valori accademici, la diversità e gli specifici svantaggi dei territori non sono elementi positivi in un quadro caratterizzato dalla ricerca di una efficienza che si dovrà comunque confrontare con la capacità di coinvolgimento delle persone, con l’adozione partecipata degli obiettivi prioritari da raggiungere, con politiche di sussidiarietà e di integrazione che correggano il modello centralistico di base e il rischio di un’ulteriore stretta oligarchica.

Senza l’Università non c’è un futuro per il Paese.

Dunque siamo disposti a lavorare per costruire un modello di università nuovo, per fondare la nuova struttura di governo, per creare opportunità per tutti e spazi di flessibilità. Ci aspetta un periodo difficile, duro, pieno di contrasti, che dobbiamo affrontare con animo aperto, con la volontà di ascoltare e di capire le esigenze di tutti, senza cedere alla facile tentazione di usare la scure per tagliare Facoltà e Dipartimenti, ma costruendo proposte sostenibili nel tempo, che incoraggino sinergie e favoriscano aggregazioni scientifiche razionali.

La CRUI si dovrà assumere la responsabilità di dare indirizzi generali, dopo aver sentito il parere di tutti. Vogliamo generare il senso del futuro condiviso,  promuovere nuove dinamiche relazionali e nuove sinergie, aprire canali informativi

La CRUI deve lavorare di più sul tema delle risorse, del finanziamento del FFO, degli indicatori di valutazione, della certificazione dei dati, intervenendo in modo autorevole per rappresentare la complessità degli Atenei italiani, per denunciare il ritardo con il quale il Ministero sta procedendo alle assegnazioni del FFO, per sollecitare l’emanazione della miriade dei provvedimenti attuativi a valle della legge. Vanno denunciate tante disparità e iniquità delle carriere dei giovani ricercatori, la pesante situazione dei precari e le gravi limitazioni al turn over.

La crisi

La crisi di oggi in realtà offre anche delle opportunità e può essere l’occasione per un rilancio che collochi il Sistema Universitario Italiano all’interno delle politiche di sviluppo, che definisca una nuova visione della missione futura di una Università aperta internazionalmente ma ancorata al territorio: dobbiamo difendere l’Università, che deve rimanere un bene pubblico ed una pubblica responsabilità, il “presidio fondamentale” del sistema democratico. L’Istituzione universitaria deve essere certamente razionalizzata e riformata allo scopo di impiegare in modo ottimale le risorse pubbliche, migliorare la produttività e l’efficienza attraverso la serietà professionale ed un nuovo impegno che è anche passione civile, entusiasmo e capacità di creare una realtà solida per il futuro del sistema formativo. Noi ci muoviamo nella società della conoscenza con una crescente globalità e puntiamo alla valorizzazione del patrimonio culturale immateriale e del capitale umano, con uno sguardo che deve riuscire a spingersi più lontano in un processo di produzione della conoscenza, di trasmissione del sapere, della cultura come risorsa: difendere l’Università significa garantire la crescita della società civile facendo leva su una tradizione secolare, su una rete di rapporti e di conoscenze, su un patrimonio materiale e immateriale ereditato dal passato; soprattutto difendere il motore strategico, lo strumento principe per lo sviluppo, garantendo il capitale fondamentale per il domani, trovando strade nuove per fare degli svantaggi una risorsa e non un condizionamento; più ancora difendere una profonda, radicata e consapevole cultura federalista ed autonomista che ha conosciuto e conosce concrete ricadute sul piano della programmazione e dell’azione amministrativa e politica: in questo quadro l’Università ha bisogno di più autonomia, di più libertà, di più indipendenza.

Una discontinuità necessaria

Occorre sostenere un profondo rinnovamento ed arrivare ad una vera e propria rifondazione della CRUI, che sia in piena discontinuità con il passato e corregga i falsi unanimismi di facciata: in questo senso una pluralità di candidature per la Presidenza e per la Giunta rappresenta una opportunità, un fatto nuovo e positivo, un contributo per sviluppare un dibattito che superi collateralismi e si ponga solo obiettivi che siano strettamente connessi con gli interessi, le volontà, le speranze del mondo universitario. Del resto non crediamo che il cambiamento passi attraverso l’applicazione della legge, ma soprattutto attraverso le idee, i programmi, le persone. Non ci sono uomini validi per tutte le stagioni. Dunque non basta dire ora che si vuole cambiare passo e si vuole rendere la CRUI più rappresentativa.

Una CRUI degna del suo compito

La CRUI ha ancora una importante funzione da svolgere. Gli scopi della Associazione sono, come è noto quelli di:

  1. rappresentare e valorizzare il sistema delle autonomie universitarie in ogni sede nazionale e internazionale, svolgendo attività di coordinamento, di indirizzo, di tutela e di promozione degli Atenei italiani;
  2. contribuire attivamente allo sviluppo di un coerente sistema europeo per l’alta formazione e la ricerca e all’allargamento delle collaborazioni con tutte le parti del mondo nei settori di competenza delle università;
  3. elaborare e presentare al Governo, al Parlamento e alle altre Istituzioni competenti i pareri eventualmente richiesti ed avanzare proposte ed osservazioni in materia di alta formazione e di ricerca, nonché su ogni altro argomento di interesse e competenza delle università;
  4. ricercare coerenza di comportamenti e di interpretazioni in tutte le questioni di interesse comune;
  5. promuovere e sostenere ogni altra iniziativa utile al potenziamento dell’insegnamento superiore e della ricerca e ad elevare la funzionalità, la qualità e il prestigio, anche internazionale, del Sistema Universitario Italiano.

La CRUI deve evitare collateralismi, non strizzare l’occhiolino alla politica, non genuflettersi di fronte al Governo. È necessario che la CRUI si strutturi sempre di più, acquisisca ulteriori risorse finanziarie per il proprio bilancio ultimamente molto ridotto, verifichi costantemente i dati forniti dal Ministero, rappresenti un’alternativa alle ricostruzioni di parte, che spesso sono fondate su dati parziali e non tengono conto della diversità degli Atenei, della complessità delle singole realtà, dei percorsi di crescita e delle dinamiche evolutive interne alle singole Università, degli specifici svantaggi. Insomma, se il Ministero dell’Economia valuta le performances degli Atenei in termini monetari, un organo come la CRUI potrebbe far emergere l’importanza di concetti in apparenza più eterei, come la cultura, la morale, l’educazione civile. Dunque dovrà essere potenziato l’Ufficio studi CRUI, capace di effettuare in proprio rilevazioni e analisi di dati. Vanno meglio articolate le Aree di lavoro della struttura:  Didattica, Ricerca e Innovazione, Musei, Biblioteche, Open Access, Sicurezza, Programmazione, Valutazione, Formazione degli insegnanti e insegnamento delle lingue, Finanziamenti nello scenario europeo, Cooperazione accademica, Cooperazione allo sviluppo, Medicina universitaria  ecc.

Ci aspettiamo dalla CRUI un’azione autorevole fondata sul pieno utilizzo delle altissime professionalità disponibili, formatesi in anni di esperienza acquisita dai funzionari, su una visione generale che soltanto la CRUI può possedere.

Si deve arrivare ad un’articolazione dei lavori della CRUI attraverso specifiche Commissioni tradizionali e nuove (in particolare quella sulle Facoltà mediche).

La Fondazione CRUI delle Università italiane ha lo scopo di affiancare e sostenere la Conferenza dei Rettori e il Sistema Universitario nazionale nelle azioni volte a confermare ed ampliare il ruolo strategico delle università nella società e per la società, nonché di promuovere il consolidamento e lo sviluppo della qualità delle attività universitarie in genere, per una sempre migliore integrazione del Sistema Universitario nazionale con il Sistema Universitario europeo ed internazionale.  Per il raggiungimento dei suoi scopi la Fondazione – nel pieno rispetto dell’autonomia delle singole università e dell’attività di coordinamento e di indirizzo propria della Conferenza dei Rettori – dovrà promuovere, svolgere e gestire, in forma diretta o indiretta, attività di supporto e di servizio a favore del sistema universitario o delle università che le richiedano.  Occorre allora ripensare ai progetti in corso, razionalizzare l’impegno della struttura, fissare obiettivi alti da raggiungere, coerenti con la missione generale che deve essere riprogettata.

Una squadra forte e attiva

Credo che impegno primario del Presidente e della sua Giunta debba essere quello di riuscire a rappresentare al meglio la Conferenza e di presiedere con serenità ed equilibrio l’Assemblea, svolgendo con equità ed obiettività le funzioni di indirizzo, promozione e vigilanza, senza perdersi in logoranti mediazioni ma svolgendo la preziosa funzione di garante di percorsi di innovazione, con una visione strategica lungimirante. Solo così si eviterà la frantumazione della CRUI, sottoposta negli ultimi anni a spinte contrapposte, e la sua messa in liquidazione.

Al centro dell’intero mandato del Presidente ritengo ci debba essere l’impegno di suscitare le forze vive e favorire lo sviluppo di un processo virtuoso che sostenga i momenti di democrazia e di confronto non solo all’interno della CRUI ma soprattutto verso il complesso mondo universitario, gli studenti, i precari, il personale tecnico amministrativo e bibliotecario, i ricercatori, i professori con un forte principio di sussidiarietà. La CRUI deve avere un rapporto non subalterno con il Ministro e con gli Uffici del Ministero, deve collocarsi in una prospettiva internazionale, deve lavorare per costruire ponti tra le Università italiane e con le Organizzazioni di coordinamento internazionale. La CRUI deve essere protagonista nel trovare soluzioni concrete ai problemi della ricerca, della didattica, dell’alta formazione, dell’assistenza sanitaria; estendere a cascata la cultura della responsabilità; garantire un processo di valutazione tra Atenei che sia equilibrato, indirizzato al giusto riconoscimento delle specifiche vocazioni; affermare l’orgoglio di un’appartenenza e di un patrimonio;  avviare un confronto ed uno stretto rapporto con le Istituzioni; far diventare gli Atenei il punto di riferimento centrale per i territori nei quali hanno le loro radici e che vogliono continuare a crescere, mettendo in relazione dialettica la ricerca umanistica e la ricerca sperimentale con applicazioni e trasferimenti a favore del territorio; infine, fissare obiettivi alti di un forte rinnovamento generazionale e di internazionalizzazione.

Per costruire il futuro delle Università, mentre andiamo incontro ad un periodo di restrizioni, occorre anche trovare il coraggio di praticare scelte che implicano rigore e senso di responsabilità, costruendo il consenso ed evitando strappi e disagi, facendoci carico anche degli ultimi. Occorre allora riaffermare alcuni valori centrali, come quello della libertà di insegnamento e di ricerca, della possibilità reale di accesso agli studi universitari per gli studenti, della promozione culturale e sociale per  i meritevoli, qualunque sia la loro provenienza sociale, geografica o culturale.

Chi sarà eletto non dovrà pensare di essere solo il Presidente dei Rettori, ma anche dei docenti, del personale tecnico amministrativo, degli studenti, dell’intero mondo della sanità.

Noi non abbiamo di fronte soltanto un problema banalmente quantitativo, di indicatori da rispettare. Quella odierna è innanzi tutto una grande sfida culturale, fatta di passione civile e di impegno personale, sicuri che dovremo rendere conto di quello che non saremo capaci di fare. Abbiamo fortissimo il senso del limite delle azioni dei singoli e sentiamo vivissima la necessità di costruire alleanze e di trovare sinergie, di ascoltare il parere di tutti, di collegare tra loro i territori e le esperienze. Non sarà certamente facile ma abbiamo il dovere di provarci, con ottimismo, energia e voglia di fare. Con tutti quelli che ci vorranno aiutare in questo difficile percorso.

Una durata del mandato che rispetti le regole

Il comma 11 dell’art. 2 della legge 240 attribuisce l’elettorato passivo per le cariche accademiche ai docenti che assicurano un numero di anni di servizio almeno pari alla durata del mandato prima della data del collocamento a riposo: per analogia ci si aspetterebbe che gli zelanti interpreti della legge 240 prevedano per la nomina del Presidente della CRUI la possibilità di sviluppare il mandato per l’intero triennio, come è previsto dall’art. 4 dello Statuto della CRUI che precisa che le cariche hanno durata triennale e non possono essere assunte per più di due mandati.

Un impegno condiviso

In questo programma elettorale (da intendersi come il quadro generale per una prospettiva di impegno del Presidente, della Giunta e di tutti i collaboratori) non possiamo nascondere i drammatici problemi che abbiamo di fronte, che richiedono esperienza, capacità decisionali, spirito positivo, una chiara visione della missione che si deve portare avanti con riforme coraggiose, con progetti concreti per raccogliere le sfide e rispondere a istanze sempre più complesse. Anche capacità di ascolto e volontà di capire le posizioni degli altri. Adottare il linguaggio della verità e della cultura, per usare un’espressione del Presidente della repubblica, significa scegliere come metodo e come categoria etica la trasparenza, avere la capacità di leggere con spirito critico la realtà, indicare i mali e proporre soluzioni ai problemi, individuare gli spazi di miglioramento possibili, far leva sulla responsabilità di ciascuno, premiare il merito, costruire insieme una comunità di persone capaci di affrontare il futuro con serenità e senso di compartecipazione, soprattutto con una visione strategica e lungimirante sulla missione dell’Università nel sistema economico e istituzionale del Paese. È necessario avere più idee ed investire di più, avere la capacità prensile di adottare soluzioni positive già indicate efficacemente in altri Paesi; cogliere il buono delle positive esperienze fin qui maturate. Soprattutto valorizzare fino in fondo il senso di un patrimonio comune da difendere. Per il futuro rimane il senso profondo della complessità dei problemi e di una sostanziale inadeguatezza delle singole persone e delle formule magiche, senza uno sforzo collettivo di tutti coloro che sono impegnati nell’istituzione universitaria con purezza di intenti e reale volontà di cambiamento, verso il rafforzamento di un Sistema Universitario, quello italiano, proiettato sempre di più in una dimensione internazionale. Sempre con uno stato d’animo positivo e massimo rispetto per le opinioni di tutti, con la volontà anche di difendere la dignità di una professione che amiamo, il privilegio di occuparci a tempo pieno delle nostre curiosità, delle nostre passioni, dei nostri traguardi, di coinvolgere i nostri studenti, di metterci al servizio di chi ha bisogno di noi.

Valutazione e libertà

Gli Atenei italiani debbono confrontarsi sul piano internazionale, in un orizzonte più ampio, con nuove idee, con la capacità di mettere a frutto tutti i talenti che ci sono dati, con strategie innovative condivise, verso una positiva fase di rivitalizzazione e di rilancio. È il momento di fare entrare aria nuova, con lo sguardo volto alla multidisciplinarietà come momento essenziale di confronto e di crescita. Soprattutto avviare una spinta riformatrice, far crescere la cultura della valutazione, introdurre meccanismi premianti per le Università che avranno i Dipartimenti più virtuosi, mobilitando gruppi di lavoro per approfondire i problemi e trovare forme nuove di comunicazione all’interno e verso l’esterno. Dobbiamo diventare militanti della programmazione, al fine di definire progetti e obiettivi e attivare azioni per raggiungere risultati efficaci. Nel nuovo contesto competitivo in cui ci troveremo ad operare, credo che ognuno di noi (docenti, tecnici, amministrativi, studenti) dovrà impegnarsi con rigore, definendo in primis le strategie che intendiamo adottare, pianificando, programmando e controllando le risorse sempre più scarse, soprattutto in considerazione dei nuovi obiettivi fissati dal Ministero; ma anche puntando su altre alleanze, alla ricerca di nuove risorse attraverso strumenti innovativi. Improcrastinabile esigenza è quella di applicare anche alle nostre attività obiettivi di efficienza e di efficacia, estendendo all’interno degli Atenei una cultura amministrativo-gestionale che miri ad una visione integrata delle principali aree strategiche non solo nel breve, ma anche nel medio e lungo termine. Naturalmente cum grano salis, poiché siamo convinti anche che occorra riacquisire spazi di libertà di pensiero e di azione, se è vero che il “mestiere” del professore universitario è fondato innanzi tutto sulla fantasia, sulla creatività, sull’imprevisto, al di là dei sistemi più o meno occulti di centralizzazione, di accentramento e di miope controllo burocratico.

Strategia di Lisbona e Processo di Bologna

La Comunicazione della Commissione Europea su “Il ruolo delle Università nell’Europa della Conoscenza” conferma che per raggiungere gli obiettivi di Lisbona e del Processo di Bologna, l’Europa ha bisogno di perseguire l’eccellenza nelle sue università e che questo implica la soluzione di alcune questioni:
1. ottenere risorse sufficienti e garantire che siano utilizzate in modo efficace;
2. garantire autonomia e professionalità nella gestione accademica;
3. concentrare risorse per raggiungere e sviluppare l’eccellenza;
4. aumentare il contributo delle università alle strategie locali e regionali;
5. istituire una cooperazione più stretta fra università e imprese per garantire la migliore divulgazione e valorizzazione delle nuove conoscenze nell’economia e nella società;
6. promuovere lo spazio europeo dell’istruzione superiore integrato allo spazio europeo della ricerca e renderli concorrenziali a livello mondiale.

Questi sono gli obiettivi sui quali saremo veramente giudicati: nell’ottobre 2005 il Consiglio europeo ha definito la correlazione tra ricerca e sviluppo quali basi della competitività europea. Anche la Comunicazione della Commissione “Mobilità degli intelletti europei: creare le condizioni affinché le università contribuiscano pienamente alla strategia di Lisbona”, esprime il ruolo centrale delle università nella formazione del capitale umano.  La strategia di Lisbona include inoltre il supporto della Commissione Europea al processo intergovernativo di Bologna, in particolare nei settori della riforma dei percorsi di studio e della garanzia di qualità. Non possiamo abbandonare questi temi alla libera interpretazione dei Ministri che si succedono, ma abbiamo necessità che la CRUI presenti proposte maturate nel fervido dibattito interno agli Atenei.

Il federalismo

Nei tempi del federalismo, è arrivato il momento di valorizzare tutte le realtà, di innalzare la competizione, di aumentare l’internazionalizzazione, mentre si riducono le risorse a disposizione: è l’occasione giusta per investire  in quegli Atenei considerati in passato periferici, che possono recuperare centralità, che rappresentano un prezioso deposito di diversità e di identità. In occasione dei 150 anni dell’Unità di Italia il progetto federalista che vogliamo tutti perseguire con convinta adesione, recuperando la ricchezza della storia dei territori, può essere un’occasione preziosa per crescere e svilupparci.

Le Università in Italia

La rete delle Università italiane presenta un quadro tanto variegato quanto composito, nato in assenza di una reale programmazione: composito per diversità geografica, per strutture o infrastrutture presenti o assenti, per territori più o meno industrializzati. Eppure rappresenta una straordinaria ricchezza per il Paese, geograficamente articolato e con un incredibile patrimonio di stratificazioni storiche.  Esistono al Nord come nel Mezzogiorno situazioni molto diversificate, con Università  più esposte al confronto internazionale e inserite in un territorio animato da imprese ed aziende produttive, al cui interno gli Atenei debbono rispondere in modo adeguato, con l’impiego di mezzi e di risorse. Altrove sono necessari opportuni meccanismi perequativi che consentano alle Università di poter operare in regime di pari opportunità. Esistono in Italia grandi e piccoli Atenei, Università generaliste e tematiche, Atenei con Facoltà di medicina e Politecnici, Università statali e non.

In sede di valutazione delle performances, un’attenzione specifica dovrà essere dedicata al contesto in cui i singoli Atenei operano e sarà importante, in particolare, considerare le condizioni generali delle Università del Mezzogiorno, penalizzate anche da un progressivo spostamento di funzioni e competenze, anche finanziarie, dal governo centrale al territorio.

Per questo va valutata con favore la creazione di uno specifico tavolo istituzionale per il Sud che riconosca il ruolo degli Atenei come insostituibile risorsa primaria per lo sviluppo del Mezzogiorno e quindi del Paese. La così detta Questione Meridionale non può essere un problema ma una occasione. In questo quadro va ripensata la politica degli esoneri per le tasse studentesche e promossa un’equilibrata considerazione dei costi sostenuti per la didattica, a fronte degli introiti da contribuzione studentesca, ampiamente differenziati in seguito ai diversi livelli di reddito locale.

