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Tirotto e la stanza chiusa

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Castelsardo, 23 agosto 2023

Giuseppe Tirotto, La stanza chiusa, Catartica edizioni

Castelsardo, 23 agosto 2023.

La serata di oggi è iniziata con la lettura da parte di Cristina Ricci della celebre poesia di Giuseppe Tirotto da noi premiata ad Ozieri nel 2019 dedicata a Lu spìriddu di lu tempu, con i ricordi evocati dall’ambiente che conosciamo nel profondo,  perché ancora il passato abita dentro di noi,  altru no semmu / che lu passadu chi drentu ci istragna, altro non siamo che il passato da cui siamo abitati.

Il poeta Giuseppe Tirotto è capace in pochi versi di far riemergere  un mondo che amiamo, specie quando cala la sera alla fine dell’estate,  e la pioggia cade leggera come un sogno di bimba, lasciandoci ancora intravvedere un orizzonte marino, presso un ruscello che profuma di erbe e di sale: e il profumo risveglia la memoria, i ricordi, le nostalgie come una musica lontana, fatta di suoni che arrivano fino a sas intragnas, che fa superare le distanze nello spazio e nel tempo, riportandoci istantaneamente a cogliere i profili della costa, gli scogli che vegliano in ghjru in ghjru a la mé rocca,  di fronte all’isola di Eracle che chiude il nostro sguardo, l’Asinara; ma anche i lineamenti delle persone, se è vero che il profumo di luoghi come questi che ci appartengono riesce a stimolare la memoria, a riportarci ad esperienze vissute, a collocarci in una relazione con gli altri che il rumoroso e sguaiato mondo turistico di questi tempi rischia di perdere irrevocabilmente.

Cicerone parlando della Sardegna diceva che si respira nell’isola un non so che particolare, capace di riportare alla mente coste dimenticate, sed habet profecto quiddam Sardinia adpositum ad recordationem praeteritae memoriae. E lo diceva a proposito di Olbia e del tempo, che in Sardegna si misura in altro modo, nel rapporto tra otium di cui si può godere in Sardegna e negotium che invece caratterizzava la vita tumultuosa di Roma.  Cicerone non dimenticava l’Aristotele della Fisica e il sonno che guarisce davanti agli eroi della Sardegna annullando il trascorrere del tempo. Ora che il chiasso del turismo di massa travolge tutto, forse le cose sono cambiate, ma ancora ci illudiamo che la Sardegna sia rimasta sempre uguale a se stessa, immobile nella sua bellezza, capace di conservare una improbabile purezza primitiva e un’ingenuità immutabile dall’età dei giganti.

Dunque i ricordi, il tempo trascorso che ora possiamo osservare sconvolto da  unu ventu attruppugliaddu, perché tutto si mischia, il prima e il poi non si distinguono, i rimpianti gonfiano il cuore dei protagonisti, che si scambiano i ruoli e che portano con se esperienze terribili ma anche passioni senza fine.

Mi piace molto la parola attruppugliare, che indica afflizione violenta, confusione, fretta, ma anche voglia di mischiare gli eventi spinti da un vento incontrollabile, i fatti, le persone, come mescolando le carte: questa nel romanzo La stanza chiusa diventa una tecnica letteraria sofisticata,  grazie ad un  testamento di un amico, poi grazie a questo lungo diario di inizio 900 che consente di ritrovare tante atmosfere perdute e di osservarle oggi, a distanza di un secolo, con sullo sfondo il palazzo immaginario nel paese, Castelsardo, la Castorias di mille altre storie  di altre opere di Giuseppe Tirotto ambientate presso il castello dei Doria, sui bastioni, raccogliendo ora tante tessere di un mosaico attraverso il quale si vorrebbe capire le tragedie di alcune famiglie, ma anche i successi, gli amori, i sentimenti contrastanti.

La scelta del diario non è ingenua, ma consente di fissare sulla carta momenti felici e momenti terribili, con l’intento di capire, di entrare all’interno dei fatti e delle relazioni, di rileggere quanto si è scritto, nella speranza irrazionale che si possa ancora curare e guarire, scavalcando l’abisso del dolore.  E questo finisce per essere un labirinto ma anche una vera e propria matrioska che al suo interno contiene e quasi ingoia altri protagonisti e altre storie che si dipanano via via che il gomitolo si disfa e si scioglie, attorno a questo palazzo padronale Mossa Scalas in piazzetta Brancaleone Doria, con questa misteriosa stanza chiusa per mezzo secolo che contiene tanti segreti nascosti, dove sembra ancora tagliarsi a fette la sofferenza dell’ultima occupante, il tradimento e la fine della felicità, addirittura il riflesso dell’omicidio, dell’uccisione di un antifascista Fabio Ballarini,  sul mare, nella notte.

Se dovessimo fare un confronto – si parva licet – tra questo lungo racconto e altre opere celebri, dovremmo pensare ai romanzi che in Sicilia raccontano di famiglie nobili e decadute, travolte da  un destino implacabile,  con amori dichiarati e altri nascosti come quello del dott. Eleuterio per la bella vedova, la morte del giovane, promettente, brillante Camillo Mazzoni che alla fine rilegge con lucidità impietosa la propria esistenza,  dichiara forse di non aver mai vissuto davvero e di lasciarsi ora travolgere dalla droga; è una vera inadeguatezza a vivere, e ormai i pensieri di morte sono come il lamento del cartellino accecato: <non ho che i miei occhi da cavare, perché la vita è spietata e l’innocente muore col cuore nel fango>> (Orlando Biddau).  Così  alla fine riusciamo a cogliere il suo inspiegabile legame con uno dei protagonisti, il suo coetaneo Paolo Finas, entrambi sconvolti dopo esser riusciti a sciogliere il gomitolo, a penetrare nel passato, a capire fino in fondo il dolore, il tradimento, l’infelicità, le ragioni di una sintonia che va oltre l’amicizia e la inattesa parentela. L’a. parla di una ragnatela e di un ragno malvagio come quello del roseto del suo giardino, solo che il ragno ora ingoia le persone e non più le mosche e gli insetti; lo sguardo – di chi prima di morire scrive sul diario le sue emozioni – finisce per essere allucinato. Eppure qui il punto di vista vero parte dall’oggi e torna indietro, fino ai preziosi mobili dei fratelli Clemente a Sassari a inizio 900, alla Grande Guerra, alla nascita della Brigata Sassari, alla fondazione del Partito Sardo d’Azione, al fascismo o alla prima pubblicazione della Settimana enigmistica dell’ing. Giorgio Sisini. Penso però alla quotidianità anche negli ovili del retroterra, come per la cerimonia della marchiatura dei vitelli descritta in un modo che quasi fa sentire la carne sfrigolare sotto il ferro rovente, quasi si avverte l’odore del bruciato, ma qui ad essere marchiati non sono gli animali ma le persone coi loro incubi, i loro traumi, i loro dubbi.  Soprattutto c’è il sapore amaro di un fascismo di provincia, di una violenza gratuita, di una continua prevaricazione, che offende e nasconde la mano. Del resto, dietro la figura del protagonista Paolo, uno scrittore in crisi, s’intravvede forse Tirotto stesso, con la sua capacità di emozionarsi e di emozionare, con questo saldissimo legame col territorio che lo caratterizza (in ghjru in ghjru a la mé rocca), con un paese che ama e che appartiene ad una Sardegna diversa da quella consueta.

