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Incontro su “Sabatino Moscati e la via del sole”, Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia 14 ottobre 2023

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Africa ipsa parens illa Sardiniae: Sabatino Moscati tra Cartagine e Sulki: Incontro su “Sabatino Moscati e la via del sole”, Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Sala della Fortuna, 14 ottobre 2023

È davvero un onore grande per me intervenire a nome della Scuola Archeologica italiana di Cartagine, a questo incontro nel quale saranno premiati tra gli altri Emmanuel Anati direttore del Centro Camuno di studi preistorici, Daniele Malfitana direttore della Scuola di specializzazione in Beni Archeologici di Catania, Giuseppe Centomani, già direttore del Centro di Giustizia Minorile della Regione Campania, Eva Degl’Innocenti, direttrice del Polo Museale di Bologna (già allieva di Marco Milanese ad Uchi Maius).

Voglio ringraziare il Presidente di Archeoclub Italia Rosario Santanastasio, la Vice Fortunata Flora Rizzo, il Presidente onorario della SAIC Piero Bartoloni, il socio Federico Mazza, Giuseppe M. Della Fina, i molti rappresentanti della Famiglia Moscati.

  1. Cicerone e la “natio” dei Sardi arrivati dall’Africa

Mi è sempre stato caro il breve ma fulminante articolo di Sabatino Moscati (Roma, 24 novembre 1922 – Roma, 8 settembre 1997) su Africa ipsa parens illa Sardinia, pubblicato sulla “Rivista di Filologia e di istruzione classica” nel lontano 1967 (pp. 385-388), che ricalca l’espressione del “tardo” e “parziale” Cicerone (gli aggettivi sono dell’autore) dall’orazione in difesa di M.Emilio Scauro (Mastino 2015, pp. 141-181; 2021, pp. 113-139): a proposito della penetrazione di genti africane in Sardegna, dell’artigianato artistico, delle caratteristiche dello sfruttamento agricolo da parte dei Cartaginesi (penso alle più recenti posizioni di Peter Van Dommelen, 2019). Per Moscati «la Sardegna sembra esser stata considerata dai Cartaginesi piuttosto una parte integrante dello “Stato”, sia pure con organizzazione particolare e autonoma, che come semplice colonia». Come è noto l’orazione ciceroniana è influenzata dalla polemica giudiziaria, perché fu pronunciata per difendere un governatore disonesto, appartenente al partito senatorio. La testimonianza dei centoventi testimoni di accusa, tutti di origine sarda, non poteva essere accolta, perché dettata dall’avidità per i premi promessi da un console filo-popolare. Del resto l’oratore sosteneva che la “nazione” alla quale appartenevano i testimoni appariva così superficiale e vacua che tra i Sardi non c’era nessuno capace di distinguere la schiavitù dalla libertà se non per il fatto di poter mentire impunemente, per poter accusare un governatore ostile ai populares tanto amati in Sardegna: postremo ipsa natio, cuius tanta vanitas est ut libertatem a servitute nulla re nisi mentiendi licentia distinguendum putent (17,38). I testimoni sardi vestiti di pelli di capra usavano una loro unica lingua, perseguivano un loro unico scopo nascosto, non già espressione del risentimento per un abuso subito ma di simulazione, sotto l’impulso delle ricompense promesse, non delle offese effettivamente ricevute da Scauro: l’uccisione di Bostare di Nora, la violenza e l’impiccagione della moglie di Arine durante la festa dei Parentalia ancora a Nora, la riscossione di tre decime: nunc est una vox, una mens non expressa dolore sed simulata, neque huius iniuriis, sed promissis aliorum et praemiis excitata (18, 41). E qui vox potrebbe davvero assumere il significato di lingua di un popolo barbaro e riferirsi, più che alla lingua cananea dei Cartaginesi di Nora, al protosardo degli eredi dei nuragici, la lingua perduta che ha preceduto il latino, un suono indistinto, un rumore, un frastuono fatto di parole incomprensibili, ma comunque accusatorie nei confronti di Scauro, dette per il tramite di un interprete. L’accusa principale riguardava del resto i Sardi delle campagne, i Sardi Pelliti (quelli che più tardi verranno sinteticamente definiti la rustica plebs della Sardegna), in relazione alla riscossione di una terza decima sui prodotti dei campi; le altre accuse – per Cicerone meno gravi – che riguardavano fatti avvenuti a Nora, antica colonia fenicia, non sembrano richiedere l’uso della lingua cananea da parte dei testimoni che secondo l’Arpinate erano poco credibili e vestiti con la mastruca, arrivati con le ipotetiche deportazioni di popoli africani in Sardegna da parte dei Cartaginesi. Cicerone si poneva il problema e si chiedeva come fosse possibile credere ad un gruppo di testimoni sardi, in quanto hanno tutti lo stesso colorito olivastro, parlano tutti una stessa lingua incomprensibile, tutti senza eccezione appartengono alla stessa nazione (sin unus color, una vox, una natio est omnium testium ?) (9,19). Discendenti dai Cartaginesi, mescolati con sangue africano, relegati nell’isola, i Sardi secondo Cicerone presentavano tutti i difetti dei Punici, erano dunque bugiardi e traditori, gran parte di essi non rispettavano la parola data, odiavano l’alleanza con i Romani, tanto che in Sardegna non c’erano alla metà del I secolo a.C. città amiche del popolo romano o libere, mentre i Sardi erano sottoposti al pagamento dell’umiliante stipendium col quale si pagavano le truppe di occupazione. L’espressione natio è utilizzata pochi anni dopo (nel 37 a.C.) anche da Varrone, a proposito dei Sardi Pelliti della Barbaria sarda alleati di Hampsicora durante la guerra annibalica e per questo avvicinati ai Getuli africani: quaedam nationes harum (caprarum) pellibus sunt vestitae, ut in Gaetulia et in Sardinia (Varrone, De re r. II, 11, 11). Per restare agli immigrati dall’Africa, sappiamo dell’esistenza di un popolo misto, i Sardolibici isolani, che secondo gli Ioni di Lesbo fin dal V secolo a.C. in viaggio non portavano con sé altra suppellettile che una tazza per bere il vino e una spada, kulix e machaira, evidentemente ispirati da Dioniso (FgrHist. 90 F 103r; 4 F 67; Nic. Dam. Frg. 137 Müller; Mastino 2016, p. 41).

Merito del nostro Maestro è quello di aver valorizzato la singolare espressione ciceroniana (45, 1) Africa ipsa parens illa Sardiniae, tanto fortunata da essere più di recente adottata per il volume di Paola Ruggeri (1999), per indicare un filone che ha potuto svilupparsi con i primi convegni de “L’Africa Romana” iniziati nel 1983, inizialmente centrati sul tema delle “relazioni” mediterrannee. In altri passi Cicerone utilizza come sinonimi gli aggettivi ‘africano’ e ‘sardo’: Etenim testis non modo.Afer aut Sardus sane, si ita se isti malunt nominari… (15);.Agmen tu mihi inducas Sardorum et catervas et me non in criminibus urgere, sed Afrorum fremitit terrere conere… (17). <<In fine, il giudizio sulle origini e i modi della frammistione afro-sarda risulta estesamente da un passo ulteriore: Fallacissimum genus esse Phoenicum omnia monumenta vetustatis atque omnes historiae nobis prodideruntt. Ab his orti Poeni multis Carthaginiensium rebellionibuss, multis violatis fractisque foederibits nihil se degenerasse docuerunt. A Poenis admixto Afrorum genere Sardi non deducti in Sardiniam atque ibi constituti, sed amandati et repudiati coloni (42)>>.

Da qui il parere di Moscati: <<Questi giudizi, per essere espressi da una fonte non storica, tarda ed evidentemente parziale, sono stati finora generalmente trascurati; e ciò tanto più in quanto essi apparivano una semplificazione ed un’alterazione evidente delle conoscenze affermate sulla presenza fenicia e punica in Sardegna. Ora, che la fonte non sia storica, che sia posteriore nel tempo rispetto alla penetrazione punica in Sardegna e che rifletta chiari intenti polemici, nessuno vorrà negare: ma il problema resta se la realtà da essa riflessa debba ritenersi sostanzialmente alterata, ovvero se, alla luce degli ultimi ritrovamenti e degli studi più recenti, la fondatezza delle affermazioni ciceroniane possa in qualche modo rivalutarsi>>. Moscati precisava che <<due sono le componenti del giudizio di Cicerone per quanto concerne l’isola, se si prescinde dalle formulazioni polemiche: l’ampia penetrazione in essa di genti africane e il carattere coatto e punitivo della colonizzazione, o meglio della deportazione>>.

Seguiva un accurato approfondimento del tema che qui non ci è possibile seguire: <<le scoperte degli ultimi tempi saldano la catena di una penetrazione che si estendeva a tutte le coste ed alla massima parte dell’interno; quanto alle poche zone non direttamente occupate, esse dovevano esser tenute sotto controllo a mezzo sia di piazzeforti opportunamente dislocate nei punti nevralgici sia di intensi scambi commerciali>>. La conclusione è davvero interessante per il ruolo svolto dalla Sardegna nell’impero cartaginese: <<Per la sua eccezionale condizione strategica, alla confluenza ed all’incrocio delle rotte marittime, sembra ormai chiaro che i Cartaginesi ne facessero una vera e propria piazzaforte nel centro del Mediterraneo, precedendovi i Greci ed impedendo loro ogni durevole conquista. Perciò, mentre altrove si limitarono ad attestarsi nelle zone costiere e sub-costiere, qui penetrarono a fondo nell’interno; mentre altrove cercarono soprattutto un controllo degli empori commerciali (succedendo in essi ai Fenici ed alla loro politica), qui esercitarono un’opera intensa di immissione e di sovrapposizione di genti africane, sicché le espressioni della Pro Scauro appaiono sostanzialmente giustificate>>.

Si arriva a dimostrare l’esistenza di una <<politica di penetrazione etnica, attraverso il trapianto in massa di popolazioni, che dovette accompagnarsi al suddetto controllo. Quanto poi al fatto che la Sardegna servisse allora, come più volte in seguito, da luogo di confino e di deportazione, esso può aggiungere una precisazione ed una determinazione ulteriore al fenomeno, senza alterarne la fondamentale sostanza. La ricorrente associazione della Sardegna alla Libia, soprattutto nel caso del secondo trattato con Roma, mostra non solo (in senso negativo) una sostanziale differenza di condizione tra questa e le altre colonie puniche, ma anche (in senso positivo) una più o meno conscia impostazione politica che richiama singolarmente, e pur con tutte le riserve che occorrono in simili paragoni, qualche situazione di epoca a noi ben più vicina>>, e torna l’osservazione sul fatto che l’isola (come l’Iberia) sembrano far parte integrante dell’impero cartaginese nella madrepatria africana.

  • La Sardegna: l’artigianato popolare delle stele a specchio (I secolo a.C.).

Ho avuto modo di discutere il tema delle nuove scoperte di stele a specchio avvenuto a Viddalba con l’ultimo Sabatino Moscati e di confrontarmi con lui sul tema dell’artigianato popolare della “Scuola” del Sassarese (ricerca poi pubblicata in Mastino, Pitzalis, 2003): lo studioso nel volume su Le stele a “specchio”: artigianato popolare nel Sassarese (Moscati et alii 1992; vd. Moscati 1991 pp. 145-147; 1992, pp. 107-109; Moscati e Uberti 1984-85, pp. 37-55 e 1991) ha avuto il merito trenta anni fa di individuare, all’internodel quadro regionale, la specificità del Sassarese, che rappresenta effettivamenteun caso a sé stante. A parte i ritrovamenti di Alghero, un universo autonomo è rappresentato dai monumenti sepolcrali di Ossi, Sorso, Sennori, Castelsardo, Tergu, Valledoria, Viddalba, dunque sulle due rive del Coghinas. In quest’area sono state raccolte oltre cento stele, oggetto di un’accurata catalogazione (a firma di Fulvia Lo Schiavo, Giuseppe Pitzalis e Maria Luisa Uberti). Andrebbe decisamente superata l’interpretazione di chi considera tali gruppi di stele come semplici «sopravvivenze di una tradizione punica in età romana: sopravvivenze più o meno illanguidite e variamente alterate, di carattere tipicamente popolaresco», oppure in alternativa come «reviviscenze, sulla base di nuovi apporti etnici e culturali dall’Africa» di motivi più antichi; in particolare Sabatino Moscati tende a correggere sia chi parla di persistenze puniche come Gianni Tore (1985, pp. 135-146) sia chi invece preferisce parlare di «fenomeni di rivitalizzazione, derivanti da apporti di elementi punici nord-africani», come Sandro Filippo Bondì, per il quale proprio il rilievo lapideo isolano potrebbe testimoniare l’arrivo di nuovi e non trascurabili apporti etnici dall’area nordafricana (1988, p. 210; 1990, pp. 457-464): la «fioritura» di questa particolare categoria di stele rivelerebbe l’opera di artigiani «certo a conoscenza delle realizzazioni puniche, ma portati a rielaborarne il repertorio secondo moduli propri, ben lontani stilisticamente da quelli dei prototipi», temi che tornano nel volume Tra Cartaginesi e Romani. Artigianato in Sardegna dal IV secolo a.C. al II d.C. (Moscati 1992).