Le pari opportunità

È necessario un riferimento specifico e forte al tema delle pari opportunità. Un tema “apparentemente dimenticato”, che rientra in realtà in quella nuova e moderna dialettica che auspico all’interno degli organi accademici verso spazi di democrazia e partecipazione sempre più ampi. Occorrerà sicuramente lavorare in questo senso, vista anche la composizione prevalentemente maschile all’interno della CRUI. La mia non vuole essere una vana promessa elettorale ma una precisa volontà di impegnarmi concretamente nel sostenere le ragioni di una partecipazione che ritengo preziosa, determinante ed indispensabile

Nel mio programma di candidatura a Rettore avevo scritto: “Intendo lavorare per una forte rappresentanza femminile nella Giunta di Ateneo e per un rilancio del Comitato delle Pari opportunità che sia veramente aperto alla realtà che ci circonda, che si batta per il principio di uguaglianza e contro ogni forma di discriminazione, fondata sul genere, la cittadinanza, l’origine etnica o sociale, le opinioni religiose, politiche o di qualsiasi altra natura, il censo, la disabilità, l’età o gli orientamenti sessuali:”.

A parte questo, non è sufficiente licenziare ora i CPO e costituire negli Atenei il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni (di cui all’art. 21 della legge 183 del 2010), ma occorre dare segnali concreti per estendere la rappresentanza femminile a tutti i livelli.

L’elaborazione dei nuovi statuti dovrà prevedere, a mio avviso, che le pari opportunità siano non semplicemente un punto, inserito tra i tanti, da affrontare nella discussione, ma una leva per sviluppare quelle potenzialità, energie e competenze che le donne possiedono ma che spesso, per diversi motivi, sono impossibilitate ad esprimere. È diffusa la consapevolezza che i consigli d’amministrazione e i vertici aziendali-istituzionali al femminile mostrano più efficienza, capacità di prendere decisioni e di lavorare per il bene comune, a condizione che vi siano adeguati supporti e servizi che proteggano la donna da un doppio e triplo lavoro che opprime l’entusiasmo e polverizza le competenze.

Il mio impegno come candidato è quello di favorire una concezione di accademia che valorizzi l’apporto femminile, attraverso la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Consapevole che questo è un impegno che le istituzioni devono saper organizzare, propongo la mia attenzione al problema, secondo una prospettiva di ascolto dei bisogni delle comunità universitarie, soprattutto attraverso il dialogo sia con la Conferenza Nazionale dei CPO e con la UNICPO,  in  modo tale che le energie, le collaborazioni e le competenze delle donne possano contribuire in maniera più consistente alle formulazioni e agli atti di governo.

Questa campagna elettorale

Siamo di fronte a un momento delicatissimo della vita universitaria, della università statale e non statale; siamo di fronte alla sopravvivenza della cultura scientifica e umanistica con pari dignità; siamo di fronte a una ricerca di base e sperimentale che forse non porterà frutti economici immediati, se non in alcuni limitati settori, ma che servirà a creare quelle figure forti per il futuro del nostro paese.

Proprio in questo quadro siamo convinti che la CRUI può osare di più, può porsi obiettivi più alti, non deve balbettare ma parlare forte e chiaro. Chiunque sarà eletto, verrà misurato sulla capacità di garantire spazi di libertà e di democrazia, aprire le finestre, far entrare aria nuova dentro il Palazzo di Piazza Rondanini.

Affronterò il confronto elettorale in modo leale ed aperto, serrato sul programma che non è solo una vuota esercitazione, senza polemiche con gli altri candidati (che non considero avversari ma concorrenti che stimo), perché la CRUI non deve essere trasformata in un campo di battaglia. Con serenità, secondo lo stile di “misura”, di tolleranza e di ascolto che ha improntato la mia attività di studioso e di responsabile del governo dell’Università di Sassari, desidero portare un clima positivo e difendere un valore, quello dell’unità dell’istituzione universitaria italiana, al di sopra degli inevitabili conflitti, che saranno in qualche caso utili per una crescita che si misuri con il pluralismo e che combatta la frammentazione del mondo universitario. Il confronto elettorale aperto e pubblico tra candidati può essere un’occasione di crescita, per stimolare la comunità universitaria e definire i programmi che siano capaci di proiettarsi sul piano  nazionale, allo scopo di far emergere un’idea compiuta del futuro del sistema universitario italiano; insieme un momento fondamentale del confronto democratico con pubblici civili dibattiti; se sarò eletto, mi impegno a farmi carico degli interessi generali della CRUI, senza partigianerie, preferenze politiche, scelte di parte e con una posizione di ragionevole equilibrio tra gli interessi contrapposti, costruendo l’autorevolezza della carica innanzi tutto su un forte senso etico, sulla serietà dei comportamenti, sul rigore e l’efficienza, sulla meritocrazia, sulla lotta alle pressioni corporative o di appartenenza, sulla cultura della legalità. Intendo interpretare con spirito di servizio e dedizione le diverse anime di un Sistema Universitario complesso. Credo sia nota la passione con la quale mi sono mosso, nell’ambito delle esperienze che di volta in volta ho maturato. Non ho tessere di partito e respingo qualunque soggezione della CRUI al sistema dei partiti, che deve essere punto di riferimento per il cittadino ma non per l’Istituzione universitaria. Lavorerò per unire e non per dividere, faremo insieme della CRUI la casa comune delle Università.

Non ritengo il potere un valore in sé, ma offro con serenità il mio servizio alla nostra Associazione, con lo scopo di raggiungere obiettivi reali: mi conforta l’amicizia e la stima dei tanti colleghi che hanno chiesto un mio impegno e sostenuto la mia candidatura. Se questo programma otterrà approvazione e consenso, se questa avventura si concluderà con un successo, cercherò di coinvolgere tutti i colleghi con lo scopo di creare davvero una comunità al servizio del Paese.

Il Presidente Napolitano al Teatro Regio di Torino, il 19 marzo, nell’ambito delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, ha ricordato che : è un invito dal quale tutti noi dobbiamo partire, per avvertire davvero il senso del limite delle azioni dei singoli e per affermare la necessità di costruire alleanze e di trovare sinergie, di ascoltare il parere di tutti, di collegare tra loro i territori e le esperienze. Senza investiture dall’alto, ma in spirito di servizio.

Sassari, 24 marzo 2011.

Attilio Mastino




Lettera di Attilio Mastino ai Rettori della CRUI

Lettera di Attilio Mastino ai Rettori della CRUI

Ai Rettori delle Università aderenti alla CRUI

LORO SEDI

Caro collega Rettore,

con riferimento alla convocazione della Assemblea straordinaria della CRUI del 7 aprile, ho il piacere di informarTi che intendo candidarmi a Presidente della CRUI per il mandato triennale 2011-2013 previsto dall’art. 4 dello statuto.

Allego un mio sintetico curriculum vitae e mi riservo di presentare nei prossimi giorni un breve programma.

Negli ultimi anni l’Università italiana ha subito un fortissimo attacco mediatico telecomandato e non è stata in grado di difendersi in modo adeguato, anche sul piano della comunicazione. Gli ultimi avvenimenti testimoniano che la risposta agli attacchi subiti dall’Università è stata inadeguata e deludente, debolissima. Da tempo il Ministro diserta le riunioni della CRUI ed ha rinunciato al confronto con le singole Università.

Il grido del vasto e significativo movimento di protesta del dicembre scorso che si è sviluppato negli Atenei, nelle aule e sulle terrazze delle Facoltà, non è stato raccolto dalla CRUI: eppure le proteste intendevano denunciare gli evidenti limiti della Grande Riforma e il grave sotto-finanziamento del Sistema Universitario Italiano.  Restare asserragliati nel Palazzo non può essere un modo per risolvere i problemi. Non pochi Consigli di Facoltà hanno invitato i Rettori a bloccare il pagamento delle quote associative e sollecitato l’uscita di alcuni Atenei statali e non statali dalla CRUI. Appare evidente che è necessario che i Rettori riescano ad interpretare efficacemente il mondo universitario, non contrastando ma anzi guidando il movimento critico che rappresenta una ricchezza, una risorsa ed una speranza per il Paese. Dunque la CRUI deve cambiare passo, deve acquisire più autorevolezza e capacità di incidere nella società civile, nei territori, nel rapporto con il Governo: ciò si verificherà solo attraverso una rinnovata e più convinta ed autorevole azione della CRUI, tesa a garantire l’autonomia ed il ruolo sociale delle Università italiane e insieme a fornire una consulenza che rappresenti un’alternativa alle ricostruzioni di parte, spesso fondate su dati parziali che non tengono conto della diversità degli Atenei.

Dovremo presto dare applicazione ad una riforma universitaria che avremmo voluto profondamente diversa, più attenta al diritto allo studio ed alle esigenze dei giovani ricercatori, più capace di valorizzare le tradizioni accademiche e di sviluppare reti di relazioni internazionali, una riforma più generosa e meno punitiva.

Una riforma che nei propositi intende ispirarsi ai principi di autonomia e di responsabilità, ma che avremmo desiderato ancora più rispettosa delle identità dei singoli Atenei italiani, più consapevole della complessità delle tradizioni accademiche e del valore della diversità. Oggi rischiano la sopravvivenza molti Atenei; più in generale è in discussione la struttura stessa di tutte le Università, la sopravvivenza di Dipartimenti, Facoltà, linee di ricerca, reti di relazioni consolidate, iniziative collegate al Servizio Sanitario Nazionale. La razionalizzazione proposta comporta anche drastici tagli e pone gli Atenei italiani di fronte a scelte molto dolorose.

Senza risentimenti, dobbiamo ora attuare le disposizioni di una legge dello Stato trovando tutti gli spazi possibili di autonomia, confrontandoci strettamente con l’ANVUR. Occorre contemporaneamente avviare un profondo rinnovamento ed arrivare ad una vera e propria rifondazione della CRUI, che sia in piena discontinuità con il passato e corregga i falsi unanimismi di facciata: in questo senso una pluralità di candidature per la Presidenza e per la Giunta rappresenta una opportunità, un fatto nuovo e positivo, un contributo per sviluppare un dibattito che superi collateralismi e ponga solo obiettivi che siano strettamente connessi con gli interessi, le volontà, le speranze del mondo universitario e dei cittadini. Del resto non crediamo che il cambiamento passi attraverso l’applicazione della legge, ma soprattutto attraverso le idee, i programmi, le persone. Non ci sono uomini validi per tutte le stagioni.

Proprio in questo quadro siamo convinti che la CRUI può osare di più, può porsi obiettivi più alti, non deve balbettare ma parlare forte e chiaro. Chiunque sarà eletto, verrà misurato sulla capacità di garantire spazi di libertà e di democrazia, aprire le finestre, far entrare aria nuova dentro il Palazzo di Piazza Rondanini.

Senza l’Università non c’è un futuro per il Paese.

Il Presidente Napolitano al Teatro Regio di Torino, il 19 marzo, nell’ambito delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, ha ricordato che <<l’umiltà deve guidare chiunque assolva doveri istituzionali importanti in questo Paese>>: è un invito dal quale tutti noi dobbiamo partire, per avvertire davvero il senso del limite delle azioni dei singoli e per affermare la necessità di costruire alleanze e di trovare sinergie, di ascoltare il parere di tutti, di collegare tra loro i territori e le esperienze. Senza investiture dall’alto, ma in spirito di servizio.

Con viva amicizia.

Sassari, 20 marzo 2011.

Attilio Mastino




Natale 2010 – Cerimonia degli auguri di fine anno

Cerimonia degli auguri di fine anno

Intervento del prof. Attilio Mastino

Martedì 22 dicembre 2010

 

Cari amici,

l’appuntamento di oggi per la tradizionale cerimonia degli auguri segna un primo momento di riflessione, una pausa dopo un anno vissuto intensamente, con tante luci e qualche ombra, con problemi ma soprattutto con molte opportunità. In questi mesi ci siamo sentiti veramente sostenuti dall’amicizia, dalla simpatia e dalla comprensione di tutti i colleghi e ci siamo sforzati di interpretare le attese e le speranze dell’intera comunità accademica, con l’ambizione che l’Ateneo diventi sempre più un punto di riferimento centrale in Sardegna, non solo sul piano culturale. L’attenzione intorno alla nostra azione è cresciuta ed abbiamo avvertito il senso di una responsabilità davvero grande, l’insufficienza dell’impegno dei singoli, l’esigenza di far entrare aria nuova nelle nostre Facoltà, nei nostri Dipartimenti, nei nostri laboratori, nei nostri Centri di ricerca, nelle nostre biblioteche, nei nostri uffici.

Il ruolo dell’Università cresce nel territorio, si è acquisita piena consapevolezza dei ritardi e delle disfunzioni accumulate nel tempo, abbiamo avviato un percorso di definizione di obiettivi strategici e di programmazione che potrà portare alla nascita di una Università di eccellenza, profondamente radicata in Sardegna ma non localistica, solida e capace di competere su uno scenario internazionale, con crescenti investimenti nelle tecnologie, nell’edilizia, nella ricerca, soprattutto nel capitale umano.

L’anno che si sta per aprire sarà l’anno delle celebrazioni centenarie: intendiamo difendere il patrimonio di un Ateneo che vanta 450 anni di vita e che certamente non sarà messo in discussione da una riforma universitaria che avremmo voluto profondamente diversa, più attenta al diritto allo studio ed alle esigenze dei giovani ricercatori, più capace di valorizzare le tradizioni accademiche e di sviluppare reti di relazioni internazionali, una riforma più generosa e meno punitiva. Oggi rischia di essere in discussione la struttura stessa degli Atenei, la sopravvivenza di Dipartimenti, Facoltà, linee di ricerca, reti di relazioni consolidate. La razionalizzazione proposta comporta anche drastici tagli e pone gli Atenei italiani di fronte a scelte molto dolorose. L’ingresso dei privati nel Consiglio di Amministrazione, l’indebolimento del Senato Accademico, la diminuzione della rappresentanza studentesca, la scomparsa del PTA dagli organi accademici, la nuova composizione delle commissioni di concorso,  l’impoverimento dei momenti di democrazia e di confronto che passa attraverso la soppressione dei consigli di facoltà, la precarizzazione dei ricercatori, l’incapacità di cogliere le diversità delle tradizioni accademiche e gli specifici svantaggi dell’insularità non sono elementi positivi in un quadro caratterizzato dalla ricerca di una efficienza che si dovrà comunque confrontare con la capacità di coinvolgimento delle persone, con l’adozione partecipata degli obiettivi prioritari da raggiungere, con politiche di sussidiarietà e di integrazione che correggano il modello centralistico di base.

Proprio oggi o al massimo domattina il Senato della Repubblica approverà il DDL Gelmini (Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), che diventerà legge dello Stato. Saremo impegnati a partire dalle prossime settimane a scrivere il nuovo statuto, con un solo obiettivo, quello di mantenere ed estendere quell’autonomia universitaria riconosciuta dall’art. 33 della nostra Costituzione. Non ci faremo trascinare da sterili risentimenti, né ci arrenderemo di fronte alla politica dei tagli disposta da Governo, ma chiederemo conto dei propri comportamenti al Ministro, al Presidente della Conferenza dei Rettori, alla Regione, agli amministratori locali, pronti ovviamente a rispondere di ogni atto da noi adottato, ad assicurare trasparenza sulle nostre scelte, a garantire procedure non solo legittime ma soprattutto corrette nella sostanza, a declinare gli indicatori ministeriali con riferimento alla nostra storia ed alla nostra cultura.  Nascerà la Fondazione Universitaria del Nord Sardegna.

Senza l’Università non c’è un futuro per la Sardegna e per il paese.

Dunque lavoreremo tutti per costruire un modello di università nuovo, per fondare la nuova governance, per creare opportunità per tutti e spazi di flessibilità. Ci aspetta un anno difficile, duro, pieno di contrasti, che affronteremo con animo aperto, con la volontà di ascoltare e di capire le esigenze di tutti, senza cedere alla facile tentazione di usare la scure per tagliare Facoltà e Dipartimenti, ma costruendo proposte sostenibili nel tempo, che incoraggino sinergie e favoriscano aggregazioni scientifiche  razionali. Ci assumeremo la responsabilità di dare indirizzi generali, dopo aver sentito il parere di tutti.

Chiediamo un ulteriore impegno al Prorettore, al Direttore Amministrativo, alla Giunta, agli organi accademici, a tutto il personale perché tutti ci si rimbocchi le maniche e ci si metta al servizio di un Ateneo che ha una storia e una dignità da difendere, un’immagine da tutelare contro le campagne di stampa ingiuste, contro quei giornalisti che non riescono veramente a entrare nel palazzo, a leggere le novità positive: noi sempre con l’esigenza di dare esempi di comportamenti virtuosi, basati sulla necessità di difendere gli interessi della res publica.

Siamo dalla parte innanzi tutto degli studenti e dei ricercatori ed ogni nostro sforzo sarà indirizzato a difendere i loro diritti, ma anche a chiedere impegno, responsabilità, decisi a valutare il lavoro di ciascuno e noi a rispondere dei nostri limiti e delle nostre incapacità.

Ieri, nella cerimonia della consegna del sigillo storico ai nostri professori, ricercatori e tecnici amministrativi e bibliotecari andati in pensione abbiamo anche iniziato a costruire un ponte ideale tra generazioni, per capire le amarezze di chi ci lascia, per esprimere il senso di gratitudine e di continuità, per assumere responsabilità e doveri anche nei loro confronti.

In occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico qualche settimana fa abbiamo fornito un quadro delle attività svolte e dei programmi immediati, che è superfluo oggi riprendere nel dettaglio e che troverete nella relazione disponibile anche on line: abbiamo pensato allora  di innovare profondamente la tradizionale cerimonia degli auguri, per dare spazio ad altre voci più significative, quelle di coloro che effettivamente hanno lavorato al nostro fianco, presiedendo gli organi accademici, spendendosi fino in fondo per il nostro Ateneo, con generosità, con passione, con dedizione vera. Volgendoci per un momento indietro proviamo sentimenti di gratitudine e di amicizia che intendiamo esternare oggi, verso i componenti Giunta, i delegati, i membri degli organi accademici e delle diverse commissioni, della segreteria del Rettore e della direzione Amministrativa, del Nucleo interno di valutazione, dei Revisori dei conti.

Approvando il bilancio senza conoscere l’ammontare del FFO ministeriale del 2010 e senza conoscere gli orientamenti del Consiglio regionale del 2011 abbiamo assunto ieri una posizione coraggiosa, certi che avremo a disposizione risorse, ma soprattutto idee e progetti per crescere ancora.

La dimensione nella quale il nostro Ateneo si muove è sempre più quella di una competizione internazionale: eppure partiamo da una base sicura, da fondamenta solide, dal sostegno della Giunta Regionale e del Consiglio che investono sull’Università perché sanno che così si promuove lo sviluppo dell’isola. Il 15 dicembre abbiamo firmato l’intesa con gli assessori regionali Milia e La Spisa sulla ripartizione del fondo unico dell’Università, visiting, rientro cervelli, premialità per il 2010 mettendo in campo risorse per circa 20 milioni di euro, comprese le somme consistenti per la mobilità ERASMUS, decisamente in espansione con i tirocini ed il placement.

Consideriamo alcuni successi ottenuti: l’avvio del cantiere per l’ospedale veterinario, il trasferimento della Facoltà di Economia in città, il completamento di tanti lavori edilizi, l’inaugurazione del Centro linguistico, del Centro orientamento, della biblioteca di scienze a Piandanna, della nuova Biblioteca delle Facoltà umanistiche, le Scuole di dottorato,  l’approvazione del documento di programmazione finanziaria e del nuovo piano triennale di opere con l’elenco dei cantieri che prendono avvio già nel 2011 con un investimento iniziale di 30 milioni. Le consistenti risorse a favore della ricerca, gli assegnisti, i dottorandi.

Sul versante del personale siamo orgogliosi degli accordi stipulati con i sindacati che parzialmente recuperano il salario accessorio, e poi la mobilità orizzontale, l’avvio della riforma della pianta organica. La politica in tema di disabilità, le pari opportunità, il garante degli studenti. E poi la pubblicazione del volume della Storia dell’Università, la collaborazione con l’ERSU, con l’AOU,con il CUS, con il CRUS, con le associazioni studentesche, le attività sportive e musicali, il coro. Ancora l’incremento progressivo della mobilità internazionale, i corsi di lingua, gli accordi con le reti di Università catalane, insulari e mediterranee, la forte sinergia con il Rettore dell’Università di Cagliari, la razionalizzazione della presenza sul territorio nelle sedi gemmate.

Stanno per partire le nuove controdeduzioni alla relazione dell’ispettore inviato dal Ministero delle Finanze, che sintetizzano le azioni di correzione adottate, ad iniziare dal nuovo accordo con Porto Conte Ricerche e dai nuovi regolamenti; si dismettono le locazioni inutili; si introduce un sistema trasparente che passa attraverso la pubblicazione on line in tempo reale dei verbali degli organi accademici.