Il diario di Eleonora Scalas è dedicato ai genitori Vincenzo e Tilde Mossa, al suo adorato fratello Agostino, alle dolcissime sorelle Aurelia e Angelica: personaggi che Giuseppe Tirotto ha la capacità di collocare a Castorias durante la vita di tutti i giorni, soprattutto in occasione delle feste, come per sant’Antonio Abate alias  lunissanti, fino a Nostra Signora di Tergu o per la festa della Madonna santissima a Ferragosto nel 1916.

Ma pian piano emerge la storia vera, che non è il caso di raccontare oggi qui: voglio solo dire che sullo sfondo c’è davvero una conoscenza profonda della vita che si svolgeva a Castelsardo, la nascita del porto, la costruzione delle dighe foranee, la campagna della Cudinaccia, il terreno di Funtanalva, il mare di Lu gramnaddu, con tutti gli ingredienti del teatro greco, un omicidio, uno scambio di genitore, un uomo che non sapeva di aver avuto una figlia, un nonno creduto diverso, un ritrovamento sconvolgente che rivela l’omicidio.  Storie che la voragine del tempo, 80 anni, rende ancora più dolorose e tali da obbligare il lettore ad iniziare ad andare alla ricerca di se stesso.

Che questo contatto con il mondo del teatro greco non sia solo una mia immaginazione lo dice anche il riferimento dotto al mito di Piramo e Tisbe di p. 165, i due giovani amanti contrastati: secondo la leggenda raccontata da Ovidio, l’amore dei due giovani era ostacolato in tutti i modi, tanto da far loro progettare una loro fuga d’amore conclusa tragicamente. Tanta fu la pietà degli dei nell’ascoltare le preghiere di Tisbe che trasformarono i frutti del gelso, intriso del sangue dei due amanti, in color vermiglio.

Non saprei indicare un altro luogo come la Sardegna tanto lontano dalla tradizione classica, dal mondo del mito greco e latino: eppure gli studi fatti da Tirotto all’università rappresentano senza dubbio la piattaforma sulla quale anche questo libro –  tanto sardo e in qualche modo identitario – è stato costruito per noi.

Attilio Mastino

17 giugno 2023 : Forum Traiani

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Stasera a Fordongianus tra tanti amici a parlare delle colonie di Cesare e di Augusto in Sardegna e delle Ninfe salutari sul Tirso al contatto con le civitates Barbariae: A. Mastino, P. Ruggeri, Il territorio di Forum Traiani e la pertica della Colonia Iulia Augusta Uselis: pagi, fora e civitates tra il I e il II secolo d.C.

Le Aquae Ypsitanae propongono il problema della loro pertinenza al territorio o alla pertica di una città contigua. L’assetto viario originario del territorio, antecedentemente la costituzione di Forum Traiani, con la via diretta a Karalis attraverso Uselisfino ad Aquae Ypsitanae, ci porta a escludere la città di Othoca, di cui ignoriamo lo statuto, raccordata a Forum Traianicon un percorso di 18 miglia a partire presumibilmente da Traiano e, di contro, ci suggerisce di comprendere le Aquae Ypsitanae nella pertica della colonia Iulia Augusta Uselis, suddivisa in pagi, già all’atto della deduzione o, comunque, della costituzione coloniaria.

Gli studiosi collocano la presenza romana alle Aquae Ypsitanae sul Tirso già all’epoca delle grandi rivolte del II secolo a.C. presso le sorgenti termali di Caddas, “le (fonti) calde”, localizzate ai piedi di una potente bancata trachitica. Il sito è già noto a Tolomeo (3, 3,7) come Ydata Ypsitanà. A prescindere dagli antecedenti preromani, individuabili nel centro (religioso e di mercato?) del populus indigeno degli Ypsitani, il villaggio aveva quattro funzioni, città termale, vicus capoluogo di un pagus collocato oltre il Tirso, nodo stradale delle due viae a Turre e a Karalis e infine stanziamento militare della cohors I Corsorum. Di tale cohors conosciamo un praefectus, Sex. Iulius Sex. f. Pol(lia tribu) Rufus ( CIL XIV 2954), che rivestì in età augustea tale prefettura congiuntamente a quella delle civitates Barbariae, le comunità non urbanizzate ultra Thyrsum, che fecero atto di omaggio all’imperatore (Augusto o Tiberio) proprio presso le Aquae Ypsitanae (ILSard. I 188).

Piero Meloni ha per primo affermato che gli Ydata Ypsitanà dipendessero da un’organizzazione paganica, dunque da un *pagus Ypsitanus. Nonostante l’assenza di fonti dirette non si esclude che il centro termale di Aquae Ypsitanae venisse costituito come vicus, dotato di una sua limitata organizzazione giuridica, all’interno della competenza dei magistrati – i IIviri – della colonia di Uselis. L’attestazione di due personaggi, il servus publicus delle Aquae Ypsitanae, [Fe]lix Ypsitan[orum servus] (ILSard.. I 194), autore di un atto indeterminato relativo a una piscina, e il sessantenne Aquensis fisci (servus) (AE 1992, 880) di un epitafio della I metà del II secolo d.C., ma che dovette assumere il nome Aquensis in età pretraianea, riflettono l’esistenza di un’amministrazione pubblica delle aquae, pertinenti al fiscus, con servi publici, detti Ypsitani o Aquenses, presumibilmente tali perché figli di schiavi pubblici.

L’analisi urbanistica delle Aquae Ypsitanae nella fase precedente   la costituzione del Forum Traiani ad opera di Traiano è relativamente incerta. Le Aquae Ypsitanae distavano da Useliscirca 17 miglia attraverso la citata strada a Karalis dotata di pietre miliari nel 46 d.C. da Claudio, che presumibilmente ristrutturò la viabilità preesistente forse già di età tardo-repubblicana. L’individuazione di ceramica a vernice nera (Campana A e a pasta grigia locale), in sigillata italica, in sigillata sud-gallica nell’area delle Aquae Ypsitanae indizia una continuità insediativa del sito fra l’età tardo-repubblicana e l’età flavia, precedente alla monumentalizzazione delle Aquae in età traianea. Lo sviluppo planovolumetrico del complesso termale fra l’età augustea e quella flavia è incerto, benché non si escluda che l’impianto principale incentrato su una natatio gradata e porticata possa risalire a fase pretraianea. Indubbiamente una piscina delle Aquae è attestata dalla iscrizione citata di [Fe]lix Ypsitan[orum servus], certamente del I secolo d.C.

