Il ruolo della scuola e dell’Università nella società della conoscenza, La Maddalena, 2011.

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Atti del 54° Congresso del Rotary International,  La Maddalena, 2011
Intervento del prof. Attilio Mastino
Rettore dell’Università di Sassari

Cari amici, qualche mese fa, invitato da Luciano Di Martino, ho avuto l’onore di parlare al Forum Distrettuale sul Rotary e l’Istruzione, e ho in quell’occasione richiamato le specifiche responsabilità dell’Università che adesso Bruno Mobrici ci ricordava. Dunque, il ruolo della scuola e dell’Università nella società della conoscenza come risorsa strategica del Paese, al centro dei processi sociali e culturali, capace di creare ricchezza e sviluppo.

Centrale, del resto, nel nostro tempo è anche il tema dell’integrazione degli stranieri, dell’inclusione di fasce nuove di popolazione, di sintesi di culture e civiltà, di multiculturalità.

L’integrazione deve partire dal riconoscimento della diversità ma anche dalla disponibilità di accogliere gli altri e il ruolo dei Rotary è quello di lavorare per costruire ponti tra culture, per abbattere muri, per edificare reti di relazioni e di contatti, per costruire in sostanza un futuro diverso, iniziando dagli aspetti più propriamente culturali.

Ringrazio veramente l’amico Governatore Roberto Scambelluri per l’invito a questo incontro, che mi viene rinnovato a distanza di pochi mesi nella solenne occasione del 54° Congresso Distrettuale, al quale partecipano tante persone che ammiro e che mi sono care.

Nell’attuale fase di trasformazione del paese, secondo la Carta dei Diritti e dei Doveri delle università italiane, approvata dalla Conferenza dei Rettori qualche tempo fa, gli elementi fondamentali del nostro tempo sono: una maggiore rilevanza della dimensione sovranazionale; l’avvento della società della conoscenza e della comunicazione; un velocissimo progresso tecnologico; l’affermarsi di nuove tecnologie informatiche; la globalizzazione delle dinamiche economiche e  finanziarie; il mutamento delle professioni nuove e vecchie; l’aumento del benessere e dei consumi, ma anche la permanenza di sacche di miseria e di degrado; l’innovazione continua che richiede una formazione continua: è il tempo delle nuove produzioni, basate sul lavoro intellettuale, mentale, immateriale.

L’università non è solo il possibile motore della crescita economica in quanto è in grado di influire sui costumi, sui comportamenti, sui modi di pensare, sullo stato della cultura per combattere il provincialismo culturale. L’università deve sentire il dovere di essere sempre di più, il grande bacino nel quale vengono elaborati modelli concettuali, esperienze intellettuali, i saperi fondamentali che defluiscono nella società; dunque, la responsabilità dell’università e della scuola in Italia, in particolare nel Mezzogiorno e in Sardegna è molto rilevante, perché gli interventi innovativi nella conoscenza, soprattutto in quelle aree in Sardegna dove mancano risorse, dove manca il petrolio, dove il petrolio è rappresentato dai nostri giovani, avranno riflessi positivi sull’intera società.

L’università e la scuola non devono raccogliere solo i bisogni che emergono dalla società, ma devono essere capaci di guardare a questi bisogni con un punto di vista nuovo, contribuendo ad immaginare nuovi scenari, nuovi orizzonti per la cultura nazionale, anche per la capacità di anticipare le tendenze, anziché di inseguirle.

Il tema che abbiamo di fronte è quello di un’istruzione e di un’alta formazione nella scuola e nell’università per i nostri giovani, calibrata ai tempi nuovi che stiamo vivendo, di un rapporto diretto tra formazione e lavoro, con attenzione alle nuove professioni, alla pervasività di saperi tecnici che caratterizza il tempo che ci è dato, il che richiede una crescente flessibilità, della scuola e dell’università, appunto, per anticipare i bisogni, e insieme un grado di fantasia che sia capace di immaginare opportunità e orizzonti che si manifesteranno nei prossimi decenni.

In questo quadro, l’università arriva in ritardo a confrontarsi con l’innovazione e ciò soprattutto nel Mezzogiorno, eppure, nei tempi del Federalismo, il punto di partenza contro ogni appiattimento, e contro ogni omologazione, deve essere quello del riconoscimento del valore della diversità dei territori, che diventa capitale culturale, prezioso valore aggiunto, se l’art.33 della Costituzione riconosce il significato straordinario dell’autonomia universitaria.

Noi ci portiamo dietro tradizioni di studi secolari, che fanno parte della nostra identità di uomini di oggi, e che possono costituire il lievito, la componente originale del nostro entrare nel mondo delle nuove tecnologie; e all’interno del bacino del Mediterraneo l’università italiana può svolgere, ancora più che in passato, un ruolo da protagonista, impegnata in una cooperazione con la riva Sud, che favorisca un confronto culturale, che abbatta vecchi e nuovi steccati, che combatta la divaricazione che, quasi inesorabilmente, il mondo sta drammaticamente vivendo dopo l’11 settembre.