Siamo riusciti a mettere al riparo dalla riforma circa 40 nuovi posti di ricercatore a tempo indeterminato. Oggi prendono servizio 20 nuovi  professori. Assumiamo l’impegno di smaltire rapidamente la coda di prese di servizio degli idonei vincitori di concorso in sede e fuor sede.

Del resto ora dobbiamo veramente volgerci al futuro: dunque ci concentreremo per rilanciare un’azione riformatrice che incida ancora più in profondità ed i prossimi mesi saranno cruciali per avviare nuove iniziative per la riforma delle attività formative e per l’orientamento, nuovi servizi per gli studenti, nuove competenze linguistiche e matematiche, nuove strutture informatiche, nuovi saperi. E ancora nuove azioni per il personale con una riorganizzazione del modello gestionale dell’amministrazione. Impegno per la certificazione corretta dalla produttività nella ricerca, con consistenti investimenti per i visiting professors, per il progetto INNOVARE, per il rientro dei cervelli, per i laboratori, per gli spin off, per i centri di competenza, per i progetti europei, per il trasferimento tecnologico. Insomma, nuove politiche reali di promozione e sostegno della ricerca. E poi un’assistenza sanitaria di qualità. E’ il momento del coraggio, perché il cambiamento è ormai ineludibile sul modello stesso di università, come sull’edilizia, sulle nuove tecnologie, sull’internazionalizzazione, sulla medicina universitaria nella prospettiva di una profonda innovazione che consenta di migliorare la qualità, valorizzare le eccellenze e faccia nascere la nuova cittadella sanitaria. Tra qualche settimana finanzieremo il fondo FAR dell’ex 60%, istituiremo premialità per professori e per ricercatori e per i Dipartimenti più produttivi, valorizzando il merito di ciascuno. Nascono con ambiziosi progetti l’orto Botanico e il Museo scientifico. Occupiamo con il Centro elaborazione dati i nuovi locali di Via Rockfeller. Un accordo con il Comune consentirà di acquisire  in uso per venti anni 4 fibre ottiche appartenenti alla Rete Civica Comunale, al fine di collegare in via esclusiva alcune sedi universitarie ricadenti sul territorio comunale con il CED.  Intendiamo arrivare rapidamente all’appalto delle nuove aule di Agraria, del secondo lotto del complesso bionaturalistico, il completamento dell’Istituto di malattie infettive, le tante altre iniziative edilizie in cantiere anche per le facoltà umanistiche. Inaugureremo nuove cliniche e nuovi reparti sanitari.  Si consolideranno i poli formativi omogenei: chimico-farmaceutico, scientifico-ambientale, giuridico-economico-sociopolitico; infine letterario. Difenderemo la Facoltà di Architettura nella città catalana di Alghero e arriveremo all’accreditamento europeo della Facoltà di Medicina Veterinaria.

Per realizzare i nostri obiettivi abbiamo disperato bisogno di voi, della vostra passione, della vostra intelligenza, del vostro coraggio.

Allora auguri a tutti noi, ai nostri carissimi studenti innanzi tutto che costituiscono il nostro patrimonio più prezioso: auguri per le prossime Festività e per un vero Natale pieno di serenità e di gioia, per un anno nuovo magico luminoso e  ricco di cose che contano davvero, di emozioni, di sogni e di speranze.  

Auguri a ciascuno di voi, alla grande famiglia dell’Università, alla città di Sassari ed a tutta la Sardegna. Il nuovo anno sia veramente un anno di svolta, positivo, ricco di salute, senza una lacrima, con tanti momenti di gioia e di felicità.

 

Consentitemi in chiusura  una piccola trasgressione, un augurio nella lingua di noi Sardi:

 

Po boisi salude fortuna e affettu

Chi pozzis vivere s’annu nou cun dilettu

A su tramontu de s’annu presente

Bonos ammentos appas in mente

S’annu chi sos ojos est abberinde

Biada su bene intende e

Su male essinde.

 

Auguri a tutti noi. Buon Natale e Buon Anno.




XIX Convegno internazionale de L’Africa Romana

XIX Convegno internazionale de L’Africa Romana

Attilio Mastino

Saluto conclusivo

Sassari 20 dicembre 2010

Cari amici,

si conclude con questa solenne sessione finale il XIX Convegno internazionale de “L’Africa Romana” dedicato al tema “Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale fino alla fine del mondo antico”. Come di consueto, mi viene affidato un compito, quello di chiudere questo momento finale del nostro incontro, ripercorrendo idealmente alcuni dei momenti di queste giornate, che sono state anche una festa mediterranea e un momento per ritrovare amici veri.

Con tristezza voglio innanzi tutto  ricordare uno studioso che ci era caro che è scomparso dieci giorni fa, Domenico Fossataro della Università di Chieti e della Missione italiana in Cirenaica, che avrebbe dovuto parlare qui a Sassari su Ad Liminas – Lamluda in Libia, come centro di confine e di potere. La terra ti sia lieve.

Vogliamo però pensare positivo e anche quest’anno il numero dei partecipanti ai nostri incontri si è ampliato, coinvolgendo tanti giovani studiosi, tanti dottorandi, tanti studenti che rappresentano il nostro futuro.

Cari amici,

mi consentirete di chiamarvi amici e solamente amici, rinunciando alle nuances, spesso ipocrite, degli “amici e colleghi”, perché io so che voi siete venuti, in questo glaciale dicembre, nella nostra Sardegna, in nome della amicizia che ci lega, per i più fedeli e antichi compagni de l’ Africa romana, da quasi trent’anni.

Ho l’emozione di vederci, di riconoscerci, qui, alla vigila della festa di fine anno, com’è tradizione, per pronunciare le parole di conclusione, di bilancio, di questa XIX sessione de l’ Africa Romana, che poi appariranno stampate nei volumi (tre, quattro ?) che comporranno gli Atti di questa nostra, comune, avventura decembrina.

Due anni orsono abbiamo scherzato sulla “babelica” Africa romana olbiese, o sul “minestrone” (son le parole di Marc Mayer) di Olbia.

Gli è che ho il senso, abbiamo il senso, e so di parlare a nome dei miei, dei nostri studenti dei corsi di laurea, della scuola di Dottorato, dei miei amici sassaresi che hanno dato anima e corpo perché questo “minestrone”, decimo nono, avesse il buon sapore delle cose antiche che sono il “nostro pane quotidiano”, abbiamo il senso del nostro dovere di proseguire insieme a tutti voi l’ Africa Romana.

Dobbiamo andare avanti, nonostante la tempesta internazionale che ci fa presagire le “déluge”.

Noi non prestiamo fede ai profeti di sventura, agli pseudo-interpreti del  calendario Maya, che vaticina per il 2012 la scomparsa del nostro mondo, noi abbiamo un’altra fede, noi abbiamo fede nella nostra comune humanitas,  quella  invocata da un grande africano, Terenzio, che pensava che niente d’ umano, niente proprio dell’ humanitas, potesse essere estraneo all’ uomo.

Nonostante le voci crudeli dell’ homo oeconomicus, che vorrebbe ridurre ogni valore a moneta, noi crediamo nell’ humanitas, che ci rende solidali, noi uomini del Maghreb, noi uomini dell’ Europa, noi uomini del nuovo mondo.

E ora questa humanitas nostra, romana, africana, di mille e mille voci dell’ antichità, è giunta sino alle nuove Indie, e da lì, dalla bella Argentina, dal cuore dell’ America latina,  a noi è venuta con la voce di un amicus a parlarci della Volubilis mauritana.

Nuove storie, nuove storie sono state narrate da tutti voi, novelle sirene, che ammaliano con il proprio sonoro canto antico  il viaggio del moderno Odisseo.

Avete cantato le storie  di paesaggi incantati, quasi miraggi del deserto, come quelle delle sfarzose domus di Cartagine, con i loro stibadia, in cui sdraiati i nostri antichi fratres in humanitas discettano e banchettano, come noi abbiamo fatto  alla mensa ospitale de L’ Alguer, la nostra bellissima città catalana, al suono seducente dei nostri cori antichissimi.

Avete cantato i paesaggi di città superbe, dalle terme sfarzose, zampillanti d’acqua, come a Thamugadi, come a Lambaesis, dal cui praetorium siamo partiti con la nostra XIX tabula de L’ Africa romana.

Avete cantato i paesaggi incantati dei superbi tonni del Mare Oceano, dell’ Atlantico, andati ad offrire quel succo arcano che era  il garum.

Avete fatto risplendere le visioni di città poderose annichilite dall’ incedere della storia: dai templi delle città della Tripolitania, fino al santurario B, enigmatico di Volubilis, alle baleariche Palma e Pollentia, alle nostre sarde Nora, Sulci, Turris Libisonis.

Dalle viscere antiche cave – numidiche- di Smitthus alle acque terse di Nabeul che rivelano i paesaggi incantati d’una città sommersa, Neapolis, con i bacini ed il porto neapolitano, non sfuggito all’ ira di Poseidone.

E il moderno Odisseo ha così conosciuto, nell’ anelito dantesco alla canoscenza (fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute  e canoscenza…), paesaggi di sovrani e di potenti, regge e palazzi e tombe e templi, rendendo non vano la nostra rotta comune.

E’ il nostro officium, è il nostro dovere, non obbligati da una norma di legge, ma sedotti dal dio che ha messo nel nostro spirito quella sete di conoscenza, per cui è giusto spendersi, fino all’ ultima goccia.

Questo forse è l’ insegnamento che voi traete dal canto proibito delle sirene,  l’insegnamento che tramandate ai vostri allievi, e agli allievi dei vostri allievi, affinché il fievole canto non si spenga, ma risorga.

E’ il vaticinio apollineo del Gnothi seauton, che sedusse Socrate e seduce ognuno di noi, ed ognuno di quelli che verranno appresso noi, per intonare il “tu devi” seguir virtute  e canoscenza,

Questa è l’essenza della nostra Africa romana, anno dopo anno, decennio dopo decennio: seguir virtute  e canoscenza.

E voi mirabilmente avete restituito l’ unità della conoscenza, sbriciolata in mille rivoli dalle pratiche accademiche, quasi che s’assaporasse la condanna divina della confusione delle lingue di babelica memoria.

Qui è restituita la lingua  edenica, che parlano all’unisono storici, archeologi, epigrafisti, numismatici, giuristi e scienziati delle scienze esatte che combinano i loro saperi a quelli umanistici, tutti provenienti da tanti paesi.

Da questa polifonia è restituita la lingua delle origini prima di Babele che parlarono gli uomini prima che i fratres in humanitas fossero separati dall’ ignorantia, dall’incapacità di ascolto della parola, unica, di tutti gli uomini.

Abbiamo ascoltato infine la voce d’uomo che viene da Gerusalemme, la città sacra per gli uomini del Libro, degli uomini, dico, di fede islamica, di fede giudaica, di fede cristiana.

Quell’uomo ci ha chiesto, in nome della comune scienza dell’antichità, di collaborare, per Gerusalemme.

E, con il Salmista (ps. 121). possiamo dire tutti:

“Esultai quando mi dissero: andremo nella casa del Signore

Ed ora i miei piedi stanno alle tue porte, o Gerusalemme”.

Gerusalemme, la città divisa, la città dove i palestinesi soffrono, separata da un muro da quella Betlemme verso la quale tanti di noi guardano in questi giorni.

Giovedì la performance musicale di Daniela Cossiga per i 150 anni dall’unità d’Italia,  è stata innanzi tutto indirizzata contro tutti i nazionalismi, in un Mediterraneo che deve sempre di più orientarsi verso forme di integrazione, deve essere capace di superare i conflitti, di avvicinare i popoli, di segnare nuove tappe di progresso e di sviluppo pacifico. Questa impresa internazionale è stata davvero un’occasione di crescita, di maturazione e di impegno per le discipline che studiano il mondo antico, per una nuova generazione di studiosi più rispettosi degli altri, più consapevoli dei valori delle diverse identità, pur con l’ammirazione e il rispetto verso i maestri che ci hanno preceduto.

Da qui, da Sassari, partiremo tra due anni verso la riva Sud del Mediterraneo, in un luogo che sarà certamente accogliente ed ospitale, per celebrare con una festa il XX convegno ed anche il trentennale dei nostri incontri.   Si è svolta poco fa una riunione del Comitato scientifico che ci ha dato un obiettivo comune ed una meta da raggiungere. L’appuntamento è all’autunno 2013 per discutere di “Momenti di continuità e rottura: bilancio di 30 anni di convegni de L’Africa Romana”, con sessioni tematiche specifiche. Il Comitato scientifico ha deciso sui nomi dei curatori del volume XIX, che dovranno rimettere ordine al materiale, ricchissimo e originale, che in questi giorni è stato presentato a Sassari.  Il Comitato scientifico si allarga con studiosi della Tunisia, dell’Algeria, del Marocco, della Libia.

Spero vorrete concedermi un minuto per i ringraziamenti per quanti hanno collaborato per il successo dei nostri lavori: per la concessione del suo  alto patronato il Presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano, l’Association internationale d’épigraphie grecque et latine rappresentata dalla Segretaria Generale Angela Donati, il Presidente della Fondazione Banco di Sardegna avv. Antonello Arru, il presidente dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente prof. Gherardo Gnoli, l’Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo, il Rettore dell’Università di Cagliari, il sindaco di Sassari Gianfranco Ganau, la Presidente della Provincia Alessandra Giudici presenti alla seduta inaugurale, i dirigenti del Centro di Studi Sallustiani dell’Aquila, infine i colleghi della Soprintendenza Archeologica con tutta la loro squadra che ci hanno ospitato con tanta simpatia ed affetto e ci hanno offerto venerdì sera una straordinaria mostra ricca di novità e di inediti. I lavori si sono svolti in questa Università centrale, in questa aula Magna, nella sala Eleonora d’Arborea e nell’aula consiliare, ma anche a Porto Conte Ricerche nel complesso universitario di Tramariglio messo a disposizione dall’amministratore delegato Sergio Uzzau.

Voglio ringraziare il Soprintendente Bruno Massabò e l’amico Rubens D’Oriano, che ha promosso assieme agli insegnanti del Liceo D.A. Azuni Pier Paolo Carboni e Franca Pirisi una delicata performance al Museo.  Gli altri spettacoli sono stati affidati al Coro dell’Università con i Carmina Burana, al Coro di Bosa, al Gruppo Amici del Canto Sardo di Sassari ed ai Gruppi Folcloristici di Ittiri Cannedu e Figulinas di Florinas. Le escursioni ci hanno portato ad Alghero ed a Turris Libisonis, alla ricerca dei monumenti di una terra che amiamo, una Sardegna ricca di storia e con una forte identità: il nuraghe Palmavera, il villaggio di Sant’Imbenia, i misteriosi giganti di M. Prama, gli scavi nella basilica di San Gavino, il Centro di restauro di Li Punti, l’Antiquarium Turritano.

Volevo poi ringraziare Giovanni Maria Satta della direzione dell’Agenzia Ajò, i suoi collaboratori, la casa editrice Delfino, la libreria Koiné, che hanno curato la esposizione di libri; gli assegnisti, i dottorandi gli studenti della Segreteria, tra i quali mi consentirete di citare almeno Gabriele Carenti, Fabrizio Delussu, Michele Guirguis, Pierpaolo Longu, Emanuele Madrigali, Giuseppe Maisola, Giuseppe Padua, Alessandro Vecciu, Emanuela Cicu, Florinda Corrias, Beatrice De Rosa, Lavinia Foddai, Antonella Fois, Elisabetta Grassi, Laura Mallica, Rosana Pla Orquín, Elisa Pompianu, Renata Puggioni, Valentina Sanna, Marilena Sechi, Manuela Sias, Antonella Unali, soprattutto Alberto Gavini e Maria Bastiana Cocco; i nostri impiegati Caterina Petretto, Giovanni Conconi, Franco Mulas, Toni Fara, i membri del Comitato Scientifico tra i quali voglio ricordare almeno Cinzia Vismara e Paola Ruggeri, i nostri carissimi studenti che hanno conosciuto una difficile e faticosa iniziazione.

Infine il Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari, il Centro di studi interdisciplinari sulle province romane, la Scuola di dottorato “Storia, letterature, culture del Mediterraneo” rappresentato dal coordinatore Piero Bartoloni, la Facoltà di Lettere e Filosofia.

Voglio però oggi ringraziare soprattutto i nostri ospiti, i giovani ed anche i maestri che amiamo molti dei quali sono seduti a questo tavolo: la festa per il 92esimo compleanno di Joyce Renolds ieri sera ad Alghero ha testimoniato il nostro legame verso la persona, ma soprattutto la nostra ammirazione per un impegno scientifico severo sulla frontiera delle nuove conoscenze, per l’amicizia e la fiducia che hanno riposto in noi.

Osservando la massa di comunicazioni delle quattro sessioni, i 50 posters, le 10 presentazioni di libri, possiamo dirci veramente soddisfatti, quasi come ad Olbia, quando José Maria Blazquez aveva parlato di un vero e proprio trionfo. Prendo tutte le cose positive che sono state dette sul nostro incontro a merito dei nostri relatori, che veramente hanno presentato novità straordinarie. Anzi approfitto per esprimere sinceramente le scuse per le tante cose che non hanno funzionato, per le mie assenze, per l’eccessiva enfasi della giornata inaugurale sul ruolo dell’Università di Sassari. In realtà merito del successo di questi giorni è solo vostro: sono stato impressionato dalle comunicazioni presentate, 174 in tutto (67 per la I sessione, Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale, 34 per la II sessione, Relazioni del Nord Africa con le altre province, 11 per la terza sessione, Nuovi ritrovamenti epigrafici, 31 per la IV sessione, Varia), e desidero esprimere ammirazione per le imprese scientifiche internazionali in corso che si sono riflesse nelle vostre relazioni. L’archeologia e cambiata davvero e noi abbiamo assicurato solo una funzione di coordinamento e di servizio e vi siamo grati per la fiducia che avete riposto in noi.

Hanno preso parte ai nostri lavori 256 studiosi, provenienti da  14 paesi, dagli Stati Uniti e dal Canada, dall’Argentina e dal Giappone; dalla Finlandia al Marocco, dalla Algeria, dalla Tunisia; dal Regno Unito, dalla Spagna, dalla Francia, dalla Germania, dalla Svizzera, da Gerusalemme. Sono state rappresentate oltre 60 università, di cui oltre 20 università italiane. E poi i rappresentanti degli Enti di tutela, delle Soprintendenze statali e comunali, degli Istituti per il Patrimonio, del mondo dell’associazionismo e della stampa.

I nuovi dati presentati a questo convegno e raccolti in questi giorni troveranno puntuale ospitalità nella collana del Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari e nel volume degli Atti, che sarà curato da Maria Bastiana Cocco, Alberto Gavini e Antonio Ibba per le edizioni Carocci di Roma, in questa sede rappresentate da Alessandra Zuccarelli. Come di consueto accoglieremo tutti i contributi che ci perverranno entro il 28 febbraio 2011. Ci aspettiamo articoli brevi ed originali.

Chiudendo i nostri lavori intendiamo accogliere tre appelli che condividiamo, tre frontiere vecchie e nuove per i nostri studi: la realizzazione di un grande Parco di Tuvixeddu a Cagliari e l’appello per la messa in rete di archivi sulle esplorazioni archeologiche che precedano l’indipendenza dei paesi del Maghreb e non solo, magari che si estendano anche alle grandi imprese internazionali che hanno riguardato il Nord Africa.  Infine un documento sulle linee della riforma delle Università italiane.

Abbiamo terminato e non mi resta che augurarci un felice rientro nelle vostre sedi e nelle vostre famiglie.

Allora auguri a tutti voi per le prossime Festività, per un anno nuovo magico luminoso e  ricco di cose che contano davvero, di emozioni, di sogni e di speranze.

Auguri a ciascuno di voi, alle vostre famiglie, alle vostre équipes di ricerca. Il nuovo anno sia veramente un anno di svolta, positivo, ricco di salute, senza una lacrima, con tanti momenti di gioia e di felicità.

DOCUMENTO N. 1 – Appello per Tuvixeddu

I partecipanti al XIX Convegno internazionali di studi su “L’Africa Romana” (dedicato al tema “Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale fino alla fine del mondo antico”.) rivolgono un appello alle istruzioni per promuovere un grande Parco Archeologico-Ambientale poer Tuvixeddu-Tuvumannu e tutelare la montagna sacra che incorpora la necropoli punica più vasta del Mediterraneo, un monumento di importanza mondiale che fa grande la Sardegna e l’Italia.