Il culto delle acque, ampiamente sviluppato nella civiltà protosarda, suggerisce l’eventualità che gli Ypsitani lo potessero coltivare, in forme non determinate, presso quelle aquae ferventes che, secondo Solino (4,4,6), oltre a possedere virtù terapeutiche, si utilizzavano per pratiche ordaliche. È possibile che il culto delle acque indigeno si fondesse, sincretisticamente, in età ellenistica con il culto di divinità salutari, come sembrerebbe desumersi dall’iconografia di due statuine in trachite, rinvenute nel 1899 nell’area delle Aquae, rappresentanti il dio egizio Bes, che probabilmente era utilizzata dai punici per il loro dio guaritore Eshmun, ossia, nell’interpretazione greco-romana, Asklepios-Aesculapius. Una terza statuetta, ugualmente in trachite grigiastra, un tempo conservata nel municipio di Fordongianus e derivata al pari delle altre due dall’area termale, rappresentava una divinità femminile purtroppo acefala. Ne possiamo ricavare l’ipotesi che presso le Aquae Ypsitanae si prestava il culto a due divinità, una femminile, l’altra maschile, variamente reinterpretate in età imperiale. Ad età augustea si assegna, su base paleografica, un’arula in trachite dedicata a Aescul(apius )(AE 1986, 272) in scioglimento di un votum da parte di un L. Cornelius Sylla, probabilmente un discendente di un liberto del dittatore Silla, nell’area delle Aquae Ypsitanae.

Un culto idrico femminile delle Aquae, già in età augustea o tiberiana, è indicato da una stelina timpanata, con crescente lunare tra due astri, in trachite rosata, da riportarsi con grande probabilità a Fordongianus, con dedica alla d(ea) s(ancta) A(tecina) T(urobrigensis), posta da Serbulu(s) in scioglimento di un voto (CIL X 7557). Serbulu(s), un lusitano stanziato ad Augustis, dov’era acquartierata la cohors VII Lusitanorum nei primi due decenni del I secolo d.C., dovette dedicare ex voto una stele alla divinità femminile delle Aquae Ypsitanae, identificata con la sua dea Ataecina di Turobriga, un centro non localizzato della Lusitania, dove si prestava un culto a questa deità della luna e dei fontes calidi.

Accanto al centro termale di Aquae Ypsitanae e alla statio d’arrivo della via a Karalis e della via a Turre dovevano essere, con estrema probabilità, i castra della cohors I Corsorum con il pretorio del praefectus cohortis et civitatum Barbariae, da supporsi sulla spianata trachitica sovrastante, a mezzogiorno, l’area termale. Forse all’area dei castra piuttosto che a quella delle terme si riferiscono la già citata dedica delle civitates Barbariae ad Augusto o Tiberio (ILSard. I 188), impaginata su tre lastre marmoree di cui una sola parzialmente superstite e l’epigrafe e l’architrave in marmo di un edificio sconosciuto con dedica posta dall’equestre T. Iulius Pollio, verosimilmente governatore della Sardinia nella tarda età neroniana (CIL X 7863).

Se non abbiamo documenti archeologici diretti relativi alla topografia dei castra della cohors I Corsorum delle Aquae Ypsitanae è opportuno osservare che l’anfiteatro di Fordongianus, collocato nella vallecola di Apprezzau, potrebbe costituire il perno della strutturazione degli accampamenti militari della coorte. In effetti, sin dal 1990, Yann Le Bohec aveva osservato che a Fordongianus «à l’exception de l’amphithéâtre d’Aprezzau qui, s’il n’est pas trop tardif, pourrait avoir été utilisé pour l’exercice, l’entraînement, l’archéologie n’a rien livré de militaire». Lo studioso francese individuava, dunque, seppure dubitativamente, per l’anfiteatro sul Tirso una origine militare, in considerazione del carattere sistematico della costruzione di anfiteatri militari per tutti i grandi campi di un limes. Del resto gli anfiteatri militari più antichi, fin qui conosciuti, risalenti a età augustea, furono quelli realizzati dalle truppe stanziate, in ambito alpino occidentale, a Segusium (Susa) e a Cemenelum (Cimiez), quest’ultimo con l’intervento di una cohors Ligurum. Entrambi gli anfiteatri, a struttura piena, di piccole dimensioni, riflettono la necessità di assicurare una struttura, simile per grandezza al ludus per l’esercizio dei gladiatori, nella quale i soldati potessero compiere le esercitazioni, stante anche il rapporto funzionale e di formazione fra il ludus e le armate.

La struttura originaria dell’anfiteatro di Fordongianus è costituita da due terrapieni curvilinei contrapposti, orientati in direzione nord-nord-ovest/sud-sud-est, compartimentati da setti radiali, in blocchi litici irregolari, cementati con malta di fango. Il terrapieno orientale si appoggia al pendio del colle di Montigu, inciso a mezza costa nella seconda metà del XIX secolo per realizzarvi il passaggio della strada provinciale, attualmente classificata strada statale 388. Il terrapieno occidentale, invece, collocato alla base del rilievo di Iscalleddu, risulta delimitato a ponente dalla via vecchia di Oristano, erede della viabilità romana d’accesso all’anfiteatro. Entrambi i terrapieni erano delimitati verso l’esterno da una struttura muraria costituita da pilastri, formati da quattro blocchi squadrati, messi in opera a secco, per una larghezza media di 1,30 m e uno spessore di 1,35 m, alternati a specchiature in opera cementizia con paramento esterno in opus vittatum, in tufelli di trachite grigia. Verso l’arena i terrapieni sono delimitati dal muro del podio attualmente in opus quadratum di blocchi di trachite grigia, disposti a filari, che si prolungano, nel settore nord-nord-ovest, a definire l’ingresso principale dell’anfiteatro, verso il centro urbano, mentre è presumibile che un consimile accesso fosse realizzato nel settore opposto, non ancora scavato. Il terrapieno occidentale era costituito da terra e ciottoli fluviali, presumibilmente scavati dal fondo della vallata destinata a essere l’arena ellittica dell’anfiteatro, mentre quello orientale era formato prevalentemente da scapoli di trachite grigia. L’unico maenianum della prima fase, con una larghezza di 5,80 m, era dotato di gradus costituiti in cementizio, con caementa di medie dimensioni e pozzolana e calce di non grande qualità, disposto a strati ricorrenti, onde realizzare circa sei ordini di gradini, sostanzialmente non conservati. Si è, finora, individuato un unico vomitorium, nel settore nordoccidentale della cavea, provvisto di un gradino in trachite residuo all’interno del filo della facciata, e in corrispondenza di uno degli scalaria, strombato verso l’arena, che delimitava due cunei della cavea, a destra e sinistra dello stesso vomitorium. Gli accessi all’arena, come si è detto, si dispongono lungo l’asse maggiore, benché manchi la documentazione relativa al settore meridionale, non indagato. L’ingresso principale (porta triumphalis), rivolto ad Aquae Ypsitanae e destinato alla pompa inaugurale, costruito in opera quadrata, forse dotato di un arco, misura 5,10 × 3,23 m, risultando minore, per larghezza, della media (4,70 m).