Del resto la sintesi di Sabatino Moscati obbliga ad un rigoroso riesame critico di tutte queste posizioni, che forse possono essere articolate su base geografica, con una precisa differenziazione tra Romania e Barbaria: per Moscati il gruppo di stele del Sassarese avrebbe una sua distinzione ed una sua autonomia, che andrebbe messa in rapporto in particolare con una «precisa e caratteristica iconografia, cioè il motivo a “specchio”», che non andrebbe collegato «con la tradizione punica delle stele votive», ma che potrebbe effettivamente richiamare motivi africani, all’interno di un quadro di piena romanizzazione; ragioni tipologiche, iconografiche e stilistiche portano Sabatino Moscati a respingere decisamente qualunque influenza punica, anche in relazione alla funzione votiva delle stele puniche e funeraria delle stele sarde, come testimoniano proprio le iscrizioni; del resto che le immagini rappresentino effettivamente il defunto è dimostrato dalla scelta iconografica di rendere soltanto il viso di uno o due personaggi, raramente le figure complete, che rappresentano vere e proprie eccezioni; lo schema architettonico, il motivo vegetale stilizzato, la tipologia «a bulbo» di alcune figure, richiamerebbero le edicole funerarie romane, con un carattere popolaresco frutto di una precisa scelta stilistica talora di qualità di un gruppo di artigiani che apparterrebbero appunto alla «scuola» del Sassarese. Se l’eredità punica dovesse essere effettivamente considerata remota (anche se in realtà potremmo proporre confronti sicuramente pertinenti), l’elemento più innovativo del discorso di Sabatino Moscati sembra rappresentato dal richiamo alla «circolazione dei modelli e degli artigiani nell’area mediterranea» e soprattutto alle suggestioni africane nella Sardegna romana. Anche Piero Bartoloni ritiene significativo il relativo isolamento delle testimonianze di Viddalba nel quadro sardo, tanto che potrebbe pensarsi ad una presenza specifica di popolazione africana, magari in relazione all’attività di un reparto militare ausilario (viva voce): insomma siamo oltre quello che lo stesso Moscati ha definito “il tramonto di Cartagine”, in relazione alle nuove scoperte in Sardegna e nell’area mediterranea (Moscati 1994; vd. Moscati 1992; importante la sua comunicazione «Da Santa Gilla a Viddalba. Il tramonto della civiltà punica in Sardegna», intervento letto da S.F. Bondì nel 1990 a Cagliari al VIII Convegno de L’Africa Romana ma poi non pubblicato come tale: Atti, p. 11). Le ultime scoperte a Viddalba hanno confermato su tutta la linea questa impostazione, per la presenza di un centro urbano (Portus Tibulas sul Coghinas, poi Ampurias ?) con una necropoli attiva alla fine dell’età punica e nella prima età romana; le stele figurate sembrano appartenere al I secolo d.C., se sono state reimpiegate nelle murature di alcune tombe nel corso del III secolo d.C. La presenza del testo scritto non doveva essere sentito del tutto estraneo a questa classe di monumenti, dal momento che ora abbiamo numerosi casi inscritti in latino (una decina) e in almeno due stele conosciamo delle targhe epigrafiche realizzate ribassando la cornice, destinate a contenere un titulus (Mastino, Pitzalis 2003, pp. 657-695).

  • La Sardegna fenicia e punica: la visione di Sabatino Moscati

Nella produzione di Sabatino Moscati non si può prescindere dal volume del 2005 Fenici e Cartaginesi in Sardegna, curato per la Ilisso da Piero Bartoloni, ma desidero anche richiamare alcuni temi relativi alla Sardegna nel mondo Mediterraneo, i tanti itinerari proposti, attingendo ai soli titoli posseduti dalla Biblioteca Sabatino Moscati a Cartagine: il culto di Venere Ericina (Moscati 1967 b, vd. ora Ruggeri 2023, pp. 15-58), i gioielli di Tharros (Moscati 1988; vd. anche Moscati 1987 e Acquaro Moscati, Uberti 1975), i leoni di Sulci, che tanto ricordano quelli del mausoleo di Sabratha (Moscati 1988, pp. 27-31), le terrecotte di Santa Gilla (Moscati, 1991), le figurine dell’Antiquarium Arborense (Moscati, 1969), le grandi collezioni (Acquaro, Moscati, Uberti, 1977); il bilancio sugli studi sulla Sardegna fenicio-punica firmato assieme a Piero Bartoloni e Sandro Filippo Bondì (Bartoloni, Bondì, Moscati, 1997). Poi soprattutto la grande impresa della ripresa degli scavi ad Antas, con questa straordinaria équipe mista italo-tunisina (Acquaro, Barreca, Cecchini, Fantar, Fantar, Guzzo Amadasi, Moscati, 1969) e i nuovi studi sul tempio del Sardus Pater figlio del Maceride africano (Moscati, 1968-69), tema recentemente ripreso per volontà di Mario Torelli da Raimondo Zucca (Zucca cur., 2019). Né possiamo dimenticare la lucida analisi su “La via delle isole” (Moscati 1993, pp. 87-90), i rapporti con la Sicilia, l’esperienza di Mozia (Moscati, Uberti 1981).

La presenza a Sassari del suo primo allievo Piero Bartoloni ha poi determinato un significativo sviluppo degli studi fenicio-punici sulla scia del maestro: la sua famiglia ed in particolare la moglie Anna Enrico Moscati ha determinato la nascita a Palazzo Segni nel 2005 della Biblioteca Sabatino Moscati, ora affidata a Michele Guirguis, presso la sede della SAIC, con una specializzazione fenicio-punica.

  • Il Nord Africa: M’hamed Fantar e Ferruccio Barreca

Se passiamo al Nord Africa ed a Cartagine, avremmo mille cose da raccontare sulle attività di Sabatino Moscati a Cartagine ed a Capo Bon, il suo interesse per la cultura islamica, ma basterà citare il discorso inaugurale svolto a Tunisi nel 1991 per l’apertura del IIIe Congrès international des études phéniciennes et puniques, con gli atti curati da M. H. Fantar e M. Ghaki (Moscati 1995), dove rifletteva sulle origini della cultura occidentale, sulla necessità di superare gli studi biblici, di avviare nuove ricerche archeologiche, di estendere l’indagine a metodi innovativi per la comprensione dell’epigrafia fenicia e punica dal Libano a Cipro, da Kerkouane a Malta, da Mozia e Monte Sirai fino a Cadice. Le nuove generazioni di studiosi che allora si affacciavano, le cattedre universitarie, le riviste scientifiche e divulgative come Archeo. Infine i congressi internazionali, da Roma nel 1979 e nel 1987, poi a Tunisi nel 1992, a Cadice nel 1995; una iniziativa che prosegue, passando per Marsala-Palermo nel 2000, Lisbona nel 2005, Hammamet nel 2009, Carbonia-Sant’Antioco nel 2013, Oristano nel 2017, fino ad Ibiza nel 2022.

Il punto di contatto tra la Sardegna e il Nord Africa passa su due versanti, quello tunisino con M’hamed Fantar (laureato ad honorem a Sassari il 22 febbraio 2008) e quello sardo con Ferruccio Barreca (Soprintendente a Cagliari) oltre che col collega Vincenzo Tusa (a Palermo), con i quali aveva lavorato per anni dal 1966 nelle prospezioni archeologiche sul Capo Bon e dal 1971 sul Capo Zebib, con l’aiuto di una équipe di ricercatori dell’Università di Roma e dell’Institut National d’Archéologie et d’Art de Tunis; da qui la serie Collezione di Studi Fenici con i volumi pubblicati tra il 1973 e il 1983. Sabatino Moscati ha promosso in parallelo numerose ricerche volte alla pubblicazione e alla catalogazione di classi di materiali conservati nei musei della Tunisia: i rasoi punici (Enrico Acquaro), le stele arcaiche del tophet di Cartagine (Piero Bartoloni), e, incluso nel Corpus delle Antichità Fenicie e Puniche dell’Unione Accadémica Nazionale, il lavoro di Zohra Cherif, Terres cuites de Tunisie, pubblicato a Roma nel 1996. Infine, possiamo ricordare l’impresa archeologica a Zama Regia concepita e promossa da Moscati nel 1977 e realizzata tra il 1999 e il 2012 da Piero Bartoloni e Ahmed Ferjaoui (vd. Guirguis, Mastino, Solinas, Ganga, 2016, pp. 176-191).

Moscati aveva dedicato un limpido ricordo del suo rapporto con il Soprintendente Ferruccio Barreca appena scomparso sul nostro IV volume de “L’Africa Romana”, dove scriveva: <<In lunghi anni di ricognizioni e scavi scoprì nuovi centri, come quello di Monte Sirai, e ne esplorò altri, come quelli di Sulci e di Tharros. Non meno importanti furono le prospezioni archeologiche da lui effettuate nell’interno della Sardegna, che hanno posto in luce un imponente sistema di fortificazioni puniche nell’entroterra. La sua genialità nelle ricognizioni lo portò ad importanti scoperte di fortificazioni cartaginesi in Tunisia ed in Algeria, nell’ambito di una serie di missioni italiane>> (Moscati 1987, p. 22). Del resto ci aveva sempre seguito con messaggi o interventi come a Sassari nel 1989 per il VII convegno de L’Africa Romana (Atti, p.17) oppure a Cagliari per l’VIII congresso del 1990 con una comunicazione di nuovo sul tramonto della civiltà punica in Sardegna (intervento scritto letto da S.F. Bondì, Atti, p. 11).

 Le sue imprese in Africa furono condotte da posizioni diverse: l’Università “La Sapienza”, la seconda Università di Roma Tor Vergata (dagli anni Ottanta, dove ne ricordo nitidamente l’ufficio in un motel riutilizzato per la Facoltà di Lettere e Filosofia, a fianco a quello di Lidio Gasperini), l’Istituto per l’Oriente e dall’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente durante la sua presidenza(1978-79), il Centro di Studio per la Civiltà Fenicia e Punica del CNR fondato nel 1969 e legato all’Istituto di Studi del Vicino Oriente dell’Università romana(dal 1993 al 2002 Istituto per la Civiltà Fenicia e Punica e poi Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico – ISMA; oggi Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale – ISPC) Ancora voglio ricordare il progressivo allargamento di orizzonti con la sua presidenza dell’Accademia Nazionale dei Lincei (che arriva fino a giugno 1997) o il ruolo presso l’Enciclopedia Archeologica e l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, con la fondazione della rivista Archeo (1985). Moscati è stato fra i principali promotori della serie di mostre a tema archeologico di Palazzo Grassi a Venezia, in particolare di quella celeberrima sui Fenici del 1988. L’Accademia Nazionale dei Lincei ha istituito il “Premio Moscati” per gli studi sulle civiltà del Mediterraneo.

Per riscoprire la figura di Sabatino Moscati attraverso la Scuola archeologica italiana di Cartagine nata nel 2016, la Famiglia Moscati ha avviato i contatti con RAI – Teche per la realizzazione di una sezione di documentazione multimediale, dove potrà essere possibile visionare video di valore educativo, di ambito culturale. Con la collaborazione di Paola e Laura Moscati saranno selezionati una serie di frammenti di trasmissioni televisi­ve, relative a rubriche quali “Le pietre raccontano” e “Sulle orme degli antenati”, ma anche interviste su tematiche e scoperte specifiche dell’archeologia orientale e fenicio-punica che hanno come protagonista il compianto Maestro.

  • Il Nord Africa: Cartagine nel patrimonio mondiale UNESCO

Ho avuto modo di ricostruire in passato il ruolo svolto da Antonino Di Vita, Sabatino Moscati, Andrea Carandini nelle attività propedeutiche all’inserimento del sito archeologico di Cartagine 40 anni fa nella lista del patrimonio mondiale immateriale dell’UNESCO (Mastino 2019); avevano svolto un ruolo particolarmente attivo e significativo Azedine Beschaouch, direttore dell’INAA, l’Institut National d’Archeologie et d’Art de Tunisie dal 1973 al 1982 e Abdelmajid Ennabli, che ha coordinato le diverse équipes di ricerca internazionali e reso conto costantemente dei risultati raggiunti sul CEDAC Carthage, Bulletin du Centre d’études et de documentation archéologique de la Conservation de Carthage, Tunisie (cf. Caputo, 1978, pp. 210-217).