Nella città di Cagliari il colle di Tuvixeddu-Tuvumannu, la Montagna Sacra che incorpora la necropoli punica più vasta del Mediterraneo, è un monumento di valenza mondiale che fa grande la Sardegna e l’Italia.

Dovrebbe essere evitata una ulteriore grave compromissione del Colle, già martoriato in passato da azioni di trasformazione che ne hanno pesantemente alterato i valori archeologici e paesaggistici.

Esso costituisce infatti un elemento di fondamentale importanza per il paesaggio storico di Karalis, in quanto la percezione paesaggistica originaria del “luogo” è legata al “sistema dei colli”, a tal segno da essere generatrice del nome stesso di Cagliari.

Il nucleo paesaggistico-culturale dell’area è costituito da una vastissima necropoli connessa all’insediamento urbano punico di KRLY, esteso sulla costa orientale della laguna di Santa Gilla e sede sul versante occidentale di una necropoli romana monumentale, disposta su terrazze, gravitante sulla sezione finale della via a Turre Karales.

Al vincolo archeologico del 1996 si è aggiunto quello paesaggistico, quindi il Piano Paesaggistico Regionale e, infine, recentemente, il riconoscimento come bene culturale in quanto testimonianza dell’attività mineraria. Da anni il pronunciamento di studiosi di chiara fama delle Università di Sassari e Cagliari, nonché la diffusa percezione dei cittadini mette in luce il valore di appartenenza e di identità storica, non negoziabile con promesse di sviluppo economico di breve durata ma, al contrario, suscettibile di vantaggi economici importanti e durevoli, se utilizzato in modo saggio e lungimirante.

Ma sull’area del contesto Tuvixeddu-Tuvumannu insistono progetti e investimenti finalizzati all’edilizia civile, fortemente lesivi dell’unità ambientale e destinati a sottrarre il bene alla fruizione pubblica, per consegnarlo a quella privata. Nel 2000 il Comune di Cagliari e la Regione Sardegna hanno preso impegni e ratificato accordi su quelle progettualità, prima dell’entrata in vigore di leggi e provvedimenti che hanno profondamente modificato la considerazione del bene ambientale. Oggi una revisione della situazione è imposta dal Piano Paesaggistico Regionale e dallo stesso Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che introduce il concetto del bene paesaggistico come unità contestuale.

In questa nuova percezione del paesaggio assume grande importanza il processo di ricostruzione della fisionomia storica del sistema dei colli prospicienti la laguna di S. Gilla, sulle cui sponde si insediò l’uomo a partire da età preistorica. Noi non vorremmo che si configurasse una ulteriore compromissione ambientale che, se dovesse essere realizzata, sarebbe purtroppo irreversibile.

Invitiamo pertanto a prendere atto di questa innovativa visione del paesaggio, per un recupero dell’unità ambientale nel suo contesto.

TUTTO CIO’ PREMESSO

Si chiede di perseguire con ogni mezzo l’obiettivo fondamentale che l’intera unità ambientale Tuvixeddu-Tuvumannu ritorni a essere patrimonio della collettività.

La realizzazione di un grande Parco Tuvixeddu-Tuvumannu, che comprenda l’intera area di circa 50 ettari, è una occasione per impostare un nuovo indirizzo che abbandoni la logica della crescita della città con la saturazione edilizia quantitativa e parta invece dai “vuoti urbani” per rilanciare la qualità della vita nell’intera area metropolitana di Cagliari.

DOCUMENTO N. 2

Appello sugli Archivi

Dei partecipanti al XIX Convegno internazionale di studi su “L’Africa Romana (dedicato al tema “Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale fino alla fine del mondo antico”).

Sassari-Alghero, 16-19 novembre 2010

Il periodo delle esplorazioni archeologiche precedenti l’indipendenza dei paesi del maghrīb ha visto la nascita di numerosi archivi – di istituzioni e personali – che raccolgono notizie e immagini di enorme importanza: testimonianze preziose e uniche di monumenti e paesaggi che le infrastrutture e l’urbanizzazione degli ultimi decenni hanno fatto in molti casi scomparire. Questi documenti sono di primaria importanza per quanti si dedichino alla ricerca storica (sull’antichità e sull’età moderna) e archeologica.

Tali archivi sono oggi custoditi da privati o da università e istituti di ricerca e in molti casi la loro conservazione è a rischio per mancanza di adeguati spazi e di manutenzione. Tuttavia il medesimo progresso che ha portato al deterioramento di tanti siti archeologici consente oggi, paradossalmente, di conservarne e trasmetterne la memoria come non mai nel passato. La digitalizzazione di testi e immagini permette infatti non solo di “salvare” i documenti, ma anche di renderli accessibili a chiunque ne abbia necessità. La possibilità di disporre di documenti in formato pdf, possibilmente tramite archivi in rete, proteggerebbe il materiale che altrimenti, se frequentemente consultato, si deteriorerebbe e permetterebbe di effettuare spogli da qualsivoglia postazione informatica nel mondo intero, senza costringere i ricercatori a viaggi e soggiorni presso istituzioni, con un risparmio di tempo e di fondi notevole e alleggerendo notevolmente il carico di lavoro di quanti oggi sono addetti a garantirne la fruizione.

Ben sappiamo che mettere in rete questi documenti comporta una serie di difficoltà : gli archivi non sono omogenei, non tutti sono stati classificati e la scansione di un materiale così importante richiede tempo e risorse. Questo appello ha quindi il doppio scopo di sensibilizzare da un lato la comunità scientifica sul problema della trasmissione e della fruizione di queste fonti e, dall’altro, di invitare tutti a collaborare per raggiungere tale obiettivo.

Appel sur les Archives

Par les partecipants au XIX Convegno internazionale di studi su L’Africa Romana (dedicato al tema “Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale fino alla fine del mondo antico”)

Sassari-Alghero, 16-19 décembre 2010

La période des explorations archéologiques antérieures à l’indépendance des pays du Maghreb a vu la constitution de nombreux fonds d’archives – institutionnels ou personnels – qui réunissent des informations et des images d’une très grande importance: témoignages précieux et uniques sur des monuments et des paysages que les infrastructures et l’urbanisation des dernières décennies ont fait disparaître dans de nombreux cas. Ces documents sont d’une importance primordiale pour ceux qui se consacrent aux recherches historiques (sur l’antiquité et l’époque moderne) et archéologiques.

Ces archives sont aujourd’hui conservées par des particuliers ou par des universités et des instituts de recherche et, dans de nombreux cas, leur préservation est menacée par l’absence de locaux et de traitements adaptés. Cependant, ce même progrès responsable des dommages subis par tant de sites archéologiques permet aujourd’hui, paradoxalement, d’en assurer la conservation et la transmission beaucoup mieux que dans le passé. La numérisation des textes et des images permet, en effet, non seulement de « sauver » les documents, mais aussi de faciliter leur consultation. La possibilité d’accéder à des documents au format pdf, si possible à partir d’archives mises en réseau, protègera les originaux qui s’abîmeraient s’ils devaient être souvent manipulés et permettra de faire des dépouillements à partir de n’importe quel ordinateur dans le monde entier, en épargnant aux chercheurs l’obligation d’effectuer des voyages et des séjours auprès des institutions dépositaires des archives ; à ces bénéfices en temps et ressources, s’ajoutera celui d’alléger considérablement la charge de travail de qui ceux qui en assurent actuellement la mise à disposition.

Nous n’ignorons pas, toutefois, que l’on ne peut passer sans effort de l’état des choses actuel à une mise en ligne des documents. Les fonds d’archives ne se présentent pas tous sous la même forme, ils ne sont pas tous classés de la même manière et la numérisation elle-même requiert temps et moyens. Si cet appel a pour but de sensibiliser la communauté scientifique au problème que pose la transmission et l’exploitation de ces sources d’information, il se double d’une invitation à travailler ensemble en ce sens.

DOCUMENTO N. 3

La riforma universitaria in Italia

Appello dei partecipanti al XIX Convegno internazionale di studi su “L’Africa Romana (dedicato al tema “Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale fino alla fine del mondo antico”).

Sassari-Alghero, 16-19 novembre 2010

Il Senato della Repubblica italikana sta per varare una riforma universitaria che avremmo voluto profondamente diversa, più attenta al diritto allo studio ed alle esigenze dei giovani ricercatori, più capace di valorizzare le tradizioni accademiche e di sviluppare reti di relazioni internazionali, una riforma più generosa e meno punitiva. Oggi rischia di essere in discussione la struttura stessa degli Atenei, la sopravvivenza di Dipartimenti, Facoltà, linee di ricerca, reti di relazioni consolidate. La razionalizzazione proposta comporta anche drastici tagli e pone gli Atenei italiani di fronte a scelte molto dolorose. L’ingresso dei privati nel Consiglio di Amministrazione, l’indebolimento del Senato Accademico, la diminuzione della rappresentanza studentesca, la scomparsa del personale tecnico-amministrativo dagli organi accademici, la nuova composizione delle commissioni di concorso,  l’impoverimento dei momenti di democrazia e di confronto che passa attraverso la soppressione dei consigli di facoltà, la precarizzazione dei ricercatori, l’incapacità di cogliere le diversità delle tradizioni accademiche e gli specifici svantaggi dell’insularità non sono elementi positivi in un quadro caratterizzato dalla ricerca di una efficienza che si dovrà comunque confrontare con la capacità di coinvolgimento delle persone, con l’adozione partecipata degli obiettivi prioritari da raggiungere, con politiche di sussidiarietà e di integrazione che correggano il modello centralistico di base.

Il DDL Gelmini (Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario) diventerà presto legge dello Stato. Saremo impegnati a partire dalle prossime settimane a scrivere il nuovo statuto, con un solo obiettivo, quello di mantenere ed estendere quell’autonomia universitaria riconosciuta dall’art. 33 della nostra Costituzione. Non ci faremo trascinare da sterili risentimenti, né ci arrenderemo di fronte alla politica dei tagli disposta da Governo, ma chiederemo conto dei propri comportamenti al Ministro, al Presidente della Conferenza dei Rettori, alla Regione, agli amministratori locali, pronti ovviamente a rispondere di ogni atto da noi adottato, ad assicurare trasparenza sulle nostre scelte, a garantire procedure non solo legittime ma soprattutto corrette nella sostanza, a declinare gli indicatori ministeriali con riferimento alla nostra storia ed alla nostra cultura.

Senza l’Università non c’è un futuro per la Sardegna e per il paese.




Introduzione al XIX Convegno de L’Africa Romana

Introduzione al XIX Convegno de L’Africa Romana

Attilio Mastino

Sassari 16 dicembre 2010

Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale fino alla fine del mondo antico.

Scontri, integrazioni, transizioni e dinamiche insediative. Nuove prospettive dalla ricerca.

Con un ritorno alle origini si apre oggi, a Sassari il XIX Convegno dell’Africa Romana: sono trascorsi ventisette anni da quando, il 16 dicembre 1983, nella sede della Camera di Commercio in via Roma, non lungi dalla nostra Facoltà di Lettere e Filosofia (allora di Magistero), si apriva il I Convegno de L’Africa Romana, al quale avevano partecipato un campione insigne degli Studi Africanisti, quale fu Marcel Le Glay, indimenticabile maestro ed amico, e altri nostri carissimi colleghi, come Hedi Slim con la Signora Latifa, e poi Ammar Mahjoubi, Naidé Ferchiou, Giancarlo Susini e Angela Donati, Giovanna Sotgiu, la giovane e brillante collega Cinzia Vismara, l’allora Ispettore della Soprintendenza Archeologica di Cagliari Raimondo Zucca.

Lasciateci tornare indietro commossi a quel momento lontano, ripercorrendo per un attimo tante storie e tanti avvenimenti, un pezzo lungo significativo e felice della vita di tanti di noi, un percorso che è stato di studi, di ricerche, ma anche di curiosità e di passioni vere.

Oggi siamo veramente in tanti in questa Aula Magna della nostra Università Sassarese, ormai alle soglie del suo 450° anniversario, per aprire il nostro XIX Convegno, circondati da uno stuolo di Maestri e Amici del Maghreb innanzitutto, perché l’Africa romana è, in primis, sangue del loro sangue, inalienabile eredità storica, culturale, morale e di paesaggio. Portiamo con noi esperienze e storie differenti, ma insieme convergiamo verso obiettivi alti di collaborazione scientifica ed umana, che intende diventare sintesi di grandi imprese archeologiche condotte a livello internazionale da tante équipes di ricerca europee ed arabe.

Maestri e Amici, inoltre, del Mediterraneo e delle nazioni che rivendicano, anch’esse, nel nome della comune humanitas l’eredità feconda de L’Africa romana.

L’Africa romana, questo coronimo, nelle parole di Giancarlo Susini, si è poi disvelata in tutta la sua lucente chiarezza come l’Africa-Libye stratificata, dei molti popoli.

L’Africa dei popoli indigeni, gli Afri o Libi, dalle loro parlate arcane conservate, attraverso integrazioni e sovrapposizioni, dalle varie lingue berbere, scritte con il codice scrittorio “libico” su monumenti e stele anche bilingui, libio-puniche o latino-puniche, ma scritte anche sulle rocce dall’Egitto alla Mauritania, fino alle insulae Fortunatae di Lanzarote e Fuerteventura, sull’Atlantico.

Ed ancora l’Africa dei popoli fenici e cartaginesi, interrelati con i popoli indigeni, come ci mostra ora il bellissimo volume, edito in omaggio a Mhmed Hassine Fantar “Carthage et les autochtones de son empire du temps de Zama”, curato per l’Institut National du Patrimoine da Ahmed Ferjaoui. O l’Africa imperiale come compare in tanti lavori pubblicati negli ultimi anni, fino al recente lavoro di Lluís Pons Pujol, La Economía de la Mauretania Tingitana (s. I-III d.C.). Aceite, vino y salazones, Col·lecció Instrumenta 34, Universitat de Barcelona, 2009.

L’Africa romana, dunque, ossia l’Africa in cui Roma assicura una unità linguistica, il latino, che pure fa sopravvivere le parlate indigene e il punico, l’Africa in cui Roma garantisce a un sistema amministrativo e un’organizzazione municipale che si struttura sulle salde basi delle città cartaginesi, numidiche, mauritane e non è un caso che questo “paesaggio urbano del potere” rechi l’originaria impronta “libica”, in larga prevalenza, da Utica, ricondotta preferibilmente dagli studi più recenti alla strato toponomastico libico piuttosto che alla tradizionale origine linguistica fenicia, a Lixus, a Thugga, a Tamugadi, alle nostre care città di Vchi Maius e Vchi Minus.

E’ proprio nell’Africa romana, una delle più antiche province repubblicane, che si attua quell’esperienza di coesione interetnica, attraverso lo stanziamento dei veterani,  che si inseriscono appieno nel modus vivendi delle genti locali, che è divenuta una delle carte vincenti della politica romana anche in altre aree dell’impero.

Non credo sia esagerato parlare dell’Africa romana come di una palestra politica dove ab initio sono emerse le contraddizioni del potere, tra le tendenze più retrive dell’aristocrazia romana e il progressismo di gruppi come quello che faceva capo a Caio Gracco, che intravedevano nella rinascita di Cartagine e dell’Africa settentrionale un’opportunità di sviluppo, legato a vettori altri che non fossero solo quelli dello sfruttamento latifondistico.

L’Africa romana, ancora, che diviene Africa romano-cristiana, sia nella sua forma politica vandalica, sia nella sua forma bizantina.

E non basta: l’Africa romana come eredità culturale (e come non poteva essere?) sopravvive nell’Yfrikia, l’Africa islamizzata e arabizzata, che ancora conserva nelle pagine dei suoi cronisti e dei suoi geografi la memoria dell’esperienza classica, le eredità, perfino i nomi delle città antiche, come hanno mostrato gli straordinari studi di Azedine Bechaouch tesi a verificare le trasformazioni fonetiche del poleonimi delle antiche città romano-africane.

Questo XIX Convegno affronta una tematica nuova, suggerita nell’ultimo convegno di Olbia dall’unanimità del comitato scientifico: “Trasformazione dei paesaggi del potere nell’Africa settentrionale fino alla fine del mondo antico. Scontri, integrazioni, transizioni e dinamiche insediative. Nuove prospettive dalla ricerca”.

Dalla ricchissima serie di interventi previsti nel nostro Convegno è possibile cogliere le più ampie declinazioni del tema delle “trasformazioni dei paesaggi del potere”, con riferimenti da un lato alla progettualità di un potere che ha necessità di uno spazio di autorappresentazione, in grado di intercettare il consenso e dall’altro alla concretezza monumentale e al suo legame con il territorio come frutto- e riprendo la seconda parte del tema dell’incontro che oggi inauguriamo – di scontri, integrazioni, transizioni e dinamiche insediative.

Due anni fa ad Olbia eravamo partiti dall’immagine dei costruttori di Cartagine, sulla Byrsa, gli architetti della regina Didone che Virgilio rappresenta affaccendati ed impegnati nella costruzione della colonia fenicia, con le sue mura, con le sue torri, con i suoi templi. Nel fervore degli structores Tyrii della Carthago di Didone Enea vede, con gli occhi di Virgilio, il solco dell’aratro che segna il limite sacro di una colonia, rinnovando il dolore e la speranza che anima coloro i quali costruiscono una nuova città, in contrasto con la visione della sua originaria patria- Ilio- distrutta dalle fiamme. Non c’è dubbio che Virgilio rifletta nel racconto della Cartagine nascente l’esperienza urbanologica di età augustea, con il theatrum dalle immanes columnae della frons scaenae tratte dalle cave in cui maestranze addestrate lavorano indefessamente a trarre il materiale lapideo della nuova città.

O ancora con le portae delle mura e gli strata viarum, le viae urbane silice stratae.

Avevamo allora scelto per introdurre il nostro incontro i versi virgiliani che esaltano l’attività degli uomini di buona volontà, anche se pure gli dei e le dee sono considerati a tutti gli effetti coinvolti in uno studium ed in un’ars che nobilita chi la pratica.

Più in generale, Virgilio trova le parole per rappresentare il paesaggio trasformato dall’uomo ai margini del lago di Tunisi.

Sui  manifesti del nostro convegno quest’anno abbiamo scelto  l’immagine del praetorium che si eleva minaccioso sulle rovine di Lambaesis, nel campo della legio III Augusta, vero strumento di occupazione romana nel cuore del territorio africano, al piede del Mons Aurasius nell’attuale Algeria: dunque un altro aspetto che è inserito appieno nell’esperienza politico-militare romana: le opere militari come monito tangibile dell’obbedienza, spesso coatta, al potere centrale.

Non c’è dubbio che gli aspetti immateriali dei paesaggi del potere, quali la diffusione ideologica del culto del sovrano, le voci del consenso al re, al collegio degli shofetìm di Cartagine, al Senato di Cartagine, al Senato e alla Res publica, al Princeps, all’imperatore dominus et deus, agli attori gerarchizzati nella pyramide des responsabilités nelle città, sono da noi percepibili attraverso i testi letterari e soprattutto le epigrafi, ma anche attraverso la “veicolazione” dell’imago del princeps nelle monete e nei ritratti.

Vi è però un aspetto più concreto dei “paesaggi del potere”, costituito dal mosaico dei siti archeologici inseriti nel loro contesto ambientale. Tali siti principalmente urbani, ma anche rurali costituiscono la cifra percepibile de l’Africa Romana, tra strutturazione e destrutturazione dei paesaggi.

Nel mio saluto intendo oggi proporre una chiave di lettura ancora più a distanza, legata alla politica dei Ministeri della Cultura del Maghreb, richiamando le responsabilità nuove che tutti debbono assumere di fronte alla tutela del patrimonio e il tema delle trasformazioni, che non riguardano solo processi antichi, ma anche richiamano ritardi e incapacità, insomma le dinamiche dei nostri giorni. Penserei per un attimo all’attualità dei crolli di Pompei ed all’inerzia incosciente di tanti responsabili, come pure all’erosione che compromette pericolosamente il sito di Nora. Ma tanto c’è da fare in tanti luoghi del Maghreb, da Lambaesis a Cuicul, da Volubilis a Gightis.

Voglio ricordare in questa sede sia la Convenzione sulla tutela del patrimonio mondiale,  culturale e naturale (Parigi, 16  novembre 1972) sia la Convenzione europea del Paesaggio (Firenze 20 Ottobre 2000).

Quest’ultima riconosce, all’articolo 1, come “Paesaggio” una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni.

