Intervento del prof. Attilio Mastino, Rettore dell’Università degli studi di Sassari
Meeting su “Gender and Science”, Roma 14 febbraio 2013
Cari amici,
desidero dire solo due parole per portare il saluto dei colleghi dell’Università di Sassari a questo Meeting su Gender and Science, promosso dal Dipartimento di Medicina Sperimentale dell’Università La Sapienza di Roma e dal Dipartimento di scienze biomediche dell’Università di Sassari, rappresentato oggi dal direttore prof. Andrea Montella.
Debbo a Flavia Franconi e ad Andrea Lenzi il ripetersi di un invito, qui a Roma, per assistere negli ultimi anni ad una serie di iniziative di alto profilo che tendono a radicare e fondare una nuova disciplina scientifica, la Medicina di genere, che conosce un suo progressivo sviluppo, ma che deve acquisire solide gambe, principi teorici, una base epistemologica capace di definire le condizioni e i metodi attraverso i quali si può raggiungere una conoscenza scientifica nuova. Una conoscenza scientifica che parta da una sperimentazione clinica plurale, più capace di cogliere la realtà, nella sua complessità e nelle sue differenze.
La Medicina diventa arte di genere che mette al centro una prospettiva fortemente identitaria e analitica, articolandosi a cascata nell’uomo e nella donna attraverso indagini che appaiono sempre più innovative e promettenti, una ricerca preclinica e clinica che costituisce motivo di speranza per tutti, che si confronta con la società civile sul tema della salute.
Al centro dei vostri lavori, ai quali partecipano tanti studiosi selezionati dal comitato scientifico presieduto dal prof. Fabio Naro, avete posto il tema vitale della differenza di genere, più ancora il ruolo che in campo clinico deve avere il tema della diversità, come elemento interpretativo di un approccio terapeutico che sia misurato sugli uomini e sulle donne, sulle singole persone nella loro complessità e con le loro differenze.
Specificamente la Farmacologia di genere supera ogni uniformità e appiattimento delle patologie e delle conseguenti terapie e rende conto delle differenze di efficacia e sicurezza dei farmaci in funzione del genere eventualmente esistenti tra uomini e donne, includendo anche le differenze derivanti dalla complessità di cicli e fasi della vita riproduttiva della donna. Un’analisi genere-mirata dà una nuova dimensione agli studi clinici e ai trattamenti farmacologici, rispondendo alle recenti raccomandazioni della SIF la Società Italiana di Farmacologia, col suo Gruppo di lavoro sulla Farmacologia orientata sul genere, organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità. Ma ho visto anche la recente presa di posizione dell’AIFA, l’Agenzia italiana del farmaco, naturalmente a valle delle strategie di politica sanitaria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Sono convinto che si tratta di un passo avanti significativo, di una prospettiva culturalmente ricca e che promette sviluppi significativi, anche se un umanista come me non può non richiamare l’origine latina della parola genus, partendo dalla declinazione degli aggettivi (a tre uscite pulcher, pulchra, pulchrum; a due uscite, dulcis, dulce; a un’unica uscita, pauper) e ciò per indicare anche la complessità, la natura globale delle cose, la sostanza della realtà complessa, la sua forma, il modo di esprimersi, la classificazione tassonomica di persone, animali, cose, specie, che non si sovrappongono ma si articolano e differenziano. Anche la divisone per gentes della società l’antica Roma partiva dai comizi curiati costituiti ex generibus hominum, secondo Gellio: Cum ex generibus hominum suffragium feratur. Come il plurale genera è collegato alla radice del participio passato genitus da-gìgnere, nel senso di generare ed al greco génos genous, plurale – géne, che esprime ancor più il senso dell’origine, della provenienza, della progenie, della parentela, della famiglia, ma anche dell’universalità, degli uomini e delle donne, ben oltre il concetto di maschio e femmina.
Come è noto dalla prima metà del quattordicesimo secolo fino agli anni 60 del secolo scorso, il termine genus è stato usato come sinonimo di sesso o differenze biologiche, con un forte androcentrismo ereditato dall’antichità. Fu lo psicoanalista Robert Stoller con il volume del 1968 su Sesso e genere (Sex and Gender: On the Development of Masculinity and Femininity) a distinguere nettamente il genere dal sesso parlando di “identità di genere” per superare la contraddizione fra un sesso biologico e l’affermazione di un’identità sessuale derivata dalle aspettative sociali relative a quel determinato sesso. Dopo il lavoro del 1975 di John Money e Patricia Tucker su Sexual Signatures on Being a Man or a Woman, il termine genere è sempre stato più utilizzato per indicare l’influenza della società e della cultura, mentre il termine sesso è stato usato per indicare le differenze biologiche fra maschio e femmina.
I due termini, almeno nelle scienze sociali, sono addirittura diventati alternativi. Tale dicotomia sottolinea che il genere si modifica in funzione delle culture variando nel tempo e nello spazio, mentre il sesso è apparentemente invariabile. Non è esattamente così. Eppure, partendo dal grande filone degli studi di genere animato sul piano antropologico dal pensiero femminista degli anni 70 e 80 che appunto ha privilegiato il genere sul sesso, si può dire coinvolta qualunque branca delle scienze umane, sociali, psicologiche e letterarie, dalla sociologia, alle scienze etnoantropologiche, alla letteratura, alla teologia, alla politica, alla demografia. Meno sviluppo avevano avuto fino a qualche anno fa gli studi clinici e farmacologici, che iniziano ad avere un’attenzione specifica, senza la pretesa di un approccio aprioristico, visto che occorre definire caso per caso con metodo scientifico identità e differenze, convergenze e specifiche realtà, che ora l’innovazione della ricerca può contribuire a distinguere.