Come ho scritto (Mastino 2019): << Le fort engagement des Universités, du Governement, de l’Institut National de l’Archéologie et d’Art pour obtenir la prestigieuse reconnaissance et l’action de coordination, de promotion et de mise en valeur de l’identité de Carthage antique par l’UNESCO a représenté pour la ville et pour la Tunisie le moteur du développement, l’élément décisif d’un relecture de l'héritage à la lumière d'une approche qui devait absolument surmonter et vaincre la phase coloniale, la reconnaissance de la valeur des cultures des phases classiques mais sourtout la valeur historique de la futuhat, l'ouverture à l’Islam. La declaration de l’UNESCO a eu le mérite de modifier la perception de l'histoire de Carthage en tant que grande capitale de la Méditerranée, directement liée à l'est avec le Liban et la ville de Tire à l’Est et à l'océan occidental jusqu’à Gades et à Tanger: capitale à l'époque phénicienne, dans la phase punique, mais aussi à la longue période romaine qui a suivi la fondation de Gaius Graccus, César et Auguste, avec un territoire qui s’étend sur plusieurs kilomètres au-delà de celui qui avait été la frontière avec l’ancien royaume numide. Mais aussi une capitale vandale et une capitale byzantine, enfin l’arrivée de la dynastie des Omeyyades et le retour à être une grande capitale internationale à nos jours. La solemne declaration UNESCO de 1979 venait aprés l’article de Giacomo Caputo qui présentait l’activité des archéologues italiens à Carthage, en particulier celles conduites par le Centre National de la Recherche Scientifique et particulierment par le Centro di Studio per la Civiltà Fenicia e Punica (Caputo 1978, pp. 2010-217)>>. Avevo insistito a Tunisi sul ruolo svolto da Sabatino Moscati in quell’occasione, quando spese il suo prestigio, le sue conoscenze, le sue competenze per aiutare la Tunisia a ottenere il riconoscimento UNESCO per Cartagine, perché egli <<n'était pas seulement un grand philologue, érudit des langues sémitiques comparées, mais aussi un grand connaisseur des hommes, qui a su comprendre les talents des savants qu'il a rencontrés et a décidé de les enrichir>>. E ancora: <<Les relations amicales et scientifiques de Sabatino Moscati avec le monde de la culture tunisienne ont toujours été marquées par une grande estime et un respect mutuel des prérogatives nationales, comme ce fut le cas pour toutes les entreprises internationales promues au cours des décennies entre 1961 et 1997. La preuve en est la volonté que, dans toutes les entreprises menées en Tunisie, la direction scientifique a été la prérogative des chercheurs de l'Institut du Patrimoine la partageant avec les universitaires italiens>> (Mastino 2019).
  • Il Nord Africa: La biblioteca Sabatino Moscati a Tunisi ed a Cartagine

Come è noto la Scuola Archeologica Italiana di Cartagine è nata il 22 febbraio 2016 (all’indomani dell’attentato del Bardo), proponendosi di favorire con le sue attività forme di coordinamento tra iniziative che caratterizzino la cooperazione italiana in Tunisia, e più in generale nei Paesi del Maghreb, in ambito scientifico-culturale. La Società Scientifica intende configurare interventi organici, collegiali e articolati, capaci di favorire opportunità di ricerca, formazione e diffusione delle conoscenze sul patrimonio relativo alle civiltà preistoriche e protostoriche, preclassiche, classiche, tardo-antiche, islamiche, moderne; e insieme valorizzare gli apporti di ogni singola iniziativa in questo campo, mantenendo una visione ad ampio spettro e un coordinamento funzionale; infine contribuire attivamente al dialogo interculturale e alle politiche di sviluppo nel Maghreb.

Grazie alla donazione della Famiglia Moscati a favore della SAIC e all’impegno di Piero Bartoloni si è realizzata la « Bibliothèque Sabatino Moscati» in Tunisia. Essa è stata inizialmente collocata con i suoi più di 6000 volumi, nei nuovi locali dell’Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle, Rue Chott Meriam – Tunis Montplaisir, poi dal 2019 al piano terra del Musée National de Carthage, Place de l’UNESCO – Colline de Byrsa (Carthage). La Biblioteca è diventata un faro per i progetti comuni dell’Italia in Tunisia, un laboratorio di ricerca, di formazione e di valorizzazione.

Nell’ambito della SAIC Academy è stato organizzato un ciclo di decine di seminari pubblici tenuti sulla piattaforma Zoom da vari specialisti italiani e stranieri, con molti partecipanti, prevalentemente tunisini, algerini, francesi, spagnoli, rumeni, italiani. Il seminario di apertura si è svolto sabato 24 luglio 2022 sul tema: La figura di Sabatino Moscati; la relazione e stata tenuta da Piero Bartoloni, Presidente onorario della SAIC e fra i primi allievi del compianto Maestro. A Sabatino Moscati si devono un’intesa attività di ricerca in tutto il Mediterraneo e la scoperta, in collaborazione con l’allora Soprintendente alle Antichità della Sardegna Ferruccio Barreca, di un sito archeologico di grande rilievo a Monte Sirai (Carbonia), dove attualmente le indagini sono dirette dal Socio SAIC Michele Guiguis che ha ereditato la direzione da Piero Bartoloni.

Come è noto, la nascita della Biblioteca Sabatino Moscati in Tunisia risale al 29 gennaio 2017, quando Laura e Paola Moscati in qualità di eredi hanno fatto pervenire una dichiarazione con la quale formalizzavano la donazione della biblioteca personale del grande studioso a favore della Scuola archeologica italiana di Cartagine perché fosse conservata e resa fruibile in una sede a Tunisi presso l’Agence Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle (Direttore Generale Ridha Kacem). Piero Bartoloni, Presidente Onorario della SAIC, ha seguito personalmente le operazioni di spedizione delle 215 casse contenenti circa 6.000 volumi del peso di 4 tonnellate che dalla residenza romana della famiglia Moscati sono partite alla volta di Tunisi-Dogana di La Goulette dove sono state ritirate dai funzionari dell’AMVPPC. Come è registrato anche sul II numero di “Caster” (2018) il Consiglio Scientifico all’unanimità ha proposto e l’Assemblea ha deliberato in modo unanime di accogliere i familiari di Sabatino Moscati tra i Soci Benemeriti della SAIC, secondo quanto previsto dallo Statuto, con la formula associativa: “Famiglia Sabatino Moscati”e con la seguente motivazione: “per il dono generoso alla SAIC di circa 6.000 volumi della biblioteca del prof. Sabatino Moscati, che vengono posti a disposizione degli utenti nella sede tunisina della SAIC”.

Il Consiglio Scientifico ha deliberato la creazione di una apposita commissione per la gestione della biblioteca stessa, che nell’ultima versione prevede la presenza del Presidente e del Presidente onorario della SAIC, del Direttore Generale dell’INP, del Direttore Generale dell’AMVPPC e dell’avv. Giulio Donzelli per la Famiglia Moscati.

Nel corso del 2017 grazie anche ad un contributo della Fondazione di Sardegna è stata la nuova sede a Tunisi della Scuola e della Biblioteca Moscati presso l’AMVPPC a Tunisi-Belvedere; il 6 ottobre 2017 alla presenza delle autorità italiane e tunisine e delle rappresentanze delle Associazioni locali che lavorano per la valorizzazione di Cartagine si è svolta l’inaugurazione a Tunisi della Biblioteca Moscati, nel ventesimo anniversario della scomparsa del prof. Sabatino Moscati (24 settembre 1997). La biblioteca è specializzata in Archeologia, Scienze dell’Antichità e Tecnologie applicate ai Beni Culturali, Storia dell’Arte. Cinque studenti della Scuola di specializzazione in archeologia Nesiotikà di Oristano (Anna Lucia Corona, Ernesto Insinna, Davide Fiori, Donatella Bilardi, Alessandro Madau) hanno passato, grazie ai fondi del progetto Ulisse-Erasmus, tutto il mese di marzo 2017 a preparare l’allestimento della Biblioteca, che poi è stato effettuato ad agosto da Nesrine Nasr, Salvatore Ganga e Raymond Ganga. I volumi sono stati infine ordinati e disponibili sugli scaffali a settembre. In rapporto all’apertura della Biblioteca, sono pervenuti numerosi messaggi di congratulazioni per il successo della iniziativa e di auspicio per il suo futuro sviluppo (invitato l’Ambasciatore di Tunisia in Italia S.E. Naceur Mestiri).

Il Magnifico Rettore dell’Università di Cagliari, prof.ssa Maria Del Zompo, ha così scritto:

<<È con vero piacere che, come Rettore dell’Università degli Studi di Cagliari, colgo la gradita occasione di poter far giungere alle Autorità presenti, agli Illustri Colleghi e a tutti i convenuti i migliori saluti da parte di tutto l’Ateneo. L’inaugurazione di una biblioteca è particolarmente

importante. La grande scrittrice francese Marguerite Yourcenar faceva dire all’Imperatore Adriano dei Mémoires d’Hadrien (1951): Fonder des bibliothèques, c’était encore construire des greniers publics, amasser des réserves contre un hiver de l’esprit qu’à certains signes, malgré moi, je vois venir. Al di là dello studiato pessimismo – profetico ex post – che la scrittrice assegna ad Adriano, l’immagine è potente e positiva; e dice della essenzialità della cultura per nutrire lo spirito e la coscienza. D’altro canto, una iniziativa così meritoria quale quella dell’inaugurazione della biblioteca della Scuola Archeologica italiana di Cartagine, luogo di ricerca e di formazione avanzate, trova una ideale consonanza con l’intitolazione a uno studioso del livello di Sabatino Moscati, che ha dominato con pari e straordinaria maestria i campi della ricerca archeologia e antiquaria, epigrafica, filologica e linguistica, lasciando in eredità agli Studiosi opere che ancora costituiscono sicuri e imprescindibili riferimenti scientifici (si pensi solo all’opera An Introduction to the Comparative Grammar of the Semitic Languages del 1964). Come Rettore di un Ateneo sardo, non posso poi non ricordare gli intensi legami di Sabatino Moscati con la Sardegna, ovviamente e prima di tutto in ragione dell’importantissima presenza fenicio-punica, che studiò e conobbe profondamente in un fecondo intreccio di collaborazioni con gli Studiosi locali. Nel rinnovare un caloroso saluto, mi è dunque per molte ragioni davvero gradita l’occasione di formulare i migliori auspici per le attività della Scuola e per un prospero futuro della sua Biblioteca.>>

Gli organismi della Scuola hanno espresso il più vivo apprezzamento per le figlie dell’illustre

studioso, Laura e Paola Moscati, che hanno generosamente fatto dono del patrimonio librario costituente la biblioteca stessa, nonché per il Presidente onorario Piero Bartoloni, che molto si è adoperato in proposito, e per tutti coloro che, con il proprio impegno, la propria abnegazione, il proprio contributo hanno progettato, sviluppato e realizzato un obiettivo che appare con evidenza di grande significato, un passo concreto per lo sviluppo delle attività di formazione della Scuola, nel segno della collaborazione tra l’Italia e la Tunisia. Sergio Ribichini ha ricordato la memoria di Anna Enrico in Moscati, che con passione e dedizione ha curato negli anni l’ordinamento della Biblioteca. Su proposta di Piero Bartoloni i soci della SAIC hanno iniziato a contribuire all’incremento della Biblioteca Moscati, per renderla viva e darle un futuro prestigioso nel tempo e nel nome dell’illustre e comune Maestro, al quale sono stati dedicati gli Atti dell’ultimo Congresso Internazionale di Studi Fenici e Punici, che sono stati presentati nell’occasione a Tunisi. I contributi della Fondazione di Sardegna al progetto La Biblioteca “Sabatino Moscati” a Tunisi e le pubblicazioni della SAIC: formazione, documentazione e promozione archeologica e culturale in Tunisia sono stati più volte destinati all’incremento del patrimonio librario e al potenziamento delle dotazioni (in particolare informatiche) della Biblioteca Moscati a Tunisi.

Sul “Corriere della Sera” il 2 gennaio 2018 veniva presentato il progetto intitolato Un ponte di libri. La Biblioteca Sabatino Moscati a Tunisi e le pubblicazioni della SAIC: formazione, documentazione e promozione archeologica e culturale in Tunisia.