Ed ancora un articolo fondamentale della carta costituzionale aliana, che in un certo senso ha assunto un valore internazionale, perlomeno a livello ideale, dopo che il grande direttore d’orchestra Daniel Barenmboim, con semplicità lo ha letto davanti al presidente Napolitano e al pubblico presente alla prima della Scala di Milano: La Repubblica promuove lo sviluppo. della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione.

I paesaggi del potere sono i paesaggi infrastrutturati e i paesaggi naturali, eredi delle sistemazioni agrarie o, in generale, economiche del territorio africano.

Essi sono, innanzitutto un patrimonio culturale, ossia la fusione dei Beni Culturali e dei Beni Paesaggistici, delle comunità nazionali del Maghreb. Ma sono anche Patrimonio dell’Umanità, sia nei numerosi casi africani di questi “paesaggi del potere” antichi (taccio qui dei mirabilia islamici) nella World Heritage List, dai siti archeologici libici di Cirene, Lepcis Magna, Sabratha e Ghadames a Volubilis in Marocco, passando per la Tunisia (Amphitheatre of El Jem; Archaeological Site of Carthage; Punic Town of Kerkuane and its Necropolis; Dougga / Thugga) e l’Algeria (Djémila; Timgad; Tipasa ed i Tassili), sia nei casi ancora più numerosi per i quali non si abbia ancora l’inserimento nella Lista del Patrimonio dell’umanità.

Questi paesaggi sono patrimonio identitario dei popoli del Maghreb ma appartengono intrinsecamente alla nostra identità mediterranea.

Noi abbiamo creduto che la nostra azione non potesse esaurirsi nell’attività di ricerca e di trasmissione di conoscenza: accolti fraternamente in Africa dagli eredi di questi paesaggi abbiamo tentato di cooperare, con i nostri studenti, fianco a fianco con gli studenti e gli archeologi del Maghreb, in Tunisia e in Marocco. Lasciatemi per un momento ripercorrere con orgoglio il cammino degli studenti e dei ricercatori delle Università di Cagliari e di Sassari negli ultimi tempi: dalla favolosa città atlantica di Lixus, sede mitica di un paesaggio del potere se Plinio vi ricorda la tradizione della regia Anthei, il palazzo regale del gigante stritolato da Herakles, alle città dell’Africa Proconsolare Vchi Maius, Utica, Numluli, Zama Regia ed ora Neapolis, sul Capo Bon, dove operiamo, in base ad un accordo con l’INP diretto da Fethi Bejaoui, per una ricerca su un “paesaggio del potere economico”, il Neapolitanus Portus, documentato dalle ricerche di Archeologia terrestre e subacquea di Mounir Fantar, Ouefa Ben Slimane, Ihmed Ben Gerbania accanto alla nostra équipe del curriculum di Archeologia subacquea ed ora della scuola di Specializzazione in Archeologia Subacquea e dei paesaggi costieri della Sede di Oristano del Consorzio UNO.

Molti di noi insomma insieme ai nostri carissimi amici e colleghi del Maghreb hanno tentato di fornire il loro modesto contributo per la conoscenza, ma anche per la conservazione, valorizzazione e fruizione di questi paesaggi africani, che tanto amiamo, al pari di quelli del nostro paese.

Per questo prendiamo  l’impegno di una più profonda proposta di diffusione della conoscenza del paesaggio culturale africano, anche con la elaborazione a fianco dei nostri colleghi dell’INSAP, diretto dal carissimo amico Aomar Akherraz, e dei Musei locali, insieme alle Regioni di Sardegna, Lombardia e Calabria, del portale web dei Beni culturali del Marocco.

Ci proponiamo di far seguire la nostra collaborazione anche con i colleghi della Tunisia a partire proprio dai paesaggi culturali del Capo Bon.

La strada che si è imboccata, noi insieme, Maghrebini ed Europei, ci porterà a restituire con i mezzi ipermediali i paesaggi ricostruiti delle città e delle campagne dell’Africa antica, ancora una volta i “paesaggi del potere” dei sovrani, della Res publica, dell’homo oeconomicus, degli dèi e del dio unico, che è kyrios, signore, tra urbanistica ed ideologia.

Vorremmo allora restituire, riportare alla luce almeno virtualmente, ad esempio il forum della città di Vchi Maius alla quale abbiamo dedicato Moustafa Khanoussi ed io, insieme ai nostri colleghi ed allievi, energie per quasi un ventennio, ritrovando le scritture antiche di un mondo animato da un’aristocrazia cittadina vivace ed aperta.

Vorremmo per un momento far ricomparire virtualmente la statua equestre in bronzo di Settimio Severo che coglie lo sguardo d’ogni Uchitano che passeggia nella piazza forense sulla collina delle cisterne.

Far risalire uno ad uno i gradini del Capitolium a qualcuno di quei romano-africani di Uchi, per sentirsi partecipi del culto di Iuppiter, Minerva, Iuno che unifica i cives del pagus e i numidi che aspiravano a divenirlo.

Far compitare, ad un abitante di Vchi, la lunga iscrizione dell’architrave del triportico del foro uchitano con i nomi di Settimio Severo di Caracolla di Geta e di Giulia Domna.

Far venerare ad un uomo del popolo di Vchi il dio Saturno, erede del grande Baal cartaginese, che dona la vita, che i suoi antenati numidi avevano accolto nel loro pantheon con il dio supremo, di cui erano servi.

Ascoltare, insieme all’assemblea dei cristiani di Vchi, nella Cattedrale arricchita dai policromi mosaici, la liturgia pasquale celebrata dall’Episcopus catholicus, che proclama il suo Surrexit ! Alleluia.

E poi riportarvi ai tanti altri luoghi straordinari che in questi decenni sono stati oggetto dell’attenzione di tanti altri archeologi, epigrafisti, studiosi di tanti paesi, tra Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, con indagini che hanno spesso prodigiosamente restituito frammenti del paesaggio antico, fortificazioni, santuari, edifici pubblici, edifici di spettacolo, archi, strade tra città e campagna, che in qualche modo conservano il sapore di un tempo lontano che rimane parte di noi uomini d’oggi.

Dal nostro osservatorio, constatiamo che si moltiplicano le grandi imprese di collaborazione internazionale di cui ciascuno di voi renderà conto in questi giorni di intensi lavori. Guardiamo all’impegno di tutti voi con ammirazione e rispetto.

Grazie per essere oggi con noi per questa festa e per questo incontro scientifico: vi assicuro che cercheremo di accogliervi a Sassari con l’amicizia e l’affetto che conoscete e con la gratitudine per i vostri studi, il vostro impegno, la vostra generosità.

Noi non abbandoneremo questa impresa di scienza e di fratellanza tra i popoli del Mediterraneo, figli ed eredi delle stesse civiltà.

L’impegno di questi giorni ci introdurrà d’altro canto ai vicennalia dell’Africa Romana, che a Dio piacendo potremmo celebrare ancora una volta sulla sponda meridionale del mare nostro, forse nel trentennale della prima Africa Romana, nel 2012, magari – come si augura da tempo Raimondo Zucca – sul meridiano iniziale dell’oikoumene di Tolomeo, nell’insula Nivaria, delle Insulae Fortunatae , l’attuale Ierro, o altrove sui nostri spazi continentali africani, alla ricerca di una dimensione vera di vita.




INTERVENTO DEL RETTORE – INAUGURAZIONE DEL 449° ANNO ACCADEMICO. 5 NOVEMBRE 2010

Intervento del Rettore all’apertura dell’inaugurazione del 449° Anno Accademico.

5 novembre 2010

Autorità civili, giudiziarie, militari, accademiche, religiose, colleghi docenti e del personale tecnico e amministrativo, studenti, signore e signori, cari amici,

Tito Livio nel primo dei libri ab urbe condita racconta le cerimonie che il re sabino Numa Pompilio celebrò in Campidoglio per la solenne inauguratio dell’anno, alla ricerca degli auspici favorevoli per il futuro, con il desiderio di fondare una seconda volta la città di Roma, con il diritto, con le leggi e con la moralità intesa nel senso del disinteresse e del rigore nell’amministrare la res publica: Urbem novam (…) iure eam legibusque ac moribus de integro condere parat.

Consentite anche a noi oggi di procedere solennemente all’inauguratio del nuovo anno accademico e di avviare una fase di rifondazione del nostro Ateneo, che si appresta a celebrare i suoi 450 anni di storia ma che insieme dovrà presto dare applicazione ad una riforma universitaria che nei propositi intende ispirarsi ai principi di autonomia e di responsabilità, ma che desideriamo ancora più rispettosa delle identità dei singoli atenei italiani, più consapevole della complessità delle tradizioni accademiche e del valore della diversità, soprattutto più attenta al tema dei giovani ricercatori e più sensibile alle esigenze del diritto allo studio.

Le difficoltà che incontriamo in questi giorni nell’avvio dell’anno accademico mentre la riforma è in mezzo al guado debbono spingerci ad un impegno e ad una responsabilità più alti: ai ricercatori in agitazione, che a Sassari sono docenti a tutti gli effetti, continuiamo ad esprimere non tanto una solidarietà formale, quanto piuttosto la piena sintonia per le posizioni assunte e la riconoscenza per il senso di responsabilità, con il proposito di premiare concretamente l’impegno di ciascuno.

E ciò all’indomani dell’adozione da parte del Governo di severe misure che determinano un taglio di quasi un sesto del fondo di finanziamento ordinario degli Atenei. L’ingresso dei privati nel Consiglio di Amministrazione, l’indebolimento del Senato Accademico, la riduzione della rappresentanza studentesca, la scomparsa del personale dagli organi accademici, l’impoverimento dei momenti di democrazia e di confronto, la precarizzazione dei ricercatori non sono elementi positivi: a parole si cerca l’efficienza ma ci si dovrà confrontare con la capacità di coinvolgimento delle persone, con l’adozione partecipata degli obiettivi da raggiungere, con politiche di sussidiarietà e di integrazione. Intendiamo impegnarci per respingere le minacce all’autonomia universitaria, anche perché le Università del Mezzogiorno e delle isole sono state colpite pesantemente già nell’ultimo anno da un taglio di risorse che non ha precedenti nella storia del Paese e che rallenterà l’entrata in servizio dei vincitori dei numerosi concorsi fin qui banditi. Nessuno riuscirà a convincerci che per innalzare la qualità del sistema universitario sia necessario tagliare le risorse, già spaventosamente insufficienti nel confronto europeo; la loro ulteriore riduzione è una minaccia per quegli Atenei che debbono rapidamente recuperare situazioni di svantaggio. I curricula dei nostri ricercatori sono lì a dimostrare che non ci sottraiamo alla valutazione e abbiamo richiesto la modifica di alcuni indicatori ministeriali, l’impianto di un sistema premiante condiviso, che consideri le specificità disciplinari ed i contesti territoriali in cui opera ciascuna università. Non si cambia senza investire. Occorre lavorare per reperire nuove risorse, nella prospettiva del Federalismo fiscale. Intendiamo allora avviare un confronto ed uno stretto rapporto con le Istituzioni ed in particolare con il Governo Regionale, per difendere l’attuale modello di Università pubblica; vogliamo far diventare l’Ateneo punto di riferimento centrale per un territorio che deve continuare a crescere, mettendo in relazione dialettica la ricerca umanistica e la ricerca sperimentale, con applicazioni e trasferimenti a favore del territorio, creare una continuità tra l’Università, la città che ci ospita e la cultura della Sardegna; infine, fissare obiettivi alti di un forte rinnovamento generazionale e di internazionalizzazione. La nostra ambizione è quella di aprire e non chiudere la Sardegna, e richiamiamo oggi le radici e le esperienze dei padri dell’autonomia, ai quali riconosciamo una profondità ed un rigore che vanno ben oltre la superficialità di alcune teorie federaliste dell’oggi, fondate su prepotenti egoismi ed incapaci di farsi carico dei problemi di tutti. La revisione dello Statuto regionale dopo 60 anni di autonomia può essere l’occasione per ancorare la Sardegna ad una macro regione europea. La presenza oggi della Presidente del Consiglio Regionale Claudia Lombardo fortemente impegnata su questa frontiera è significativa, mentre il Presidente della Giunta Ugo Cappellacci si scusa ma è impossibilitato ad essere con noi a causa di un improvviso impegno insorto poche ore fa. Ha delegato a rappresentarlo il neo assessore alla Pubblica Istruzione on.le Sergio Milia.

Nell’isola il compito dell’Università è cruciale ed è necessario arrivare alla nascita di un sistema regionale integrato in piena sinergia con Cagliari: non ci faremo però sedurre dall’art. 3 del Progetto Gelmini, che prevede incentivi per la fusione degli atenei con una non esaltante regionalizzazione dell’offerta formativa. Vogliamo promuovere un confronto con le Istituzioni per definire strategie di sviluppo dell’Università e del territorio, perché il Paese che non produce innovazione è costretto a comprarla dall’esterno.

Consentiteci di salutare oggi con commozione e affetto i tanti studenti e colleghi disabili che non potevano fin qui accedere all’Aula Magna a causa di una barriera architettonica che oggi abbiamo abbattuto, con la realizzazione del Passetto per raggiungere l’ascensore del Dipartimento giuridico.

L’inaugurazione dell’Anno Accademico è l’occasione per la presentazione di questo volume sulla Storia dell’Università di Sassari curato da Antonello Mattone e da tanti colleghi,  che esce alla vigilia di un appuntamento importante per l’Ateneo e per la Sardegna: le celebrazioni centenarie per ricordare la laboriosa formazione dell’istituzione universitaria, il collegio gesuitico, la nascita dell’università ispanica,  la “perfetta fusione” con il Piemonte, che significò la rinuncia all’autonomia a favore dell’Unità d’Italia, 150 anni fa, per scelta e non per imposizione. Un volume che vuole segnare un momento di pausa ed insieme una ripartenza verso obiettivi più ambiziosi: con tante idee, con tanti progetti, con tante speranze che realizzeremo solo se la comunità accademica dimostrerà la sua determinazione.  Attuando un progetto concepito durante il rettorato di Giovanni Palmieri, è stato soprattutto Alessandro Maida a portare avanti generosamente questa iniziativa, condotta a termine a distanza di un anno dal nostro insediamento.

Scorrendo queste pagine emergono tanti aspetti poco noti, la profondità di una storia, le articolazioni di un Ateneo vivace, dinamico, proiettato verso il futuro, inserito in reti di rapporti e di relazioni: ora abbiamo ben presente il valore di un patrimonio storico che ereditiamo, nella sua complessità e nella sua ricchezza di contenuti umani e scientifici, dal quale partire per costruire un Ateneo nuovo, capace di misurarsi in un confronto internazionale ma fortemente ancorato ad un’identità e ad una storia speciale. Le celebrazioni che si apriranno per i 450 anni dell’Ateneo, non dovranno essere solo l’occasione per un bilancio retrospettivo: siamo orgogliosi di assumere questa eredità, ma insieme convinti che è necessario un forte impegno di innovazione e di modernizzazione, un deciso cambiamento, che richiede fantasia, creatività e capacità operative, perché occorre accelerare gli interventi, con una spinta riformista, dando spazio ai giovani, alle donne, a tutti coloro che abbiano talento, valorizzando le competenze di ciascuno ed il merito.

Anziché volgerci al passato, come vorrebbe la mia professione di storico, vorremmo allora cogliere questa occasione per guardare al futuro, pensando alla rifondazione del nostro Ateneo che si delinea imminente: vediamo con chiarezza tanti ritardi, tante situazioni che meritano attenzione e interventi coraggiosi, tante zone d’ombra sulle quali occorre accendere i riflettori, per fare chiarezza, per stimolare i colleghi a lavorare con più intensità ed impegno, a spendersi fino in fondo, per cambiare passo, per raggiungere obiettivi alti di crescita e di sviluppo.

La nostra Università opera in un’isola e deve affrontare specifici svantaggi: ragione di più per reperire nuove risorse e per incentivare i rapporti internazionali. Ci abbiamo lavorato in quest’ultimo anno e siamo arrivati all’adesione al Consorzio Xarxa Vives che raggruppa le 21 università catalane e al Consorzio RETI istituito tra decine di università insulari su impulso delle due isole tirreniche, la Sardegna e la Corsica. Il Rettore di Corte Antoine Aiello ci trasmetto oggi un suo affettuoso saluto. Il registro tenuto in Rettorato raccoglie le testimonianze di intensi rapporti che si sono sviluppati in questo primo anno, con delegazioni che sono arrivate da molti paesi e da molte università consorziate.

Dopo la cerimonia di insediamento del 6 novembre di un anno fa, in un anno vissuto intensamente, questa Aula Magna è stata al centro di molteplici incontri ed iniziative, di convegni scientifici, di dibattiti, di confronti a Sassari e nel territorio, promossi direttamente dal Rettorato, dalle Presidenze, dai Dipartimenti, dai singoli studiosi, che testimoniano la vitalità del nostro Ateneo, che è veramente una finestra attraverso la quale la Sardegna può guardare al Mediterraneo e al mondo, uno strumento fondamentale per rinnovare la cultura della città e dell’isola. Gli incontri in Regione, nelle Province, nei Comuni, con il mondo della sanità, con i parlamentari. Ci siamo confrontati nel territorio, su temi che vanno dal gasdotto algerino al futuro dell’industria, al mondo carcerario, alla condizione operaia, all’ambiente, al patrimonio.

Sono stati concordati documenti, prese di posizione, lettere al Ministro, incontri con la chiesa attraverso un rapporto fecondo con l’Arcivescovo e con i cappellani che si sono susseguiti. Il momento più emozionante è stato, a Porto Torres, l’11 gennaio, l’incontro alla Torre Aragonese con i giovani operai Vinyls, l’avvio di un rapporto positivo e affettuoso fatto di solidarietà e comprensione, un’occasione per conoscere, che si è estesa al Senato Accademico ed è proseguita in un intensa attività di progettazione per il rilancio delle attività produttive.

In Sardegna la crisi occupazionale si è aggravata e preoccupa il record della provincia di Sassari in termini di tasso di disoccupazione, mentre nell’intera isola la cassa integrazione cresce nel 2010 ad un tasso che sfiorerà il 100% rispetto all’anno precedente. Fortemente radicata, la nostra Università osserva con occhi nuovi e con più emozione un territorio e una società che devono crescere e saper affrontare le nuove crisi. Il recente documento dell’Osservatorio economico pubblicato dalla Camera di Commercio testimonia nel 2009 un andamento del PIL pro capite negativo, che pone la Sardegna in 15a posizione tra le Regioni in Italia, la Provincia di Sassari in 78° posizione; una contrazione dei consumi interni finali delle famiglie; un saldo negativo per l’anagrafe delle imprese attive.

Ecco perché occorre che l’Università si concentri sul rapporto tra formazione e lavoro e dedichi più impegno al tema Sassari città della conoscenza ed al sistema delle autonomie: occorre rivedere il rapporto con la città e il territorio, verso una politica globale indirizzata allo sviluppo del Nord Sardegna in collaborazione con gli Enti locali, con una Provincia ora decisa a marciare per la valorizzazione del patrimonio e per la nascita di un nuovo sistema museale; con il Comune che sente sempre più una responsabilità e una missione, quella di creare reti e di fare sistema. L’Università in Città o la Città universitaria deve fondarsi su una continuità urbanistica e ideale tra Ateneo e Città, su una reciproca accettazione di valori e di legami identitari, su un impegno comune per migliorare la qualità della vita dei cittadini. L’Università sente il dovere di difendere pubblicamente le proprie scelte strategiche, ad esempio in campo urbanistico, ma anche sull’organizzazione interna, sulle strutture didattiche, sul decentramento. Anche la Città deve crescere più velocemente e sentire la responsabilità di ospitare una prestigiosa Università, elevando la qualità della vita, con effetti sulla popolazione studentesca. Ci aspettiamo una collaborazione che vada oltre la sterile contabilità del dare e del ricevere, a proposito del Mattatoio, dell’Istituto dei Ciechi, delle aree esterne alla Facoltà di Medicina Veterinaria, del parcheggio di Viale Italia, dei terreni al servizio della cittadella sanitaria. Occorre ancor più attivare forme di connessione con le comunità, le istituzioni e le organizzazioni della società civile, secondo gli indirizzi che abbiamo definito nella “Carta di Sassari” del 15 luglio, per un’alleanza tra Università e Comunità.

In questi mesi ci siamo sentiti veramente sostenuti dall’amicizia, dalla simpatia e dalla comprensione di tutti i colleghi e ci siamo sforzati di interpretare le attese e le speranze dell’intera comunità accademica. L’attenzione intorno alla nostra azione è cresciuta ed abbiamo avvertito il senso di una responsabilità davvero grande. Oggi vorremmo esprimere il senso di una gratitudine e di una riconoscenza per chi ha saputo spendersi al nostro fianco.