Nelle scienze biomediche, spesso i due termini (sesso – genere) sono stati usati come sinonimi prevalendo il genere sul sesso, anche perché esso appariva politicamente più corretto. Tutto ciò ha prodotto una qualche confusione e qui voi volete ribadire con chiarezza che quando parliamo di genere dobbiamo necessariamente intendere, almeno, il maschile ed il femminile quindi la medicina di genere non è la medicina della donna ma la medicina degli uomini e delle donne. E’ certamente un passo in avanti, anche se a partire dagli anni 80 gli studiosi hanno convenuto che il ritardo conoscitivo e sperimentale della medicina era soprattutto concentrato nel campo della salute della donna, anche a causa della prolungata esclusione della donna dalla ricerca clinica, che costituiva uno degli aspetti finali delle antiche discriminazioni a danno delle donne.
Vedo che ormai considerate superata la lettura femminista nella quale per genere si intendeva il genere femminile, perseguite un equilibrio nuovo, superate i pregiudizi socioculturali collegati al genere, vi ponete l’obiettivo di recuperare in questo convegno con equilibrio entrambi gli aspetti, biologici e sociali, maschili e femminili, senza buttare a mare lo specifico della farmacologia al maschile. Del resto l’incontro di oggi darà spazio ad esempio al tema della fertilità maschile, alla medicina estetica, alla cardiologia, alla ginecologia come all’andrologia, con un approccio interdisciplinare che mi sembra sia l’aspetto più straordinario dei vostri lavori.
Gli ultimi studi hanno confermato che le differenze biologiche possono essere alterate dal genere o se preferite dall’ambiente nel quale una persona vive. In effetti, la variabilità biologica suggerisce che vi siano delle complesse e costanti interazioni tra sesso e genere che risultano in un sistema intrecciato, intricato e ingarbugliato dove non è più possibile distinguere il ruolo dell’uno e dell’altro suggerendo che è opportuno associare i due concetti
La medicina di sesso-genere, nata nel contesto del movimento delle donne degli anni 70, non si limita alle donne ma crea nuovi prototipi di salute anche per l’uomo incorporando gli aspetti biologici con quelli sociali dando valore alle differenze e riconoscendo le somiglianze fra donna e uomo per arrivare all’equità. E’ il concetto di equità e non di uguaglianza che pervade la medicina di genere, infatti, la rivendicazione di uguaglianza, si traduce, come scriveva Norberto Bobbio, “nella negazione di una specifica ineguaglianza” fra individui. Invece, la medicina di genere considera le differenze un valore fondamentale e non dimentica quello che sosteneva il premio Nobel François Monod sul concetto d’eguaglianza e cioè che esso è stato “inventato precisamente perché gli esseri umani non sono identici”. Ed è proprio il superamento del concetto di uguaglianza che fa arrivare a quello più complesso di equità che permette il riconoscimento delle differenze per arrivare alla cura ed alla prevenzione più appropriata per ciascuna persona.
Essendo gli uomini e le donne diversi (vedi patrimonio genetico, ormoni, ecc) è evidente che non tutte le disuguaglianze nella salute sono inique, semmai l’iniquità può nascere dal non riconoscimento delle differenze che induce nel gruppo meno studiato una minore appropriatezza. Inoltre, se un gruppo è meno studiato, nella maggior parte dei casi, non vi è stata un’equa ripartizione delle risorse per la ricerca e su questo la società dovrebbe intervenire. In conclusione, l’epigenetica sembra chiarire le modalità con cui la società, l’ambiente modificano il nostro corpo biologico sia nella vita perinatale che nella via adulta.
In questi ultimi anni, le ricerche relative alle differenze biologiche si sono largamente sviluppate tanto che oramai sappiamo che il cuore, il rene, il polmone ecc devono essere declinati sia al femminile che al maschile mentre sono poche le ricerche che hanno approfondito il ruolo del sesso-genere. Ciò dipende dalle numerose criticità che pone la ricerca sesso-genere che necessità dell’intersettorialità e dell’interdisciplinarietà, alla quale anche con questo incontro tendete. Non escludiamo nuovi orizzonti, legati alle classi di età, all’alimentazione, alle specifiche situazioni ambientali, sempre con l’intento di costruire una farmacologia capace di guarire tutti, raggiungendo ciascuno nella propria specifica individualità. .
Proprio per arrivare all’applicazione della medicina di genere, l’Università di Sassari ha promosso nel 2005 l’istituzione di un dottorato di ricerca in Farmacologia di genere e nel 2011 insieme ad altre 6 università europee ha dato luogo ad una summer school in Gender Medicine e ha organizzato anche due congressi internazionali che proseguono con quello di oggi. E’ una storia che intendiamo seguire nei suoi sviluppi.