Nel mese di luglio 2019 sono state prese le decisioni da parte dell’Institut National du Patrimoine, dell’Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Valorisation Culturelle e della Scuola Archeologica Italiana di Cartagine per il trasferimento da Tunisi sulla Byrsa della Biblioteca Moscati, con lo scopo di rendere più facile l’accesso agli studiosi in un luogo altamente evocativo e simbolico: alcuni membri del Consiglio Scientifico della SAIC hanno seguito con Samir Aounallah i lavori per la realizzazione al piano terra del Museo di Cartagine della sala riunioni SAIC, della Biblioteca Moscati, dell’ufficio del bibliotecario, per l’acquisto delle attrezzature informatiche necessarie e di parte della scaffalatura ed i mobili. A fine novembre, Salvatore e Raymond Ganga hanno contribuito a trasferire i volumi della Biblioteca Moscati nella nuova sede presso il Museo archeologico di Cartagine dalla sede dell’AMVPPC a Tunisi. È stato formalizzato l’accordo con l’Association Historique et Archéologique de Carthage – AHAC (Samir Aounallah e Fathi Béjaoui). È pervenuta alla Scuola la proposta di collaborazione da parte del Direttore del Dipartimento di Lingue Europee, dell’Institut Supérieure des Langues de Tunis – Université de Carthage, prof. Abdelmonem Khelifi, per l’accesso alla Biblioteca Sabatino Moscati da parte degli studenti di tale Istituzione e l’avvio di una collaborazione anche più stretta, finanche per la schedatura del materiale librario. In proposito è stato firmato un protocollo di cooperazione tra la SAIC e l’ Institut Superieur des Langues de Tunis, Université de Carthage per l’accesso degli studenti. I volumi sono stati trasferiti a fine novembre 2019 e quindi catalogati da personale qualificato nell’estate 2022. La SAIC si è occupata della formazione del personale bibliotecario e dell’arricchimento con ulteriori volumi, per donazione o acquisto. Nel settembre 2019 i rappresentati della SAIC hanno incontrato Samir Aounallah a Cartagine per visitare i locali della Biblioteca Moscati in via di organizzazione al piano terra del Museo di Cartagine.

Già da un anno completamente arredata, la Biblioteca “Sabatino Moscati” allestita dalla SAIC, in collaborazione con l’AMVPPC e l’INP è stata aperta a Cartagine nel 2022 all’interno del Museo sulla Byrsa con la presenza degli uffici di Samir Aounallah e di Nesrine Nasr, entrambi dell’INP, grazie all’impegno di Salvatore e Raymond Ganga. La Biblioteca, a causa dell’emergenza sanitaria, e stata inaugurata il 16 maggio 2022 anno del centenario della nascita del compianto Maestro al quale è dedicata. Terminata la schedatura delle opere possedute è stata effettivamente aperta al pubblico il 14 dicembre 2022.

Grazie all’impegno della Commissione di vigilanza sulla Biblioteca e al contributo della Fondazione di Sardegna con borse di studio per studenti, grazie all’accordo con la Biblioteca universitaria di Sassari (Giovanni Fiori e Davide Deiana), di Samir Aounallah, di Nesrine Nasr, di Salah Ghad e di Salvatore Ganga, si è proceduto nel corso del 2022 alla schedatura delle opere della biblioteca: al momento la biblioteca ha avuto schedate 4884 monografie, 606 periodici (105 titoli differenti), 115 opuscoli inseriti nel Sistema Bibliotecario Nazionale come sezione della Biblioteca Universitaria di Sassari con il software SEBINA NEXT. Catalogazione descrittiva (ISBD consolidate e REICAT con aggiornamenti 2017) e semantica, compresa di stringhe di soggetto, scelte attraverso il Nuovo Soggettario BNCF aggiornato nel marzo 2022 e di CDD. Il 14 ottobre 2022 sono iniziate le operazioni di sistemazione delle etichette sui 6000 libri della Biblioteca Moscati a Cartagine, curate da Silvia Bullo e quattro studenti tunisini, seguiti a distanza dai colleghi italiani: ogni libro ha ora la sua collocazione definitiva. Il lavoro si e concluso nei primi di novembre. La borsista SAIC Ons Inoubli ha svolto la sua attività in Biblioteca. La Biblioteca è stata aperta ogni martedì, mercoledì e giovedì.

Il 14 dicembre la Biblioteca è stata aperta al pubblico con una lezione di Piero Bartoloni: Sabatino Moscati et la Méditerranée à l’occasion du centenaire de sa naissance (Rome, 24 novembre 1922 – Rome, 8 septembre 1997). Il giorno dopo si è svolta l’inaugurazione del XXII Congresso de L’Africa Romana (Sousse, 15-20 dicembre). Questo nuovo centro culturale sulla cima della collina di Didone è destinato a diventare un prezioso punto di riferimento per numerosi eventi nel prossimo futuro e la SAIC si è impegnata a farlo diventare un polo di alta formazione. Varie visite alla Biblioteca Moscati dei partecipanti alle ricerche archeologiche ed epigrafiche a Kerkouane, Numluli, Thuburbo Maius e Thignica si sono svolte per tutto l’anno 2022 e nel 2023, seguite dalla visita di Sergio Ferdinandi vicepresidente ISMEO, che ha firmato una convenzione con la SAIC il 14 dicembre 2022.

Nell’incontro del 17 maggio 2023, al quale ha partecipato il nuovo direttore dell’IICTunisi prof. Fabio Ruggirello, è stato anche predisposto un accordo tra la SAIC, l’INP e l’Istituto Italiano di Cultura di Tunisi e l’Association Historique et Archéologique de Carthage per la mostra su Luigi Balugani e le antichità romane nel Maghreb «Du crayon au clic» (curata da Luigi Vigliotti), aperta il 26 giugno 2023 alla Biblioteca Moscati nella Byrsa di Cartagine fino ai primi di ottobre. La mostra è stata inaugurata dall’ambasciatore italiano Fabrizio Saggio e dall’addetto culturale che ha concesso un contributo finanziario, dell’AMVPPC Daouda Sow e da un rappresentante del Direttore Generale dell’INP Boutheina Maraoui, dai presidente dell’AHAC e della SAIC. Erano presenti molti direttori di missione (Antonella Coralini, Paola Ruggeri Pier Giorgio Spanu e altri rappresentanti delle 17 missioni tuniso-italiane finanziate dal MAE), rappresentanti della Famiglia Moscati, la collega Silvia Bullo che segue la Biblioteca Moscati, Salvatore Ganga che ha progettato la sistemazione dei 20 pannelli per le circa 50 bellissime immagini, la borsista SAIC Ones Inoubli. L’avvenimento è stato centrale sulla stampa locale anche per la posizione strategica che la Tunisia sta assumendo per l’Italia e le relazioni con l’Europa, ora col Piano Mattei. <<Queste missioni archeologiche in Tunisia – ha rimarcato l’ambasciatore Saggio – sono una parte importante della politica di approccio globale che il governo italiano ha sulla Tunisia. Un approccio che non è solo energetico, con il progetto Elmed, che non è solo questione migratoria, che non è solo investimenti (l’Italia è il primo partner commerciale della Tunisia, con oltre 900 imprese presenti), ma è un approccio che comprende davvero tutti i settori e quello archeologico è sicuramente uno di questi>>. Di ciò l’Ambasciatore italiano ha parlato spesso con la Ministra della Cultura Hayat Guettat ed è proprio per questo che si potrebbe organizzare l’anno prossimo, insieme al direttore dell’Istituto Ruggirello, una giornata di tutte le missioni archeologiche italiane in Tunisia, per valorizzare ancor di più l’importante lavoro che viene fatto in questo settore. A proposito dell’investimento europeo per il Museo di Cartagine (12 milioni di euro), ANSAMed ha scritto: «Alla fine del progetto, il museo avrà tre volte più spazio espositivo (2.200 m2) rispetto a prima, un ristorante e spazi esterni completamente rinnovati. All’interno degli spazi del museo ha anche sede la Biblioteca Sabatino Moscati della Scuola Archeologica Italiana di Cartagine (SAIC) che organizza insieme all’Istituto Italiano di Cultura di Tunisi, in collaborazione con l’Istituto nazionale del Patrimonio e l’Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle, la mostra “Du crayon au clic.” Le antichità del Nord Africa di Luigi Balugani, oggi. Fotografie di Luigi Vigliotti”>>. Per ottenere questo risultato si è utilizzato un finanziamento dell’Istituto Italiano di Cultura e della Fondazione di Sardegna. È stato finanziato l’acquisto di nuovi scaffali per la biblioteca e due borse per l’apertura della Biblioteca per tutto l’anno per tre giorni a settimana.

 Il 1 ottobre Salvatore Ganga ha smontato la mostra della SAIC su Luigi Balugani e le antichità della Tunisia e dell’Algeria nel 700 curata da Luigi Vigliotti (Du crayon au clic). La mostra (pannelli, foto e disegni) è ora conservata dall’AMVPPC e sarà esposta al Museo del Bardo oppure nei sotterranei del Campidoglio di Uthina. Dal I novembre 2022 una identica mostra poi è stata aperta alla Biblioteca Universitaria di Sassari.

Accompagnato da alcuni soci della SAIC il Presidente ha incontrato il 10 ottobre 2023 il nuovo direttore generale dell’Institut National du Patrimoine Tarek Baccouche e il nuovo Direttore Generale dell’AMVPPC Daouda Sow: erano presenti Samir Aounallah, Youssef Lachkhem, Paola Ruggeri, Imed Ben Jerbania. Il Direttore Generale aveva già visitato la Biblioteca Sabatino Moscati e la mostra su Balugani nei locali della Byrsa di Cartagine, ricavandone un’impressione molto positiva sull’attività della SAIC ma ha comunicato che l’Association Historique et archéologique de Carthage, non sarà più ospitata nei locali nel Museo di Cartagine (ex seminario francese), a breve sottoposto a un consistente lavoro di restauro per i prossimi tre anni. I locali della Biblioteca Moscati non sono interessati dal cantiere, ma si renderà necessario un ingresso dal retro (Hotel Reine Didon), in alternativa una chiusura per tre anni oppure – con molto rammarico – un temporaneo spostamento della biblioteca nel palazzo di Beit al Hikma sul mare accanto allo scavo tedesco diretto da Rakob. La SAIC rifiuta categoricamente di occuparsi di qualunque trasferimento della biblioteca. Se dovesse esser necessario, sarà l’AMVPPC ad occuparsene, magari con un accordo specifico con l’UE. Come è noto la SAIC ha comunque un accordo con l’AHAC del 5 dicembre 2020.

Non ci nascondiamo che esistono problemi organizzativi ancora aperti: il ruolo da attribuire ai singoli soggetti (INP, AMVPPC, SAIC, AHAC), la nomina di concerto con la famiglia Moscati di un conservatore provvisorio della Biblioteca, preferibilmente un ricercatore dell’INP specializzato sull’antichità, per controllare l’accesso dei lettori; gli orari di apertura al pubblico; l’utilizzazione della grande sala esclusi­vamente per attività scientifiche e non amministrative; la verifica che ciascun soggetto rispetti gli impegni presi; l’allargamento della biblioteca con i nuovi ingressi e le nuove donazioni; le misure necessarie per garantire l’integrità del fondo bibliografico a seguito dei problemi recentemente verificatisi nella nuova sede della Biblioteca (Gavini 2019, 2020, 2021; Mastino 2016-17, 2017, 2022, 2023).

Infine, nelle more della pubblicazione a stampa del presente contributo, il direttore generale dell’INP ha comunicato che, a causa dei lavori al Museo di Cartagine, si rendeva necessario e urgente il provvisorio trasferimento della Biblioteca in altra sede entro il 15 luglio 2024. Nel frattempo è stata informato l’ambasciatore d’Italia Alessandro Prunas e, in occasione della visita del Ministro Gennaro Sangiuliano a Tunisi il 27 aprile 2024, una ventina di alti esponenti del Ministero ha visitato la Biblioteca, guidati da Massimo Osanna, direttore generale Musei del Ministero della cultura. A seguito della risposta della SAIC, la nuova direttrice dell’AMVPPC Rabiaa Belfguira ha riconosciouto la piena validità della convenzione tripartita del 21 agosto 2018 e ha ribadito che si intende trovare una soluzione provvisoria d’intesa con la SAIC, l’INP e la famiglia Moscati perché la Tunisia vuole <<assurer le mantien du fonds Moscati>> e desidera <<projecter sur le devenir de ce bel écrin de la recherche sous la tutelle du Ministère des Affaires Culturelles, toujours dans la même disposition d’esprit de contribuer fortement à la mise en place au rayonnement de cette bibliothéque, vitrine de cette coopération culturelle exemplaire entre la Tunisie et l’Italie>>. Insomma, gli sviluppi positivi ci saranno.

Tirotto e la stanza chiusa

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Castelsardo, 23 agosto 2023

Giuseppe Tirotto, La stanza chiusa, Catartica edizioni

Castelsardo, 23 agosto 2023.