Il ruolo dell’Università cresce nel territorio, si è acquisita piena consapevolezza dei ritardi e delle disfunzioni accumulate nel tempo, abbiamo iniziato un percorso di definizione di obiettivi strategici e di programmazione che potrà portare alla nascita di una Università di eccellenza, profondamente radicata in Sardegna ma solida e capace si competere su uno scenario internazionale, con investimenti nelle tecnologie e nelle infrastrutture, nell’edilizia, soprattutto nel capitale umano.

Consentitemi di condurvi per mano per un attimo all’interno del Salone delle Feste del Palazzo del Quirinale, dove siamo stati l’8 giugno per ritirare con grande emozione dalle mani del Presidente Napolitano il Premio Nazionale dell’innovazione, con Luca Ruiu della Facoltà di Agraria, per il progetto di produzione di un biopesticida innovativo ed ecocompatibile, affidato ora ad una società spin-off. Comunicando i risultati della competizione alla riunione della Consulta regionale per la ricerca, abbiamo ringraziato l’Assessore alla Programmazione per gli investimenti a favore del nostro Industrial Liaison Office, per i nostri dieci spin-off, per l’incubatore di impresa, per i Centri di Competenza, per i nostri progetti finanziati dalla legge regionale sulla ricerca. La Regione ci è stata davvero vicina e lo abbiamo riconosciuto in occasione dell’ultima conferenza  per la ricerca.

Questo premio dei premi è solo una testimonianza della vitalità dei nostri laboratori, mentre chiari riconoscimenti sono stati ottenuti in convegni internazionali, con il finanziamento di significativi progetti di ricerca, col superamento di giudizi di idoneità fuori sede, da ultimo con la nomina di nostri colleghi in posizioni di assoluto rilievo: voglio ricordare almeno Plinio Innocenzi chiamato in questi giorni come addetto scientifico a Pechino. Infine, si è allargata la rete di attività dei nostri ricercatori all’estero, i medici, i microbiologi, i giuristi, persino gli archeologi impegnati sulle nuove frontiere della scienza.

Dobbiamo dare atto di un impegno corale dell’Ateneo, di un percorso di crescita, di una passione civile che sta veramente contagiando ciascuno di noi.

In questo quadro, non posso tacere che una nota stonata sembrerebbe rappresentata dai risultati della verifica amministrativo-contabile che l’Ateneo ha ricevuto ufficialmente il 13 gennaio, un documento che circolava informalmente da mesi in relazione alle attività dell’Ispettore del Ministero dell’Economia. Molte osservazioni critiche, molte richieste di chiarimenti, per noi molte amarezze.

La reazione dell’Ateneo è stata immediata e positiva: abbiamo riunito gli organi accademici, che hanno avviato una riflessione su metodi, procedure, obiettivi, scelte strategiche. Si è risposto alle osservazioni del Ministero e per tanti aspetti si sono proposte nuove chiavi di lettura che spiegano in maniera esaustiva l’operato dell’istituzione. Siamo convinti che molti dei rilievi erano infondati; per altri l’Ateneo ha ormai avviato una strada nuova, fatta di più responsabilità e rigore. Riceveremo con serenità a breve le controdeduzioni del Ministero.

Abbiamo continuato a lavorare giorno per giorno e vogliamo ringraziare i protagonisti di questa impresa e in particolare il Prorettore Laura Manca, il direttore amministrativo Guido Croci, i membri del Senato, del Consiglio di Amministrazione e della Giunta di Ateneo, i delegati, le diverse commissioni, per il contributo dato in questo primo anno di mandato. Abbiamo lavorato al fianco del Presidente della Conferenza dei Dipartimenti Marco Vannini, del presidente della Consulta di Ateneo Eraldo Sanna Passino, del presidente del Consiglio degli studenti Roberto Santoru, del Garante degli studenti Antonio Bagella, della Presidente del Comitato per le pari opportunità Monica Farnetti, dei componenti del Nucleo di Valutazione presieduto da Anna Laura Trombetti e del Collegio dei Revisori presieduto da Guido Sechi.  E poi i componenti della segreteria del Rettore e della Direzione amministrativa, gli studenti collaboratori, i dirigenti, i vicedirigenti, gli EP, gli impiegati di tutti gli uffici, i bibliotecari, i tecnici, i sindacati, il direttivo del CRUS.

Questa relazione non è opera di uno solo, ma è il frutto di un confronto serrato tra i soggetti coinvolti.

Un pensiero a coloro che ci hanno lasciato, il Sen. Francesco Cossiga già studente e docente nel nostro Ateneo, che ricorderemo alla fine di questa manifestazione scoprendo una targa ricordo, alcuni nostri colleghi, con grande dolore anche alcuni nostri studenti.

L’Ateneo ha nominato democraticamente le sue rappresentanze esterne ed ha espresso un parere positivo sul nuovo Presidente dell’ERSU, sul commissario dell’Azienda Ospedaliera Universitaria e sul Direttore amministrativo che si sono distinti per un impegno appassionato al fianco dei nostri medici.

Nel nuovo clima di competizione e di valutazione, il nostro Ateneo ha ricevuto molte pagelle, con luci e ombre che non intendiamo ignorare.

La recente indagine Repubblica Censis vede l’Università di Sassari tra i 18 medi Atenei in terza posizione dopo Trento e Siena. Siamo primi in Italia  per le borse e per le strutture, meno bene per servizi, web e internazionalizzazione. Il punteggio conseguito ci pone in quinta posizione su 57 atenei.

Tra le 21 Facoltà di Architettura quella di Alghero si rivela la migliore d’Italia, confermando i risultati dell’anno precedente. Credo che questo risultato, che non ha paralleli in nessuna altra Facoltà italiana del Sud e delle isole, imponga un’attenzione nuova da parte della Regione nei confronti di una Facoltà proiettata davvero in uno scenario internazionale: la prolusione affidata oggi alla dott.ssa Margherita Solci è insieme un riconoscimento alla Facoltà, ai ricercatori, alle donne del nostro Ateneo.

Medicina Veterinaria si colloca al 7° posto in Italia:  ha destato viva preoccupazione la nota del Direttore generale del Ministero sulla necessità che la Facoltà superi positivamente la valutazione europea, che non potrà essere differita oltre il 2013. Su questa strada abbiamo trovato solidarietà e attenzione da parte della Regione e dei Parlamentari e confermo che spenderemo tutte le nostre energie per conseguire l’obiettivo della difesa della Facoltà, che rappresenta un centro di ricerca e di formazione unico in Sardegna.

Nella classifica ministeriale per l’attribuzione del FFO Sassari perde terreno come tutti gli Atenei del Mezzogiorno e delle isole. Nel 2009 ha ottenuto 81 milioni di euro,  2  in meno rispetto a quelli del 2008, collocandosi al sesto posto dal basso tra gli Atenei meno virtuosi.

L’Ateneo cambia profondamente: la Facoltà di Medicina e Chirurgia si articola in Dipartimenti ed in Dipartimenti Assistenziali integrati, viene istituito l’Orto Botanico ed il Museo Scientifico con spazi che offriamo ai cittadini. La Facoltà di Economia lascia Serra Secca e si concentra nel Quadrilatero in pieno centro urbano nella nuova sede di Via Muroni. Nasce il nuovo polo didattico della Facoltà di Scienze a Piandanna, che tra l’altro assorbe le precedenti 5 biblioteche di dipartimento. Si sposta l’Istituto di Matematica e fisica. Inauguriamo il Centro Orientamento in Via Torre Tonda ed il Centro Linguistico di Ateneo in Via Zanfarino. Architettura entra nella città murata di Alghero.

Nei documenti scritti abbiamo riportato il quadro delle azioni svolte, degli obiettivi conseguiti, dei programmi in corso. Guardiamo all’anno appena trascorso con orgoglio e viva soddisfazione. Eppure mentiremmo se dicessimo che siamo interamente soddisfatti dei risultati raggiunti dall’Ateneo in questi 12 mesi: la struttura è complessa, articolata, governabile con difficoltà; ci sono state nostre insufficienze, resistenze al cambiamento, discutibili ritardi; basterebbe a ricordarcelo la condizione di disagio di alcuni ricercatori, ospitati in locali inadeguati o privi di risorse. E poi il tema della dispersione delle matricole, dei fuori corso, dei falsi studenti.

Del resto ora dobbiamo veramente volgerci al futuro: dunque ci concentreremo per rilanciare un’azione riformatrice che incida ancora più in profondità ed i prossimi mesi saranno cruciali per avviare nuove iniziative per il miglioramento della didattica, nuovi servizi per gli studenti, nuove azioni per il personale, e per la certificazione corretta dalla produttività nella ricerca. E’ il momento del coraggio, perché il cambiamento è ormai ineludibile sul modello stesso di università. All’indomani dell’approvazione della Legge Gelmini verrà avviato il dibattito sulla riforma ed avremo sei mesi per definire la revisione dello statuto, per progettare l’Università del futuro fondata sui Dipartimenti e sulle Scuole di formazione, pensando ad un Ateneo europeo e non regionale, di qualità, proiettato nella competizione internazionale.

La spina dorsale dell’Ateneo sarà costituita dall’attività programmatoria articolata nel nuovo piano triennale e nel Piano responsabilità, obiettivi, risorse, azioni, che ha lo scopo di collegare la gestione e le responsabilità economico-finanziarie con i risultati tecnico-operativi.

Nel campo dell’internazionalizzazione l’Ateneo estenderà la sua integrazione nelle istituzioni europee dell’alta formazione e la sua presenza nelle diverse reti internazionali di collaborazione accademica, delle Università catalane, mediterranee e insulari, e in numerose attività di cooperazione scientifica internazionale.

Con l’Università di Cagliari proseguirà la sinergia all’interno di Unitel Sardegna, e in numerosi progetti comuni che vanno dall’orientamento, alla collaborazione nel settore della ricerca, ai centri di competenza tecnologia e al Krenos, alla nascita del Centro per la diffusione della cultura dell’innovazione e dell’impresa. Proponiamo un incontro tra i due Senati Accademici per programmare azioni comuni e soprattutto per razionalizzare l’offerta formativa e apprezziamo la determinazione con la quale il Rettore Giovanni Melis persegue una linea unitaria con il nostro Ateneo a tutti i livelli.

Il rapporto con la Regione Sarda, mentre facciamo i più cordiali auguri al nuovo Assessore Regionale all’istruzione Sergio Milia ed agli assessori Nicola Rassu e Bastianino Sannittu, si concentrerà nella stipula dell’ intesa per il triennio in corso, con numerose altre iniziative progettate per consolidare una forte innovazione dei due Atenei sardi, il bando per l’assunzione di ricercatori, il rientro dei cervelli, i visiting professor, il programma Master and back, i premi di produttività.

Riteniamo qualificanti e da potenziare i rapporti con la Fondazione Banco di Sardegna, la Fondazione Antonio Segni, il CRS4, Porto Conte Ricerche, Sardegna ricerche, la nuova area del CNR di Sassari. Rivedremo la convenzione con il Banco di Sardegna.

Sul piano territoriale, l’Ateneo impegna il neo costituito gruppo di lavoro sulla chimica ad operare a sostegno del rilancio tecnologico degli impianti e delle attività produttive a Porto Torres e in Sardegna, per le bonifiche dei siti inquinati e per arrivare ad un nuovo modello di industria chimica, moderna, pulita e sostenibile. I prossimi mesi saranno dedicati alle energie alternative ed alla stipula del protocollo con E-ON con l’obiettivo di costituire un centro di ricerca sul fotovoltaico.

L’Ateneo continuerà la sua attività sul territorio, con un ripensamento sui corsi di laurea gemmati fuori sede: Alghero viene riconosciuta a tutti gli effetti non solo sede della Facoltà di Architettura, ma moderno e vivace luogo di formazione (penso ai corsi di italiano per stranieri) e di ricerca (penso al Porto Conte Ricerche, rilanciato da Sergio Uzzau). I corsi forestali e ambientali di Agraria e Scienze a Nuoro costituiscono storicamente il primo generoso impegno del nostro Ateneo nella Sardegna centrale: si tratta di ripensare l’offerta fuori sede d’intesa con le istituzioni locali, con lo scopo di innalzare la qualità e ridurre il numero degli abbandoni, aprendo e non chiudendo su se stesso il territorio. E allo stesso modo anche a Oristano e ad Olbia, favorendo la nascita di master, dottorati e scuole di specializzazione, come Archeologia subacquea e la scuola forestale.

Facendo leva sul Comitato Erasmus ci batteremo per potenziare la mobilità europea dei nostri studenti e per estendere il flusso di studenti in entrata, per snellire le procedure burocratiche e per arrivare a concepire i programmi Erasmus anche di tirocinio come parte integrante dell’offerta formativa di Ateneo; svilupperemo il nuovo sistema delle borse-premio, con l’intento di valorizzare l’impegno e le eccellenze nello studio, di favorire l’emulazione e incentivare le carriere studentesche.

Tra le priorità collochiamo la riforma dell’attività formativa per garantire la qualità dei processi nell’organizzazione della didattica, diritto allo studio e servizi agli studenti. Riaffermiamo la centralità dello studente e ci batteremo per la promozione culturale e sociale per tutti i meritevoli, con una piena collaborazione con l’Ente regionale per il diritto allo studio al cui Consiglio di Amministrazione recentemente rinnovato ed al nuovo direttore in corso di nomina auguriamo di riuscire mantenere quei livelli di efficienza che sono stati raggiunti nel corso dell’ultimo quinquennio.  Il Censis ha valutato l’Università di Sassari come la prima tra le Università medie per i servizi erogati, in particolare per i 510 posti letto e per l’erogazione di borse di studio a tutti gli aventi diritto. Ciò è il frutto di una lunga e intensa collaborazione tra l’Ateneo e l’ERSU. Ora si tratta di concludere l’iter dei lavori di ristrutturazione della Fondazione Brigata Sassari e di impegnare i 12 milioni a suo tempo erogati dalla giunta Soru per l’edilizia.

Combatteremo gli abbandoni anche attraverso una revisione profonda dell’offerta formativa e la chiusura di alcuni corsi di studio che non rispondono ai requisiti ministeriali, in termini di docenza necessaria e di copertura dei settori scientifico-disciplinari. Il recente Decreto Ministeriale certifica che l’attuale offerta formativa non è sostenibile, anche considerati i numerosi pensionamenti e la difficoltà di assunzione dei vincitori di concorsi, che ci impegniamo comunque ad accelerare al massimo. Dovremo orientarci verso nuovi corsi interfacoltà ed interateneo.

Le potenzialità didattiche informatizzate consentiranno di aumentare il grado di interazione con le sedi universitarie decentrate. Saranno adottate misure per dare una maggiore funzionalità alle segreterie, entro un polo centrale nei nuovi locali della Manifattura Tabacchi. Chiediamo un ulteriore impegno ai referenti per la didattica e valuteremo il peso di ciascuna Facoltà sul fondo di finanziamento ordinario in termini di produttività. Sarà generalizzato ed esteso a tutti i corsi di studio il percorso di autovalutazione e rilanceremo il processo di verbalizzazione elettronica degli esami.

Tra gli impegni immediati intendiamo riformare tutti i corsi di studio dell’area sanitaria non ancora adeguati e ci batteremo per aumentare il numero degli studenti provenienti da altri Paesi, da altre regioni e da altre province, per rendere più aperto il nostro Ateneo. Già dai prossimi mesi saranno iscritti e regolarmente registrati nell’anagrafe nazionale gli studenti Erasmus ed i dottorandi che godono delle nuove borse di studio. Ci impegniamo a rifinanziare il fondo per il miglioramento della didattica attribuito alle Facoltà.

Per le Scuole di dottorato, mediante il nuovo regolamento sarà data attuazione ai principi della valutazione e della premialità, incrementando proporzionalmente le risorse. Deve essere sottolineato come, in un momento di crisi, l’Ateneo investe in modo consistente sui dottorati arrivando a garantire ben 53 borse, oltre alle 15 borse provenienti dai Dipartimenti ed alle  44 borse regionali.

Un deciso sviluppo avranno le attività di orientamento, sostenute dalla Regione, in un rinnovato rapporto con le scuole superiori del territorio, che speriamo di poter arricchire con l’avvio di molti nuovi servizi: intendiamo per orientamento un processo continuo che considera l’unicità e complessità della persona nelle diverse fasi della scelta fino all’inserimento lavorativo. Monitoreremo il nuovo Servizio OrientAzione, un servizio di supporto e consulenza per gli studenti finalizzato a rendere il percorso universitario un’esperienza formativa qualificata.

L’Ateneo si riconosce nel programma della nuova presidente del Comitato pari opportunità, Maria Lucia Piga, eletta democraticamente il 30 settembre, che tocca valori e temi che entreranno nel nuovo Codice Etico.  La Commissione disabili orienterà la propria azione con l’utilizzo dei 10 volontari Crui, con lo scopo di combattere ogni forma di esclusione e discriminazione, estendendo i contatti con gli Enti preposti al miglioramento della condizione lavorativa nel territorio. Intendiamo adottare il nuovo piano per l’abbattimento delle barriere architettoniche degli edifici universitari.

Per le attività sportive e musicali, stipuleremo una nuova convenzione col CUS, che vorremmo sempre più rappresentativo e aperto agli studenti, per allargare la fascia dei fruitori del servizio sportivo. Difenderemo il titolo di Campioni d’Italia conquistato nel calcio qualche mese fa. Sarà completato l’intervento edilizio ad Ottava. Ci impegniamo a rilanciare il Coro dell’Università ed a sostenere il neonato gruppo musicale ICHNVSS.

Il Sistema bibliotecario conoscerà una fase di vera e propria rifondazione, secondo la proposta del Coordinamento dei servizi bibliotecari che ci porterà ad aggregare le attuali unità in una decina di biblioteche d’area o dipartimentali. In tal modo si potrà conseguire un maggiore efficienza nell’erogazione dei servizi e nelle prestazioni del personale dedicato.

Sul piano della ricerca, tutte le azioni saranno orientate al miglioramento del posizionamento dell’Ateneo, con lo scopo di promuovere l’ingresso nelle reti nazionali ed internazionali con un ruolo attivo sulle tematiche che ci vedono protagonisti in uno scenario almeno nazionale. Rivendichiamo l’iniziativa di aver voluto costruire una valutazione della produzione scientifica dell’Università con i metodi oggi più attendibili. Il compito che ora ci attende è quello di avviare una valutazione complessiva dei dati non per punire o premiare qualcuno, ma per migliorare le performances scientifiche sempre più visibili attraverso l’Anagrafe rifondata, con forme di premialità a favore dei gruppi di ricerca più autorevoli. Il processo quinquennale di valutazione della ricerca CIVR sarà comunque un importante momento di confronto per l’Ateneo, che affiderà al Comitato di Garanzia recentemente eletto dal basso l’impegno di assicurare equilibrio e equità.

Intanto distribuiremo il Fondo di Ateneo per la ricerca, sosterremo i PRIN nazionali con forme di premialità a favore dei progetti finanziati dal Ministero. D’intesa con la Regione, definiremo le procedure per la presentazione dei progetti per la ricerca orientata e di Base.

E’ avviato il progetto FESR che prevede la realizzazione di 6 Poli di Ateneo, ciascuno dei quali costituito da laboratori sperimentali attrezzati con strumentazione didattico-scientifica innovativa e un finanziamento complessivo di quasi 5 milioni di Euro. Si tratta di un investimento che non ha precedenti nella storia dell’Ateneo e che sarà tra breve seguito da una serie di altri interventi voluti dalla Regione, come per il Progetto INNOVARE – Rete regionale dell’Innovazione. L’Università darà impulso all’allargamento del portafoglio brevettuale e alla sua commercializzazione presso le imprese. Sosterremo la nascita di altri spin-off e lo sviluppo dei centri di competenza monitorando costantemente i bilanci e gli oneri per l’Ateneo; presteremo infine maggiore attenzione ai problemi del trasferimento tecnologico, anche attraverso forme nuove di comunicazione, partendo dalla rivista Arianna.

Si impone per i prossimi mesi una riflessione sulle due società nazionali partecipate Biosistema e Certa e sulle altre società consortili a dimensione regionale, per verificarne la redditività, in relazione soprattutto all’attuale difficoltà dei Centri di competenza ad intraprendere in modo deciso un’attività di impresa. Costituiremo in Sassari un Centro sulle tecnologie per i beni culturali.