Le dimensioni dell’anfiteatro di prima fase sono, allo stato delle ricerche, ancora ipotetiche, ma paiono definire una struttura non perfettamente regolare: asse maggiore dell’anfiteatro 52,60 m (pedes 178,8); asse minore 41,55 m (pedes 140); asse maggiore dell’arena 41 m (pedes 138); asse minore 29,53 m (pedes 100); superficie dell’arena 964 mq; superficie della cavea 758 mq. Il numero di spettatori dell’anfiteatro di prima fase può calcolarsi in circa 1.895.

Nell’età traianea le Aquae furono elevate al rango di forum, con la costituzione del Forum Traiani, trasformato entro il periodo severiano (antecedentemente il 212-217) in civitas Foritraianensium (AE 1992, 892). La civitas, che potrebbe aver guadagnato lo statuto municipale nel corso del III secolo, era dotata di un consiglio decurionale (ordo decurionum) e disponeva di sacerdoti addetti al culto imperiale (conosciamo una flaminica): come è noto in Sardegna la successiva suddivisione geografica che porta alla nascita della diocesi entro l’età vandala è fondata sulle città che in precedenza ospitavano flamini e flaminiche, come Carales, Turris Libisonis, Sulci, Nora, Tharros, poi Cornus-Bosa, per non parlare di Fausiana-Olbia.

Il ponte sul fiume Tirso costituisce l’asse generatore di Forum Traiani, sul cui prolungamento (in Barbaria) si disponeva il cardo I. Tale cardo non corrisponde, nonostante le apparenze, alla via Ipsitani, aperta nel tardo Ottocento, bensì alla linea divisoria di fondi rustici, attigui all’abitato, del catasto urbano del 1909. Tale linea è normale, nel medesimo catasto, al divisorio fra i mapp. 433 e 434, probabilmente erede del decumanus meridionale. Il parcellario catastale testimonierebbe così gli assi stradali estremi nord-nord-ovest/sud-sud-est ed est-nord-est/ovest-sud-ovest della fondazione traianea; sono stati descritti i resti della viabilità nell’area, cardo e decumanus, il rapporto con le strutture e gli impianti fognari, il lastricato fatto di basoli poligonali in trachite grigia con crepidines laterali costituite da blocchi ben sagomati di trachite di 29 × 29 × 22 cm di altezza. Ad assicurarci dell’orientamento del reticolo viario, e di conseguenza delle insulae dell’abitato, lungo gli assi principali, sono i resti di tre complessi edilizi, ancora oggi rilevabili, che presentano le murature perimetrali orientate secondo gli assi suddetti.

Terme centrali. Della struttura si è rilevato un ambiente caldo rettangolare, orientato est-nord-est/ovest-sud-ovest, di 3,70 m residui di lunghezza × 6,40 di larghezza, forse un tepidarium, in opera cementizia con paramento in opus vittatum di tufelli, con impiantito di bessales su cui si impostavano le suspensurae di pilastrini litici di 60 cm di altezza, che reggevano un pavimento sospeso formato da bipedales (58,2 × 59,1 × 7 cm). Il lato breve est-nord-est comunicava con un vano di circa 30 mq, in opera cementizia, rivestito in opus vittatum mixtum, orientato con i lati brevi in direzione nord-nord-ovest/sud-sud-est. L’ambiente presentava un pavimento musivo: il mosaico, trasferito al Museo archeologico nazionale di Cagliari, è stato studiato da Simonetta Angiolillo nel suo corpus dei mosaici antichi della Sardinia: «Il campo è delimitato da un bordo […] decorato a dallage […] Lo schema compositivo del campo è basato sull’alternanza di quadrati, sui cui lati si impostano pelte, e di cerchi […] Il motivo ampiamente documentato in Africa ritorna in Sardegna a Tharros nel c.d. Tempio a pianta di tipo semitico». Per il nostro esemplare la Angiolillo si è riferita in particolare a un pavimento della Casa delle fatiche di Ercole di Volubilis, in Mauretania Tingitana, della fine del II-inizi del III secolo d.C., coevo a questo di Forum Traiani. L’ambiente in questione deve identificarsi, con grande probabilità, con il frigidarium delle terme. Presumibilmente allo stesso edificio termale corrisponde il tratto murario in opus vittatum mixtum, tra via Dante e via Vittorio Veneto.

Edificio con volta a botte. L’edificio, a pianta rettangolare, in cementizio con paramenti in opus vittatum mixtum si estende in lunghezza per 22 m e in larghezza per 10 m. L’altezza delle murature è attualmente di 2,30 m dal piano di calpestio, sopraelevato, secondo fonti orali, rispetto al pavimento della struttura romana di 2,20 m. Sul lato lungo nord-nord-ovest è visibile l’imposta della volta a botte, in opera cementizia, articolata in quattro ricorsi di laterizi che dovevano probabilmente formare una rete a linee parallele, sistema divulgato da Traiano in poi, in specie nella seconda metà del II secolo d.C. Il modulo dell’opus vittatum mixtum corrisponde a quello delle terme II, a riscaldamento artificiale, delle Aquae Ypsitanae. Si individua il prospetto dell’edificio, normale al lato lungo, realizzato in cementizio con paramento in opus vittatum mixtum, intonacato, spesso 86 cm, con aperture. Ignoriamo la funzione della struttura, che parrebbe di carattere pubblico, riadattata a edificio chiesastico nel Medioevo.

Edificio industriale. All’interno dello scantinato dell’abitazione ubicata fra via Ipsitani e via Vittorio Veneto, si individua un ambiente rettangolare, ridotto a due spezzoni di muro, orientati rispettivamente sud-sud-est/nord-nord-ovest (per una lunghezza residua di 2,19 m) e ovest-nord-ovest/est-sud-est (per una lunghezza residua di 3,33 m). Su quest’ultimo lato, addossate alla muratura, erano disposte due vasche rettangolari, ad angoli interni stondati, dotate di foro di scarico affinché il liquido contenuto nella prima vasca fluisse, depurato, nella seconda. La struttura muraria è in opus vittatum, in filari regolari di tufelli in trachite, connessi con strati di malta di 2 cm di spessore. Dall’area archeologica provengono tegulae hamatae, forse connesse alla deumidificazione di ambienti, lastrine in marmo bianco, embrici giallastri e rossastri e ceramica comune romana – bocca di un askós, ceramica “fiammata” di bottega sarda (sulcitana?) –, lucerne a becco tondo, anfore Africane e un asse di Adriano del 134-138 d.C. L’edificio parrebbe avere avuto una fase di laboratorio industriale per la torchiatura delle olive o per la produzione vinaria.