La serata di oggi è iniziata con la lettura da parte di Cristina Ricci della celebre poesia di Giuseppe Tirotto da noi premiata ad Ozieri nel 2019 dedicata a Lu spìriddu di lu tempu, con i ricordi evocati dall’ambiente che conosciamo nel profondo,  perché ancora il passato abita dentro di noi,  altru no semmu / che lu passadu chi drentu ci istragna, altro non siamo che il passato da cui siamo abitati.

Il poeta Giuseppe Tirotto è capace in pochi versi di far riemergere  un mondo che amiamo, specie quando cala la sera alla fine dell’estate,  e la pioggia cade leggera come un sogno di bimba, lasciandoci ancora intravvedere un orizzonte marino, presso un ruscello che profuma di erbe e di sale: e il profumo risveglia la memoria, i ricordi, le nostalgie come una musica lontana, fatta di suoni che arrivano fino a sas intragnas, che fa superare le distanze nello spazio e nel tempo, riportandoci istantaneamente a cogliere i profili della costa, gli scogli che vegliano in ghjru in ghjru a la mé rocca,  di fronte all’isola di Eracle che chiude il nostro sguardo, l’Asinara; ma anche i lineamenti delle persone, se è vero che il profumo di luoghi come questi che ci appartengono riesce a stimolare la memoria, a riportarci ad esperienze vissute, a collocarci in una relazione con gli altri che il rumoroso e sguaiato mondo turistico di questi tempi rischia di perdere irrevocabilmente.

Cicerone parlando della Sardegna diceva che si respira nell’isola un non so che particolare, capace di riportare alla mente coste dimenticate, sed habet profecto quiddam Sardinia adpositum ad recordationem praeteritae memoriae. E lo diceva a proposito di Olbia e del tempo, che in Sardegna si misura in altro modo, nel rapporto tra otium di cui si può godere in Sardegna e negotium che invece caratterizzava la vita tumultuosa di Roma.  Cicerone non dimenticava l’Aristotele della Fisica e il sonno che guarisce davanti agli eroi della Sardegna annullando il trascorrere del tempo. Ora che il chiasso del turismo di massa travolge tutto, forse le cose sono cambiate, ma ancora ci illudiamo che la Sardegna sia rimasta sempre uguale a se stessa, immobile nella sua bellezza, capace di conservare una improbabile purezza primitiva e un’ingenuità immutabile dall’età dei giganti.

Dunque i ricordi, il tempo trascorso che ora possiamo osservare sconvolto da  unu ventu attruppugliaddu, perché tutto si mischia, il prima e il poi non si distinguono, i rimpianti gonfiano il cuore dei protagonisti, che si scambiano i ruoli e che portano con se esperienze terribili ma anche passioni senza fine.

Mi piace molto la parola attruppugliare, che indica afflizione violenta, confusione, fretta, ma anche voglia di mischiare gli eventi spinti da un vento incontrollabile, i fatti, le persone, come mescolando le carte: questa nel romanzo La stanza chiusa diventa una tecnica letteraria sofisticata,  grazie ad un  testamento di un amico, poi grazie a questo lungo diario di inizio 900 che consente di ritrovare tante atmosfere perdute e di osservarle oggi, a distanza di un secolo, con sullo sfondo il palazzo immaginario nel paese, Castelsardo, la Castorias di mille altre storie  di altre opere di Giuseppe Tirotto ambientate presso il castello dei Doria, sui bastioni, raccogliendo ora tante tessere di un mosaico attraverso il quale si vorrebbe capire le tragedie di alcune famiglie, ma anche i successi, gli amori, i sentimenti contrastanti.

La scelta del diario non è ingenua, ma consente di fissare sulla carta momenti felici e momenti terribili, con l’intento di capire, di entrare all’interno dei fatti e delle relazioni, di rileggere quanto si è scritto, nella speranza irrazionale che si possa ancora curare e guarire, scavalcando l’abisso del dolore.  E questo finisce per essere un labirinto ma anche una vera e propria matrioska che al suo interno contiene e quasi ingoia altri protagonisti e altre storie che si dipanano via via che il gomitolo si disfa e si scioglie, attorno a questo palazzo padronale Mossa Scalas in piazzetta Brancaleone Doria, con questa misteriosa stanza chiusa per mezzo secolo che contiene tanti segreti nascosti, dove sembra ancora tagliarsi a fette la sofferenza dell’ultima occupante, il tradimento e la fine della felicità, addirittura il riflesso dell’omicidio, dell’uccisione di un antifascista Fabio Ballarini,  sul mare, nella notte.

Se dovessimo fare un confronto – si parva licet – tra questo lungo racconto e altre opere celebri, dovremmo pensare ai romanzi che in Sicilia raccontano di famiglie nobili e decadute, travolte da  un destino implacabile,  con amori dichiarati e altri nascosti come quello del dott. Eleuterio per la bella vedova, la morte del giovane, promettente, brillante Camillo Mazzoni che alla fine rilegge con lucidità impietosa la propria esistenza,  dichiara forse di non aver mai vissuto davvero e di lasciarsi ora travolgere dalla droga; è una vera inadeguatezza a vivere, e ormai i pensieri di morte sono come il lamento del cartellino accecato: <non ho che i miei occhi da cavare, perché la vita è spietata e l’innocente muore col cuore nel fango>> (Orlando Biddau).  Così  alla fine riusciamo a cogliere il suo inspiegabile legame con uno dei protagonisti, il suo coetaneo Paolo Finas, entrambi sconvolti dopo esser riusciti a sciogliere il gomitolo, a penetrare nel passato, a capire fino in fondo il dolore, il tradimento, l’infelicità, le ragioni di una sintonia che va oltre l’amicizia e la inattesa parentela. L’a. parla di una ragnatela e di un ragno malvagio come quello del roseto del suo giardino, solo che il ragno ora ingoia le persone e non più le mosche e gli insetti; lo sguardo – di chi prima di morire scrive sul diario le sue emozioni – finisce per essere allucinato. Eppure qui il punto di vista vero parte dall’oggi e torna indietro, fino ai preziosi mobili dei fratelli Clemente a Sassari a inizio 900, alla Grande Guerra, alla nascita della Brigata Sassari, alla fondazione del Partito Sardo d’Azione, al fascismo o alla prima pubblicazione della Settimana enigmistica dell’ing. Giorgio Sisini. Penso però alla quotidianità anche negli ovili del retroterra, come per la cerimonia della marchiatura dei vitelli descritta in un modo che quasi fa sentire la carne sfrigolare sotto il ferro rovente, quasi si avverte l’odore del bruciato, ma qui ad essere marchiati non sono gli animali ma le persone coi loro incubi, i loro traumi, i loro dubbi.  Soprattutto c’è il sapore amaro di un fascismo di provincia, di una violenza gratuita, di una continua prevaricazione, che offende e nasconde la mano. Del resto, dietro la figura del protagonista Paolo, uno scrittore in crisi, s’intravvede forse Tirotto stesso, con la sua capacità di emozionarsi e di emozionare, con questo saldissimo legame col territorio che lo caratterizza (in ghjru in ghjru a la mé rocca), con un paese che ama e che appartiene ad una Sardegna diversa da quella consueta.

Il diario di Eleonora Scalas è dedicato ai genitori Vincenzo e Tilde Mossa, al suo adorato fratello Agostino, alle dolcissime sorelle Aurelia e Angelica: personaggi che Giuseppe Tirotto ha la capacità di collocare a Castorias durante la vita di tutti i giorni, soprattutto in occasione delle feste, come per sant’Antonio Abate alias  lunissanti, fino a Nostra Signora di Tergu o per la festa della Madonna santissima a Ferragosto nel 1916.

Ma pian piano emerge la storia vera, che non è il caso di raccontare oggi qui: voglio solo dire che sullo sfondo c’è davvero una conoscenza profonda della vita che si svolgeva a Castelsardo, la nascita del porto, la costruzione delle dighe foranee, la campagna della Cudinaccia, il terreno di Funtanalva, il mare di Lu gramnaddu, con tutti gli ingredienti del teatro greco, un omicidio, uno scambio di genitore, un uomo che non sapeva di aver avuto una figlia, un nonno creduto diverso, un ritrovamento sconvolgente che rivela l’omicidio.  Storie che la voragine del tempo, 80 anni, rende ancora più dolorose e tali da obbligare il lettore ad iniziare ad andare alla ricerca di se stesso.

Che questo contatto con il mondo del teatro greco non sia solo una mia immaginazione lo dice anche il riferimento dotto al mito di Piramo e Tisbe di p. 165, i due giovani amanti contrastati: secondo la leggenda raccontata da Ovidio, l’amore dei due giovani era ostacolato in tutti i modi, tanto da far loro progettare una loro fuga d’amore conclusa tragicamente. Tanta fu la pietà degli dei nell’ascoltare le preghiere di Tisbe che trasformarono i frutti del gelso, intriso del sangue dei due amanti, in color vermiglio.

Non saprei indicare un altro luogo come la Sardegna tanto lontano dalla tradizione classica, dal mondo del mito greco e latino: eppure gli studi fatti da Tirotto all’università rappresentano senza dubbio la piattaforma sulla quale anche questo libro –  tanto sardo e in qualche modo identitario – è stato costruito per noi.

Attilio Mastino

17 giugno 2023 : Forum Traiani

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Stasera a Fordongianus tra tanti amici a parlare delle colonie di Cesare e di Augusto in Sardegna e delle Ninfe salutari sul Tirso al contatto con le civitates Barbariae: A. Mastino, P. Ruggeri, Il territorio di Forum Traiani e la pertica della Colonia Iulia Augusta Uselis: pagi, fora e civitates tra il I e il II secolo d.C.

Le Aquae Ypsitanae propongono il problema della loro pertinenza al territorio o alla pertica di una città contigua. L’assetto viario originario del territorio, antecedentemente la costituzione di Forum Traiani, con la via diretta a Karalis attraverso Uselisfino ad Aquae Ypsitanae, ci porta a escludere la città di Othoca, di cui ignoriamo lo statuto, raccordata a Forum Traianicon un percorso di 18 miglia a partire presumibilmente da Traiano e, di contro, ci suggerisce di comprendere le Aquae Ypsitanae nella pertica della colonia Iulia Augusta Uselis, suddivisa in pagi, già all’atto della deduzione o, comunque, della costituzione coloniaria.

Gli studiosi collocano la presenza romana alle Aquae Ypsitanae sul Tirso già all’epoca delle grandi rivolte del II secolo a.C. presso le sorgenti termali di Caddas, “le (fonti) calde”, localizzate ai piedi di una potente bancata trachitica. Il sito è già noto a Tolomeo (3, 3,7) come Ydata Ypsitanà. A prescindere dagli antecedenti preromani, individuabili nel centro (religioso e di mercato?) del populus indigeno degli Ypsitani, il villaggio aveva quattro funzioni, città termale, vicus capoluogo di un pagus collocato oltre il Tirso, nodo stradale delle due viae a Turre e a Karalis e infine stanziamento militare della cohors I Corsorum. Di tale cohors conosciamo un praefectus, Sex. Iulius Sex. f. Pol(lia tribu) Rufus ( CIL XIV 2954), che rivestì in età augustea tale prefettura congiuntamente a quella delle civitates Barbariae, le comunità non urbanizzate ultra Thyrsum, che fecero atto di omaggio all’imperatore (Augusto o Tiberio) proprio presso le Aquae Ypsitanae (ILSard. I 188).

Piero Meloni ha per primo affermato che gli Ydata Ypsitanà dipendessero da un’organizzazione paganica, dunque da un *pagus Ypsitanus. Nonostante l’assenza di fonti dirette non si esclude che il centro termale di Aquae Ypsitanae venisse costituito come vicus, dotato di una sua limitata organizzazione giuridica, all’interno della competenza dei magistrati – i IIviri – della colonia di Uselis. L’attestazione di due personaggi, il servus publicus delle Aquae Ypsitanae, [Fe]lix Ypsitan[orum servus] (ILSard.. I 194), autore di un atto indeterminato relativo a una piscina, e il sessantenne Aquensis fisci (servus) (AE 1992, 880) di un epitafio della I metà del II secolo d.C., ma che dovette assumere il nome Aquensis in età pretraianea, riflettono l’esistenza di un’amministrazione pubblica delle aquae, pertinenti al fiscus, con servi publici, detti Ypsitani o Aquenses, presumibilmente tali perché figli di schiavi pubblici.