Tutti i temi saranno oggetto della V Conferenza di Ateneo della ricerca, nella quale si metterà in rilievo il rinnovato impegno per raccogliere finanziamenti europei nel settore del VII Programma Quadro, nei progetti Marittimo e Enpi, attraverso la partecipazione ai bandi per i diversi livelli progettuali, progetti semplici e progetti strategici. Segnaliamo il rapporto di collaborazione con la Provincia nell’ambito del progetto Innautic per la prossima nascita di un “Centro Interuniversitario di Ricerca sulla Nautica” che ci collegherà con Cagliari, Pisa, Genova e Corte. E poi con numerosi comuni per l’avvio del progetto sul Percorso del Romanico in Sardegna. E per altri progetti legati al patrimonio archeologico, al corallo, all’ambiente, che consentiranno di collegare trasversalmente competenze e saperi.

Sul versante delle articolazioni interne dell’Ateneo, saranno disattivati tutti gli istituti con decorrenza I gennaio e si dovrà definire il nuovo assetto del polo delle scienze agrarie. Sarà inevitabile arrivare anche alla disattivazione dei Dipartimenti sotto soglia e sosterremo la nascita dei dipartimenti della Facoltà di Medicina.

Nel campo informatico, occuperemo i nuovi locali di Via Rockfeller, collegati alla fibra ottica messa a disposizione dal Comune di Sassari. La nuova sede vedrà l’acquisizione di macchine di calcolo di nuova generazione. 

È inoltre prevista per la primavera l’attivazione della nuova piattaforma web di Ateneo e della seconda versione dell’anagrafe della ricerca, che terrà conto di tutte le osservazioni pervenute in questo anno di sperimentazione.

Per il personale tecnico, amministrativo e bibliotecario, siamo sinceramente decisi a sostenere un dialogo per una nuova stagione, per un fecondo rapporto tra la Delegazione di parte pubblica e di parte sindacale, per arrivare a definire alcune partite rilevanti, come la destinazione del fondo per il salario accessorio 2010 e il riconoscimento dell’indennità mensile ex art. 41. Si deve procedere con la attuazione del nuovo modello organizzativo della struttura universitaria, in rapporto agli obiettivi strategici dell’Ateneo. Occorre promuovere interventi urgenti per il miglioramento della qualità di alcuni servizi, con un ripensamento sui proventi delle prestazioni a pagamento e sul personale sanitario. Intendiamo dedicare una più ampia quota di punti organico per garantire l’ingresso di nuove professionalità.  

Per i docenti manterremo una politica di trasparenza sui budget virtuali di Facoltà, sui punti organico, sulle chiamate e le prese di servizio dei professori e dei ricercatori dei 51 concorsi banditi due anni fa, con la definizione di graduatorie e priorità, accelerazione del turn-over, politica di sviluppo dei concorsi per posti di ricercatore a tempo determinato. Abbiamo definito i rigorosissimi criteri per le prese di servizio del personale docente, che saranno effettuate entro dicembre con l’impiego di tutti i punti organico disponibili; in più, le chiamate di idonei fuori sede.

Verrà proposto il diniego del biennio aggiuntivo per i professori e sarà attuato un riordino del compenso orario per i docenti impegnati in attività didattica non istituzionale. Il tema dei professori a contratto merita una decisa inversione di tendenza, perché il lavoro deve essere retribuito e si deve riconoscere il contributo delle professionalità espresse dal territorio.

In ambito sanitario ci confronteremo serenamente  con la proposta di legge regionale sulle nuove Aziende sanitarie, sicuri comunque che l’AOU manterrà una sua dimensione ed una sua specificità, nell’ambito della propria missione, che è quella di integrare l’assistenza con la programmazione didattico-scientifica della Facoltà di Medicina.

Proprio per il forte impatto sociale dei servizi sanitari, chiediamo alla classe politica una continuità di gestione, anche se il Consiglio Regionale decidesse di indirizzarsi verso una soluzione unitaria, che comunque andrebbe preparata con attività interaziendali.  L’AOU deve avere il suo nuovo protocollo di intesa, così come il suo atto aziendale, il suo organo di indirizzo, il suo direttore generale, il suo direttore sanitario: debitamente potenziata, deve diventare lo strumento per recuperare ritardi e disfunzioni, per ritrovare efficienza al servizio della collettività, con adeguati investimenti in tecnologia ed edilizia, perché la formazione e la ricerca stanno alla base di una assistenza di eccellenza.

Riteniamo che la medicina universitaria sia un valore aggiunto per il territorio e proprio partendo da questa convinzione ci permettiamo di fare un gesto di apertura verso le esigenze della sanità ospedaliera, gestita da medici che si sono formati nella nostra Facoltà ed ai quali guardiamo con amicizia e sincero desiderio di collaborazione, certo senza la voglia di istituire rapporti conflittuali. Anche dal Commissario della ASL abbiamo del resto ricevuto segnali di apertura per quanto riguarda la messa a disposizione di edifici per i Dipartimenti universitari.

L’Università chiede alla Regione di mantenere gli impegni a suo tempo assunti anche sui FAS per completare gli investimenti edilizi a favore delle strutture cliniche e dei reparti che presentano condizioni di gravissima criticità.

In ambito edilizio verranno a breve completati l’Istituto di Igiene e il reparto di patologia generale medica del Dipartimento di Scienze biomediche, il nuovo reparto Malattie infettive, il V piano del Clemente per la Clinica Chirurgica, l’ampliamento degli Istituti di Clinica neurologica e di scienze radiologiche. Verrà formalizzato l’accordo con l’ATP per il parcheggio di Viale Italia che è stato recentemente liberato dalle auto. Verrà definita la destinazione dell’ex brefotrofio, inserito in un progetto complessivo di cittadella della sanità, di un polo sanitario di eccellenza che si affacci con una bretella sulla 131 attraverso Piandanna. Intendiamo batterci per il completamento dei rustici della Clinica chirurgica nelle stecche e per una riorganizzazione spaziale complessiva.  Senza dimenticare il salto tecnologico che l’AOU compirà con le nuove tecnologie specie nella diagnostica per immagini.

Dopo le recenti realizzazioni, tra le quali l’avvio dei lavori per il nuovo ospedale veterinario, siamo impegnati per il recupero della facciata del Palazzo centrale dell’Università e per la progressiva valorizzazione dell’Estanco, dove verrà allestita la nuova sala del Consiglio di Amministrazione ed una nuova grande aula e dove abbiamo trasferito il Rettorato e molti nuovi uffici; li stiamo decorando anche grazie alla generosità di tanti artisti. Abbiamo presentato le nostre proposte al Soprintendente Gabriele Tola, perché intendiamo avviare i lavori per restituire alla città la torre tonda e riaprire l’intero palazzo di Porta Nuova ed alcuni spazi di Piazza Università, dove vorremmo far tornare gli studenti.

Nell’ambito del nuovo Programma triennale dei lavori, consideriamo prioritaria la realizzazione delle nuove aule, la biblioteca e i servizi generali della Facoltà di Agraria e del secondo lotto del complesso di Piandanna che ospiterà docenti attualmente afferenti a 3 Dipartimenti scientifici. Verrà completata la sede delle Facoltà di Lettere e di Lingue, con l’acquisizione e il restauro dell’Istituto dei ciechi e la retrocessione degli spazi in locazione.

Prepareremo il trasferimento della Facoltà di Farmacia nel polo di Monserrato che risulta propedeutico alla compiuta definizione del polo giuridico-politico-economico del cosiddetto Quadrilatero, racchiuso tra Viale Mancini e Via Muroni. Chiediamo alla Giunta Regionale un impegno per il recupero dei finanziamenti FAS – risorse per le aree sottoutilizzate – con la rimodulazione dei 50 milioni per il polo di agraria e veterinaria.

Assumendo il gravoso ruolo di Rettore di questa nostra storica Università, un anno fa avevamo preso l’impegno di spendere tutti noi stessi per raggiungere obiettivi alti e per lavorare nell’interesse dell’istituzione che intendiamo rappresentare con determinazione e spirito di servizio. Oggi rinnoviamo questo impegno, confortati dal coinvolgimento di tanti altri attori, di tanti colleghi che hanno deciso di spendersi in una nuova avventura di crescita e di solidarietà.

Allora auguri a tutti noi per un anno accademico che sia pieno di serenità e di gioia, ricco delle cose che contano davvero, di emozioni, di sogni, di speranze e di risultati.

Auguri alla grande comunità della nostra Università, alla città di Sassari e a tutta la Sardegna.

Dichiaro aperto il 449° anno accademico dell’Università di Sassari.




Ricordo di Mario Da Passano

Attilio Mastino

Ricordo di Mario Da Passano

20 Ottobre  2010

Più che come Rettore vorrei parlare oggi come amico di Mario Da Passano, innanzitutto ringraziando i colleghi della Facoltà di Scienze Politiche per aver voluto intestare al loro ex Preside questa aula consiliare.

Sono passati 5 anni da quel 23 aprile 2005 in cui come un fulmine a ciel sereno ci raggiunse la notizia della scomparsa di Mario, il dolore di Andrea e di Maria Grazia, dei colleghi a iniziare da Manlio Brigaglia, degli allievi che amava, Franca Mele, Daniela Fozzi e tanti altri.

Un tuffo al cuore che si è ripetuto ieri quando sono andato a rileggermi sull’anagrafe della ricerca le poche scheletriche informazioni che Mario aveva dato di se poi riprese per Diritto e storia, con quel suo stile asciutto, essenziale, la foto sorridente che bucava lo schermo. Soprattutto il tono sbrigativo con il quale aveva scritto il suo curriculum scientifico, sempre guardando alla sostanza e poco alla forma.

Quando  mi capita di rientrare a tarda sera passando lungo il Viale Umberto, per un ‘ inveterata  abitudine, inconsapevolmente getto l’occhio in alto verso quella finestra al primo piano del Palazzo Segni, sede del nostro Dipartimento di Storia,

Mi stupisce di non vedere la luce accesa in quell’ufficio che è stato di Mario, perché egli  trascorreva innumerevoli ore del giorno e della notte nel “suo” Dipartimento. Spesso facevamo tardi e uscivamo insieme, cogli altri stakanovisti, col desiderio di parlare tra noi.  Lo prendevamo in giro, mi ha ricordato da poco Cinzia Vismara, perché anche la domenica era al lavoro, dicendogli che doveva andare a messa e tutti sospettavamo che a casa non avesse neanche una matita.

Lo ricordiamo bene nella sua figura, nei suoi baffi che sorridono,  nella sua parlata stretta propria della sua antica terra, la Liguria.

La sua parlata e il suo silenzio perché era proprio del suo carattere di uomo di una terra aspra, aspra un po’ come la Sardegna, il silenzio.

Silenzio non vuol dire isolamento, perché il cammino di Mario Da Passano era quello di un docente e di uno studioso profondamente integrato nel mondo di Sassari, fino a scoprirlo habitué d’ un bar, alla stessa ora di sempre per bere ciò che giorno dopo giorno era il suo bel bicchiere: una volta me lo aveva fatto assaggiare e ricordo che mi aveva fatto orrore. Mario ha avuto sempre nel cuore una fiammella accesa, l’attenzione per chi è in difficoltà, il rispetto per gli altri, la partecipazione politica, le battaglie democratiche.   A Oristano in occasione del X convegno de L’Africa Romana nel quale l’avevamo coinvolto nel 1992, aveva confessato – sono parole di Mario: <<in gioventù io credo di aver firmato almeno qualche decina di petizioni, appelli e simili per le più diverse cause che io ritenevo giuste. Chi mi conosce sa che io non mi pento di quello che ho fatto, ma sono ormai convinto che sono molto più utili atti quotidiani, anche apparentemente piccoli, di poca importanza, capaci di unire gli uomini contro l’egoismo nazionalistico, l’intolleranza, il razzismo che credevamo morti e sepolti e che invece sembrano farsi sempre più minacciosi>>. Mario questi gesti li faceva tutti i giorni.

Non è un ritratto d’ occasione. Oggi vorrei far prevalere il ricordo dell’amico caro davvero, che aveva scelto nella ricerca di far brillare il proprio impegno sociale e politico, con dedizione, con finezza, lungi dalla retorica d’ogni partito. Perché Mario da Passano aveva studiato da par suo l’uomo ristretto entro le mura del carcere, dal contratto sociale che quell’ uomo, quegli uomini avevano violato. Ce ne aveva parlato tante volte, fino all’ultimo convegno sul mondo carcerario a Porto Torres.

Anche se Mario Da Passano sapeva che non basta la violazione del codice per finire dietro le sbarre ed egli aveva seguito nella cura filologica dei documenti gli itinerari anche di chi era nelle carceri per altri motivi, o perché lo Stato aveva mutato i Codici in spregio alla libertà dello spirito dell’ uomo.

Non posso dimenticare che sotto la Direzione di Mario Da Passano il Dipartimento di Storia ha completato l’acquisto d Palazzo Segni. Con Conconi e con Caterina scherzavamo sulla megalomania di noi tutti, e poi con lui era stata fatta una scelta editoriale che inizialmente non riusciva a convincermi, quella di portare fuori dalla Sardegna le pubblicazioni del Dipartimento, rivolgendosi a La Nuova Italia scientifica che si trasformava in Carocci editore:  con lui, con Antonello Mattone con Giuseppe Meloni alla fine avevamo deciso  di abbandonare per i volumi del Dipartimento di storia la consueta e avita tradizione degli editori sardi: antevedendo il domani (e le valutazioni della ricerca basate anche sull’ accreditamento delle sedi editoriali della ricerca) Mario aveva individuato in una celebre casa editrice nazionale l’ambito preferenziale, per assicurare ai nostri prodotti scientifici, ai prodotti scientifici dei più giovani quella diffusione nazionale e internazionale che assicura il dialogo attraverso ricercatori d’ogni fede, d’ogni luogo del mondo. Oggi a distanza di tempo debbo dire che quella scelta, poi passata attraverso gare pubbliche, è risultata vincente.

Oggi ci manca un amico con il quale abbiamo condiviso tanta strada, che ha sviluppato la sua carriera al nostro fianco dalla fondazione del Dipartimento fino al concorso a cattedre del 90.  Un amico che mi difendeva da tutti, qualche volta anche da Antonello, e che apprezzava i nostri progetti, come Vice direttore del Dipartimento di storia al mio fianco per 4 anni, poi come Direttore e come Preside.

Gli ha ha reso giustizia Antonello Mattone nel suo bellissimo elogio funebre in Dipartimento: del resto se c’è una cosa che ho sempre ammirato di Antonello è questo legame forte con un personaggio tanto diverso da noi ma tanto amato. Antonello lo ha ricordato da poco nel volume della Storia dell’Università di Sassari da lui curato che presenteremo tra una settimana, inserendolo tra i maestri dell’Ateneo, con un gesto che mi ha commosso davvero, una fedeltà ad un amico e ad uno studioso vero.

Mario da Passano non se ne è andato, resta con il suo esempio, con il suo sorriso, con il suo scetticismo  verso le piccole cose degli uomini, con la sua fede nell’ uomo, questo cosmo meraviglioso in cui lui fermamente credeva.




Intervento del Rettore all’Assemblea per la riforma regionale del Consiglio Regionale della Sardegna

Intervento del Rettore all’Assemblea per la riforma regionale del Consiglio Regionale della Sardegna.

05 ottobre 2010

In allegato l’intervento tenuto in data odierna dal Rettore Attilio Mastino, anche a nome del Rettore dell’Università di Cagliari Giovanni Melis, all’Assemblea per la riforma regionale del Consiglio Regionale della Sardegna.




Intervento del Rettore alla Conferenza Regionale per la Ricerca e l’Innovazione

ATTILIO MASTINO

Rettore Università degli Studi di Sassari

Porto il cordialissimo saluto dei colleghi, dei professori, dei ricercatori, del personale della Università di Sassari, a questa Conferenza regionale per la ricerca e la innovazione voluta dall’assessore Giorgio La Spisa, appassionato e sensibile animatore di queste due giornate. Due giornate che si sono incentrate intorno al tema del capitale umano, della formazione dei giovani, dei giovani ricercatori, della innovazione in Sardegna e nel Mezzogiorno: un evento, un fatto nuovo, una manifestazione che testimonia la complessità dei problemi, delle questioni che noi abbiamo di fronte e con le quali giorno per giorno dobbiamo confrontarci, al di là veramente degli schemi astratti.

Sono rientrato ieri da Bologna dove si è svolta la cerimonia in occasione del 22°  anniversario della Magna Carta Universitatum, il Rettore Dionigi celebrava la solenne dichiarazione dei rettori europei scritta in latino 22 anni fa, nel 1988: questa dichiarazione indicava tra i principia e tra i fundamenta dell’universitas, i pilastri dell’universitas, della università pubblica, e non solo, la ricerca scientifica, intesa con linguaggio ciceroniano di scientiae pervestigatio che è posta accanto e strettamente congiunta con la docendi ratio, con la formazione, la didattica.

La ricerca scientifica dunque costituisce il principium, l’elemento che rende possibile e vitale l’insegnamento universitario.

In Sardegna la ricerca scientifica è insieme espressione di una tradizione di studi secolare, di reti di rapporti stabiliti nel tempo, ma anche si inserisce sempre di più in una grande comunità europea internazionale, costituisce le fondamenta per quella che è ormai la terza missione dell’università: il servizio a favore del territorio sul piano assistenziale sanitario, ma anche sul piano ambientale, sul piano economico, sul piano sociale, sul piano industriale, ma anche sul piano del trasferimento tecnologico a favore delle aziende.

Questa conferenza cade in un momento di profonda trasformazione per il paese e per la Sardegna, ma anche in un momento in cui si discutono, anche negativamente, il prestigio, il ruolo della scuola e dell’università pubblica, spesso incapaci di inserirsi in una dimensione sovrannazionale non sempre in grado di adeguarsi al velocissimo  progresso tecnologico, alle nuove tecnologie informatiche, alle recenti dinamiche economiche finanziarie, al mutamento delle professioni, alla innovazione continua che richiede una formazione continua.

La responsabilità dunque dell’università e della scuola in Italia, e particolarmente nel Mezzogiorno, è rilevante perché gli interventi innovativi in conoscenza avranno sicuramente riflessi positivi sull’intera società. C’è veramente però l’esigenza di far emergere nell’università le zone d’ombra, le incapacità di cogliere il nuovo, i ritardi, le difficoltà che le università incontrano. L’università arriva certamente in ritardo a confrontarsi con l’innovazione e ciò soprattutto in Sardegna eppure nei tempi del federalismo il punto di partenza contro ogni appiattimento e contro ogni omologazione deve essere quello del riconoscimento del valore e della diversità  dei territori che diventa capitale culturale, prezioso valore aggiunto se l’articolo 33 della Costituzione riconosce il significato straordinario dell’autonomia universitaria. Noi ci portiamo dietro delle tradizioni di studi che fanno parte della nostra identità di uomini di oggi e che possono costituire il lievito e la componente originale per il nostro entrare nel mondo delle nuove tecnologie.

L’università svolgerà un ruolo strategico di protagonista in Sardegna e nel Mediterraneo soprattutto se saprà stabilire rapporti e sinergie con grandi centri di eccellenza, a livello europeo, senza rinunciare ad una cooperazione però con la riva sud del Mediterraneo che favorisca un confronto culturale, che abbatta vecchi e nuovi steccati, che combatta la divaricazione che quasi inesorabilmente il mondo sta drammaticamente vivendo dopo l’11  settembre.

I giovani hanno diritto di ricevere dalle due università sarde non soltanto una formazione che consenta loro di confrontarsi ad armi pari in Europa con i loro coetanei, ma soprattutto devono ricevere stimoli, suggestioni, curiosità,  passioni che motivino il loro impegno futuro. Essi devono essere in grado di declinare con originalità e consapevolezza i grandi temi dei nostri giorni, la globalizzazione, il confronto tra culture, le identità plurali del Mediterraneo.

Veramente non riesco a convincermi che gli strumenti pensati dal Ministro Gelmini per la scuola, con la riforma della scuola e per l’università siano adeguati ai problemi che abbiamo di fronte, che sono gravi e complessi. Io veramente cercherei di sorvolare sulla riforma della scuola, ho un testo scritto che magari lascerò per gli atti, ma questa riforma della scuola che suscita la protesta degli studenti, la protesta dei precari, la protesta degli insegnanti, è una riforma diciamo piccola piccola, rispetto alle grandi riforme del passato, quasi insignificante. I dati dell’OCSE dicono che la scuola italiana, in particolare la scuola sarda, è indietro, ma soprattutto sappiamo che gli investimenti per la scuola sono assolutamente inadeguati, l’Italia investe il 9 per cento del PIL per la scuola, la media europea è del 13,3 per cento.