Non possediamo allo stato delle conoscenze dati per l’individuazione della piazza forense di Forum Traiani. Una serie di iscrizioni marmoree relative a interventi evergetici o a onoranze a imperatori potrebbero riferirsi all’area forense, ma è dubbia la circostanza puntuale del loro riferimento.

Da Via Traiano, dirimpetto alla chiesa parrocchiale, proviene un frammento di lastra di marmo bianco con venature grigie recante una iscrizione che richiama un intervento (evergetico?) [ex] test(amento), forse [d(ecreto)] d(ecurionum) (ILSard. I 201).

Se lasciamo la citata dedica a Tiberio da parte delle civitates Barbariae (ILSard. I 188), probabilmente dall’area di via delle Terme, «nel centro del paese», provengono frammenti marmorei pertinenti a tre distinte iscrizioni imperatorie, da supporsi affisse nel forum o nell’Augusteum di Forum Traiani: Caracalla tra il 211 e il 213 d.C. (ILSard. I 189), Severo Alessandro tra il 222 il 235 d.C. (ILSard.I 190), infine un imperatore dominus noster (?) (ILSard. I 200). Si aggiungano due dediche a imperatori anonimi pro salute rinvenute nell’area urbana e connesse al forum o all’Augusteum della città.

L’importanza di Forum Traiani si palesa anche nella monumentalizzazione delle precedenti Aquae Ypsitanae. L’orientamento del complesso termale è il medesimo del Forum Traiani, così da autorizzare l’ipotesi di una programmazione generale urbanologica delle terme e del Forum ad opera di Traiano, ovvero la strutturazione del Forum secondo gli assi delle Aquae Ypsitanae. Il complesso termale in opera quadrata viene a essere arricchito, presumibilmente in età severiana, di nuove terme, a riscaldamento artificiale, in opera cementizia con paramenti prevalenti in opus vittatum mixtum e, parzialmente, in opus vittatum, a monte delle aquae idrotermali. A sud-sud-est del complesso termale si apre una piazza trapezoidale, basolata in lastre di trachite, delimitata a monte da un complesso di cisterne alimentate da un acquedotto, che recava l’acqua da due sorgenti extraurbane rispettivamente dalle località di Pischina ’e Ludu e S’Ispadula. Nel margine occidentale del lato sud-sud-est della piazza si localizza una scalinata in conci regolari di trachite che immette su un piano, in parte ritagliato nel plateau trachitico, in cui si leggono labili tracce di un edificio, forse a carattere sacro, come nell’analogo complesso termale di Djebel Oust in Africa Proconsolare.

Il lato est-nord-est della piazza immette in un complesso a L, in opera cementizia con paramenti in opus vittatum mixtum, articolato in un corridoio a due ali che disimpegnano piccoli ambienti quadrangolari e alcuni vani maggiori affrescati. Si tratta probabilmente di ambienti di servizio del complesso termale per assicurare l’ospitalità ai malati.

I culti prevalenti delle Aquae Ypsitanae, testimoniati da iscrizioni sacre, documentano spesso il rango sociale elevato dei devoti, fra cui vari governatori dell’isola. Le divinità femminili erano le Nymphae o più precisamente i numina Nympharum (AE 1991, 909), così come nelle Aquae Flavianae presso Mascula (oggi Khenchela) in Numidia, era venerato il numen [Ny]mpharum (CIL VIII 17722): là un centurione legionario della III Augusta poteva vantarsi di aver visto realizzati tutti i suoi desideri: optavi nudas videre Nymphas, vidi (CLEAfr. 2 101).

Possediamo ben otto dediche alle Nymphae dalle Aquae Ypsitanae, incise su altari in trachite:

Nymph[hae] salutares posta dal governatore della Sardinia Aelius Per[egri]nus intorno al 201 d.C. (ILSard.I 187, vd. EDR181203);

Nymphae sanc[tiss(imae)] ricordate dal procuratore e prefetto dell’isola M. Cosconius Fronto nel 206-207 d.C. (CIL X 7560);

– le Nymfae invocate da un (M. Aurelius) Servatus, liberto imperiale, adiutor del governatore e procurator metallorum et praediorum e da un [—]ianus, ufficiale (?) di una coh(ors) II [—], stanziata nell’isola: siamo tra il 178 e il 180 d.C. e i vota sono espressi pro salute del governatore della Sardegna Q. Baebius Modestus, un cavaliere inserito nella cohors amicorum e tra i consiliarii degli imperatori.

le Nymphae invocate da parte di Flavia T. filia Tertulla e  dai Flavii Honoratia[nus] e [Marc]ellina, rispettivamente moglie e figli del governatore della Sardegna L. [F]la[vius] Honoratus, probabilmente tra la fine del II e gli inizi del III secolo d.C. (CIL X 7859).

– le Nymphae [–] invocate da Valeria Modestạ, liberta di Ṃ(arcus) Valerius Optạṭus,
proc(urator) Aug(usti), pṛạẹ[f(ectus)] provinc(iae) Sard(iniae)
, tra il 193 e il 217.

– I numina Nympharum evocati dal governatore della Sardegna M. Mat(idius ?) Romulus, nella seconda metà del III o del IV secolo d.C. (AE 1991, 909).

– Le Nymp[hae] e [Aescula]pius chiamati in soccorso da un anonimo, forse un Claud[ius] (AE 1988, 644).

– Le Nymphae Aug(ustae) invocate sull’arula dedicata anche ad Aescu[lapius] (ILSard. I 186).

L’associazione tra le Nymphae ed Aesculapius (anche in AE 1986, 272) non è frequente, benché documentata implicitamente proprio in località termali (ad esempio alle Aquae Lesitanae, AE 2005, 681). L’epiteto Augustae delle Nymphae Ypsitanae, essendo raramente connesso a queste divinità, testimonia dell’importanza del culto imperiale ad Aquae Ypsitanae-Forum Traiani, documentato anche dal busto marmoreo inedito di un loricato acefalo, certamente un imperatore del II secolo d.C., derivato dall’area termale, oltre che dalla citata flaminica.

Le necropoli forotraianensi di età romana imperiale sembra si estendessero a est e a sud-ovest della città, forse con una prevalenza delle deposizioni nell’area in cui fu creato nel IV secolo il martyrium del martire locale Luxurius.

Nel rinnovato quadro dell’ornatus civitatis di Forum Traianiin età severiana deve collocarsi probabilmente l’ampliamento dell’anfiteatro, con l’utilizzo prevalente del cementizio con paramenti in opus vittatum mixtum. Gli structores amphitheatri possedevano le competenze operative per la realizzazione di arcate e di volte in opera cementizia, applicate in vari edifici della città ma soprattutto nelle terme Ypsitanae e nell’acquedotto.