L’analisi urbanistica delle Aquae Ypsitanae nella fase precedente   la costituzione del Forum Traiani ad opera di Traiano è relativamente incerta. Le Aquae Ypsitanae distavano da Useliscirca 17 miglia attraverso la citata strada a Karalis dotata di pietre miliari nel 46 d.C. da Claudio, che presumibilmente ristrutturò la viabilità preesistente forse già di età tardo-repubblicana. L’individuazione di ceramica a vernice nera (Campana A e a pasta grigia locale), in sigillata italica, in sigillata sud-gallica nell’area delle Aquae Ypsitanae indizia una continuità insediativa del sito fra l’età tardo-repubblicana e l’età flavia, precedente alla monumentalizzazione delle Aquae in età traianea. Lo sviluppo planovolumetrico del complesso termale fra l’età augustea e quella flavia è incerto, benché non si escluda che l’impianto principale incentrato su una natatio gradata e porticata possa risalire a fase pretraianea. Indubbiamente una piscina delle Aquae è attestata dalla iscrizione citata di [Fe]lix Ypsitan[orum servus], certamente del I secolo d.C.

Il culto delle acque, ampiamente sviluppato nella civiltà protosarda, suggerisce l’eventualità che gli Ypsitani lo potessero coltivare, in forme non determinate, presso quelle aquae ferventes che, secondo Solino (4,4,6), oltre a possedere virtù terapeutiche, si utilizzavano per pratiche ordaliche. È possibile che il culto delle acque indigeno si fondesse, sincretisticamente, in età ellenistica con il culto di divinità salutari, come sembrerebbe desumersi dall’iconografia di due statuine in trachite, rinvenute nel 1899 nell’area delle Aquae, rappresentanti il dio egizio Bes, che probabilmente era utilizzata dai punici per il loro dio guaritore Eshmun, ossia, nell’interpretazione greco-romana, Asklepios-Aesculapius. Una terza statuetta, ugualmente in trachite grigiastra, un tempo conservata nel municipio di Fordongianus e derivata al pari delle altre due dall’area termale, rappresentava una divinità femminile purtroppo acefala. Ne possiamo ricavare l’ipotesi che presso le Aquae Ypsitanae si prestava il culto a due divinità, una femminile, l’altra maschile, variamente reinterpretate in età imperiale. Ad età augustea si assegna, su base paleografica, un’arula in trachite dedicata a Aescul(apius )(AE 1986, 272) in scioglimento di un votum da parte di un L. Cornelius Sylla, probabilmente un discendente di un liberto del dittatore Silla, nell’area delle Aquae Ypsitanae.

Un culto idrico femminile delle Aquae, già in età augustea o tiberiana, è indicato da una stelina timpanata, con crescente lunare tra due astri, in trachite rosata, da riportarsi con grande probabilità a Fordongianus, con dedica alla d(ea) s(ancta) A(tecina) T(urobrigensis), posta da Serbulu(s) in scioglimento di un voto (CIL X 7557). Serbulu(s), un lusitano stanziato ad Augustis, dov’era acquartierata la cohors VII Lusitanorum nei primi due decenni del I secolo d.C., dovette dedicare ex voto una stele alla divinità femminile delle Aquae Ypsitanae, identificata con la sua dea Ataecina di Turobriga, un centro non localizzato della Lusitania, dove si prestava un culto a questa deità della luna e dei fontes calidi.

Accanto al centro termale di Aquae Ypsitanae e alla statio d’arrivo della via a Karalis e della via a Turre dovevano essere, con estrema probabilità, i castra della cohors I Corsorum con il pretorio del praefectus cohortis et civitatum Barbariae, da supporsi sulla spianata trachitica sovrastante, a mezzogiorno, l’area termale. Forse all’area dei castra piuttosto che a quella delle terme si riferiscono la già citata dedica delle civitates Barbariae ad Augusto o Tiberio (ILSard. I 188), impaginata su tre lastre marmoree di cui una sola parzialmente superstite e l’epigrafe e l’architrave in marmo di un edificio sconosciuto con dedica posta dall’equestre T. Iulius Pollio, verosimilmente governatore della Sardinia nella tarda età neroniana (CIL X 7863).

Se non abbiamo documenti archeologici diretti relativi alla topografia dei castra della cohors I Corsorum delle Aquae Ypsitanae è opportuno osservare che l’anfiteatro di Fordongianus, collocato nella vallecola di Apprezzau, potrebbe costituire il perno della strutturazione degli accampamenti militari della coorte. In effetti, sin dal 1990, Yann Le Bohec aveva osservato che a Fordongianus «à l’exception de l’amphithéâtre d’Aprezzau qui, s’il n’est pas trop tardif, pourrait avoir été utilisé pour l’exercice, l’entraînement, l’archéologie n’a rien livré de militaire». Lo studioso francese individuava, dunque, seppure dubitativamente, per l’anfiteatro sul Tirso una origine militare, in considerazione del carattere sistematico della costruzione di anfiteatri militari per tutti i grandi campi di un limes. Del resto gli anfiteatri militari più antichi, fin qui conosciuti, risalenti a età augustea, furono quelli realizzati dalle truppe stanziate, in ambito alpino occidentale, a Segusium (Susa) e a Cemenelum (Cimiez), quest’ultimo con l’intervento di una cohors Ligurum. Entrambi gli anfiteatri, a struttura piena, di piccole dimensioni, riflettono la necessità di assicurare una struttura, simile per grandezza al ludus per l’esercizio dei gladiatori, nella quale i soldati potessero compiere le esercitazioni, stante anche il rapporto funzionale e di formazione fra il ludus e le armate.

La struttura originaria dell’anfiteatro di Fordongianus è costituita da due terrapieni curvilinei contrapposti, orientati in direzione nord-nord-ovest/sud-sud-est, compartimentati da setti radiali, in blocchi litici irregolari, cementati con malta di fango. Il terrapieno orientale si appoggia al pendio del colle di Montigu, inciso a mezza costa nella seconda metà del XIX secolo per realizzarvi il passaggio della strada provinciale, attualmente classificata strada statale 388. Il terrapieno occidentale, invece, collocato alla base del rilievo di Iscalleddu, risulta delimitato a ponente dalla via vecchia di Oristano, erede della viabilità romana d’accesso all’anfiteatro. Entrambi i terrapieni erano delimitati verso l’esterno da una struttura muraria costituita da pilastri, formati da quattro blocchi squadrati, messi in opera a secco, per una larghezza media di 1,30 m e uno spessore di 1,35 m, alternati a specchiature in opera cementizia con paramento esterno in opus vittatum, in tufelli di trachite grigia. Verso l’arena i terrapieni sono delimitati dal muro del podio attualmente in opus quadratum di blocchi di trachite grigia, disposti a filari, che si prolungano, nel settore nord-nord-ovest, a definire l’ingresso principale dell’anfiteatro, verso il centro urbano, mentre è presumibile che un consimile accesso fosse realizzato nel settore opposto, non ancora scavato. Il terrapieno occidentale era costituito da terra e ciottoli fluviali, presumibilmente scavati dal fondo della vallata destinata a essere l’arena ellittica dell’anfiteatro, mentre quello orientale era formato prevalentemente da scapoli di trachite grigia. L’unico maenianum della prima fase, con una larghezza di 5,80 m, era dotato di gradus costituiti in cementizio, con caementa di medie dimensioni e pozzolana e calce di non grande qualità, disposto a strati ricorrenti, onde realizzare circa sei ordini di gradini, sostanzialmente non conservati. Si è, finora, individuato un unico vomitorium, nel settore nordoccidentale della cavea, provvisto di un gradino in trachite residuo all’interno del filo della facciata, e in corrispondenza di uno degli scalaria, strombato verso l’arena, che delimitava due cunei della cavea, a destra e sinistra dello stesso vomitorium. Gli accessi all’arena, come si è detto, si dispongono lungo l’asse maggiore, benché manchi la documentazione relativa al settore meridionale, non indagato. L’ingresso principale (porta triumphalis), rivolto ad Aquae Ypsitanae e destinato alla pompa inaugurale, costruito in opera quadrata, forse dotato di un arco, misura 5,10 × 3,23 m, risultando minore, per larghezza, della media (4,70 m).

Le dimensioni dell’anfiteatro di prima fase sono, allo stato delle ricerche, ancora ipotetiche, ma paiono definire una struttura non perfettamente regolare: asse maggiore dell’anfiteatro 52,60 m (pedes 178,8); asse minore 41,55 m (pedes 140); asse maggiore dell’arena 41 m (pedes 138); asse minore 29,53 m (pedes 100); superficie dell’arena 964 mq; superficie della cavea 758 mq. Il numero di spettatori dell’anfiteatro di prima fase può calcolarsi in circa 1.895.

Nell’età traianea le Aquae furono elevate al rango di forum, con la costituzione del Forum Traiani, trasformato entro il periodo severiano (antecedentemente il 212-217) in civitas Foritraianensium (AE 1992, 892). La civitas, che potrebbe aver guadagnato lo statuto municipale nel corso del III secolo, era dotata di un consiglio decurionale (ordo decurionum) e disponeva di sacerdoti addetti al culto imperiale (conosciamo una flaminica): come è noto in Sardegna la successiva suddivisione geografica che porta alla nascita della diocesi entro l’età vandala è fondata sulle città che in precedenza ospitavano flamini e flaminiche, come Carales, Turris Libisonis, Sulci, Nora, Tharros, poi Cornus-Bosa, per non parlare di Fausiana-Olbia.

Il ponte sul fiume Tirso costituisce l’asse generatore di Forum Traiani, sul cui prolungamento (in Barbaria) si disponeva il cardo I. Tale cardo non corrisponde, nonostante le apparenze, alla via Ipsitani, aperta nel tardo Ottocento, bensì alla linea divisoria di fondi rustici, attigui all’abitato, del catasto urbano del 1909. Tale linea è normale, nel medesimo catasto, al divisorio fra i mapp. 433 e 434, probabilmente erede del decumanus meridionale. Il parcellario catastale testimonierebbe così gli assi stradali estremi nord-nord-ovest/sud-sud-est ed est-nord-est/ovest-sud-ovest della fondazione traianea; sono stati descritti i resti della viabilità nell’area, cardo e decumanus, il rapporto con le strutture e gli impianti fognari, il lastricato fatto di basoli poligonali in trachite grigia con crepidines laterali costituite da blocchi ben sagomati di trachite di 29 × 29 × 22 cm di altezza. Ad assicurarci dell’orientamento del reticolo viario, e di conseguenza delle insulae dell’abitato, lungo gli assi principali, sono i resti di tre complessi edilizi, ancora oggi rilevabili, che presentano le murature perimetrali orientate secondo gli assi suddetti.

Terme centrali. Della struttura si è rilevato un ambiente caldo rettangolare, orientato est-nord-est/ovest-sud-ovest, di 3,70 m residui di lunghezza × 6,40 di larghezza, forse un tepidarium, in opera cementizia con paramento in opus vittatum di tufelli, con impiantito di bessales su cui si impostavano le suspensurae di pilastrini litici di 60 cm di altezza, che reggevano un pavimento sospeso formato da bipedales (58,2 × 59,1 × 7 cm). Il lato breve est-nord-est comunicava con un vano di circa 30 mq, in opera cementizia, rivestito in opus vittatum mixtum, orientato con i lati brevi in direzione nord-nord-ovest/sud-sud-est. L’ambiente presentava un pavimento musivo: il mosaico, trasferito al Museo archeologico nazionale di Cagliari, è stato studiato da Simonetta Angiolillo nel suo corpus dei mosaici antichi della Sardinia: «Il campo è delimitato da un bordo […] decorato a dallage […] Lo schema compositivo del campo è basato sull’alternanza di quadrati, sui cui lati si impostano pelte, e di cerchi […] Il motivo ampiamente documentato in Africa ritorna in Sardegna a Tharros nel c.d. Tempio a pianta di tipo semitico». Per il nostro esemplare la Angiolillo si è riferita in particolare a un pavimento della Casa delle fatiche di Ercole di Volubilis, in Mauretania Tingitana, della fine del II-inizi del III secolo d.C., coevo a questo di Forum Traiani. L’ambiente in questione deve identificarsi, con grande probabilità, con il frigidarium delle terme. Presumibilmente allo stesso edificio termale corrisponde il tratto murario in opus vittatum mixtum, tra via Dante e via Vittorio Veneto.

Edificio con volta a botte. L’edificio, a pianta rettangolare, in cementizio con paramenti in opus vittatum mixtum si estende in lunghezza per 22 m e in larghezza per 10 m. L’altezza delle murature è attualmente di 2,30 m dal piano di calpestio, sopraelevato, secondo fonti orali, rispetto al pavimento della struttura romana di 2,20 m. Sul lato lungo nord-nord-ovest è visibile l’imposta della volta a botte, in opera cementizia, articolata in quattro ricorsi di laterizi che dovevano probabilmente formare una rete a linee parallele, sistema divulgato da Traiano in poi, in specie nella seconda metà del II secolo d.C. Il modulo dell’opus vittatum mixtum corrisponde a quello delle terme II, a riscaldamento artificiale, delle Aquae Ypsitanae. Si individua il prospetto dell’edificio, normale al lato lungo, realizzato in cementizio con paramento in opus vittatum mixtum, intonacato, spesso 86 cm, con aperture. Ignoriamo la funzione della struttura, che parrebbe di carattere pubblico, riadattata a edificio chiesastico nel Medioevo.