I giovani hanno diritto ad una formazione che consenta loro di confrontarsi ad armi pari in Europa con i loro coetanei; debbono essere in grado di declinare con originalità e consapevolezza i grandi temi dei nostri giorni, la globalizzazione, il confronto tra culture, le identità plurali del Mediterraneo.

E dunque è essenziale, in questo caso, la scelta delle facoltà universitarie, una scelta che risponda alle vocazioni dei singoli, agli interessi del paese e insieme alle possibilità occupazionali offerte dal territorio; e per ottenere questo risultato diventa assolutamente essenziale il rapporto tra scuola, università e mondo del lavoro; un dialogo che deve svilupparsi tra insegnanti, dirigenti scolastici, presidi delle università, professori, ricercatori, imprenditori.

Il momento della scelta della facoltà lega insieme università e scuola, e rappresenta un’occasione straordinaria per programmare in prospettiva non solo gli studi universitari, ma anche il futuro di una vita lavorativa che sia ricca di soddisfazione, fortemente motivata e basata su un interesse reale, in modo da rendere il lavoro non una fatica, ma un’occasione positiva per realizzare le proprie attitudini.

La scelta dell’università, della facoltà, del corso di laurea, deve rispondere innanzitutto all’esigenza di sviluppare capacità, passioni, interessi di cui ciascun giovane è portatore, consapevolmente o inconsapevolmente.

C’è dunque necessità di un orientamento, che consenta agli studenti di fare scelte consapevoli già quando si trovano al liceo, per proiettarsi nella logica dell’università, avviandosi su un percorso che caratterizzerà la loro futura vita professionale.

C’è da augurarsi, nel nostro paese, in particolare nella nostra isola che ha un basso numero di laureati rispetto al Lazio, che si arrivi ad un incremento dell’iscrizione in tutti i corsi di laurea, in particolare nei corsi di laurea scientifici, non solo per il sostegno garantito ai più bravi dalla Regione Sarda, ma anche per le opportunità che operativamente si aprono per i prossimi decenni, in Sardegna e nel Mediterraneo. Infine voglio ricordare i tanti punti di eccellenza che esistono nelle nostre facoltà, dipartimenti, istituti, laboratori.

Consentitemi di fare un breve cenno alla riforma della scuola e dell’università, che in questi giorni si dibatte: la scuola ha avuto una riforma con la legge 133/08 che entra in vigore da una settimana, l’università vede la sua riforma in questi giorni in discussione alla Camera.

La scuola e l’università sono, dunque, in mezzo al guado in attesa dell’attuazione di una doppia riforma Gelmini che presenta aspetti molto delicati e non poche criticità.

In questi giorni protestano da un lato i precari e insegnanti della scuola, e dall’altro i giovani ricercatori delle università, che si rifiutano di assumere incarichi di insegnamento mettendo a rischio l’avvio dei corsi.

I dati dell’Oxe, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, collocano la scuola italiana agli ultimi posti in tutte le graduatorie, preceduti soltanto dalla Slovacchia, mentre le università arrancano con un basso numero di laureati; gli investimenti sono bassissimi sia nella scuola che nell’università. Darò soltanto un dato: la spesa pubblica destinata alla scuola non supera in Italia il 9% del PIL, la media europea è del 13.3%, gli stipendi degli insegnanti sono bassi mentre i tagli consistenti sono effettuati soprattutto ai ricercatori e ai professori universitari.

Alcune migliaia di docenti precipitano in una condizione di povertà, con un salto sociale che toglie ossigeno alle nostre comunità, dove gli insegnanti sono sempre meno classe dirigente, il lievito per la rinascita.

Per quanto riguarda la riforma della scuola, direi che è una riforma misurata, se volete parsimoniosa, se volete in continuità con la tradizione e certamente molto meno innovativa rispetto alle riforme della Moratti, ad esempio, o di Berlinguer, che poi si sono dimostrate difficili da realizzare.

La  riforma tende, più che altro, ad una logica di  riduzione della spesa, riduce l’attuale frammentazione degli istituti: sapete che viene istituito soltanto un liceo classico, ci saranno sei tipi di licei, due tecnici, cinque professionali, eliminando i circa 500 indirizzi delle scuole precedenti.

C’è però da lavorare per motivare i docenti, per superare una didattica ancora prevalentemente basata sulle lezioni ex-cattedra, per incrementare l’approccio laboratoriale, per porre realmente l’alunno al centro degli interessi della scuola e non relegarlo al ruolo di destinatario di informazioni; infine, occorre attuare l’individualizzazione e la personalizzazione dell’insegnamento, quando nei fatti la lezione resta unica per la classe.