Un aumento demografico della popolazione di Forum Traiani e un maggiore interesse generale per i munera gladiatorum e le venationes, dimostrato dalla costruzione, dopo l’anfiteatro flavio di Carales, degli anfiteatri di Nora, Sulci e Tharros entro il II/III secolo, costituiscono i presupposti dell’ampliamento dell’anfiteatro forotraianense, consistito innanzitutto nella costruzione di una galleria periferica, obliterante la primitiva facciata. Tale galleria era articolata all’esterno in arcate su pilastri di blocchi squadrati in trachite (connessi da incavi a coda di rondine), su cui si impostavano volte rampanti ammorsate alla facciata di prima fase. Sulle volte erano realizzati in opera cementizia i gradus del secondo maenianum, disposti probabilmente su quattro ordini. In sostanza l’anfiteatro di Forum Traiani dovette presentarsi all’esterno con una facciata ritmata da fornici, benché appaia probabile che, in relazione alle differenze di quota del fondo trachitico della zona, le stesse arcate avessero un’altezza differente dal piano di calpestio. I fornici, in opera cementizia con rivestimento in laterizi rossi, strombati verso l’interno della galleria, allo stato delle indagini, sono stati individuati esclusivamente nel settore occidentale e in quello nord-orientale. La struttura della facciata, a prescindere dai pilastri e dalle arcate, è in opera cementizia con rivestimento in opus vittatum mixtum, che alterna filari di due laterizi rossi a filari di un tufello in trachite, connessi da strati robusti di malta. L’architetto responsabile dell’ampliamento dell’anfiteatro di Forum Traiani provvide a effettuare due interventi funzionali rispettivamente alla creazione di suggesta (spazi riservati alle autorità) e alla realizzazione del sacellum. Lungo l’asse minore dell’edificio, secondo i canoni anfiteatrali, a spese dei settori coassiali della cavea di prima fase, furono resecati due spazi quadrangolari, destinati rispettivamente quello a est-sud-est a sede del sacellum, sormontato da un suggestum, quello a ovest-sud-ovest a sede di un secondo suggestum, accessibile dal piano dell’arena con una scaletta ammorsata al podium. Il sacellum, a pianta quadrangolare, con volta a botte, presenta sul muro di fondo una nicchia centinata, con armilla di laterizi, che esclude la natura di carcer dell’ambiente, anche in rapporto alla sua collocazione lungo l’asse minore dell’anfiteatro, suggerendo, invece, la funzione di sede della statua del culto dei gladiatores e dei venatores, forse Nemesis-Diana, a tener conto della frequenza di Nemesea negli anfiteatri. In alternativa si è pensato al culto di Hercules. Sull’estradosso della volta, accessibile mediante una scaletta perduta, doveva impostarsi uno dei due suggesta o pulvinaria dell’anfiteatro, i posti riservati alle autorità civili, militari e religiose della città. Il secondo suggestum, conservato solamente alla base, nel settore ovest-sud-ovest, era accessibile mediante dieci gradini da parte delle autorità che dopo aver partecipato alla pompa iniziale, all’omaggio alla divinità nel sacellum, si portavano nello spazio riservato ad esse, sia al di sopra del sacellum, sia sul lato ovest-sud-ovest, meglio preservato.

Si è detto che l’opus quadratum del podium e della porta triumphalis potrebbe rimontare al generale rifacimento dell’anfiteatro di seconda fase. In effetti non pare cogliersi soluzione di continuità fra la porta triumphalis nella sua nuova costituzione, in rapporto alla galleria periferica, la primitiva porta e il podium.

L’anfiteatro di Forum Traiani nella sua seconda fase ha le seguenti dimensioni: asse maggiore dell’anfiteatro 59,30 m (pedes 200); asse minore 48,25 m (pedes 163); asse maggiore dell’arena 40,98 m (pedes 138); asse minore 29,53 m (pedes 100); superficie arena 964 mq; superficie della cavea 1.265 mq. Gli spettatori calcolabili sono 3.163. Le dimensioni di questo edificio per gli spettacoli sono inferiori in Sardinia solo a quelle dell’anfiteatro di Carales, per il quale si calcola una capienza complessiva di 12.283 spettatori. Non possediamo dati sugli spettacoli tenuti nell’anfiteatro di Forum Traiani, anche se devono ipotizzarsi sia i munera gladiatorum sia le venationes. Alla cura di gladiatores potrebbe riferirsi uno strumento chirurgico in bronzo individuato nello scavo del settore settentrionale dell’arena.

A Forum Traiani potrebbero esser citate altre divinità orientali legate al mondo militare, come Giove Dolicheno (CIL X 7862). Va infine rilevato che Forum Traiani avviò una penetrazione culturale nel territorio circostante.

Il 25 maggio 2023

Giuseppe Contu: un barbaricino nel mondo arabo.

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Giuseppe Contu: un barbaricino nel mondo arabo
Tra lingua araba e sarda a Sarule, convegno in onore del prof. Giuseppe Contu, ISSLA
14 maggio 2023

Cari amici,

Sarule ci è sembrato il luogo più giusto per ricordare Giuseppe Contu a tre anni dalla sua scomparsa avvenuta proprio qui il 7 gennaio 2020; qualche giorno dopo lo abbiamo ricordato nella chiesa di San Michele. A Sarule egli era nato il 12 ottobre 1947. Dopo il dolore per la perdita, oggi possiamo far riemergere mille episodi divertenti, ricordare uno studioso che ci ha aperto tante porte e che era capace di restare saldamente ancorato alla Sardegna interna guardando al Mediterraneo, al mondo arabo, dal Libano all’Egitto, dalla Tunisia al Marocco, partendo dal suo piccolo paese di origine, dai suoi boschi e dalla sua collina sacra.

Ho visto ricordato con affetto in alcune pagine delle sue pubblicazioni scientifiche questo paese – Sarule -.   Grazie a chi ha voluto quest’incontro, alla famiglia, agli amici, al Comune, all’ISSLA, all’Università, che hanno capito che anche da Sarule, soprattutto da Sarule, si può guardare ad un tempo  nuovo fondato sulla tolleranza e sul rispetto per gli altri, sul pluralismo e il valore delle diversità in un Mediterraneo dove il mare non sia più una frontiera, ma la piazza di un’interazione pacifica, per usare le parole di Edgar Morin, per il quale dobbiamo constatare che i futuri impensabili del nostro passato sono diventati ora futuri impensabili del nostro presente.