Edificio industriale. All’interno dello scantinato dell’abitazione ubicata fra via Ipsitani e via Vittorio Veneto, si individua un ambiente rettangolare, ridotto a due spezzoni di muro, orientati rispettivamente sud-sud-est/nord-nord-ovest (per una lunghezza residua di 2,19 m) e ovest-nord-ovest/est-sud-est (per una lunghezza residua di 3,33 m). Su quest’ultimo lato, addossate alla muratura, erano disposte due vasche rettangolari, ad angoli interni stondati, dotate di foro di scarico affinché il liquido contenuto nella prima vasca fluisse, depurato, nella seconda. La struttura muraria è in opus vittatum, in filari regolari di tufelli in trachite, connessi con strati di malta di 2 cm di spessore. Dall’area archeologica provengono tegulae hamatae, forse connesse alla deumidificazione di ambienti, lastrine in marmo bianco, embrici giallastri e rossastri e ceramica comune romana – bocca di un askós, ceramica “fiammata” di bottega sarda (sulcitana?) –, lucerne a becco tondo, anfore Africane e un asse di Adriano del 134-138 d.C. L’edificio parrebbe avere avuto una fase di laboratorio industriale per la torchiatura delle olive o per la produzione vinaria.

Non possediamo allo stato delle conoscenze dati per l’individuazione della piazza forense di Forum Traiani. Una serie di iscrizioni marmoree relative a interventi evergetici o a onoranze a imperatori potrebbero riferirsi all’area forense, ma è dubbia la circostanza puntuale del loro riferimento.

Da Via Traiano, dirimpetto alla chiesa parrocchiale, proviene un frammento di lastra di marmo bianco con venature grigie recante una iscrizione che richiama un intervento (evergetico?) [ex] test(amento), forse [d(ecreto)] d(ecurionum) (ILSard. I 201).

Se lasciamo la citata dedica a Tiberio da parte delle civitates Barbariae (ILSard. I 188), probabilmente dall’area di via delle Terme, «nel centro del paese», provengono frammenti marmorei pertinenti a tre distinte iscrizioni imperatorie, da supporsi affisse nel forum o nell’Augusteum di Forum Traiani: Caracalla tra il 211 e il 213 d.C. (ILSard. I 189), Severo Alessandro tra il 222 il 235 d.C. (ILSard.I 190), infine un imperatore dominus noster (?) (ILSard. I 200). Si aggiungano due dediche a imperatori anonimi pro salute rinvenute nell’area urbana e connesse al forum o all’Augusteum della città.

L’importanza di Forum Traiani si palesa anche nella monumentalizzazione delle precedenti Aquae Ypsitanae. L’orientamento del complesso termale è il medesimo del Forum Traiani, così da autorizzare l’ipotesi di una programmazione generale urbanologica delle terme e del Forum ad opera di Traiano, ovvero la strutturazione del Forum secondo gli assi delle Aquae Ypsitanae. Il complesso termale in opera quadrata viene a essere arricchito, presumibilmente in età severiana, di nuove terme, a riscaldamento artificiale, in opera cementizia con paramenti prevalenti in opus vittatum mixtum e, parzialmente, in opus vittatum, a monte delle aquae idrotermali. A sud-sud-est del complesso termale si apre una piazza trapezoidale, basolata in lastre di trachite, delimitata a monte da un complesso di cisterne alimentate da un acquedotto, che recava l’acqua da due sorgenti extraurbane rispettivamente dalle località di Pischina ’e Ludu e S’Ispadula. Nel margine occidentale del lato sud-sud-est della piazza si localizza una scalinata in conci regolari di trachite che immette su un piano, in parte ritagliato nel plateau trachitico, in cui si leggono labili tracce di un edificio, forse a carattere sacro, come nell’analogo complesso termale di Djebel Oust in Africa Proconsolare.

Il lato est-nord-est della piazza immette in un complesso a L, in opera cementizia con paramenti in opus vittatum mixtum, articolato in un corridoio a due ali che disimpegnano piccoli ambienti quadrangolari e alcuni vani maggiori affrescati. Si tratta probabilmente di ambienti di servizio del complesso termale per assicurare l’ospitalità ai malati.

I culti prevalenti delle Aquae Ypsitanae, testimoniati da iscrizioni sacre, documentano spesso il rango sociale elevato dei devoti, fra cui vari governatori dell’isola. Le divinità femminili erano le Nymphae o più precisamente i numina Nympharum (AE 1991, 909), così come nelle Aquae Flavianae presso Mascula (oggi Khenchela) in Numidia, era venerato il numen [Ny]mpharum (CIL VIII 17722): là un centurione legionario della III Augusta poteva vantarsi di aver visto realizzati tutti i suoi desideri: optavi nudas videre Nymphas, vidi (CLEAfr. 2 101).

Possediamo ben otto dediche alle Nymphae dalle Aquae Ypsitanae, incise su altari in trachite:

Nymph[hae] salutares posta dal governatore della Sardinia Aelius Per[egri]nus intorno al 201 d.C. (ILSard.I 187, vd. EDR181203);

Nymphae sanc[tiss(imae)] ricordate dal procuratore e prefetto dell’isola M. Cosconius Fronto nel 206-207 d.C. (CIL X 7560);

– le Nymfae invocate da un (M. Aurelius) Servatus, liberto imperiale, adiutor del governatore e procurator metallorum et praediorum e da un [—]ianus, ufficiale (?) di una coh(ors) II [—], stanziata nell’isola: siamo tra il 178 e il 180 d.C. e i vota sono espressi pro salute del governatore della Sardegna Q. Baebius Modestus, un cavaliere inserito nella cohors amicorum e tra i consiliarii degli imperatori.

le Nymphae invocate da parte di Flavia T. filia Tertulla e  dai Flavii Honoratia[nus] e [Marc]ellina, rispettivamente moglie e figli del governatore della Sardegna L. [F]la[vius] Honoratus, probabilmente tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C. (CIL X 7859).

– le Nymphae [–] invocate da Valeria Modestạ, liberta di Ṃ(arcus) Valerius Optạṭus,
proc(urator) Aug(usti), pṛạẹ[f(ectus)] provinc(iae) Sard(iniae)
, tra il 193 e il 217.

– I numina Nympharum evocati dal governatore della Sardegna M. Mat(idius ?) Romulus, nella seconda metà del III o del IV secolo d.C. (AE 1991, 909).

– Le Nymp[hae] e [Aescula]pius chiamati in soccorso da un anonimo, forse un Claud[ius] (AE 1988, 644).

– Le Nymphae Aug(ustae) invocate sull’arula dedicata anche ad Aescu[lapius] (ILSard. I 186).

L’associazione tra le Nymphae ed Aesculapius (anche in AE 1986, 272) non è frequente, benché documentata implicitamente proprio in località termali (ad esempio alle Aquae Lesitanae, AE 2005, 681). L’epiteto Augustae delle Nymphae Ypsitanae, essendo raramente connesso a queste divinità, testimonia dell’importanza del culto imperiale ad Aquae Ypsitanae-Forum Traiani, documentato anche dal busto marmoreo inedito di un loricato acefalo, certamente un imperatore del II secolo d.C., derivato dall’area termale, oltre che dalla citata flaminica.

Le necropoli forotraianensi di età romana imperiale sembra si estendessero a est e a sud-ovest della città, forse con una prevalenza delle deposizioni nell’area in cui fu creato nel IV secolo il martyrium del martire locale Luxurius.

Nel rinnovato quadro dell’ornatus civitatis di Forum Traianiin età severiana deve collocarsi probabilmente l’ampliamento dell’anfiteatro, con l’utilizzo prevalente del cementizio con paramenti in opus vittatum mixtum. Gli structores amphitheatri possedevano le competenze operative per la realizzazione di arcate e di volte in opera cementizia, applicate in vari edifici della città ma soprattutto nelle terme Ypsitanae e nell’acquedotto.

Un aumento demografico della popolazione di Forum Traiani e un maggiore interesse generale per i munera gladiatorum e le venationes, dimostrato dalla costruzione, dopo l’anfiteatro flavio di Carales, degli anfiteatri di Nora, Sulci e Tharros entro il II/III secolo, costituiscono i presupposti dell’ampliamento dell’anfiteatro forotraianense, consistito innanzitutto nella costruzione di una galleria periferica, obliterante la primitiva facciata. Tale galleria era articolata all’esterno in arcate su pilastri di blocchi squadrati in trachite (connessi da incavi a coda di rondine), su cui si impostavano volte rampanti ammorsate alla facciata di prima fase. Sulle volte erano realizzati in opera cementizia i gradus del secondo maenianum, disposti probabilmente su quattro ordini. In sostanza l’anfiteatro di Forum Traiani dovette presentarsi all’esterno con una facciata ritmata da fornici, benché appaia probabile che, in relazione alle differenze di quota del fondo trachitico della zona, le stesse arcate avessero un’altezza differente dal piano di calpestio. I fornici, in opera cementizia con rivestimento in laterizi rossi, strombati verso l’interno della galleria, allo stato delle indagini, sono stati individuati esclusivamente nel settore occidentale e in quello nord-orientale. La struttura della facciata, a prescindere dai pilastri e dalle arcate, è in opera cementizia con rivestimento in opus vittatum mixtum, che alterna filari di due laterizi rossi a filari di un tufello in trachite, connessi da strati robusti di malta. L’architetto responsabile dell’ampliamento dell’anfiteatro di Forum Traiani provvide a effettuare due interventi funzionali rispettivamente alla creazione di suggesta (spazi riservati alle autorità) e alla realizzazione del sacellum. Lungo l’asse minore dell’edificio, secondo i canoni anfiteatrali, a spese dei settori coassiali della cavea di prima fase, furono resecati due spazi quadrangolari, destinati rispettivamente quello a est-sud-est a sede del sacellum, sormontato da un suggestum, quello a ovest-sud-ovest a sede di un secondo suggestum, accessibile dal piano dell’arena con una scaletta ammorsata al podium. Il sacellum, a pianta quadrangolare, con volta a botte, presenta sul muro di fondo una nicchia centinata, con armilla di laterizi, che esclude la natura di carcer dell’ambiente, anche in rapporto alla sua collocazione lungo l’asse minore dell’anfiteatro, suggerendo, invece, la funzione di sede della statua del culto dei gladiatores e dei venatores, forse Nemesis-Diana, a tener conto della frequenza di Nemesea negli anfiteatri. In alternativa si è pensato al culto di Hercules. Sull’estradosso della volta, accessibile mediante una scaletta perduta, doveva impostarsi uno dei due suggesta o pulvinaria dell’anfiteatro, i posti riservati alle autorità civili, militari e religiose della città. Il secondo suggestum, conservato solamente alla base, nel settore ovest-sud-ovest, era accessibile mediante dieci gradini da parte delle autorità che dopo aver partecipato alla pompa iniziale, all’omaggio alla divinità nel sacellum, si portavano nello spazio riservato ad esse, sia al di sopra del sacellum, sia sul lato ovest-sud-ovest, meglio preservato.

Si è detto che l’opus quadratum del podium e della porta triumphalis potrebbe rimontare al generale rifacimento dell’anfiteatro di seconda fase. In effetti non pare cogliersi soluzione di continuità fra la porta triumphalis nella sua nuova costituzione, in rapporto alla galleria periferica, la primitiva porta e il podium.

L’anfiteatro di Forum Traiani nella sua seconda fase ha le seguenti dimensioni: asse maggiore dell’anfiteatro 59,30 m (pedes 200); asse minore 48,25 m (pedes 163); asse maggiore dell’arena 40,98 m (pedes 138); asse minore 29,53 m (pedes 100); superficie arena 964 mq; superficie della cavea 1.265 mq. Gli spettatori calcolabili sono 3.163. Le dimensioni di questo edificio per gli spettacoli sono inferiori in Sardinia solo a quelle dell’anfiteatro di Carales, per il quale si calcola una capienza complessiva di 12.283 spettatori. Non possediamo dati sugli spettacoli tenuti nell’anfiteatro di Forum Traiani, anche se devono ipotizzarsi sia i munera gladiatorum sia le venationes. Alla cura di gladiatores potrebbe riferirsi uno strumento chirurgico in bronzo individuato nello scavo del settore settentrionale dell’arena.

A Forum Traiani potrebbero esser citate altre divinità orientali legate al mondo militare, come Giove Dolicheno (CIL X 7862). Va infine rilevato che Forum Traiani avviò una penetrazione culturale nel territorio circostante.

Il 25 maggio 2023

Giuseppe Contu: un barbaricino nel mondo arabo.