Un analogo processo sta conoscendo la riforma dell’università. Dirò soltanto quali sono i propositi del Ministro Gelmini, che immagina una profonda rifondazione degli atenei e una riforma universitaria che nei propositi intende ispirarsi ai principi di autonomia e di responsabilità, ma che forse avremmo voluto ancora più rispettosa dell’identità e degli specifici profili degli atenei italiani, di quelli più consapevoli della complessità delle proprie tradizioni accademiche e del valore della diversità e della differenza.

Sostanzialmente il Ministro si propone di svolgere un tentativo, senza precedenti, di riformare in profondità l’università, i cui obiettivi sono: aumentare la produttività, innalzare il numero degli iscritti e dei laureati, soprattutto nelle discipline scientifiche, di specializzati, di dottori di ricerca; contemporaneamente ridurre il numero dei corsi di laurea, delle facoltà, dei dipartimenti, dei falsi studenti, degli studenti inattivi, dei fuori corso.

Si tratta di una riforma che incide profondamente sulla formazione, sulla ricerca, sulla terza missione dell’università a favore del territorio, e che tende a innovare i processi, a restituire efficienza, a migliorare l’internazionalizzazione e la conoscenza delle lingue straniere attraverso l’Erasmus.

Eppure utilizza strumenti inadeguati, senza mettere sul piatto nuove risorse, rischiando di mettere in discussione la struttura stessa degli atenei, la sopravvivenza dei dipartimenti, delle facoltà, delle linee di ricerca e delle reti di relazione consolidate.

Il tema centrale, che credo dobbiamo avere di fronte, è quello del rapporto tra università e territorio, un rapporto che si articola su due piani: il capitale umano e  il trasferimento delle conoscenze; dunque l’opportunità di legare l’università e le  aziende, di attivare tirocini per laureandi e laureati, di finanziare borse di dottorato,  assegni di ricerca, posti di ricercatore da parte delle imprese, da parte di parchi scientifici, da parte delle fondazioni e da parte degli enti locali.

Per quanto riguarda il trasferimento delle conoscenze, capitolo importante è quello della formazione degli insegnanti, che deve essere ristudiata dopo che sono state soppresse le scuole di specializzazione per insegnanti, ora nell’ambito dei Tirocini formativi attivi.

Credo che i risultati della ricerca scientifica non debbano restare sempre più patrimonio di una ristretta cerchia di specialisti; devono invece raggiungere non occasionalmente il mondo della scuola da un lato e il mondo dell’impresa dall’altro. Dunque c’è la necessità di legare di più il mondo della ricerca dentro l’università con il mondo della scuola e con le aziende.

Con questo concetto consentitemi, in conclusione, di dire che ci sono molte novità sul piano della ricerca che si sviluppano dentro l’università, anche in ambito umanistico. E dunque mi consentirete, l’occasione è troppo ghiotta, di venire ai miei diretti interessi di ricerca, segnalando i risultati conseguiti da tanti di noi, da tanti archeologi, da tanti storici, in questi anni in campo umanistico, in un settore della ricerca che non è statico ma che può rivitalizzare l’insegnamento, restituendo “carne e sangue” a un passato presentato da tanti insegnanti nelle scuole come immobile e troppo spesso mummificato.

Voglio limitarmi appena a un lampo, partendo dall’immaginario collettivo degli antichi che guardavano a questi paesaggi, fuori dalle nostre vetrate, con occhi incantati.

Qui sull’isola della Maddalena, come non riportarvi oggi ai miti e alle leggende recuperate di recente dalla ricerca, frugando nella letteratura greca e latina, sulle isole dello stretto di Taphros, battuto da mostri marini e da delfini di straordinarie dimensioni?

Il Fretum Gallicum che andava dall’Ilva Insula, l’isola che oggi ci ospita, all’isola di Eracle, l’Asinara; dall’Ermea Insula, Tavolara, che si vorrebbe collegare al mito dei Feaci, di Ulisse e di Nausicaa, all’isola dei lavacri di Era (gli Heras lutras), dove Giunone riacquistava la sua verginità, per arrivare infine alle Cunicularie e a Caprera, l’isola del naufragio di Fintone, Phintonis Nesos, ricordato da Tolomeo, naufragio cantato nel IV sec. a.C. in un celebre epitaffio in distici elegiaci del poeta viaggiatore Leonida, originario della colonia dorica di Taranto.

Il marinaio che toccava questi lidi si chiedeva: “Di chi sono le spoglie che sono protette da questo cenotafio collocato sulla spiaggia, chi era suo padre ?”. E il poeta rispondeva: “Questa tomba ricorda Fintone il marinaio di Ermione, figlio di Baticle. Esposto alla furia della costellazione di Arturo, al Maestrale, il pelago l’uccise”. Un’altra tomba, a due passi da qui ricorda quel colonnello inglese Richard Collins di Moneta sepolto a Maddalena che aveva preso parte alla “feroce pugna navale di Trafalgar”. Ma lasciatemi concludere guardando ad un’altra tomba, sull’isola amata e sul mare battuto dal maestrale, quella dell’eroe di tutti noi, il generale Giuseppe Garibaldi.