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Conclusioni al XXII Convegno de L’Africa Romana Sbeitla (Tunisia)

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Conclusioni al XXII Convegno de L’Africa Romana
Sbeitla (Tunisia), 18 dicembre 2022

Cari amici,

la Tunisia profonda e Sbeitla, ci hanno accolto giovedì al tramonto, con gli edifici splendidi che raccontano culti lontanissimi da noi, illuminati a giorno: un mondo remoto e misterioso è riemerso all’improvviso con tutta la sua freschezza e la sua bellezza. Domani ci attende la visita alla fortezza di  Ammaedara-Haidra sotto la guida di François Baratte e di Cillium-Kasserine.

Nella cerimonia di apertura ieri siamo stati onorati dai saluti di Benvenuto di Samir Aounallah, dagli interventi di Ridha Rokbani, Gouveneur de Kasserine, di Mustapha Khanoussi per la Ministra des Affaires Culturelles, Faouzi Mahfoud, directeur général de l’INP, Paola Ruggeri dell’Università di Sassari che ha assunto il testimone per questa XXII edizione di un convegno iniziato nel 1984; e poi Frédéric Hurlet (Paris Nanterre), Sergio Ferdinandi, vice presidente ISMEO, la Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente, Luciano Colombo, prorettore alla ricerca dell’Università di Cagliari. Siamo stato poi allietati in apertura dalla musica tradizionale tunisina-algerina-sarda.

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Geografia, Geopolitica, Storia antica: Principi, prospettive, cooperazioni per la pace inevitabile.

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Geografia, Geopolitica, Storia antica: Principi, prospettive, cooperazioni per la pace inevitabile
Istituto di studi e programmi per il Mediterraneo
Convegno Alghero 3 dicembre 2022

Intervenire in chiusura di questa due giorni su Principi, prospettive, cooperazioni per la pace invevitabile nel nome di Giorgio La Pira (Pozzallo 1904 – Firenze 1977) mi dà l’opportunità di rivolgere uno sguardo più distante ed imparziale, osservando le diverse posizioni assunte dai relatori su temi di bruciante attualità.

Ho riletto in queste settimane molte opere di La Pira e i commenti di Bruna Bocchini Camaiani, ricorando nel 1954 l’intervento a Ginevra alla sede della Croce Rossa (per altri aspetti citato da Franco Nuvoli) sul valore delle città di fronte alle armi nucleari: <<non hanno il diritto gli Stati di distruggere le città>>: tema che confligge con le immagini dei telegiornali di questi mesi. Dieci anni dopo quell’intervento di La Pira, nel 1963 Giovanni XXIII pubblicava l’enciclica Pacem in terris, indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà, subito fatta tradurre in russo. Pietro Paolo Onida a sua volta ha richiamato il ruolo del diritto, un’ars, una scientia che non può essere l’espressione della forza del più forte, ma che detta regole anche per i momenti più drammatici del suo manifestarsi; allora possiamo disttinguere: hostes hi sunt, qui nobis aut quibus nos publice bellum decrevimus; ceteri latrones aut predones sunt (D. 50,16,118)>> (Sandro Schipani). E Vanni Lobrano ieri è partito da una riflessione sulla martoriata Ucraina.

Il quadro nel quale ci muoviamo oggi è ancora una volta mediterraneo, partendo dai paralleli e dai meridiani: abbiamo rcordato nei giorni scorsi a ll’Accademia dei Lincei a Roma la figura di Sabatino Moscati, al quale dobbiamo la blioteca di 6000 volumi che il 14 diembre inaugureremo sulla collina di Didone a Cartagine come Scuola archeologica italiana di Catagine e Institut National du Patrimoine. Nel suo ultimo libro, pubblicato postumo nel 2001, Sabatino Moscati affrontava I fondamenti della storia mediterranea come civiltà del mare e precisava che tutti avvertiamo <<l’inadeguatezza di una vera e propria storia mediterranea, proprio nel momento in cui il compiuto apporto di nuove conoscenze mostra la parzialità delle trattazioni esistenti. Anzi, si può dire che non esista finora quella vera e propria storia mediterranea in cui i singoli apporti debbono confrontarsi e integrarsi. Quando tale storia potrà essere scritta, è difficile dire: anche perché la fornazione degli studiosi (…) per aree culturali, non conosce ancora l’impiego integrale e di prima mano di un materiale così vasto, disperso, difforme. E tuttavia, la storia a dimensione mediterranea mi sembra la grande frontiera dell’avvenire, il necessario superamento di steccati anomali se non fuorvianti per la comprensione dell’unico denominatore valido e completo del mondo antico>>. Se vi è un protagonista ieri come oggi, esso è il mare. <<quel mare degli antichi che costituisce l’orizzonte, la condizione, il limite della loro avventura>>, fatta di pace ma anche di guerre, partendo dalla prima battaglia navale della storia combattuta nel mare sardo nel VI secolo a.C.

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Parole in opera di Alberto Merler

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Parole in opera di Alberto Merler
Sassari, 30 novembre 2022
Presentazione

Per la seconda volta in pochi mesi Aberto Merler cerca di capire e farci capire la strada attraverso la quale riuscire a scavalcare il dolore e la solitudine, dopo il lutto e il confinamento, oltrepassando una voragine che avremmo pensato insuperabile, con la voglia di ristabilire relazioni, di riaffermare valori positivi, di rispondere con generosità alle prove davvero difficili e crudeli alle quali è stato sottoposto per lunghi anni. Ma sbaglieremmo se pensassimo che i due volumetti Oltre la solitudine, Proseguire nel cammino dell’esistenza, e Non basta per essere maestro ed altre parole, Edizioni Ave, Roma 2021 sono volumi ingenuamente positivi, capaci di sciogliere prodigiosamente i tanti nodi dell’esistenza e di ri-orientare il destino: alla base, anche se non è mai citato, c’è il libro di Giobbe nella lucida e dolente interpretazione di Totti Mannuzzu (Il dolore e il desiderio): insieme una confessione, una protesta per lo scandalo del dolore umano, una speranza.

E soprattutto c’è il De magistro col quale Agostino di Ippona si sforza di chiarire il metodo dell’insegnamento e il rapporto tra il docente e gli allievi: del resto torna il tema – modernissimo – del rapporto tra segni e significati, verso una nuova frontiera tracciata oggi dalla filosofia dei linguaggi, con un approccio diverso rispetto all’universo dei segni che utilizziamo quando entriamo in relazione con altri uomini e con le cose. Per vedere davvero non bastano i suoni, i segni, neppure i fatti: noi non possiamo parlare delle cose, ma delle immagini impresse e affidate alla memoria, perché noi portiamo quelle immagini nella profondità della nostra memoria, come documenti di cose percepite precedentemente. Ma sono documenti davvero solo per ciascuno di noi.