Un analogo discorso stiamo vivendo proprio in questi giorni con l’arrivo alla Camera del disegno di legge Gelmini di riforma dell’università: un progetto di legge, questo sì, ambizioso, che vorrebbe rappresentare un tentativo senza precedenti di riformare in profondità l’università italiana, con obiettivi molto alti come quelli di aumentare la produttività, di innalzare il numero degli iscritti, dunque il numero dei laureati in Italia, aumentare il numero dei laureati nelle discipline scientifiche, di specializzati, di dottori di ricerca; contemporaneamente riduce il numero dei corsi di laurea, delle facoltà, dei dipartimenti, elimina o vorrebbe eliminare i falsi studenti, gli studenti inattivi, i fuori corso, promuove l’internazionalizzazione, gli scambi Erasmus, la mobilità, lo sviluppo dell’ ITC, la conoscenza delle lingue straniere, combatte nuove forme di analfabetismo, eppure a mio avviso utilizza strumenti assolutamente inadeguati, senza mettere sul piatto nuove risorse. Rischia di essere in discussione la struttura stessa degli atenei, la sopravvivenza  di dipartimenti, facoltà, linee di ricerca, reti di relazioni internazionali.

Noi avremmo voluto oggi il Ministro per dire al Ministro queste cose, ma diciamo che sicuramente gli atti conterranno delle indicazioni ancora più precise di quelle che sto facendo in questo momento. La razionalizzazione proposta dal Ministro comporterà in realtà dei tagli, porrà gli atenei italiani di fronte a scelte dolorose, l’ingresso dei privati nel consiglio di amministrazione, l’indebolimento del Senato Accademico, la diminuzione della rappresentanza studentesca, la scomparsa del personale tecnico – amministrativo dagli organi accademici, l’impoverimento dei momenti di democrazia e di confronto, la precarizzazione dei ricercatori ai quali abbiamo espresso in questi giorni il nostro sostegno e la nostra solidarietà, non solo a parole, ma credo con i fatti. Vedremo con i fatti cosa potremo fare. Sono tutti elementi non positivi in un quadro caratterizzato dalla ricerca di una efficienza che si dovrà comunque confrontare con la capacità di coinvolgimento delle persone, con la adozione partecipata degli obiettivi prioritari da raggiungere, con politiche di sussidiarietà e di integrazione che correggano il modello centralistico di base.

Sapete che a noi non è piaciuto il taglio del fondo di funzionamento ordinario, il trasferimento di una massa consistete di risorse già nel 2009, centinaia di milioni di euro dalle Università delle isole e del sud del Mezzogiorno del paese, verso le università del Nord. Il nostro ateneo ha avuto un taglio di due milioni e mezzo di euro, Cagliari ha avuto un taglio percentualmente inferiore, ma è soprattutto l’investimento in termini assoluti che è inadeguato perché per l’università non si investe più dello 0.8 per cento del PIL, contro la media europea del 1.2 per cento e gli investimenti in ricerca da parte del Ministero vanno riducendosi, basti pensare i PRIN, ai FIRB agli altri strumenti pensati in passato per la ricerca.

Come ha già fatto il collega e amico Giovanni Melis, debbo riconoscere che la Regione Sarda ha svolto in questi ultimi anni, soprattutto per merito degli ultimi assessori alla programmazione, un ruolo incisivo, sicuramente ha garantito uno sforzo rilevante con investimenti significativi a favore della ricerca e anche della ricerca universitaria, sia orientata, sia di base. C’è stata una attenzione nuova nei confronti dell’università a partire dall’assessore Pigliaru. Ma voglio ricordare anche gli assessori alla pubblica istruzione Pilia, Mongiu e Baire  e infine soprattutto l’assessore La Spisa.

Un breve inventario, velocissimo, delle cose che sono in campo, ma le conoscete tutti meglio di me: ci sono nuovi strumenti per sviluppare la ricerca scientifica con la legge regionale 7, e non solo, con il master back che inizialmente è stato accolto anche nelle università con molte riserve, ma che si è rilevato uno strumento formidabile, anche per aprire le università verso l’esterno. E poi i visiting professor che nell’ultimo anno hanno portato solo a Sassari 100 studiosi stranieri, sono 312 dal 2006; è entrata aria fresca nei dipartimenti, negli istituti, nei laboratori. C’è il capitolo relativo al rientro dei cervelli, i premi di produttività, la premialità per i progetti di ricerca, il protocollo d’intesa Regione Sarda – Ministero della Università e i due Atenei: prevede un investimento di circa 45 milioni di euro per la valorizzazione del sistema universitario della ricerca in Sardegna. E poi i finanziamenti europei, il fondo europeo di sviluppo regionale, non solo, che ha consentito di finanziare dottorati di ricerca, sempre più vicini e calibrati sul mondo delle imprese, ha finanziato i giovani ricercatori, i bandi della legge 7 per progetti di ricerca di base e orientati, i finanziamenti europei del settimo programma quadro, del Marittimo, dell’ENPI, la nascita dei centri di competenza con tutte le zone d’ombra sulle quali vogliamo essere tranquillizzati da chi gestisce i centri di competenza, e infine la nuova anagrafe della ricerca che rende trasparente la ricerca universitaria. Vorremmo che si rendesse più trasparente anche la ricerca che si svolge negli enti regionali e nel CNR. Dunque ci sono molti passi in avanti significativi per rendere la Sardegna l’isola della ricerca, un modello anche per altre regioni, per aprirci, per creare reti, per aprire la Sardegna verso l’esterno, per essere capaci di accogliere e non di respingere al centro del Mediterraneo, per evitare di essere chiusi e ripiegati su noi stessi. Dunque abbiamo alcuni grandi temi sui quali si sta investendo, per quanto non in tutti la Sardegna possa raggiungere livelli di eccellenza per l’assenza di massa critica, per la debolezza anche di alcune aree disciplinari dentro le università: eppure guardiamo con speranza verso la la bio medicina, le neuroscienze, l’agroalimentare, le nanotecnologie, l’ICT, le biotecnologie, l’energia, i materiali, la chimica. Voglio ricordare la chimica anche con riferimento all’impegno che le università assumono anche nei confronti del territorio per valutare se alcune iniziative industriali sono velleitarie o se meritano viceversa attenzione da parte degli amministratori pubblici.

Segnalo la soddisfazione per il consistente finanziamento ottenuto per i laboratori, proprio in questi giorni: noi compreremo una risonanza magnetica per il dipartimento di chimica. Del resto ci sono tante altre iniziative in corso.

Naturalmente lavoreremo per rafforzare i centri di eccellenza come quello a Sassari delle biodiversità, ed estenderemo, così come abbiamo fatto in passato, la nostra partecipazione ai PRIN nazionali e sosterremo i finanziamenti per la ricerca universitaria.

Naturalmente non ci nascondiamo i problemi: guardando un pochino dall’alto la ricerca, in Sardegna esistono dei problemi gravissimi che la classe politica si dovrebbe porre, innanzitutto esiste una forte esigenza di riequilibrio territoriale; la concentrazione degli investimenti soltanto in alcune realtà indebolisce in realtà le attività di ricerca. C’è da lavorare veramente per censire, verificare, creare sinergie, con riferimento alle attività e tutti i soggetti, quindi CNR università, enti regionali. La polarizzazione nella Sardegna meridionale di alcune attività di ricerca, Polaris, ad esempio, richiede una compensazione con altri investimenti di AGRIS, di Porto Conte Ricerche, di Laore, di altri enti regionali destinati alla ricerca, in altri territori, nel cuore della Barbagia: era previsto un nodo di Sardegna ricerche anche nel Nuorese, nell’Oristanese, nel Sassarese.

Devo dire che poi è evidente a tutti la debolezza di alcuni settori della ricerca e soprattutto è necessario creare massa critica legando i due atenei con un patto federativo più forte, dobbiamo costruire delle reti ed abbiamo dei settori da sviluppare.

Infine il tema della valutazione: la valutazione della ricerca a livello nazionale pesa sul fondo di funzionamento ordinario. Sapete che il 7 per cento assegnato per la premialità degli Atenei viene pesato nella misura del 30 per cento sulla base dei docenti ricercatori che hanno ottenuto il finanziamento di progetti nazionali, PRIN; poi il 15 per cento è destinato a chi ha ottenuto finanziamenti sui FIRB, il 35 per cento sul coefficiente vecchio del CIVR. La valutazione CIVR è stata effettuata sulle attività del 2001 –  2003, ormai è molto invecchiata eppure è l’unico dato accessibile. Infine il 20 per cento su altre risorse europee, finanziamenti da altre istituzioni pubbliche estere. Naturalmente sono tutti coefficienti che fino ad ora non erano molto positivi per le università sarde che hanno avuto questi tagli.

Si avvia proprio in questi giorni con la nomina dei comitati di garanzia che abbiamo effettuato qualche settimana fa, l’attività di valutazione del CIVR, che vorremmo fosse estesa non soltanto alle due università: ogni ricercatore universitario deve presentare nei 5 anni almeno due prodotti di ricerca. Vorremmo che questa valutazione venisse estesa anche al CNR ed agli enti di ricerca regionali che possono pagare il CIVR per essere valutati:  noi vorremmo veramente che gli enti regionali, POLARIS, Porto Conte Ricerche, il CRS4  non si sottraggano questa volta ad una valutazione come è avvenuto per gli enti di ricerca regionali della regione Sicilia che sono stati valutati nell’ultima valutazione CIVR. Dunque vorremmo che vengano in piena trasparenza valutati i prodotti della ricerca, le pubblicazioni, i brevetti, la gestione della proprietà individuale della ricerca, la nascita di nuove imprese, lo start up di nuove imprese, alcuni spin off, l’organizzazione di progetti, di convegni, di altre attività.

Guardate, non potete pretendere che un umanista come me non rilevi in questo convegno il fatto che troppo poco si è parlato, ieri e oggi, di ricerca di base e di ricerca umanistica. La ricerca di base e soprattutto la ricerca in campo umanistico costituisce la base per lo sviluppo della società locale, del patrimonio, la valorizzazione  dei beni culturali, che deve essere affrontato con maggiore ampiezza e senza superficialità. Io ho partecipato nei giorni scorsi  ancora a Bologna a un convegno sulle officine lapidarie, sul mondo antico: si sono confrontati più di 50 studiosi che appartenevano ad università straniere,  italiane, al CNR e, stranamente, all’Istituto regionale dei beni culturali dell’Emilia Romagna che in passato la Regione Sarda aveva incaricato di censire i monumenti della Sardegna. In quel convegno abbiamo parlato di informatica applicata alla scienza epigrafica, abbiamo parlato di fotografia digitale, di rilievo grafico, fotografico, di tanti altri problemi relativi alla topografia dei monumenti: qualcuno ci deve spiegare perché la Regione Emilia Romagna ha un Istituto dei beni culturali e la Sardegna no; anzi la Regione Sarda deve ricorrere all’Emilia Romagna per svolgere questa attività, silenziosamente riconoscendo l’assoluta prevalenza, in Sardegna, delle Soprintendenze archeologiche, archivistiche, delle soprintendenze ai beni artistici e paesaggistici. Allora a me sembra che il tema del patrimonio ci debba richiamare la lezione di Giovanni Lilliu, perché le competenze in materia di beni culturali sono costituzionalmente affidate alla Repubblica nelle sue articolazioni territoriali, dunque non soltanto allo Stato, ma anche alla Regione, alla Provincia, al Comune, insomma al sistema completo delle autonomie, e ciò a maggior ragione in Sardegna, regione a statuto speciale, per quanto in materia il testo scheletrico dello statuto sardo non riconosca la possibilità di esercizio di funzioni analoghe a quelle del Trentino, della Sicilia, e della Valle d’Aosta. Dunque noi siamo per il trasferimento delle competenze in materia di beni culturali dallo Stato alla Regione, nei tempi del federalismo: qualcuno se ne deve finalmente accorgere, perché Lilliu ritiene che il patrimonio culturale sia un insieme di risorse umane e ambientali capaci di produrre una domanda sociale.

Forse uno strumento per affrontare con occhi nuovi questo problema potrebbe essere la costituzione che aspettiamo del centro di competenza per le tecnologie dei beni culturali, ma più in generale credo che il tema che noi abbiamo di fronte è quello del patrimonio, sul quale occorre esercitare l’attività di ricerca.

Dunque l’università è orgogliosa di essere qui oggi, così come è stata orgogliosa, io stesso sono stato veramente orgoglioso di essere al Quirinale qualche settimana fa perché Luca Ruiu, nostro ricercatore, ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Napolitano il premio dei premi per l’innovazione. Premio che significa riconoscimento per una idea progettuale brillante – un biopesticida – che ha già avuto una applicazione in uno spin off che è nato proprio in questi giorni.

Credo che ci siano tanti altri grandi progetti da portare avanti per i quali abbiamo necessità  del sostegno, dell’aiuto della Regione, non soltanto in termini edilizi, in termini di reclutamento di personale, in termini di riforma.

In chiusura voglio ricordare l’esigenza di arrivare alla firma dell’intesa triennale  che, assessore La Spisa e assessore Baire, dobbiamo ancora sottoscrivere nel mese di settembre per gli anni 2010, 2011, 2012: credo che l’occasione che noi abbiamo davanti sia una occasione preziosa quella della discussione in Consulta regionale della ricerca già da venerdì prossimo del piano regionale della ricerca.

Dobbiamo procedere a definire una programmazione unitaria, regione –  università – enti regionali, perché veramente, diceva Giovannino Melis, dobbiamo finalmente guardare lontano.

Grazie.




PIERO MELONI: UN GIGANTE DELLA STORIA ANTICA

PIERO MELONI: UN GIGANTE DELLA STORIA ANTICA
Ricordo pubblicato su L’Unione Sarda del 5 agosto 2010

Ore 8: nella grande aula  al pianterreno della nuova Facoltà di Lettere e Filosofia e Magistero, nella spianata di Sa Duchessa, a Cagliari c’è silenzio. Sulle sedie, disposte ad emiciclo, come in un teatro antico, un numero immenso di studenti.

E’ l’ora della lezione del Professor Meloni, seguita per decenni da tante generazioni di studenti, attratti dal rigore filologico e dalla lucida capacità di analisi di ogni documento atto a ricostruire la storia antica.

Agli esami il Professore verificava con attitudine critica la preparazione raggiunta da ogni studente e se imponeva agli impreparati di ripetere più e più volte il “suo” esame di storia romana (e agli inizi anche di storia greca) riservava ai migliori il giudizio positivo massimo, conscio di aver adempiuto alla missione di ogni Docente, di ricerca scientifica e di didattica, per tramandare il mandato ricevuto dal suo maestro, Raimondo Bachisio Motzo, primo cattedratico di Storia antica nella rinata facoltà di Lettere dell’ ateneo cagliaritano.

Piero Meloni se ne è andato a novant’ anni, dopo avere condotto la propria operosa vita di scienza per oltre settant’ anni. Se ne è andato sulla breccia, mentre preparava la nuova edizione della sua Sardegna romana, uscita nel 1975, nella collana di Alberto Boscolo “Storia della Sardegna antica e moderna”, e riedita, profondamente rinnovata nelle nuove acquisizioni epigrafiche ed archeologiche, nel 1991.

 

Raccontare oggi la vita e l’ opera di Piero Meloni, in un periodo di crisi globale, è raccontare l’ alacre vicenda umana di uno scienziato, dedito al sacerdozio della ricerca e dell’ insegnamento e del mandato offerto ai propri allievi antichi e recenti, come Giovanna Sotgiu, Guido Clemente, Franco Porrà, Ignazio Didu, Marcella Bonello, Paola Ruggeri, Antonio Corda, Piergiorgio Floris, Antonio Ibba e gli scriventi che lo hanno seguito sulla cattedra di storia romana.

Dai graniti di Berchidda, dov’era nato nel 1920, alla Cagliari della vigilia della Seconda Guerra mondiale, dove conquistò, con le proprie capacità critiche, immediatamente,  Raimondo Bachisio Motzo, allievo del grande Gaetano De Sanctis a Torino, che intravide nel giovanissimo studente il proprio successore nella cattedra cagliaritana di storia antica.

La guerra vide Piero Meloni nelle vesti di ufficiale, impegnato in ardue vicende belliche. Ma, nonostante tutto, Piero Meloni continuava a studiare, per prepararsi al suo mandato di vita.

Dopo la brillantissima laurea, fu in Roma presso l’ Istituto Italiano di Storia Antica per sviluppare gli studi che spaziavano dal mondo greco (Perseo e la fine della monarchia macedoneIl valore storico e le fonti del libro macedonico di Appiano) a quello romano repubblicano (Servio Sulpicio Rufo) e imperiale (Il regno di Caro, Numeriano e Carino).

Quei volumi scaglionati fra il 1948 e il 1955 costituiscono ancora oggi un solidissimo patrimonio di filologia e di metodo storico applicato ai terreni della ricerca che Piero Meloni aveva individuato come suoi propri, in campi sostanzialmente vergini. Era la ricerca libera, pura, di base, che qualche legislatore fantasista dei giorni nostri vorrebbe subordinare alla ricerca applicata alla tecnocrazia.

Rapidamente il nostro aveva superato i concorsi nazionali che lo avevano portato dal ruolo di assistente a Libero Docente a Cattedratico, raccogliendo l’ eredità del maestro Motzo, che lasciò nel 1953 la cattedra di storia antica cagliaritana per limite di età.

Per i suoi studenti Piero Meloni scrisse, insieme a M. Attilio Levi, la  Storia romana dalle origini al 476 d. C., libro di rara chiarezza con un imponente appartato critico sulla storia romana dalla monarchia alla tarda antichità,  che doveva segnare l’ arduo cammino dei giovani che l’ avrebbero seguito.

Ancora per i giovani liceali presento l’ edizione  scolastica di Mediterranea divinando un filo continuo tra i giovani delle scuole superiori e quelli universitari che, con passione e spirito critico, avrebbero approfondito i dati delle fonti e le varie correnti storiografiche sui diversi temi della storia antica.

Affrontò da par suo il Sessantotto e il Settantasette, gli anni che anche nella sonnacchiosa Cagliari avrebbero fatto udire il ruggito della rivolta studentesca. Ma la risposta di Piero Meloni agli studenti radicali che contestavano in nome del famoso “nozionismo” il metodo rigoroso fu univoca e durissima: “non passeranno!”.

Abbiamo lasciato per ultimo il contributo fondamentale di Meloni sulla Storia della Sardegna romana: lo studioso era conscio che la cattedra di storia antica doveva essere onorata attraverso una ricerca globale, priva delle angustie del localismo, ma era d’ altro canto convinto che il compito di uno studioso fosse anche quello di cimentarsi in indagini, complesse per il carattere limitato delle fonti, relative alla sua terra sarda.

Sin dal 1945 aveva scritto su Gli Iolei ed il mito di Iolao in Sardegna, antevedendo il ruolo che la grecità euboica e ionica avrebbe avuto nel rapporto con la Sardegna tra VIII e VI secolo a.C., dimostrato dalle ricerche di Sulki, Sant’ Imbenia di Alghero e, soprattutto, di Olbia.

Nel 1947 fu la volta di due fini indagini sulla conquista cartaginese dell’ isola e sul celebre cantore sardo Tigellio e sul suo liberto Tigellio Hermogene.

Non possiamo seguire la lunga lista degli studi di Piero Meloni, raccolta in appendice al  volume offertogli dai suoi allievi in occasione del LXX compleanno e analizzata nuovamente dal suo allievo Guido Clemente nel XVIII volume de L’ Africa romana, che vedrà la luce nel prossimo mese di dicembre.

Dobbiamo comunque fare riferimento all’ amplissimo studio “L’ amministrazione della Sardegna da Augusto all’invasione vandalica”, in cui sono criticamente vagliati tutti i governatori della Sardegna romana e i loro collaboratori sulla base di fonti letterarie, giuridiche ed epigrafiche, e, naturalmente, alle pagine bellissime della sua Sardegna romana.

Nella seconda edizione, di vent’ anni fa, Piero Meloni notava come, rispetto alla prima del 1975,  fosse “cambiato il nostro approccio col mondo romano ed in particolare col problema al quale noi, uomini d’ oggi, siamo estremamente sensibili: quello del colonialismo nel Mediterraneo nel quale la Sardegna occupa un posto particolare”.

La perennità della ricerca storica, secondo il crociano tema della sempre risorgente “contemporaneità” della storia. Questo  il lascito fecondo di Piero Meloni ai suoi allievi ed al mondo degli studi.

Attilio Mastino
Raimondo Zucca