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Giuseppe Contu: un barbaricino nel mondo arabo
Tra lingua araba e sarda a Sarule, convegno in onore del prof. Giuseppe Contu, ISSLA
14 maggio 2023

Cari amici,

Sarule ci è sembrato il luogo più giusto per ricordare Giuseppe Contu a tre anni dalla sua scomparsa avvenuta proprio qui il 7 gennaio 2020; qualche giorno dopo lo abbiamo ricordato nella chiesa di San Michele. A Sarule egli era nato il 12 ottobre 1947. Dopo il dolore per la perdita, oggi possiamo far riemergere mille episodi divertenti, ricordare uno studioso che ci ha aperto tante porte e che era capace di restare saldamente ancorato alla Sardegna interna guardando al Mediterraneo, al mondo arabo, dal Libano all’Egitto, dalla Tunisia al Marocco, partendo dal suo piccolo paese di origine, dai suoi boschi e dalla sua collina sacra.

Ho visto ricordato con affetto in alcune pagine delle sue pubblicazioni scientifiche questo paese – Sarule -.   Grazie a chi ha voluto quest’incontro, alla famiglia, agli amici, al Comune, all’ISSLA, all’Università, che hanno capito che anche da Sarule, soprattutto da Sarule, si può guardare ad un tempo  nuovo fondato sulla tolleranza e sul rispetto per gli altri, sul pluralismo e il valore delle diversità in un Mediterraneo dove il mare non sia più una frontiera, ma la piazza di un’interazione pacifica, per usare le parole di Edgar Morin, per il quale dobbiamo constatare che i futuri impensabili del nostro passato sono diventati ora futuri impensabili del nostro presente.

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Conclusioni al XXII Convegno de L’Africa Romana Sbeitla (Tunisia)

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Conclusioni al XXII Convegno de L’Africa Romana
Sbeitla (Tunisia), 18 dicembre 2022

Cari amici,

la Tunisia profonda e Sbeitla, ci hanno accolto giovedì al tramonto, con gli edifici splendidi che raccontano culti lontanissimi da noi, illuminati a giorno: un mondo remoto e misterioso è riemerso all’improvviso con tutta la sua freschezza e la sua bellezza. Domani ci attende la visita alla fortezza di  Ammaedara-Haidra sotto la guida di François Baratte e di Cillium-Kasserine.

Nella cerimonia di apertura ieri siamo stati onorati dai saluti di Benvenuto di Samir Aounallah, dagli interventi di Ridha Rokbani, Gouveneur de Kasserine, di Mustapha Khanoussi per la Ministra des Affaires Culturelles, Faouzi Mahfoud, directeur général de l’INP, Paola Ruggeri dell’Università di Sassari che ha assunto il testimone per questa XXII edizione di un convegno iniziato nel 1984; e poi Frédéric Hurlet (Paris Nanterre), Sergio Ferdinandi, vice presidente ISMEO, la Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente, Luciano Colombo, prorettore alla ricerca dell’Università di Cagliari. Siamo stato poi allietati in apertura dalla musica tradizionale tunisina-algerina-sarda.

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Geografia, Geopolitica, Storia antica: Principi, prospettive, cooperazioni per la pace inevitabile.

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Geografia, Geopolitica, Storia antica: Principi, prospettive, cooperazioni per la pace inevitabile
Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo
Convegno Alghero 3 dicembre 2022

Intervenire in chiusura di questa due giorni su Principi, prospettive, cooperazioni per la pace invevitabile nel nome di Giorgio La Pira (Pozzallo 1904 – Firenze 1977) mi dà l’opportunità di rivolgere uno sguardo più distante ed imparziale, osservando le diverse posizioni assunte dai relatori su temi di bruciante attualità.

Ho riletto in queste settimane molte opere di La Pira e i commenti di Bruna Bocchini Camaiani, ricorando nel 1954 l’intervento a Ginevra alla sede della Croce Rossa (per altri aspetti citato da Franco Nuvoli) sul valore delle città di fronte alle armi nucleari: <<non hanno il diritto gli Stati di distruggere le città>>: tema che confligge con le immagini dei telegiornali di questi mesi. Dieci anni dopo quell’intervento di La Pira, nel 1963 Giovanni XXIII pubblicava l’enciclica Pacem in terris, indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà, subito fatta tradurre in russo. Pietro Paolo Onida a sua volta ha richiamato il ruolo del diritto, un’ars, una scientia che non può essere l’espressione della forza del più forte, ma che detta regole anche per i momenti più drammatici del suo manifestarsi; allora possiamo disttinguere: hostes hi sunt, qui nobis aut quibus nos publice bellum decrevimus; ceteri latrones aut predones sunt (D. 50,16,118)>> (Sandro Schipani). E Vanni Lobrano ieri è partito da una riflessione sulla martoriata Ucraina.

Il quadro nel quale ci muoviamo oggi è ancora una volta mediterraneo, partendo dai paralleli e dai meridiani: abbiamo rcordato nei giorni scorsi a ll’Accademia dei Lincei a Roma la figura di Sabatino Moscati, al quale dobbiamo la blioteca di 6000 volumi che il 14 diembre inaugureremo sulla collina di Didone a Cartagine come Scuola archeologica italiana di Catagine e Institut National du Patrimoine. Nel suo ultimo libro, pubblicato postumo nel 2001, Sabatino Moscati affrontava I fondamenti della storia mediterranea come civiltà del mare e precisava che tutti avvertiamo <<l’inadeguatezza di una vera e propria storia mediterranea, proprio nel momento in cui il compiuto apporto di nuove conoscenze mostra la parzialità delle trattazioni esistenti. Anzi, si può dire che non esista finora quella vera e propria storia mediterranea in cui i singoli apporti debbono confrontarsi e integrarsi. Quando tale storia potrà essere scritta, è difficile dire: anche perché la fornazione degli studiosi (…) per aree culturali, non conosce ancora l’impiego integrale e di prima mano di un materiale così vasto, disperso, difforme. E tuttavia, la storia a dimensione mediterranea mi sembra la grande frontiera dell’avvenire, il necessario superamento di steccati anomali se non fuorvianti per la comprensione dell’unico denominatore valido e completo del mondo antico>>. Se vi è un protagonista ieri come oggi, esso è il mare. <<quel mare degli antichi che costituisce l’orizzonte, la condizione, il limite della loro avventura>>, fatta di pace ma anche di guerre, partendo dalla prima battaglia navale della storia combattuta nel mare sardo nel VI secolo a.C.

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Parole in opera di Alberto Merler

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Parole in opera di Alberto Merler
Sassari, 30 novembre 2022
Presentazione

Per la seconda volta in pochi mesi Aberto Merler cerca di capire e farci capire la strada attraverso la quale riuscire a scavalcare il dolore e la solitudine, dopo il lutto e il confinamento, oltrepassando una voragine che avremmo pensato insuperabile, con la voglia di ristabilire relazioni, di riaffermare valori positivi, di rispondere con generosità alle prove davvero difficili e crudeli alle quali è stato sottoposto per lunghi anni. Ma sbaglieremmo se pensassimo che i due volumetti Oltre la solitudine, Proseguire nel cammino dell’esistenza, e Non basta per essere maestro ed altre parole, Edizioni Ave, Roma 2021 sono volumi ingenuamente positivi, capaci di sciogliere prodigiosamente i tanti nodi dell’esistenza e di ri-orientare il destino: alla base, anche se non è mai citato, c’è il libro di Giobbe nella lucida e dolente interpretazione di Totti Mannuzzu (Il dolore e il desiderio): insieme una confessione, una protesta per lo scandalo del dolore umano, una speranza.

E soprattutto c’è il De magistro col quale Agostino di Ippona si sforza di chiarire il metodo dell’insegnamento e il rapporto tra il docente e gli allievi: del resto torna il tema – modernissimo – del rapporto tra segni e significati, verso una nuova frontiera tracciata oggi dalla filosofia dei linguaggi, con un approccio diverso rispetto all’universo dei segni che utilizziamo quando entriamo in relazione con altri uomini e con le cose. Per vedere davvero non bastano i suoni, i segni, neppure i fatti: noi non possiamo parlare delle cose, ma delle immagini impresse e affidate alla memoria, perché noi portiamo quelle immagini nella profondità della nostra memoria, come documenti di cose percepite precedentemente. Ma sono documenti davvero solo per ciascuno di noi.

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La romanizzazione della Sardegna (A bonas o a malas) di Pietrino Soddu, Edes 2022

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La Nuova Sardegna 16 novembre 2022

Pietrino Soddu continua la sua riflessione non convenzionale sulla storia della Sardegna, leggendo ora la lunga fase romana con gli occhi emozionati e commossi di un esordiente, quasi uno studente che scopre un mondo nuovo e inatteso: aveva presentato questo suo progetto cinque anni fa a Manlio Brigaglia ed a me in un bar di Viale Umberto a Sassari, con il desiderio di coinvolgerci, per arrivare in profondità, conoscere meglio i documenti, raccogliere informazioni,  collegare alla storia la geografia dell’isola che gli è più abituale, partendo dai monti che chiudono la prima Vallata del Tirso occupata dagli Iliensi per andare alla ricerca delle continuità, delle trasformazioni, delle radici dell’identità della Sardegna di oggi.

Il punto di osservazione sono ovviamente le sorgenti salutifere delle Aquae Lesitanae e la città di Lesa e poi Benetutti con Sa Costera (ancora nell’Ottocento punto terminale dell’abigeato) e poi la Barbagia, luoghi che conservano le fasi più arcaiche della lingua latina, ma anche territori che l’autore considera suoi ed ai quali continua ad appartenere fino in fondo. La scena è animata – in prosa  ed in poesia – dagli interventi di tanti personaggi diversi, capaci di render conto della varietà delle interpretazioni e dei molti riflessi sulla storia lunga dell’isola.

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Ottobre in poesia: Giuanne Fiore, Sas primas abbas di Soter editrice. Festival internazionale di poesia della Sardegna

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Ottobre in poesia: Giuanne Fiore,  Sas primas abbas di Soter editrice
Festival internazionale di poesia della Sardegna
Ittiri, 23 ottobre 2022

Conosco il poeta Giuanne Fiore da decenni, perché ho avuto modo di seguirlo tra i protagonisti del  Premio città di Ozieri già con Nicola Tanda e più di recente, sfogliando gli archivi di Via Ugo La Malfa o come membro della Giuria del Premio Antoni Sanna: nel 2020 Giuanne Fiore ottenne il I premio con In su montiju meu, col voto di molti oggi presenti (Anna Cristina Serra, Clara Farina, Salvatore Tola, io stesso e non solo).  Ma i riconoscimenti ottenuti sono stati moltissimi anche fuori dalla Sardegna.

Poche settimane fa mi ha regalato le sue più  belle raccolte di poesie:

Tempos, Sos Sonettos, Domus de Janas e Soter  2012 con 50 anni di sonetti

Bisos e chertos, Soter editrice,  I volume,  Poesie con presentazione di Nicola Tanda e Paolo Pillonca e II volume glossario sardo-italiano 2004

Terra mia istanotte mi ses cara, con Salvatore Ligios, 1999 Soter, Poesias e Fotografias introduzione di Paolo Pillonca )

Opere che hanno al centro la contemplazione della natura e l’incontro con gli altri, con un garbo che ha una sua dignità, un suo stile, una sua dimensione positiva, che rivela la forte capacità di cogliere emozioni, sentimenti, aspetti indimenticabili di un’esperienza, una speranza.

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Bolontana, Badd’e Salighes

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Bolontana, Badd’e salighes

10 settembre 2022, ore 10,30

Cari amici,

solo l’ostinazione di Mario Bussa mi conduce di nuovo qui a Badd’e salighes. Ho i saluti del gen. Luciano Carta, premio Navicella 2022. Il 26 luglio 2020, due anni fa,  eravamo qui per discutere sullo straordinario diario di Donna Vera Mameli Piercy Nel Mezzo della vita, curato da Giorgina Mameli Giustiniani.

L’anno scorso, il 20 giugno 2021 abbiamo presentato il volume di Luciano Carta Dal Galles alla Sardegna, Benjamin Piercy e le ferrovie con le pagine di Patrizia Onnis dedicate ai beni culturali e ambientali del territorio di Bolotana, dall’inquadramento geologico fino alla vetta di Punta Palai a 1200 metri, alla flora alle grandi opere megalitiche, i circoli rituali di Ortachis, le domus de janas, i circa 50 protonuraghi e  nuraghi, i pozzi sacri, le tombe di giganti, la fortezza punica di Pabùde, le tanti insediamenti romani, i bizantini con i monaci Armeni, l’età giudicale verso il castello di Burgos, la chiesa di san Bachisio, fino ad arrivare a Padru Mannu e a questo castello incantato in quella foresta di lecci, roverelle, sughere che tanto avevano colpito il viaggiatore inglese e i suoi discendenti.

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