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La romanizzazione della Sardegna (A bonas o a malas) di Pietrino Soddu, Edes 2022

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La Nuova Sardegna 16 novembre 2022

Pietrino Soddu continua la sua riflessione non convenzionale sulla storia della Sardegna, leggendo ora la lunga fase romana con gli occhi emozionati e commossi di un esordiente, quasi uno studente che scopre un mondo nuovo e inatteso: aveva presentato questo suo progetto cinque anni fa a Manlio Brigaglia ed a me in un bar di Viale Umberto a Sassari, con il desiderio di coinvolgerci, per arrivare in profondità, conoscere meglio i documenti, raccogliere informazioni,  collegare alla storia la geografia dell’isola che gli è più abituale, partendo dai monti che chiudono la prima Vallata del Tirso occupata dagli Iliensi per andare alla ricerca delle continuità, delle trasformazioni, delle radici dell’identità della Sardegna di oggi.

Il punto di osservazione sono ovviamente le sorgenti salutifere delle Aquae Lesitanae e la città di Lesa e poi Benetutti con Sa Costera (ancora nell’Ottocento punto terminale dell’abigeato) e poi la Barbagia, luoghi che conservano le fasi più arcaiche della lingua latina, ma anche territori che l’autore considera suoi ed ai quali continua ad appartenere fino in fondo. La scena è animata – in prosa  ed in poesia – dagli interventi di tanti personaggi diversi, capaci di render conto della varietà delle interpretazioni e dei molti riflessi sulla storia lunga dell’isola.

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Ottobre in poesia: Giuanne Fiore, Sas primas abbas di Soter editrice. Festival internazionale di poesia della Sardegna

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Ottobre in poesia: Giuanne Fiore,  Sas primas abbas di Soter editrice
Festival internazionale di poesia della Sardegna
Ittiri, 23 ottobre 2022

Conosco il poeta Giuanne Fiore da decenni, perché ho avuto modo di seguirlo tra i protagonisti del  Premio città di Ozieri già con Nicola Tanda e più di recente, sfogliando gli archivi di Via Ugo La Malfa o come membro della Giuria del Premio Antoni Sanna: nel 2020 Giuanne Fiore ottenne il I premio con In su montiju meu, col voto di molti oggi presenti (Anna Cristina Serra, Clara Farina, Salvatore Tola, io stesso e non solo).  Ma i riconoscimenti ottenuti sono stati moltissimi anche fuori dalla Sardegna.

Poche settimane fa mi ha regalato le sue più  belle raccolte di poesie:

Tempos, Sos Sonettos, Domus de Janas e Soter  2012 con 50 anni di sonetti

Bisos e chertos, Soter editrice,  I volume,  Poesie con presentazione di Nicola Tanda e Paolo Pillonca e II volume glossario sardo-italiano 2004

Terra mia istanotte mi ses cara, con Salvatore Ligios, 1999 Soter, Poesias e Fotografias introduzione di Paolo Pillonca )

Opere che hanno al centro la contemplazione della natura e l’incontro con gli altri, con un garbo che ha una sua dignità, un suo stile, una sua dimensione positiva, che rivela la forte capacità di cogliere emozioni, sentimenti, aspetti indimenticabili di un’esperienza, una speranza.

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Bolontana, Badd’e Salighes

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Bolontana, Badd’e salighes

10 settembre 2022, ore 10,30

Cari amici,

solo l’ostinazione di Mario Bussa mi conduce di nuovo qui a Badd’e salighes. Ho i saluti del gen. Luciano Carta, premio Navicella 2022. Il 26 luglio 2020, due anni fa,  eravamo qui per discutere sullo straordinario diario di Donna Vera Mameli Piercy Nel Mezzo della vita, curato da Giorgina Mameli Giustiniani.

L’anno scorso, il 20 giugno 2021 abbiamo presentato il volume di Luciano Carta Dal Galles alla Sardegna, Benjamin Piercy e le ferrovie con le pagine di Patrizia Onnis dedicate ai beni culturali e ambientali del territorio di Bolotana, dall’inquadramento geologico fino alla vetta di Punta Palai a 1200 metri, alla flora alle grandi opere megalitiche, i circoli rituali di Ortachis, le domus de janas, i circa 50 protonuraghi e  nuraghi, i pozzi sacri, le tombe di giganti, la fortezza punica di Pabùde, le tanti insediamenti romani, i bizantini con i monaci Armeni, l’età giudicale verso il castello di Burgos, la chiesa di san Bachisio, fino ad arrivare a Padru Mannu e a questo castello incantato in quella foresta di lecci, roverelle, sughere che tanto avevano colpito il viaggiatore inglese e i suoi discendenti.

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Attilio Mastino, Geografia, Geopolitica, Epigrafia, Conference de l’AIEGL, Bordeaux 31 agosto 2022

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Attilio Mastino, Geografia, Geopolitica, Epigrafia,

Conference de l’AIEGL, Bordeaux 31 agosto 2022

L’épigraphie au XXIe siècle, XVI Congressus internationalis Epigraphiae Graecae et Latinae,

Cari amici,

(Film https://youtu.be/l8l_8caQ2w0). La strategia militare per liberare l’Europa dopo i fascismi che avevano alimentato il mito imperiale di Roma mi sembra possa esser sintetizzata nelle vicende dello sbarco americano in Marocco raccontate in un film del 1970 in un puro stile holliwoodano, premiato con tanti Oscar, il Generale di Acciaio: vi si vede un improbabile Generale Patton interpretato da George C. Scott mentre sproloquia alla fine del 1942 sulla guerra, a Volubilis davanti all’arco eretto dal procuratore M. Aurelio Sebasteno dedicato per celebrare la singularis indulgentia [erga] universos et [nova] supra omnes [retro] principes di Caracalla nella sua XX e ultima potestà tribunicia.  Rimontata da Louis Chatelain e André Piganiol nei restauri del 1935, la duplice iscrizione ricorda l’imperatore come Germanicus Maximus, vincitore dei Germani.

Ma sarebbe pretendere troppo immaginare che il regista abbia pensato ad un collegamento tra la campagna contro Hitler ed i tedeschi e la vittoria germanica di 1800 anni prima. Sappiamo che la task force corazzata guidata dal gen. Patton si preparava ad intervenire a Kasserine in Tunisia dopo il disastro di americani e inglesi di fronte a tedeschi e italiani: ai confini di un Mediterraneo ancora tutto da riconquistare, diciamo la parola, da liberare dai totalitarismi e dalle patologiche aspirazioni coloniali di Mussolini e di Hitler, il generale è descritto nel film in modo caricaturale e un poco offesivo: avrebbe inciampato sulla crudeltà delle donne arabe al momento della distruzione di Cartagine, una storia tutta deformata ed inesatta, che però rende bene – al di là delle esigenze narrative – le contraddizioni della guerra, contraddizioni testimoniate drammaticamente dalle bianche lapidi dei cimiteri militari che tanto spesso abbiamo visitato come quello inglese di Medjez el Bab sulla Medjerda, a due passi da Thignica.

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